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La snaturazione dei paesaggi ecoculturali alpini è dovuta, oltre ai processi di urbanizzazione e alla marginalizzazione del settore primario, anche all’affermarsi del settore turistico sulle Alpi. Esso, infatti, nel corso dell’ultimo secolo è divenuto il settore dominante e guida delle trasformazioni sia materiali che immateriali in molti territori.

Indagare l’evoluzione del turismo alpino è, quindi, indispensabile per comprendere gli attuali assetti territoriali; conoscere le sue dinamiche inoltre sostenibile è azione indispensabile in un’ottica di valorizzazione, essendo divenuto in molti casi il settore economico più rilevante. Dato il peso economico del turismo per le Alpi, operare per l’affermarsi di pratiche turistiche orientate alla sostenibilità integrata assume un’importanza notevole.

L’aspetto che questa analisi vuole evidenziare - aldilà dell’evoluzione storica e delle attuali tendenze in corso - è come il processo di nascita e sviluppo del turismo alpino sia un vero e proprio processo di “invenzione”. Esso, infatti, si è nutrito e ha alimentato il cambiamento della percezione delle montagne alpine, dove i referenti reali sono stati caricati di significati particolari che hanno poi veicolato una certa idea di “realtà”. L’indagine di tale dispositivo è necessaria per poter scardinare alcuni clichè che dominano anche le attuali immagini turistiche e da questa de- costruzione poter creare le basi per il re-inquadramento dei problemi riguardanti il territorio alpino.

4.1 - “Alpi in scena”: le Alpi come teatro degli immaginari collettivi.

« Non ci si avvicina più alle Alpi in modo innocente » (Debarbieux, 2009, p. 8).

Con questa affermazione inizia l’articolo di B. Debarbieux pubblicato nell’ultimo numero della Rivista di CIPRA dedicato alla “Messa in scena delle Alpi” (CIPRA, 2009), che porta l’attenzione verso i meccanismi con i quali l’individuo e le società si avvicinano alla realtà alpina e in generale alla realtà. Il termine “innocente”, che richiama nel lettore la figura di un bambino, ha il significato di privo di pre-costrutti e di sovra-strutture culturali, che inevitabilmente orientano il modo di pensare e agire di un animale sociale, qual è l’essere umano. Se è vero che la tendenza alla spettacolarizzazione (Debord, 1967 [2002]) è cifra distintiva della società post-moderna ed è diventata funzionale ad alimentare i sistemi economici più che arricchire i sistemi sociali, si deve anche riconoscere che la tendenza a rivestire di simboli e di significati ciò che ci circonda è insita in

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94 tutte le popolazioni umane secondo un « simbolismo primordiale » (Bonesio, 1997 [2001], p. 78), funzionale all’interpretazione del “reale” e alla costruzione della “realtà”. In nome di tale propensione risulta difficile sostenere che per “un certo periodo” le montagne e le Alpi nello specifico siano state guardate con “occhi innocenti”, se con questa espressione si intende osservare senza alcuna pre-visione rispetto a ciò che fisicamente si vede. Si deve però riconoscere che il modo di approcciarsi alle Alpi a partire dalla metà del XVIII secolo e in misura maggiore dalla fine del XIX secolo ha assunto una natura completamente diversa rispetto al modo del periodo precedente. La trasformazione non riguarda solo i significati attribuiti alla montagna, ma anche il meccanismo mediante il quale questi significati vengono creati e diffusi. Se prima simboli e visioni venivano elaborate in situ da coloro che avevano un contatto diretto con gli elementi fisici e che ad essi fornivano dei significati, o, se questi venivano elaborati dall’esterno, non implicavano una trasformazione materiale degli elementi immaginati. In epoca più recente, invece, simboli e visioni sono stati calati sul reale, portando a definire oltre che i significati anche la stessa “realtà”. Il termine comunemente utilizzato per identificare questa trasformazione è “invenzione”: è attraverso l’“invenzione”, dunque, che viene costruita la scenografia delle Alpi, sia in termini cognitivi che materiali (figura n. 2.10).

Figura n. 2.10 - Karwendel, “il mondo della montagna” in Baviera: un super-cannocchiale per “vedere” le Alpi.

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95 Questo meccanismo, che produce « un oggetto culturale » (Bonesio, 1997 [2001], p. 78), indica uno strumento dell’immaginazione che nel caso della montagna « opera con rappresentazioni e riduzioni simboliche già costruite e immagazzinate […] le assembla, le integra all’interno di sistemi articolati generando tra esse inedite connessioni e inedite relazioni, attivando significati prima sconosciuti » e risulta funzionale per « fabbricare realtà » (Arnoldi, 2007, p. 18).

4.1.1 - Le immagini outsider delle Alpi fino al XVIII secolo: sacralità, horridus e sublime.

Secondo De Vecchis (1992) l’elemento della montagna che maggiormente ha influenzato la percezione umana è stata l’orografia, che a seconda del periodo storico-culturale ha assunto connotati più o meno positivi. La difficoltà di accedere ai territori montani, data appunto dalla particolare orografia, ha alimentato miti, leggende e racconti: essa di volta in volta si è tramutata in timore, orrore, venerazione o desiderio di conoscenza inteso anche come superamento dei limiti umani. Le montagne, associate all’ignoto, sono divenute sacre e degne di rispetto o simbolo dell’irrazionalità e disordine e per questo guardate con disprezzo (Salgaro, 1994), in funzione delle esigenze delle popolazioni che si sono susseguite nella storia e del grado di conoscenza di questi luoghi (Giordana, 2004).

In molte culture sia occidentali che orientali la montagna è stata vista come « axis mundi » (Bonesio, 1997 [2001], p. 79) quale « congiunzione tra il mondo celeste delle potenze divine e il mondo terreno, tra la terra e il mondo sotterraneo » (Giordana, 2004, p. 63). Basti pensare per esempio all’iconografia e ai significati attribuiti alla montagna nelle tre religioni monoteiste (Vallega, 2003) o alla visione della montagna nell’antica Grecia, dove le vette erano dimora degli dei e salirvi significava peccare d’hybris18.

Durante l’Impero romano le montagne, tra cui anche le montagne alpine, sono luoghi inospitali, che difficilmente addomesticabili vengono visti con timore e diffidenza e da rifuggire, quali dimore di esseri fantastici e orribili (figura n. 2.11). Esse vengono contrapposte all’ager, alla campagna organizzata e domesticata e accumunate al concetto di saltus (natura selvaggia). A seguito della caduta dell’Impero romano e alla perdita di un capillare controllo sul territorio, la necessità di difendersi dalle invasioni e dalla insalubrità delle pianure - soprattutto in Italia - spinge molte popolazioni a rifugiarsi nelle zone montane alpine.

È nel ‘700 che l’interesse verso le Alpi affiora sospinto dallo sviluppo delle scienze speculative e dalla progressiva sistematizzazione dei saperi scientifici ad opera del pensiero illuministico. Naturalisti e botanici spinti dal desiderio di conoscenza si recano per motivi di studio e ricerca nei

18 Il concetto di hybris è una delle basi della Grecia antica; peccare di hybris significa superare i limiti che sono stati imposti alla specie umana. Essa comprende la mala ambitio, l’arroganza e il non rispetto della misura, elemento centrale della cultura dell’antica Grecia.

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96 territori montani, anche se la cultura dominante li ritiene ancora fortemente marginali. I territori alpini come le popolazioni che in essi risiedono vengono considerati arcaici dalla cultura extra- alpina e privi di alcuna attrattiva: per i viaggiatori del Grand Tour19 erano spazi di attraversamento

difficili e pericolosi, ai quali non dover nemmeno volgere lo sguardo. Figura n. 2.11 - Le Alpi: dimora di draghi.

Fonte: elaborazione personale.

Con l’accrescersi dell’interesse scientifico verso la conoscenza degli elementi naturali e del territorio, accresce la conoscenza e la frequentazione di individui outsider dello spazio alpino e l’evolversi della cultura rinascimentale e romantica connota di nuovi ideali estetici e politici l’immagine di Natura. Il caso della Svizzera è emblematico in questo senso: “scoperta” da Johann Jacob Scheuchzer all’inizio del XVIII secolo20 e ancora alla fine dello stesso secolo considerata

marginale da Wilhelm von Humboldt (Giacomoni, 2001), essa troverà proprio nelle Alpi e nel loro

19 L’espressione “Grand Tour” è stata coniata da Richard Lassels nel 1670 in The Voyages of Italy. Esso indica il viaggio in Italia che a partire dal 1630 le élite del Nord Europa e in particolare dell’Inghilterra compievano in Italia per motivi strettamente culturali e formativi.

20 Johann Jacob Scheuchzer, medico e matematico di Zurigo, compie numerosi viaggi di esplorazione scientifica all’interno del territorio svizzero tra il 1702 e il 1711 e scrive varie pubblicazioni sulla natura svizzera, con lo scopo di diffondere la conoscenza di questo territorio e diffondere la consapevolezza della sua esistenza (Giacomoni, 2001).

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97 culto il tratto distintivo funzionale alla fondazione della propria identità nazionale (Löfgren, 1999 [2001]). In tal senso il percorso culturale seguito dal cambiamento della percezione del paesaggio alpino, contornato da valenze estetiche e politiche, in Svizzera è precursore del percorso che negli Stati Uniti porterà alla nazionalizzazione della wilderness, base della creazione dei Parchi nazionali durante il XIX secolo. Il legame tra questi due processi è evidente per esempio se si considera che la Svizzera ha creato il suo primo e unico Parco nazionale proprio all’interno dell’arco alpino, in uno spazio che già interessato - prima della stessa istituzione dell’Area protetta - da una frequentazione turistica21.

Il culto delle Alpi in Svizzera diffuso in Europa - così come il culto della wilderness negli Stati Uniti d’America - trae « […] origine dalla combinazione di ideali estetici e politici » (Löfgren, 1999 [2001], p. 34), il cui carattere ideologico si ritrova nell’idea di libertà e indipendenza che connota ancora oggi nel panorama culturale svizzero l’immagine delle Alpi (Hugger, 1992).

La spinta decisiva per il cambiamento della percezione delle Alpi, che fornisce le basi alla nazionalizzazione del loro culto in Svizzera e alla promozione turistica del territorio, viene data dalle figure di Albrecht von Haller (1708 - 1777) e Jean-Jacques Rousseau (1712 - 1778). Essi nel XVIII secolo danno voce e delineano una nuova sensibilità verso le Alpi - come accadrà per il territorio statunitense con i pittori e letterati della Hudson River School - riproponendo il tema del

locus amoenus virgiliano, dove « la vicinanza alla natura non appare più segno di arretratezza e di povertà, ma diviene valore positivo » (Giacomoni, 2001, p. 110). L’immagine di terrore, sgomento, malessere e paura assegnata alla montagna viene affiancata da un’immagine di bellezza, piacevolezza, fascino, curiosità (Arnoldi, 2007). J. J. Rousseau diffonde con il romanzo Julie, ou La

nouvelle Heloise (1764) l’idea di una “natura selvatica” in armonia con una natura “educata” dalla mano del “buon selvaggio”. Idea rispondente alle nuove esigenze della nobiltà e borghesia del nord Europa viene accolta diffusamente, tanto da includere le Alpi svizzere nel Grand Tour (Giacomoni, 2001).

Le Alpi, da locus horridus, divengono locus amoenus e uno dei soggetti cardine della tradizione del pittoresco, elemento che segnerà fortemente il successivo modo di vedere questi territori, mantenutosi nel corso del XX secolo fino ad oggi all’interno di alcune immagini turistiche.

La forza dell’immagine pittoresca e del richiamo alla montagna come espressione del sublime si ritrova per esempio nelle descrizioni di Èlisée Reclus in “Storia di una montagna” (1880 [2008]),

21 L’unico hotel ancora oggi presente all’interno del Parco nazionale svizzero si chiama il Fuorn ed è stato costruito alla fine del secolo XIX, quindi prima dell’istituzione dell’Area protetta. Anche il rifugio Chamanna Cluozza, una capanna di legno a 1.882 m s.l.m., è stata costruita nel 1910, quindi pochi anni prima della creazione del Parco (fonte: http://www.nationalpark.ch/snp.html, consultato dicembre 2009).

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98 che ben rappresentano il legame tra i valori di cui viene rivestita la visione delle Alpi e la

wilderness:

« Volevo ad ogni costo fuggire, sia per morire, sia per ritrovare, nella solitudine, la mia forza e la calma dell’animo. Senza ben sapere dove si dirigevano i miei passi, ero uscito dalla rumorosa città e mi dirigevo verso le grandi montagne il cui profilo vedevo stagliarsi contro l’orizzonte […] avevo lasciato la regione delle grandi città, del fumo e del rumore […] sono sulla montagna non ancora domata! Un sentiero, tracciato dai passi delle capre o dei pastori, si stacca dal cammino più ampio […] Amavo la montagna per sé stessa. Amavo il suo aspetto calmo e superbo » (Reclus, 1880 [2008], pp. 3-5).

L’esperienza sulle Alpi diviene un mezzo per entrare in contatto con una dimensione diversa da quella quotidiana e per vivere il sublime: un « quadro magnifico e terribile » (ivi, p. 56). È la ricerca del sublime da una parte e la ricerca di scoprire ed esplorare nuovi territori dall’altra che fornisce l’impulso per la nascita della pratica alpinistica. L’alpinismo nasce con la prima scalata nel Monte Bianco di Michel-Gabriel Paccard e Jacques Balmat nel 1786 a cui fece seguito l’anno successivo quella di Horace-Bénédict de Saussure. Nata da interessi prettamente scientifici, l’ascesa di de Saussure, diffusa dai racconti e dalle descrizioni dello stesso, attirano un interesse crescente, trasformando in poco tempo le Alpi in una meta privilegiata di scienziati, viaggiatori, esploratori e intellettuali (Arnoldi, 2007). Nella prima metà dell’800 vengono di seguito scalate tutte le vette alpine e le Alpi divengono un luogo da conquistare e nel quale misurarsi con se stessi e con i propri limiti: « la salita purifica, porta verso l’ascesi e permette di dominare il mondo » (Giordana, 2004). Nel 1857 nasce a Londra l’Alpine Club, a cui farà seguito la fondazione degli altri club alpini, tra cui il Club Alpino Italiano (CAI) nel 1863. È il turismo della Belle Epoque (Bartaletti, 2004), che dalla fase pionieristica delle prime scalate comincia a colonizzare le località alpine soprattutto di quota medio-bassa (1000-1200 m s.l.m.) - tra le quali Courmayeur, Grindewald, Engelberg e Cortina d’Ampezzo - che vengono attrezzate con Grand hotel e comfort per ospitare i nobili e la ricca borghesia inglese prima ed europea in seguito. Alle motivazioni legate all’ascesa, si affiancano anche quelle legate ad una nuova sanità del corpo, che danno impulso alle località termali; l’esperienza sulle Alpi rimane comunque ancorata alla stagione estiva.

Le immagini del pittoresco e del Grand Hotel non sono poste in contrapposizione tra loro, ma convivono e si alimentano vicendevolmente all’interno della promozione turistica delle nuove località turistiche (figura n. 2.12). A queste immagini “bucoliche e confortevoli” (figura n. 2.13) si aggiunge un’altra immagine delle Alpi, suggerita e importata dagli Stati Uniti: la wilderness.

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99 Come accennato in precedenza per il caso della Svizzera, la penetrazione di questa concetto nell’immaginario rispetto alle Alpi è ben testimoniato dalle prime Aree protette22 istituite in Europa:

nel 1913 il Parco nazionale Bérarde23 nelle Alpi francesi, nel 1914 il Parco nazionale dell’Engaldina

nelle Alpi svizzere e nel 1922 il Parco nazionale del Gran Paradiso nelle Alpi italiane.

Questa immagine di spazio selvaggio, pur se istituzionalizzata, rimarrà latente24 nell’immaginario

collettivo per buona parte del ‘900, per riaffiorare prepotentemente con i movimenti ambientalisti a partire dagli anni ’70.

Figura n. 2.12 - Promozione turistica della Valle d’Aosta fine ‘800 - inizio ‘900. Fonte: elaborazione da Festi e Martinelli, 1996, p. 21 e p. 23.

22 La prima legge sulla protezione della natura in Europa viene promulgata in Svezia nel 1909; sulla base di questa legge vengono creati i primi Parchi nazionali europei: Abisko, Sonfjället, Stora Sjöfallet. Così come avvenuto per gli Stati Uniti d’America la creazione di queste Aree protette rientra in un processo di “nazionalizzazione” della Natura, che porta a rivestire l’immagine di “Natura” di un forte spirito nazionalistico e “idealistico”. Questi primi Parchi vengono quindi caricati di forti valenze “ideali” e la Natura che proteggono elevata a simbolo non modificabile. 23 Nel 1914 i confini del Parco vengono modificati e viene denominato Parco del Mont Pevoux; dal 1973 fa parte del Parco nazionale des Écris.

24 Si ricordi il capitolo “Pensare come una montagna” di A Sand County Almanac di Aldo Leopold (1949 [1997], p. 115-117).

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100 Figura n. 2.13 - Uno scorcio pittoresco del Monte Rosa da Macugnaga.

Fonte: Manifesto Ferrovie dello Stato, 1925, tratto da Conti e Soave, 2007, p. 78.

4.1.2 - Le immagini outsider delle Alpi dagli anni ‘30 ad oggi: palestra, disneyland e wilderness.

L’esperienza sulle Alpi, vissuta fino agli inizi del ‘900 da nobili o dai ricchi borghesi, comincia progressivamente ad attirare una sempre maggior quantità di persone, grazie ad un miglioramento delle condizioni di vita e negli anni ’30 in Italia grazie alla promozione delle località turistiche da parte del regime fascista, basata sulla retorica della ruralità e sulla salute (Falasca Zamponi, 2003). Le Alpi da « luogo di soggiorno per pochi privilegiati […] riposante e gradevole » (Macchiavelli, 2006, p. 105) si trasformano, sotto la spinta di dinamiche politiche e sociali nuove, in una “palestra” per lo spirito e per il corpo (figura n. 2.14). Negli anni ’30 la pratica sportiva dello sci diviene uno dei motori dei flussi turistici sulle Alpi: lo sport invernale è legato all’immagine della salubrità, in modo simile a quanto accade contemporaneamente per i “bagni di sole e di mare” in estate (Löfgren, 1999 [2001]). Il passaggio da un turismo elitario ad un turismo di massa (Torres, 2002) avviene negli anni ’60 per effetto di dinamiche socio-culturali, quali l’istituzionalizzazione delle ferie, l’aumentata disponibilità economica, l’affermazione del modello urbano e la diffusione dell’uso del mezzo privato. Lo sci alpino diviene « sport popolare e di massa a partire dagli anni ‘60 » (Macchiavelli, 2006, p. 96).

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101 L’immagine delle Alpi da questo momento diviene fortemente condizionata dalle pratiche sportive: esse divengono una palestra nella quale misurarsi. Ma la “palestra” deve essere attrezzata per poter essere utilizzabile: è da questa operazione che nasce una vera e propria trasformazione del territorio alpino. A tal proposito Saglio nel 1962 notava come proprio attraverso la pratica dello sci il turismo era entrato a far parte del paesaggio montano.

Figura n. 2.14 - Promozione turistica della montagna trentina fine anni ’40 inizio anni ’50. Fonte: elaborazione da Festi e Martinelli, 1996, p. 62 e p. 71.

I primi sentori e critiche verso questo nuovo modo di vivere e vedere la montagna sono contemporanei alla sua stessa affermazione, aspetto che testimonia la rapidità con cui esso si sia sviluppato. A tal proposito si ricorda “La montagna presa in giro” di Giuseppe Mazzotti, scritto nel 1931, che ha anticipato con grande acume i cambiamenti che la pratica sciistica avrebbe attuato nell’immaginario e nel reale alpino.

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102 Fino agli anni ’80 lo sci diventa il motore principale del turismo montano e uno dei fattori dello stravolgimento delle dinamiche socio-economiche dei territori alpini e dei loro paesaggi (figura n. 2.15), trasformando l’andare in montagna in una pratica invernale e non più solo estiva.

Figura n. 2.15 - Alcuni paesaggi odierni dello sci in Tirolo.

Fonte: elaborazione personale da foto di L. Hechenblaikner, 2009, tratte da http://www.hechenblaikner.at/ (consultato settembre 2009).

Dalla metà degli anni ’80 all’inizio degli anni ’90 si assiste ad una riduzione della crescita del turismo legato allo sci che - secondo il modello di Butler (1980) - è interpretabile come “fase di maturità” del sistema turistico (Macchiavelli, 2004; 2009). A partire dagli anni ’90 lo sviluppo di una nuova coscienza ambientale da una parte e la riduzione delle precipitazioni nevose dall’altra hanno fortemente penalizzato le località turistiche a quote medio-basse e segnato un lento declino della pratica sciistica. Essa, infatti, se ancora oggi rappresenta una delle motivazioni per recarsi nelle Alpi, non ne rappresenta più il fulcro principale.

Da una mono-visione della montagna come palestra sportiva, infatti, nell’era post-moderna si passa ad una multi-visione della montagna, legata alla centralità delle motivazioni del viaggio più che alla destinazione (Conti e Montagner, 2009) (figura n. 2.16).

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