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L' IMMORTALITÀ DELL ' ANIMA

NECESSITARISMO : LE TEMATICHE SPECULATIVE DELL 'A DVERSUS CATHAROS ET VALDENSES

4.1 L' IMMORTALITÀ DELL ' ANIMA

Il primo problema affrontato da Moneta riguarda la mortalità o meno dell'anima. L’inquisitore dichiara preliminarmente che in questo contesto egli non si sta riferendo ai catari o ai valdesi, ma, in generale a tutti coloro che ritengono che l'anima sia mortale:

in hoc autem non arguo Catharos, nec pauperes Ultramontanos, aut Lombardos, sed quosdam, qui ut sine fraeno possint vivere ad reatum suum istud apud se confinxerunt, quorum errorem describit liber Sapientiae capite 2. Quod autem anima humana non moriatur cum corpore, potest probari multipliciter. Primo per Scripturam divinam; Secundo naturali ratione1.

Come è già stato ricordato in precedenza, dalle fonti è emerso che il catarismo sosteneva la teoria del traducianismo, vale a dire la tesi secondo la quale le anime degli uomini non vengono create ex novo da Dio, ma deriverebbero tutte dall'anima di Adamo attraverso la trasmigrazione, processo attraverso il quale si trasmette il peccato originale2. Per quanto riguarda il destino delle anime dopo la morte, i catari ritenevano che esse verranno tutte liberate dalla prigione terrena alla fine dei tempi, riprendendo l'apocatastasi origeniana3. Non emerge però in modo preciso alcuna tesi a sostegno della mortalità dell'anima che possa essere riferita specificamente al catarismo. Purtroppo l'inquisitore domenicano non dichiara esplicitamente quale sia il suo interlocutore in questo contesto; potrebbe forse riferirsi alle teorie averroiste, dal momento che cita Averroè esplicitamente all'interno

1MONETA CREMONENSIS, Venerabilis patris Monetae Cremonensis, cit., V, pp. 416-417. 2 V. infra, pp. 75-76.

dell'opera. Per prima cosa Moneta dichiara di voler esporre le ragioni per le quali l’anima sarebbe mortale, esponendo i passi scritturali e, in seguito, gli argomenti razionali a sostegno di questa tesi per poi andare a confutare entrambi. L'andamento argomentativo ricalca quello di tutto l'Adversus catharos et valdenses: prima vengono esposte le tesi erronee e in seguito vengono confutate puntualmente. Sembrerebbe che dalla lettura di alcuni passi delle Scritture si possa supporre la mortalità dell’anima umana; Moneta chiarifica quale sia la corretta esegesi, spiegando che in essi in realtà si sottolinea che soltanto Dio è immortale per sua natura ed è per sua grazia che ha reso l’anima dell’uomo immortale, la quale non è immortale per sua essenza4.

Gli argomenti a sostegno della mortalità dell'anima che si ritrovano nell'opera dell’inquisitore si basano essenzialmente sulla nozione di anima come composto naturale formato dagli elementi che agiscono come contrari e sulla dipendenza dell'anima dal corpo5. Dopo aver esposto gli argomenti volti a sostenere la tesi della mortalità dell'anima, nella seconda parte del capitolo Moneta intende invece dimostrare l’immortalità dell’anima seguendo sempre lo stesso schema argomentativo, prima adducendo le testimonianze delle Scritture e in seguito esponendo gli argomenti razionali6. L'inquisitore domenicano dichiara esplicitamente di seguire, per quanto riguarda questa parte della trattazione, il testo sull’immortalità dell’anima di Guglielmo d’Auvergne7, anche se, per quanto riguarda il De anima, non ci sono parallelismi testuali perfettamente coincidenti. Guglielmo è a sua volta profondamente influenzato dalla lettura di Avicenna e in polemica con l'ilemorfismo aristotelico ripreso da Avicebron. Il De anima di Guglielmo fa

4 Cfr. MONETA CREMONENSIS, Venerabilis patris Monetae Cremonensis, cit., V, pp. 416-418. 5 Cfr. ibid., pp. 416-422.

6 Cfr. ibid., pp. 422-428.

parte del suo Magisterium Divinale et sapientiale insieme ad altre opere, tra cui il De trinitate e il De universo creaturarum. Il De anima – scritto intorno al 1235 ‒ è diviso in sette parti dedicate all'esistenza stessa dell'anima, alla sua essenza, alla sua composizione, al numero delle anime presenti nell'essere umano, all'origine dell'anima, alla sua relazione con il corpo e, infine, alla sua relazione con Dio. Tuttavia non è da escludere, dal momento che sono presenti alcuni evidenti parallelismi testuali, che Moneta in questo contesto possa anche riferirsi al trattato De immortalitate animae, testo che è stato definitivamente attribuito a Guglielmo d'Auvergne e precedente al De anima8; la composizione di questo testo risalirebbe infatti verosimilmente intorno al 12289. Come sottolinea Teske, nel rimarcare la dipendenza di Guglielmo dal

Liber de anima seu liber sextus de naturalibus di Avicenna10, Gerard Verbeke aveva dichiarato come, nella visione del filosofo arabo, l'uomo si riduca essenzialmente a un'anima spirituale; allo stesso modo per Guglielmo l'essere umano coincide con l'anima spirituale che è sostanza prima11. Nel prologo dell'opera il vescovo di Parigi rimarca come l'anima non sia soltanto un

8 Sulla questione dell'attribuzione del De immortalitate animae a Domenico Gundisalvi o Guglielmo d'Auvergne si veda l'edizione del testo di Teske, cfr. GUILELMUS ALVERNUS, The

immortality of the soul (De immortalitate animae), ed. Teske, Milwaukee 1991.

9 Cfr. ibid., p. 4.

10 Cfr. AVICENNA LATINUS, Liber De anima seu Sextus de naturalibus, ed. S. Van Riet, Louvain- Leiden, 1968-1972. Sull’influenza di Avicenna nell’occidente latino si vedano principalmente D’Alverny, cfr. M. - T. D’ALVERNY, Avicenne en Occident: recueil d'articles de Marie-Thérèse

d'Alverny réunis en hommage à l'auteur, Parigi 1993 (Études de philosophie médiévale 71); De

Vaux, cfr. R.DE VAUX, Notes et textes sur l’avicennisme latine aux confins des 12.-13. siècles, Parigi

1934 (Bibliothèque Thomiste 20); Goichon, cfr. A.M.GOICHON, La philosophie d’Avienne et son

influence en Europe médiévale, Parigi 1979; e sul Liber de anima in particolare, Nikolaus, cfr. H.– D.NIKOLAUS, Avicennaʼs De anima in the Latin West : the formation of a peripatetic philosophy of

the soul 1160-1300, Londra - Torino 2000 (Warburg Institute Studies and Texts 1) .

11 Cfr.TESKE, William of Auvergne's spiritualist concept, in Autour de Guillaume d’Auvergne, cit., p. 35.

problema pertinente alla filosofia naturale, ma anche di natura teologica, dal momento che l'anima è l'immagine di Dio. In seguito Guglielmo espone gli argomenti che provano l'esistenza dell'anima umana e ne sottolinea la natura spirituale. Nell'esaminare i rapporti dell'anima con il corpo, egli finisce con l'identificare l'anima con l'essere umano stesso12. Il vescovo di Parigi parte dalla definizione che Aristotele dà dell'anima, vale a dire la perfezione di un corpo materiale che ha la vita in potenza, altresì detto, nei termini di materia e forma, il corpo organico è la materia e l'anima è la forma13. Guglielmo rimarca come il corpo organico altro non è che un corpo strumentale, tanto che i due termini in questa prospettiva vengono a coincidere. Stando a questo presupposto la conseguenza necessaria è che deve esserci qualcos'altro di cui il corpo è lo strumento: questa cosa è l'anima, una sostanza incorporea e indivisibile che governa l'intero corpo14. Guglielmo utilizza argomenti metafisici per dimostrare l'incorporeità e l'indivisibilità dell'anima, a partire dall'attività intellettiva, dal momento che l'atto stesso dell'attività intellettiva non è in alcun modo divisibile:

omnis inquam talis anima, videlicet ab huiusmodi impedimentis libera, intelligit se intelligere, et scit se hoc intelligere. Intelligit etiam se hoc scire, quapropter scit et intelligit se habere in se scientiam et intellectum huiusmodi15.

12 Cfr. ibid., p. 36.

13 Cfr. GUILELMUS ALVERNUS, De anima, cit., pp. 65. «Anima igitur est prout diffinit Aristoteles perfectio corporis physici organici potentia vitam habentis». Cfr. ARISTOTELES, De anima, in

Aristotelis opera ex recensione Immanuelis Bekkeri, ed. I. Bekker, Oxford 1837 (rist. Berlino 1960),

II, 1, 412a-b.

14 Cfr. TESKE, William of Auvergne's spiritualist concept, cit., p. 39 e ss. 15GUILELMUS ALVERNUS, De anima, cit., p. 83.

Il vescovo di Parigi fa quindi derivare l'indivisibilità del soggetto che compie l'atto dall'indivisibilità dell'atto stesso, dato che questo ultimo avviene in un momento istantaneo16. L'atto della comprensione avviene per intero tutto in un istante e non è perciò divisibile, cosa che invece può dirsi del continuum; ne consegue che la sostanza da cui deriva l'atto della comprensione (l'accidente della sostanza) deve necessariamente essere indivisibile allo stesso modo17. Per quanto riguarda la relazione tra il corpo e l'anima, Guglielmo riflette sulla questione se l'anima sia parte dell'essere umano oppure no. Egli sostiene che l'anima non è soltanto una parte dell'essere umano, ma si identifica con l'essere umano stesso. Il vescovo di Parigi pone l'esempio di quando si rivolge la parola a qualcuno: è ovvio che ci si indirizza all'essere umano nella sua interezza, e non soltanto a una parte di esso. In questo prospettiva il corpo non è altro che uno strumento dell'uomo, non è quindi verosimile che un mero strumento venga definito come una parte costitutiva dell'uomo stesso18. Guglielmo nega che anima e corpo formino un sinolo, vale a dire una sostanza composta da materia e forma, non seguendo quindi la teoria aristotelica dell'anima19. La preoccupazione fondamentale di Guglielmo, oltre a quella di dimostrare lo spiritualismo dell'essere umano, è quella di provare l'individualità dell'anima umana anche dopo la separazione dal corpo. Teske si domanda quale possa essere l'interlocutore con cui Guglielmo polemizza in questo contesto20. Si è a lungo pensato che il vescovo di Parigi potesse essere venuto in contatto con alcune

16 Cfr. TESKE, William of Auvergne's spiritualist concept, cit., p. 44.

17 Cfr. GUILELMUS ALVERNUS, De anima, cit., pp. 83-84. Cfr. ID., De immortalitate animae, cit., p. 50.

18 Cfr. ID., De anima, cit., pp. 84-85.

19 Qui Guglielmo sembra in polemica non solo con Aristotele, ma anche con tutta la concezione dell’ilemorfismo universale di Avicebron, il cui influsso è particolarmente evidente sull’agostinismo.

teorie averroiste21. Tuttavia Teske sottolinea come l'interlocutore più probabile potrebbe essere Avicenna, a cui viene attribuito l'errore di sostenere che le anime umane saranno unite in un unico intelletto. Questo può essere sostenuto, secondo Guglielmo, dal momento che le anime umane sono causate in modo necessario dalla decima intelligenza, nel momento in cui comprende se stessa a partire dalla propria spiritualità22. Questa ipotesi appare particolarmente verosimile se si considera soprattutto il contesto di questa discussione: Guglielmo sta infatti descrivendo l'emanazione delle varie intelligenze dal primo principio, fino appunto alla decima intelligenza, responsabile per il filosofo arabo della creazione delle anime umane23. Tuttavia Avicenna non ha mai affermato che le anime perdessero la propria individualità in seguito alla separazione dal corpo: Avicenna sostiene infatti chiaramente la perpetuità dell'anima umana24; l'anima si individualizza nel momento in cui si unisce alla materia corporea e conterrebbe in se stessa una naturale inclinazione a occuparsi di un corpo specifico. Avicenna si pone anche la questione, anticipando una possibile obiezione, di come possa essere mantenuta l'individualità dell'anima dopo la separazione dal proprio corpo:

potest autem aliquis dicere quod: haec oppositio remanet post discessum animarum a corporibus: necesse est enim ut aut esse desinant (hoc autem non tenetis), aut ut fiant una (sed hoc est etiam quod negastis), aut ut remaneant multiplicatae, vos

21 Cfr.MASNOVO, Da Guglielmo d'Auvergne a S. Tommaso D'Aquino, cit., p. 34. 22 Cfr.TESKE, William of Auvergne on the individuation, cit., p. 80.

23 Cfr. ibid.

24 Cfr.AVICENNA LATINUS, Liber de anima, cit., V, pp. 107-108, 113, 120-124. Sull'immortalità dell'anima in Avicenna è imprescindibile la lettura del saggio di Verbeke, cfr. G.VERBEKE,

L'immortalité de l'âme dans le De anima d'Avicenne. Une synthèse de l'Aristotélisme et du Néoplatonisme, «Pensamiento. Revista de investigacion e informacion filosofica» 25 (1969) Madrid, pp. 271-290.

autem tenetis eas iam esse separatis a materiis, ergo quomodo erunt multiplicatae25?

Il filosofo arabo risponde all'obiezione affermando che ogni anima ha contenuto precedentemente in se stessa essere ed essenza, in virtù della diversità delle materie, del tempo della loro creazione, della diversità delle loro disposizioni in riferimento ai diversi corpi a cui era unita26:

dicemus ergo quod postea animae sine dubio sunt separatae a corporibus, prius autem unaquaeque habuerat esse et essentiam per se, propter diversitatem affetionum suarum que habebant secundum diversa corpora sua quae habebunt27.

È la relazione col corpo che costituisce il principio di individuazione dell'anima; per questo motivo, una volta che questo è acquisito non può più essere perduto, neppure in seguito alla separazione, poiché l'anima ha ormai acquisito la conoscenza dell'esperienza corporea. Teske sottolinea come è proprio questo tipo di concezione della relazione con il corpo, che si configura in un certo senso come una dipendenza dell'anima dal corpo, che Guglielmo non può accettare e che ritiene pericolosa, dal momento che secondo la sua prospettiva condurrebbe a ritenere che le anime costituiranno un'unica anima in seguito alla morte del corpo28. Per il vescovo di Parigi i 'seguaci' di Aristotele commettono l'errore di non attribuire a Dio un potere assoluto e una libera volontà con cui ha comandato che le cose siano venute a essere; il Creatore non causa gli effetti a partire dal suo essere unico e semplice ma solo a partire dalla sua libera volontà, una questione affrontata

25AVICENNA LATINUS, Liber de anima, cit., V, p. 109.

26 Cfr. TESKE, William of Auvergne on the individuation, cit., p. 82. 27AVICENNA LATINUS, Liber de anima, cit., V, pp. 109-110. 28 Cfr. TESKE, William of Auvergne on the individuation, cit., p. 83.

soprattutto nel De universo creaturarum29. È per questo motivo che coloro che vengono definiti aristotelici sono portati a postulare la decima intelligenza e non direttamente il primo principio come creatore delle anime umane. Teske sottolinea un importante passaggio che esprime perfettamente la visione di Guglielmo in riferimento al mondo e all'essere umano30: «verbum enim istud non est tantum imago, seu expressio creatoris, immo est etiam expressio voluntatis creatoris lucidissima, ac perspicua, quibus datum est ipsum audire, et intueri»31.

Moneta condivide l'idea per cui il corpo è lo strumento dell'anima, tuttavia egli sembra più preoccupato, in un'ottica anti-ereticale, di non accentuare il dualismo radicale cataro dell'essere umano, in cui il corpo altro non è che una prigione da cui l'anima deve liberarsi. La discussione sull'immortalità o meno dell'anima, all'interno dell'Adversus catharos et valdenses, deriva da una questione ecclesiologica: Moneta, sul problema di definire quale sia la vera Chiesa, afferma che, secondo l'impostazione canonica, l'unica vera Chiesa è l'insieme delle anime dei fedeli, e dalla perpetuità delle anime dei fedeli deriva la perpetuità della Chiesa stessa. In questa prospettiva diviene quindi cruciale la dimostrazione che le anime sono immortali, se così non fosse l'istituzione stessa della Chiesa verrebbe meno32.

Moneta inizia la propria trattazione esponendo innanzitutto da quali passi scritturali potrebbe essere dedotta la mortalità delle anime, in quella che l’inquisitore domenicano valuta come una erronea esegesi33. A chi sostiene la tesi secondo la quale l'anima è mortale, Moneta risponde utilizzando la terminologia aristotelica: la natura – afferma il magister – può essere intesa in

29 Cfr. GUILELMUS ALVERNUS, De universo, cit., pp. 623-624. 30 Cfr. TESKE, William of Auvergne on the individuation, cit., p. 85. 31GUILELMUS ALVERNUS, De universo, cit., p. 624.

32 Cfr. MONETA CREMONENSIS, Venerabilis patris Monetae Cremonensis, cit., V, pp. 412-416. 33 Cfr. ibid., pp. 417-418.

modo molteplice. In un senso è intesa come materia e in un altro senso può essere identificata con la forma; in un terzo senso è invece causa prima, vale a dire il principio causativo di tutte le cose. In questo ultimo senso all'anima umana può essere tolta l'esistenza dalla causa prima, così come essa le ha dato l'essere dal non essere. È in virtù del primo principio che l'anima è resa perpetua, e non per sua stessa natura34. La prima obiezione all'immortalità dell'anima, fondata su argomenti razionali, si basa sulla nozione di divisibilità: ogni composto naturale è divisibile e risolvibile nei suoi principi, dal momento che tutto ciò che è semplice è indivisibile: dato che l'anima è composta, essa è di conseguenza divisibile e corruttibile. Per provare che l'anima è un composto vengono citati Boezio, Avicebron e Avicenna; quest'ultimo avrebbe infatti sostenuto, secondo Moneta, che la sostanza si divide in semplice e composta: la sostanza semplice è formata da materia e forma, mentre quella composta si divide in corporea e spirituale; di conseguenza l'anima – sostanza spirituale – è composta35. In realtà Avicenna

34 Cfr. ibid., p. 418. «Quod natura dicitur multiplex, uno modo dicitur natura materia eius, ut habetur in 2. physicorum Aristotelis; alio modo natura dicitur forma; tertio modo dicitur natura prima causa, quae est principio nativitatis uniuscuiusque rei, natura enim a nascendo dicitur, quasi nascendi principium; secundum hunc ultimum modum non est dubium animam esse vertibilem; Deus enim posse habet, eam vertere in non esse, sicut de non esse eam duxit in esse. Item secundum eandem naturam, scilicet primam causam immortalis est; Dei enim virtute ut natura naturante omnia, perpetuatur esse animae. In his tribus sensibus non est idem natura, et res naturae secundum esse, nec etiam secundum rationem. Quarto modo dicitur natura rei ipsa res naturae, idem enim est secundum esse etc. in Deo licet sit ratione differens, unde dici, solet communiter, quod in Deo est idem, quod est, et quo est. […] Similiter enim intelligendum de anima, huiusmodi enim creaturae immortalitatem habent per partecipationem, non per essentiam suam, sicut Deus, cuius essentia est sua immortalitas, et in quo idem est immortale, et immortalitas, et in quo idem est immortale, et immortalitas, idem enim in eo est quod est, et quo est».

35 Cfr. ibid. «Quod autem sit composita probatur per illud Boetii: Omne quod est citra primum, est hoc, idest compositum ex hoc, et hoc. Idem dicit Avicembron lib. I. Idem etiam dicit

non ha mai sostenuto che l'anima è una sostanza composta, benché spirituale; anzi, egli insiste a lungo nel dimostrare come l'anima sia una sostanza semplice, dal momento che soltanto i corpi materiali sono sostanze composte. La soluzione che viene presentata da Moneta è duplice: una consiste nell'affermare che gli angeli sono mortali, cosa che però non viene ammessa da chi sostiene la mortalità dell'anima; la seconda soluzione prevede che, siccome ogni composto è risolvibile all'interno dei suoi principi, questi ultimi siano corruttibili. Tuttavia c'è un'altra via per quanto riguarda le sostanze spirituali. Bisogna però compiere una distinzione, prosegue l’inquisitore domenicano, quando si afferma che ogni composto è risolvibile secondo la sua natura; poiché naturaliter può essere inteso sia a partire dalla natura in senso stretto sia dallo stesso Dio che governa tutta la natura. In questo secondo senso il principio della natura ha dato ordine che le cose siano nel modo in cui sono. È Dio che ha congiunto la forma e la materia della sostanza spirituale, e allo stesso modo le può dividere. Si può affermare che il composto è divisibile naturaliter, ma a partire dalla prima causa, quindi la causa della divisione non è nella cosa stessa, ma al di fuori di essa. Se invece si afferma che il composto è divisibile naturaliter a partire dalla sua stessa natura, vale a dire a partire dai contrari come avviene nei quattro elementi, questa proposizione non è vera in senso assoluto, ma lo è solo secondo i principi naturali dei contrari. Si tratterebbe quindi di una generazione ex nihilo, poiché verrebbe a essere dopo il non essere36.

Avicennas dividens substantiam in simplicem et compositam: simplicem autem dividit in materiam et formam; compositam in corpoream, et spiritualem substantiam; ergo spiritualis, ut anima, composita est».

Il secondo argomento con cui si intende mostrare che l'anima è mortale si basa sul rapporto tra anima e corpo37: siccome non si avrebbero i sensi se non ci fosse lo strumento corporeo, allo stesso modo non si avrebbe neppure l'intelletto; quindi come i sensi dipendono dal corpo, così anche l'intelletto dipende da esso. In base a questo rapporto di dipendenza si deve dedurre che anche l'intelletto perirà insieme al corpo38. Moneta obietta che i sensi non sono assimilabili all'intelletto, dal momento che i primi non sussistono senza il corpo ma questo non avviene per l'intelletto, poiché l'anima umana, attraverso l'intelletto, impara e comprende le scienze intelligibili, e tuttavia è priva delle cose che sono inanimate39.

A sostenere la mortalità dell'anima viene poi addotta una prova desunta dall'esperienza: così come le facoltà sensitive dipendono dalle condizioni fisiche, allo stesso modo la facoltà intellettiva può essere

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