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La Francia e l’Italia hanno due storie di immigrazione radicalmente differenti: la prima per lungo tempo è stata meta di immigrazione, la seconda è stata, invece, per lungo tempo Paese di emigrazione.

Francia

L’immigrazione di massa in Francia è iniziata verso la metà del XIX secolo e, fino alla Seconda Guerra mondiale, sono stati soprattutto gli stranieri dei Paesi europei ad alimentare i flussi migratori, anche se, dall’inizio del Novecento, il numero di immigrati provenienti dal Nord Africa è aumentato in maniera costante.

La prima immigrazione importante avvenuta verso la metà del XIX secolo era rappresentata dai belgi che venivano poco considerati dai francesi, anche se la loro reputazione a livello sociale è migliorata quando sono arrivati gli immigrati italiani all’inizio del XX secolo.

Durante la Prima Guerra mondiale la Francia fece ricorso alla manodopera coloniale. Inizialmente questi stranieri venivano reclutati su base volontaria, ma successivamente furono costretti a lavorare per le autorità militari la cui intenzione era di rimandare nel Paese d’origine questa fascia della popolazione una volta terminata la guerra. Per tale ragione, in quegli anni, i militari francesi hanno sempre tentato di impedire qualsiasi contatto tra la popolazione francese e la popolazione coloniale. Durante la Prima Guerra sono stati “prelevati” più di 500.000 magrebini da Marocco, Algeria e Tunisia.

La maggior parte di questi lavoratori coloniali venne rimpatriata pochi mesi dopo la firma dell’armistizio, ma negli anni Venti, con il boom della ricostruzione delle città francesi e la penuria di manodopera, l’immigrazione straniera, tra cui anche quella algerina, ebbe una ripresa.

Questa immigrazione non era vista di buon occhio dai colonialisti, i quali, attraverso la stampa, diffusero un’immagine negativa dell’arabo, considerandolo alla stregua di un criminale e alimentando, così, pregiudizi razziali nella popolazione.

D’altro canto, alcuni esperti sostenevano una politica dell’immigrazione che provenisse dai Paesi colonizzati: veniva affermato, a tal proposito, che gli immigrati spagnoli e italiani rappresentassero comunità più pericolose di quelle algerine. Ciò ha portato ad una prima integrazione degli algerini, che è dimostrata anche dal numero di matrimoni misti negli anni Trenta. Gli algerini si sono inseriti in maniera soddisfacente nella classe operaia e in quella della piccola borghesia commerciante.

Dopo la Seconda Guerra mondiale è stata riconosciuta agli algerini, che hanno dato un contributo importante alla liberazione della Francia, la cittadinanza francese. Essi

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acquisiscono non solo il dritto di voto, ma anche gli stessi doveri e diritti degli altri cittadini francesi, anche se subivano discriminazioni, soprattutto nell’ambito della sicurezza sociale.

All’indomani della Seconda Guerra mondiale gli imprenditori preferivano assumere lavoratori algerini piuttosto che persone di altre nazionalità perché erano meno esigenti dal punto di vista salariale, molto apprezzati dai datori di lavoro e, di norma, erano poco sindacalizzati.

Nel 1949, con il rallentamento della ripresa economica, gli algerini sono stati i primi a perdere il lavoro e il rapporto di disoccupazione degli algerini era cinque volte più alto di quello dei salariati europei266. Negli anni Cinquanta gli immigrati algerini, che erano soprattutto lavoratori singoli e instabili, diventarono il bersaglio di campagne contro l’insicurezza sociale.

In uno studio realizzato dalla fondazione Alexis Carrel del 1947267 si afferma che dopo alcuni anni di permanenza in Francia le pratiche religiose degli algerini si riducevano fortemente e che le situazioni famigliari delle coppie miste non erano né migliori né peggiori di quelle dei francesi.

Con la guerra d’Algeria (dal 1954 al 1962) la situazione dell’immigrazione algerina si è modificata radicalmente e gli algerini sono diventati “l’ennemi de l’intérieur”. Nel 1962 la categoria “Français Musulmans d’Algerie” è scomparsa dalla nomenclatura ufficiale e gli algerini residenti in Francia venivano trattati dal punto di vista giuridico come degli “étrangers”, anche se mantenevano dei “privilegi” rispetto ad altre nazionalità straniere. Nel 1968 è stato richiesto alla popolazione di origine algerina il certificato di residenza, ciò al fine di controllare i flussi migratori tra la Francia e l’Algeria. Tra il 1962 e il 1982 si è accelerato notevolmente il flusso di immigrazione verso la Francia da parte di algerini, marocchini e tunisini. Tale immigrazione ha favorito nuove forme di razzismo anti-algerino che avevano come origine la non accettazione dell’indipendenza algerina e la nostalgia per l’Algeria come colonia francese.

Tra il 1975 e il 1982 le donne magrebine che immigravano in Francia erano due volte più numerose degli uomini e nel 1992 la popolazione di origine magrebina rappresentava un totale di due milioni a cui occorreva aggiungere circa 500.000 clandestini.

Le politiche messe in atto dallo stato francese negli anni Settanta hanno fatto sì che soltanto il diritto di asilo e il ricongiungimento famigliare fossero i requisiti per l’insediamento in Francia.

Italia

Per quanto riguarda l’Italia, gli italiani sono stati per lungo tempo un popolo di emigranti, ciò principalmente dopo l’Unità d’Italia e fino agli anni Settanta del XX secolo, momento in cui il fenomeno dell’emigrazione si è ridotto in maniera consistente grazie al boom economico.

266 S. A. Esprit, “Le prolétariat nord-africain en France”, Population, 1, 1952, pp. 172-173. 267 R. Gessain, Documents sur l’intégration, INED, Travaux et Documents, 2, Paris, PUF, 1947.

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In Italia l’unico fenomeno di immigrazione del passato riguardava il rientro degli italiani dalle ex-colonie africane e questo reinserimento nel Paese non ha posto particolari problemi di integrazione. Con il boom economico vi sono stati anche molti italiani che, emigrati un tempo all’estero, sono rientrati in Italia.

L’immigrazione straniera è iniziata, invece, alla fine degli anni Settanta, più di un secolo dopo quella in Francia, e questo per due ragioni: la prima è che l’Italia ha applicato delle politiche di apertura verso gli altri Paesi; la seconda derivava dalle politiche restrittive di molti Paesi europei a riguardo dell’immigrazione straniera.

Negli anni Ottanta l’Italia ha iniziato a regolarizzare gli immigrati privi di documenti e nel 1986 è stata varata una legge268 che garantiva agli immigrati gli stessi diritti dei lavoratori italiani. Negli anni Novanta il numero degli stranieri in Italia era doppio rispetto agli anni precedenti e gli immigrati hanno costituito l’unica variabile per l’incremento della popolazione italiana.

Nel 1990 la legge Martelli ha tentato di fissare dei limiti ai flussi di ingresso e sono stati regolarizzati molti stranieri. L’immigrazione in Italia ha visto negli anni Novanta principalmente un forte flusso di immigrazione albanese, che lo Stato ha tentato di risolvere mediante accordi bilaterali.

Nel 2001 la comunità straniera più rappresentata era quella dei marocchini, seguiti dagli albanesi. La popolazione straniera rappresentava il 7.1% della popolazione italiana e gli stranieri avevano un’età media più giovane di quella italiana.

Gli anni successivi videro profondi cambiamenti e dal 2007 la popolazione rumena in Italia è notevolmente aumentata grazie all’ingresso della Romania nell’Unione Europea. Molto numerosi sono anche i cinesi e gli ucraini.

Per quanto riguarda l’aspetto religioso, i cristiani (prevalentemente ortodossi) sono la comunità più ampia in Italia seguiti dai musulmani.

3.1.2 Le ricadute sulla società

Francia

Alcuni gruppi di origine straniera sono stati stigmatizzati dai francesi, se non addirittura posti ai margini della società, mediante la costruzione di ghetti a livello urbano in cui si concentrano problemi di ordine economico e sociale quali disoccupazione, delinquenza, dispersione scolastica e criminalità. In realtà le persone di origine immigrata che vivono in Francia hanno il desiderio di integrarsi nella società.

Nel 1992 un’indagine dell’INSEE269 aveva mostrato che meno del 20% dei genitori immigrati o di origine immigrata utilizzava solo la lingua d’origine a casa e che molti di loro desideravano che i figli, grazie all’educazione ai valori francesi, raggiungessero obiettivi importanti nella vita.

Se, da una parte, vi è la tendenza da parte dei francesi a considerare le persone immigrate, o di origine immigrata, come se appartenessero ad un’unica categoria,

268 Legge 30 dicembre 1986, n. 943.

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dall’altra, in realtà, esistono numerose differenze. Per spiegare tale concetto citerò l’esempio delle persone di origine algerine.

In una ricerca del 1993 sono stati indagati i processi di identificazione nazionale da parte delle persone che hanno origini diverse da quella francese che sono stati classificati in sei categorie270:

 “les Français “comme les autres”: si tratta di individui che hanno famiglie economicamente integrate, che abitano in quartieri popolari, ma abbastanza eterogenei dal punto di vista etnico, dove le relazioni con i francesi sono cordiali e amichevoli. Sono persone che sentono i valori democratici francesi come vicini al proprio modo di essere e di vivere. La storia delle origini del proprio popolo è conosciuta solo superficialmente ed è considerata di scarso interesse. Per questa categoria di persone non esistono contraddizioni tra le loro origini e il desiderio di acquisire la cultura francese;

 “les binationaux (Algéro - Français)”: come per la precedente categoria, questi individui vivono in famiglie integrate dal punto di vista economico e in quartieri popolati da persone con diverse origini, ma si sentono esclusi dai francesi e, conseguentemente, mantengono rapporti stretti con i famigliari in Francia e con quelli in Algeria. Questo contatto con le proprie origini li porta a mettere in contrapposizione i valori algerini a quelli francesi. Questa contraddizione si traduce in una distinzione tra l’essere francese e avere la nazionalità francese e di conseguenza i matrimoni misti in questo caso, anche per ragioni religiose, sono rari;

 “les Franco - Algeriens”: anche in questo caso si tratta di persone che vivono integrate dal punto di vista economico e in quartieri eterogenei, ma tentano di mantenere le distanze dai francesi principalmente per le differenze negli stili di vita, talvolta influenzati dagli aspetti religiosi. Sono individui che cercano di valorizzare l’Islam;

 “les Français-Plus”: vivono in quartieri abitati principalmente da francesi e le relazioni con questi ultimi sono molto valorizzate. Per questi individui vi è una idealizzazione dei principi francesi di libertà, uguaglianza, fraternità, laicità e delle istituzioni francesi quali, ad esempio, la scuola, e per tali ragioni la pratica religiosa viene tenuta nascosta;

 “les Arabo-musulmans français”: vivono in famiglie economicamente integrate, ma in quartieri svantaggiati e i contatti con i francesi sono sporadici e superficiali. Le pratiche religiose sono rispettate così come il messaggio religioso che guida le relazioni sociali. Tutto ciò avviene a scapito dei valori occidentali. I matrimoni misti soltanto di rado vengono celebrati;

 “les “Terriens occidentaux”: vivono in famiglie economicamente integrate in quartieri dove i francesi costituiscono la maggioranza e con i quali hanno

270 F. Rio, “D’un imaginaire national à un autre. Comment-peut-on être français quand on est d’origine algérienne ?”,

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relazioni molto positive, ma allo stesso tempo mantengono rapporti con l’Algeria. Questa categoria di persone crede nella scuola francese, in quanto la considera uno strumento di costruzione dell’identità personale e di appartenenza nazionale.

Questa ricerca di Rio del 1993271 ha mostrato che la popolazione di origine immigrata non è omogenea, ma, al contrario, rivela dei processi di costruzione dell’identità molto complessi, che permettono di comprendere meglio i confini “costruiti” sia dai francesi, sia dagli immigrati.

Una indagine condotta dal PEW Research Center americano sull’integrazione dei musulmani272, mostra che in Francia il 72% di questi non vede alcun conflitto tra il fatto di vivere nella società francese e quello di praticare la religione islamica e che alte percentuali di queste persone hanno una buona opinione sia dei cristiani, sia degli ebrei. La situazione degli immigrati magrebini è più complessa rispetto a quella degli algerini perché sono considerati come persone che necessitano dell’assistenza sociale, che hanno scarsi risultati scolastici, e che sono la causa della violenza urbana e della devianza. Una ricerca condotta273 in Francia ha esaminato quali strategie mettano in atto i francesi di origine magrebina per contrastare la disoccupazione e per migliorare la propria condizione e immagine a livello sociale. Molti francesi di origine magrebina hanno aperto numerose attività imprenditoriali per dimostrare ai francesi di essere in grado di cambiare la propria condizione sociale. Avviare, quindi, un’attività imprenditoriale, per i magrebini significa tentare di modificare un’immagine negativa di questo gruppo etnico. Uno studio sui giovani magrebini nati in Francia274, che hanno un’età compresa tra i 18 e i 30 anni, mostra che il 78% di questi si sente più vicino ai francesi rispetto ai genitori e il 70% considera possibile un matrimonio con un/una francese.

Come afferma Castel, questi dati

“elles montrent toutes que la représentation du musulman allergique aux valeurs de la société française est littéralement une construction raciale, au sens de ce racisme différencialiste qui essentialise et reproduit l’infériorité culturelle que l’on à prêtée aux indigènes dans le cadre d’un rapport de domination colonialiste. Si on dépasse ce préjugé, il n’y a aucun raison de penser que l’ex- indigène, avec la culture qu’il a pu garder, ne serait pas parfaitement intégrable dans le cadres assouplis de la nation. Pour réaliser un telle entreprise, il faudrait à la fois combattre avec la plus grande énergie les discriminations actuelles et promouvoir un véritable traitement à parité des différentes composantes de la population française”275.

Molti discorsi a livello politico e sociale definiscono i magrebini soltanto con un’accezione negativa, senza considerare i lunghi periodi a cui sono stati sottomessi ai colonialisti francesi.

271 Ibid. 272

R. Castel, op. cit.

273 M. Madoui,De la stigmatisation à la promotion sociale : enquête sur les entrepreneurs issus de l´immigration maghrébine,

Paris, L´Harmattan, 2006.

274 C. V. Marie, “Enjeux actuel de la lutte contre les discriminations en France”, in D. Barrillo, Lutter contre les

discriminations, Paris, La Découverte, 2003.

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Interi gruppi della popolazione sono lasciati ai margini della società e ciò provoca il degrado delle condizioni di vita276. La maggior parte dei francesi di origine magrebina è, inoltre, concentrata in determinati quartieri e questo non fa che aumentare questa stigmatizzazione e l’accusa di essere la causa del degrado sociale di questi luoghi. Questa situazione fa sì che i giovani di origine magrebina abbiano ancora un’immagine negativa e, come afferma Noirel277, si tratta di una discriminazione che non è amministrativa o giuridica, ma sociale, culturale e economica.

Fino alla metà degli anni Sessanta i francesi di origine magrebina avevano dei lavori esclusivamente da dipendenti e il livello della loro occupazione era quella operaia. Il lavoro da imprenditori, a quell’epoca, veniva svolto solo da alcuni magrebini. È stato a partire dagli anni Ottanta che si è assistiti ad un cambiamento delle professioni delle persone di origine magrebina, i quali hanno creato delle piccole imprese con oggetto soprattutto il commercio etnico.

Questo ha permesso loro di accedere ad una migliore posizione sociale e di uscire dal fenomeno del precariato e dal circolo vizioso di discriminazione, disoccupazione e devianza.

Dalle ricerche emerge che i più discriminati, a parità di titolo di studio, sono proprio i giovani di origine magrebina, in quanto solo il 26% di chi possiede il baccalauréat ha accesso ad un impiego, contro il 51% dei giovani di origine francese.

La ricerca di Madoui278 dimostra che la popolazione francese di origine magrebina è sempre stata analizzata solamente evidenziandone gli aspetti problematici della devianza e della criminalità. In realtà negli ultimi decenni è iniziato un fenomeno di emancipazione da parte di questo gruppo, che si è dimostrato capace di creare imprese e favorire la mobilità sociale.

Italia

Per quanto riguarda la situazione italiana, dal 1970 ad oggi i cittadini stranieri in Italia sono raddoppiati e, nel 2003, 700.000 lavoratori sono stati regolarizzati.

L’Europa negli anni Novanta ha contestato la politica immigratoria italiana per le numerose regolarizzazioni, in quanto i Paesi europei temevano che l’Italia fosse soltanto una tappa dell’immigrazione e che questi stranieri, una volta ottenuto una regolarizzazione, intendessero migrare in altri Paesi. L’Italia rappresenta, infatti, una delle possibilità di ingresso dell’immigrazione clandestina proveniente soprattutto dall’Albania, dalla Tunisia e dalla Turchia.

Nella situazione attuale gli immigrati in Italia provengono da 191 Paesi del mondo. Esiste ancora molta diffidenza da parte degli italiani per questo fenomeno sociale così recente. Questa immigrazione ha un impatto diverso a seconda delle regioni italiane: essa

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S. Paugam, La disqualification sociale. Essai sur la nouvelle pauvreté, Paris, PUF, 1991. S. Paugam, L’exclusion. L’Etat des savoirs, Paris, La Découverte, 1996.

277 G. Noirel, “La république et ses immigrés. Petite histoire de l’intégration à la française”, Monde diplomatique, février, 2002. 278 M. Madoui, op. cit.

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infatti è più presente al Centro-nord, dove ci sono maggiori possibilità di lavoro, e nei grandi centri urbani, quali Milano e Roma.

Negli ultimi anni è stato destato un allarme sociale che deriverebbe da una relazione tra aumento dell’immigrazione e numero dei crimini in Italia.

Nell’indagine National Identity Survey279 emerge che nei Paesi europei in cui è stata svolta tale ricerca i cittadini ritengono che gli immigrati aumentino la criminalità.

Da alcune ricerche effettuate in ambito economico in Italia280 i risultati dimostrano che l’evidenza empirica è in controtendenza rispetto al senso comune. L’evoluzione di immigrazione e criminalità sono state studiate in alcune province italiane nel periodo che intercorre tra il 1990 e il 2003.

Durante tale periodo il numero dei permessi di soggiorno è aumentato in maniera considerevole, ma il tasso di criminalità non è associato all’aumento dei permessi, ma anzi ha subito una lieve flessione. Non emerge, quindi, alcuna correlazione tra gli atti criminosi e l’immigrazione.

Analizzando i dati a livello locale, emerge una correlazione positiva tra numero di immigrati e reati contro la proprietà: nelle province del Centro-nord dove vi è un’alta percentuale di presenza straniera, vi sono maggiori reati contro la proprietà, mentre nel Mezzogiorno, che è caratterizzato da bassa immigrazione, si verificano più crimini violenti. È importante tenere presente che tale associazione potrebbe essere dovuta a fattori casuali oppure alla maggiore ricchezza presente nelle province settentrionali. Le indagini più approfondite nell’ambito di tale ricerca hanno, quindi, dimostrato che, considerando il flusso migratorio dovuto a fenomeni quali guerre e crisi economiche, questi fattori aumentano l’emigrazione, ma che ciò non è correlato ai crimini nelle province italiane.

Il risultato evidenzia che l’immigrazione in Italia non ha rappresentato una causa significativa del tasso di criminalità nel periodo 1990-2003.

3.1.3 Le ricadute sulla scuola

Francia

Nel 1981 in Francia il ministero Savary ha introdotto la politica delle zone d’éducation prioritaire mettendo in atto dei programmi specifici di educazione che si rifacevano a forme di discriminazione positiva, rivolti alle fasce svantaggiate della popolazione francese. Tali programmi erano già stati sperimentati negli Stati Uniti a partire dagli anni Sessanta e in Gran Bretagna.

Negli Stati Uniti si partiva dal presupposto che le privazioni materiali, culturali e linguistiche non potessero che avere delle conseguenze negative sulle capacità logiche e cognitive dei bambini.

279 International Social Survey Programme (ISSP).

280 M. Bianchi - P. Buonanno - P. Pinotti, “Do immigrants cause crime?”, Paris School of Economics, Working Paper,

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La politica compensatoria attuata negli Stati Uniti nei confronti dei bambini dei ghetti neri alimenta tuttora un dibattito sulla sua effettiva efficacia, in quanto non esistono strumenti valutativi che permettono di ottenere dati certi.

In Gran Bretagna il rapporto Plowden del 1967 aveva proposto di attuare forme di discriminazione positiva verso gli alunni socialmente e culturalmente sfavoriti mediante l’attribuzione di finanziamenti supplementari ad alcune scuole definite Educational Priority Areas (EPA). L’obiettivo era quello di elevare il livello di riuscita scolastica, di migliorare il morale degli insegnanti, di favorire il coinvolgimento dei genitori nei processi educativi e rendere partecipe l’intera comunità in tale processo.

Nel 1970 con la vittoria dei conservatori e con l’inizio della crisi economica i finanziamenti per l’educazione sono stati drasticamente diminuiti e la questione delle zone d’educazione prioritarie non costituiva più una priorità per il governo.

Nel 1998 con il governo di Tony Blair si è nuovamente dedicata attenzione alle aree prioritarie attraverso il progetto Education Action Zone (EAZ). Sono state attuate misure drastiche per migliorare, nel ciclo primario, l’apprendimento in lettura, scrittura, uso della lingua e matematica. Sono state stipulate forme di collaborazione con gli enti locali