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Se per le Cosmicomiche l’idea di infinito trapelava soprattutto dal contenuto dei racconti, nel Castello dei destini incrociati, è la struttura il punto focale della nostra analisi. Le settantotto carte del mazzo offrono al narratore la possibilità di combinare

6 analisi dell’opera,

una volta iniziato il racconto, calata la prima carta, una tra le rimanenti settantasette servirà a continuarlo: ci sono quindi (78 x 77) 6.006 racconti a due tarocchi. Se si vuole continuare la storia – e chi non lo vorrebbe? – si calerà una terza carta: il racconto così ottenuto sarà uno tra (78 x 77 x 76) 454.456 racconti possibili. Alla quarta, il numero dei

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alla decima, intorno a 4.721 x 1015, cioè, se non mi sono sbagliato a calcolare, vicino a

cinque miliardi di miliardi! E non siamo che all’inizio…33

Proseguendo il calcolo si arriva approssimativamente ad un numero elevato alla centoquindici. Tale operazione può venire riassunto in questa formula: 78! che si legge settantotto fattoriale34. Di tutte queste combinazioni, però ne vengono scelte solamente alcune per il procedere della storia, così come una sola interpretazione viene data alla sequenza dei tarocchi. Sapendo che i commensali sono dodici (dato che dodici sono le storie), ognuno potrebbe fornire una propria interpretazione. Per ogni racconto, quindi, ci potrebbero essere non una, bensì dodici interpretazioni. Ma, in realtà, i commensali non sono rappresentati da un numero finito: ogni lettore è un possibile invitato, perché ciascuno di noi potrebbe dare un personale significato alle carte che vede rappresentate. Quindi, essendoci “n” interpretazioni, il limite di “n”, per “n” che tende a infinito, sarebbe pari a infinito35. È interessante inoltre notare, come osserva Gian Paolo Renello in un suo saggio, che

L’ultimo capitolo dell’opera, Tutte le altre storie, contiene esattamente le ultime sei storie del romanzo […]. Naturalmente il senso del titolo dell’ultimo capitolo è dato anche dal fatto che, una volta compreso il meccanismo che regola la costruzione del testo, ogni altra storia è automaticamente e virtualmente presente: quel “tutte” che compare nel titolo vale “infinite” e il fatto che ve ne siano solo sei di storie ha, per così dire, meno valore esemplificativo.36

33 G

EORGES PEREC, Cinque miliardi di miliardi di romanzi, trad. di Andrea Borsari, in «Les Nouvelle

littéraires», 6 mai 1976, pp., 156-157.

34 La funzione fattoriale viene solitamente usata per il calcolo delle probabilità, in particolare indica

quante coppi si possono formare partendo da un numero finito di dati, proprio come nel nostro caso.

35 Dal punto di vista matematico ciò si sviluppa in questo modo:

lim n = S nTS

e si legge come scritto sopra. Questo in pratica significa che più lettori ci sono, cioè più la quantità si avvicina al valore infinito, più le interpretazioni tenderanno ad infinito.

36 G

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Sul tavolo si viene a creare un’intricata rete di possibilità, di narrazioni, che va a formare un serie innumerevole di «sentieri continuamente interrotti in favore di altri percorsi possibili»37. Grazie al Castello dei destini incrociati, infatti, come dichiara Perec, «la SATOR AREPO fa brillantemente il suo ingresso in letteratura»38. Ma a differenza del palindromo latino, qui le combinazioni sembrano aumentare all’infinito, creando quasi una sensazione di vertigine, e, paradossalmente, di vuoto.

Se nel Castello tale sensazione traspare esclusivamente dallo scheletro della raccolta, è nella Taverna che l’illimitato coinvolge anche i contenuti. In particolare, come si legge in una nota dello stesso autore, anche la stesura non è stata un qualcosa di limitato e finito, un po’ come in molte sue opere, per le quali egli stesso ammette che la revisione ha spesso occupato molto più tempo della stesura iniziale. Nel nostro caso, leggiamo:

Se mi decido a pubblicare La taverna dei destini incrociati è soprattutto per liberarmene. Ancora desso, col libro in bozze, continuo a rimetterci le mani, a smontarlo, a riscriverlo. Solo quando il volume sarà stampato ne resterò fuori una volta per tutte, spero.39

Così scrive Calvino nella presentazione dell’opera: le sue infinite revisioni, i suoi continui ritocchi, lo fanno rimanere intrappolato nel labirinto del testo, e l’unica soluzione per smettere di scavare questa eterna galleria è quella di uscirne. La taverna, rispetto al Castello, indubbiamente rispecchia maggiormente il concetto di infinito dal punto di vista contenutistico, probabilmente proprio perché questo ha caratterizzato in

37

Ivi, p. 215.

38

GEORGES PEREC, Cinque miliardi di miliardi di romanzi, cit., p. 157.

39 I

TALO CALVINO, Il castello dei destini incrociati, cit., p. XI.

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primo luogo la composizione dell’opera, influenzandone, dunque, anche i contenuti. Inoltre, in quest’opera, è presente una forte componente indeterministica, come si evince fin dal primo racconto, intitolato, per l’appunto, Storia dell’indeciso. Il protagonista della vicenda, incredibilmente simile alla figura presente sulla carta del cavaliere di coppe, racconta il suo vissuto, sempre in bilico fra due scelte. Il dualismo della storia è ciò che la caratterizza: due sono le donne fra cui deve scegliere la sua amata, due le vie del bivio, due i monelli che gli indicano la città, due le regine, due i pozzi dai quali abbeverarsi e due le caraffe che gli vengono offerte, fino a scoprire, alla fine della narrazione, che doppio è anche egli stesso. Ogni volta, l’indeciso, non scegliendo impedisce la scelta anche alla sua copia, il quale afferma, nella conclusione del testo:

Sono l’uomo che doveva sposare la ragazza che tu non avresti scelto, che doveva prendere l’altra strada del bivio, dissetarsi all’altro pozzo. Tu non scegliendo hai impedito la mia scelta.40

Il rimando al gatto di Scrhoedinger è inevitabile: da ogni non scelta diparte in questo caso un’altra via infinita, un’altra possibilità nell’avanzamento della storia. Non è possibile percorrerle entrambe: come al momento del bivio, o si va a destra, o si svolta a sinistra, ma alla fine si conoscerà solo uno dei due risultati. L’indeterminismo di Heisenberg ha la meglio sulla storia: ciò che noi conosciamo porterà inevitabilmente alla non conoscenza dell’altra incognita. Proprio come il caso degli elettroni di cui possiamo individuare o lo spazio o la velocità, ma mai entrambe nello stesso momento, anche qui

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siamo in grado di determinare solamente una delle due vicende, quella del “gemello” del protagonista possiamo ipotizzarla per esclusione, ma non ne avremmo mai la certezza.

Il tutto e il niente

È Due storie in cui si cerca e ci si perde, però, il racconto su cui si può maggiormente riflettere. Ormai il tappeto di tarocchi è quasi al completo sul tavolo, il «mosaico ordinato»41, che non appare come semplice risultato del caso, ma come paziente disegno ad opera di qualcuno42, ricopre la superficie del piano, mentre i commensali continuano a sciorinare carte e storie. È il turno di un uomo anziano, presumibilmente un alchimista, i suoi simboli sono infatti le coppe e i danari, metafore di pozioni e oro. Il paragone fra la ricerca del metallo prezioso, e il tentativo di disporre i tarocchi nel giusto ordine viene descritto dall’autore:

Avendo dedicato i suoi anni migliori a questa Grande Opera, il nostro anziano commensale anche adesso che si trova un mazzo di tarocchi in mano è un equivalente della Grande Opera che vuole comporre, disponendo le carte in un quadrato in cui si leggano dall’alto in basso, da sinistra a destra, e viceversa, tutte le storie compresa la sua.43

41 Ivi, p. 91. 42

Anche nel capitolo Entropia, in particolare nel paragrafo relativo all’analisi del racconto La pantofola

spaiata, di Palomar, viene introdotto il concetto di entità superiore presente in maniera più o meno implicita in alcune opere calviniane.

43 I

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L’anziano, quindi, sta tentando di posizionare le figure in modo che esse vengano lette in tutte le direzioni possibili, in infiniti sensi e versi, cercando di incastonare le sue in mezzo ad altre, senza comunque disturbare l’ordine che si era venuto a creare. Ben presto, però, un altro convitato inizia a narrare la sua storia, e le due trame, un po’ alla volta, si fondono in un’unica grande vicenda: se per uno la ricerca è quella della «Grande Opera alchemica»44, per l’altro l’obiettivo rappresenta il sacro Gral. Mentre il primo viene sovrapposto alla figura di Faust, il secondo viene identificato con Parsifal, entrambi alla cerca di un qualcosa di irraggiungibile, entrambi che, però, si perdono fra le loro carte, senza venire a capo né della ricerca, né della storia. Così, infatti, si conclude il racconto:

Non so da quanto tempo (ore o anni) Faust e Parsifal sono intenti a rintracciare i loro itinerari, tarocco dopo tarocco, sul tavolo della taverna. Ma ogni volta che si chinano sulle carte la loro storia si legge in un altro modo, subisce correzioni, varianti, risente degli umori della giornata e del corso dei pensieri, oscilla tra due poli: il tutto e il nulla. – Il mondo non esiste, - Faust conclude quando il pendolo raggiunge l’altro estremo, - non c’è un tutto dato tutto in una volta: c’è un numero finito d’elementi le cui combinazioni si moltiplicano a miliardi di miliardi, e di queste solo poche trovano una

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come le settantotto carte del mazzo di tarocchi nei cui accostamenti appaiono sequenze di storie che subito si disfano.

Mentre questa sarebbe la conclusione (sempre provvisoria) di Parsifal: - Il nocciolo del mondo è vuoto, il principio di ciò che si muove nell’universo è lo spazio del niente, attorno all’assenza si costruisce ciò che c’è, in fondo al gral c’è il tao, - e indica il rettangolo vuoto circondato dai tarocchi.45

Il senso della letteratura è, dunque, la sua duplicità, il suo essere sempre in bilico fra tutto e niente, entrambi luoghi dello spazio dei quali è impossibile scrivere. O meglio, la letteratura è proprio tutto e niente, è infinito e vuoto, è dentro e fuori, è se stessa e il suo

44 Ivi, p. 93. 45 Ivi, p. 99.

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opposto. Tutta la letteratura è metaletteratura, così come tutta la matematica è metamatematica, perché entrambe sono discipline che raccontano se stesse per descrivere la finzione del mondo, l’una servendosi dell’alfabeto, l’altra dei numeri. In questi termini, qualsiasi disciplina è il riflesso di se stessa. Di conseguenza, nulla di nuovo può essere creato: la letteratura narra sempre e solo se stessa, per quante diversità possano sussistere fra le varie opere. Dal momento in cui è nato il concetto di letteratura, così come, ad esempio, quello di matematica, tutto era già concepito, tutto era avvolto nel gomitolo cavo della conoscenza46. Un gomitolo finito, ma illimitato.