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La Grande Guerra ha prodotto un’enorme quantità di immagini: si tratta di un insieme di materiali quanto mai eterogeneo, capace di spaziare dagli appunti grafici presi frettolosamente in trincea dal soldato semplice alle grandi esposizioni d’arte militare organizzate per sostenere il morale della popolazione civile, come le mostre dei Kriegsmaler; dalle cartoline alle vignette satiriche o caricaturali sui quotidiani alle fotografie ufficiali intrise di retorica e propaganda ed alle traduzioni cinematografiche, fino ad arrivare alla rielaborazione del dramma ed alla sua celebrazione attraverso sacrari e monumenti ai caduti.

La fotografia è divenuta, in un arco di tempo molto breve, il più immediato, semplice e comprensibile mezzo di documentazione e di espressione, il vero linguaggio universale del nostro tempo. All’ immagine fotografica è ormai generalmente riconosciuta dignità di documento storico e se per la Prima guerra mondiale l'uso dello strumento fotografico non costituisce una innovazione assoluta, visto che essa nacque ufficialmente nel 1839, è unanimemente riconosciuto che l'utilizzo della rappresentazione visiva assume un'importanza fondamentale sulle condotte militari e propagandistiche, proprio in coincidenza con la Grande Guerra. In questa immane tragedia, la rappresentazione dei suoi eventi divenne con la fotografia documento spontaneo e umano, spesso capolavoro di verità e precisione. Ora a distanza di molti anni riconosciamo che quella fotografia ha giocato un ruolo sorprendentemente più grande di quanto già allora previsto: le rappresentazioni istantanee, i panorami, i gesti, le fisionomie, sarebbero state irrimediabilmente perdute senza quella diffusione che, anche se a fini quasi esclusivamente di propaganda e di strategia militare, instaurò una nuova ‘cultura fotografica’ che, con la ricerca di certi temi e di certe passioni, muoveva gli intendimenti di mostrare attraverso le immagini la verità di un conflitto epocale. Ma l'energia, l'intensità, l'efficacia, assieme all'emotività e alla suggestione delle fotografie superano di gran lunga qualsiasi potenzialità di altre fonti documentarie e ci concedono alcune ambientazioni della guerra imponendoci una visione che non ha bisogno di altre verifiche razionali: ci mostra quella realtà, ci fa vedere come i suoi protagonisti vi si vedevano e volevano farsi vedere, con il linguaggio del rappresentare e del rappresentarsi: per la prima volta si intuì la necessità di utilizzare in maniera intensiva strumenti diversi dalle armi; strumenti che ancora oggi, a quasi un secolo di distanza, sono i mezzi più efficaci nell’ambito della comunicazione di massa e della gestione dell’opinione pubblica. A causa dell’inedita dimensione spazio-temporale e ideologica assunta dalla prima guerra mondiale, dando già

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l’avvisaglia di una realtà ‘globalizzata’, le immagini del periodo della Grande Guerra considerate migliori, sono quelle in cui è stata realizzata il perfetto connubio tra genialità dell’invenzione e impiego di linguaggi grafici di facile decodificazione e d’immediato impatto emotivo.

Il corredo visivo dei Supplementi letterari per la Tsz conta quasi cinquecento immagini tra fotografie e disegni o dipinti. Una quantità veramente notevole se si considerano le condizioni economiche e logistiche non certamente ideali del contesto specifico che stiamo studiando. In questa sede non verranno riprodotte tutte, ma solamente una parte che cercherà di riassumere in maniera comunque completa il contenuto globale di questo vitale strumento di propaganda. Infatti, anche le immagini collaborarono attivamente alla diffusione di un determinato messaggio, innanzi tutto perché immediate nell’acquisizione, il ricevente non doveva essere necessariamente alfabetizzato per usufruirne e poi perché nel contesto della trincea e della prima linea si doveva cercare comunque di trasmettere il messaggio in maniera più semplice e più facilmente assimilabile possibile. Inoltre, nonostante esse paiano, per così dire insindacabili e obbiettive, è comunque da ricordare che chi immortala decide di immortalare ciò che preferisce e che non per forza le foto ritraggano momenti spontanei, ma si potrebbe trattare di momenti inscenati per l’occasione. Questo dubbio dev’essere assolutamente posto dall’osservatore moderno e da chi, come noi, s’interroga sulla faziosità del messaggio mediatico in tempo di guerra (e non).

“Non contiamo più le settimane. Quando sono arrivato qui era inverno e, quando cadevano gli obici, le zolle di terra gelata erano quasi altrettanto pericolose delle esplosioni. Ora gli alberi sono di nuovo verdi. La nostra vita alterna il fronte e gli acquartieramenti. Ci siamo già parzialmente abituati. La guerra è una causa di morte, come il cancro e la tubercolosi, come l’influenza e la dissenteria. Solo che i casi mortali sono più frequenti, più vari e crudeli.” “La pioggia autunnale crosciava contro la tenda nelle brevi ore del riposo: e la stanca foglia del castano o del faggio, turbinata dall’autunno, sostava labile sulla mia tenda come un pensiero: come un cuore umano che chieda di poter dire il suo commiato, prima di disparir nella notte”.

Quelle appena citate sono immagini quotidiane della Grande Guerra tratte rispettivamente da

All’Ovest niente di nuovo di Erich Maria Remarque e da Il Castello di Udine di Carlo Emilio

Gadda: non sono i toni che abbiamo trovato nelle poesie di cui si è parlato, non sono immagini che troveremo rispecchiate nel supporto visivo dei Supplementi.

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Le foto e gli schizzi pubblicati in queste pagine devono comunicare ai familiari, agli amici e agli stessi combattenti. Li devono tranquillizzare, rassicurare. Al fronte, in prima linea o nelle retrovie si sta sostanzialmente bene, i soldati sono in buona compagnia, sono sostenuti e protetti da superiori competenti, sicuri e bonari. Mangiano, bevono e fumano tranquillamente, fanno vita collettiva all’aria aperta, passeggiano, prendono il sole, leggono e s’intrattengono con giochi e musica. Non mancano anche i momenti di raccoglimento e preghiera dedicati alla cura dell’anima. Insomma, alla vita al fronte non manca nulla della vita in patria. Qualche sentinella di guardia, fissa immobile a scrutare l’orizzonte è l’unico riferimento più o meno concreto alla realtà di guerra.

Dall’isolamento e dall’analisi delle immagini pubblicate nel giornale di nostro interesse sono stati isolati dei nuclei tematici ricorrenti uno è quello appena trattato, cioè la volontà di trasmettere un’immagine serena e quieta della vita al fronte, nella quale al soldato non manca nulla. I loro volti, infatti, sono sempre distesi, sorridenti e spensierati, tradiscono qua e là qualche segno del tempo e dell’affaticamento, ma sempre in maniera dignitosa e che conferisce loro un’eroicità maggiore. Il dolore, la sofferenza e la morte stessa sono assenti. Essa è evocata, ma in maniera molto filtrata, forse solo nelle immagini dei cimiteri da campo, che però essendo luoghi della commemorazione hanno più lo scopo di garantire la certezza del ricordo e della santificazione delle anime dei soldati defunti saltando il ben più tragico e ingombrante aspetto contingente e fisico dei corpi senza vita, dilaniati, feriti, monchi. In percentuale sono molto numerose le immagini che ritraggono dei primi piani di soldati, giovani o vecchi, o le loro attività, ma ci sono anche molte immagini che ritraggono anche il solo paesaggio nella sua sconfinata e silenziosa bellezza e se la figura umana è presente è quasi impossibile individuarla poiché interamente assorbita dalla maestosità del paesaggio che prevale sulla componente umana. Sono immagini che trasmettono calma, pace e silenzio. Mondi distanti anni luce dai rumori e dai fragori del combattimento: è questa la realtà di guerra che presentano queste immagini.

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Il soldato

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