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IL WELFARE AZIENDALE COME SOSTEGNO ALLE LAVORATRICI

CAPITOLO 2 IL WELFARE AZIENDALE COME STRUMENTO DI CONCILIAZIONE

2.3 IL WELFARE AZIENDALE COME SOSTEGNO ALLE LAVORATRICI

In conclusione di questo capitolo verrà analizzato il ruolo che può rappresentare il welfare in azienda nel risolvere o quantomeno ridurre le difficoltà di conciliazione vita-lavoro tanto per i lavoratori quanto per le lavoratrici, nonchè per aumentare l’inclusione della donna nel mondo del lavoro tendendo a quegli obiettivi indicati a livello europeo dai quali l’Italia è ancora distante.

2.3.1

Le iniziative dell’Unione europea

Come è stato ampiamente dibattuto nel primo capitolo, il welfare aziendale è stato reso necessario da tutta una serie di fattori che hanno modificato i rischi ed i bisogni della società odierna. Sotto questo punto di vista, infatti, a fronte della crescente occupazione femminile, sono state richieste sempre più frequentemente delle forme di tutela a favore della conciliazione vita-lavoro. Esse hanno spinto i datori di lavoro a valutare soluzioni innovative che aumentassero la flessibilità lavorativa, cercando di responsabilizzare entrambi i sessi sul tema. Per quanto riguarda la conciliazione si possono riportare diverse esperienze di Paesi europei che si sono impegnati a riguardo, come l’Irlanda, la Norvegia e la Svezia, che hanno dato la possibilità ai padri di usufruire dei congedi parentali, oppure come la Repubblica Ceca e la Slovenia che, in modo innovativo, includono la possibilità

di trasferire i diritti per i congedi dei genitori ai nonni nel caso siano loro ad occuparsi dei bambini.

Questi sono solo alcuni dei provvedimenti che sono stati presi in linea con la strategia ‘Europa 2020’ che, pur non predisponendo dei livelli-obiettivo specifici per l’occupazione femminile, si inserisce in un’ottica di cambiamento per quanto riguarda le politiche occupazionali che vengono orientate alla parità di genere. Così facendo viene promossa tutta una serie di interventi che vanno dal limitare e progressivamente eliminare il divario salariale di genere, fino all’aumentare della possibilità di formazione della donna così da favorire una maggior inclusione della lavoratrice e una minore disparità di trattamento.

In questo modo l’Unione Europea continua il processo iniziato con la Strategia europea per l’occupazione (SEO) del 1997 e portato avanti, in seguito, con la Strategia di Lisbona del 2000, che vedeva nell’aumento della flessibilità lavorativa un modo per favorire l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro e nel contempo creare nuovi posti di lavoro. A partire dalla fine degli anni Novanta, in particolare con la Strategia sopracitata, si cominciava a creare in Europa una rinnovata mentalità che, conscia dell’esistenza di alcuni ostacoli per la donna nel mondo del lavoro, puntava ad eliminarli per promuovere una crescente occupazione femminile. Nel fare ciò venivano promosse soprattutto iniziative per una maggiore conciliazione tra vita familiare e vita lavorativa attraverso congedi parentali, servizi di cura per i figli e genitori anziani, nonchè una migliore flessibilità non solo dal punto di vista dell’orario di lavoro ma anche per quanto inerente la tipologia di contratto e le condizioni lavorative.

Tutti questi suggerimenti purtroppo si sono imbattuti, intorno al 2008, in un contesto decisamente avverso portato dalla crisi economica mondiale, che ha frenato questi progetti a causa della continua scarsità delle risorse. Infatti, nonostante l’Unione Europea non avesse mutato la priorità dei suoi progetti, i vari Paesi a cui era affidato il compito di riformare il mercato del lavoro verso una maggiore conciliazione vita-lavoro, si trovavano davanti a problemi più grandi da superare che non lasciavano posto allo sviluppo di iniziative su questo tema.

In seguito si è nuovamente ritrovato l’interesse per questo ambito, infatti nel 2013 le Country Specific Reccomendations, nate nella forma di raccomandazioni per 13 stati dell’Unione Europea per favorire una maggiore partecipazione e inclusione della donna nel mondo del lavoro, proponevano la creazione di asili nido e di servizi di cura in generale, oltre a minori disincentivi fiscali per il lavoro femminile, anche se tutto ciò non

ha avuto un successo così ampio a causa della scarsa disponibilità economica degli Stati, dovuta ad un necessario taglio della spesa pubblica.

Nonostante le numerose direttive europee e le varie raccomandazioni in questo senso, il tema non è stato ancora preso in seria considerazione dai singoli Stati che, in modi diversi hanno apportato tutti dei miglioramenti nell’inclusione della donna nel mondo del lavoro, infatti non è un caso se l’occupazione femminile sia nel tempo aumentata nonostante il persistente divario di genere.

Ad oggi si registra un crescente interessamento sia da parte del settore pubblico sia da parte del settore privato sui temi della flessibilità e della conciliazione tra responsabilità lavorative e familiari, in un’ottica di worklife balance e di well being e non solamente riservata al personale femminile ma anche a quello maschile, troppo spesso escluso dalla possibilità di potersi dedicare alla cura di bambini e familiari anziani.

La novità che si presenta negli ultimi tempi e sulla quale vuole concentrarsi questo elaborato è il fatto che gli ostacoli che una donna può incontrare nel proprio percorso lavorativo, che riguardano soprattutto l’impossibilità di rispondere a esigenze familiari, della quale si sente caricata e, contemporaneamente, riuscire ad ottenere una carriera professionale che rispecchi le proprie ambizioni, possano trovare una soluzione nel welfare aziendale, sempre più adottato da enti e aziende ed agevolato dal Legislatore, in primis in Italia con le Leggi di Stabilità degli anni scorsi.

L’idea che il welfare in azienda possa fornire un valido sostegno alla conciliazione vita- lavoro e, in generale, un maggiore benessere per il dipendente rivoluziona il modo di intendere la responsabilità sociale in azienda, che si carica di un nuovo significato sempre più condiviso.

2.3.2

Il welfare come sostegno all’occupazione femminile

Prima di focalizzare l’attenzione esclusivamente sulla situazione presente nella regione Veneto, ci sono importanti considerazioni da fare sui primi due capitoli.

Si è illustrato il carattere strategico che può avere il welfare aziendale e contrattuale sia per affrontare le negative congiunture economiche, grazie ad un regime fiscale favorevole di cui il datore può approfittare per concedere al dipendente un surplus che sarebbe difficile tradurre in un mero aumento salariale, sia per aumentare il benessere del dipendente all’interno e all’esterno dell’azienda, che si traduce in tutta una serie di benefici che vanno da miglioramenti produttivi e quindi reddituali, ad una maggiore

fidelizzazione del lavoratore che porta ad una diminuzione del turnover e del tasso di assenteismo.

Tutte queste valutazioni diventano fondamentali nell’analizzare gli ostacoli presenti nel mondo del lavoro e, in particolare, i problemi relativi alla segregazione occupazionale di genere.

Unendo i due concetti quindi diventa chiaro come il welfare aziendale possa rappresentare un valido contributo al raggiungimento dell’armonizzazione delle esigenze personali e familiari con quelle lavorative, a favore sia del lavoratore sia della lavoratrice, auspicando alla parità di genere anche nei bisogni di cura.

La crescente diffusione del welfare, dovuta anche alle novità normative che hanno fatto sì che venisse superato il requisito di volontarietà del datore e che acquistasse maggior rilievo l’implementazione di queste norme, potrebbe quindi rivelarsi utile anche per aumentare l’occupazione femminile, nel momento in cui si riesca a trovare un punto di incontro tra il datore di lavoro e la lavoratrice fornendo delle soluzioni alle problematiche attuali.

A tal proposito molte sono le misure possibili da includere nei piani di welfare per trovare una soluzione al problema: innanzitutto porterebbe sicuramente dei benefici l’inserimento di interventi sulla flessibilità, sia temporale quindi attinente ai tempi di lavoro con agevolazioni quali il part-time, l’orario scorrevole, il job-sharing o le isole del lavoro, sia spaziale cioè atta a favorire una diversa ripartizione degli spazi lavorativi con concetti sempre più utilizzati attinenti in particolare al telelavoro e allo smartworking.

Altri interventi possibili sono quelli già citati concernenti i congedi di maternità e i rientri al lavoro più mediati e graduali con la previsione di un programma di reinserimento e aggiornamento, nonché delle vantaggiose istituzioni quali l’asilo nido aziendale o il sostegno economico per le spese scolastiche dei figli.

Ricapitolando quindi, i cambiamenti sociali e demografici degli ultimi anni hanno portato una crescente rilevanza del tema della conciliazione tra esigenze di vita privata e lavorativa che ha registrato una notevole espansione portando allo sviluppo e all’estensione delle misure messe in pratica dalle aziende, in particolare all’interno di piani di welfare contrattuale. Ciò che si prevede e ci si auspica è che progressivamente queste misure, in vista di una maggiore diffusione, portino ad un’evoluzione del welfare contrattuale orientato ad agevolare la conciliazione vita-lavoro in particolar modo in favore di una maggior inclusione della donna nel mondo del lavoro attraverso la creazione di misure ad hoc.

E’ infatti evidente come la recente diffusione di piani di welfare, dovuta anche alle agevolazioni normative possa produrre effetti positivi sull’implementazione di misure a favore della conciliazione vita-lavoro e, quindi, all’aumento dell’occupazione femminile. Tuttavia questi presupposti dipendono ancora molto dalla cultura aziendale e dall’influenza del sindacato, anche se il progressivo sviluppo del processo di ‘welfarizzazione’ e l’attenzione crescente al tema della disparità di genere aumentano le probabilità che questo cambiamento culturale si diffonda in modo sempre più capillare.