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3. DIAGNOSI DI LABORATORIO

3.2. E SAMI SPECIFICI

3.2.1. Sierologia

3.2.1.4. Immunofluorescenza indiretta (IFAT)

L’IFAT è ancora il test sierologico più utilizzato rappresentando il golden

standard per la diagnosi di leishmaniosi secondo l’OMS (Ferroglio e Vitale, 2006),

anche se presenta dei limiti: soggettività di lettura94, variabilità dell’antigene fissato su vetrini, scarsa affidabilità per titoli bassi (false positività e negatività) (Ciaramella e De Luna, 1999); richiede un microscopio a fluorescenza ed i reagenti presenti in commercio possono rivelarsi meno affidabili di quelli “fatti in casa” (Mancianti, 2001). Inoltre sarebbe più affidabile nel rilevare soggetti che si trovano nelle fasi avanzate dell’infezione (Boarino et al., 2008); al contrario, secondo Mancianti (2001), uno dei maggiori vantaggi risulta proprio la precocità di rilevazione della sieroconversione: l’andamento altalenante del titolo anticorpale, proprio delle prime fasi dell’infezione, è stato riconosciuto proprio con l’IFAT. Il test si esegue facendo reagire il siero del soggetto in esame, opportunamente diluito per raddoppio in base 10, con l’antigene di Leishmania fissato su vetrini, a 37 °C per 30 minuti circa. Dopo un lavaggio, si aggiunge l’antiglobulina specifica coniugata con isotiocianato di fluorescina, a cui segue un’incubazione a 37 °C, altri lavaggi ed il montaggio su vetrini con glicerina. La lettura dei campioni viene effettuata al microscopio a fluorescenza (Pizzirani et al, 1989, Ciaramella e De Luna, 1999). L’IFAT ha una specificità del 100%, per titoli superiori ad 1/160, ed una sensibilità molto soddisfacente, essendo compresa tra il 98,4% ed il 99,5% (Mancianti, 2001), anche se tali valori diminuiscono su campioni con titoli borderline (1/40 - 1/80): si tratta della cosiddetta “zona grigia”, che rappresenta un problema frequente per molti laboratori che riportano valori di cutoff tra 1/20 e 1/160 (Boarino et al., 2008). È stato riportato che l’utilizzo di una metodica IFAT basata su amastigoti invece che su promastigoti (che in genere fungono da antigeni del test), dà risultati ancora migliori in termini di sensibilità e come precocità di rilevazione della sieroconversione (Fernández-Pérez et

al., 1999).

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L’IFAT dovrebbe essere effettuato sempre presso lo stesso laboratorio e, nei casi dubbi, solitamente di fronte a titoli bassi, è consigliabile la ripetizione magari a distanza di 20-30 giorni (Bizzeti et al., 1989).

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I soggetti asintomatici - che rappresentano la classe di pazienti più difficile da gestire - con titolo anticorpale basso (1/80 - 1/160) dovrebbero essere considerati infetti e quindi sottoposti a monitoraggio sierologico bimestrale, per evidenziare eventuali variazioni del titolo stesso o delle proteine sieriche. Può accadere che alcuni soggetti asintomatici presentino un titolo “altalenante”, che varia da basso a positivo a negativo: questi cani vanno esaminati più di due volte per accertare che il titolo sia scomparso effettivamente. Ci possono essere anche casi di soggetti chiaramente sintomatici ma sierologicamente negativi: l’IFAT ha una sensibilità molto alta (fino al 99%), ma esiste sempre la possibilità che un’esigua percentuale di cani infetti non venga rilevata. Questo può avvenire nelle primissime fasi dell’infezione, nei casi in cui la risposta immunitaria del soggetto è diretta verso altri determinanti antigenici, per immunosoppressione indotta dal parassita o di origine iatrogena (terapia cortisonica), o nei rari casi di immunodeficienza congenita con deficit dello switching isotipico (incapacità di passare da IgM a IgG, IgA ed IgE). In conclusione si può dire che:

Un titolo sierologico ≥ 1/160 indica sempre infezione in atto;

Titoli compresi tra 40 ed 80, in assenza di sintomi, devono essere considerati dubbi;

Si può avere malattia anche con sierologia negativa (Mancianti, 2001). In caso di sierologia positiva in soggetti asintomatici, si tratta di animali che verosimilmente sono entrati in contatto col parassita, hanno prodotto gli anticorpi e possono evolvere sia verso la guarigione spontanea, sia verso la malattia; può trattarsi quindi di uno stato passeggero del quale non si può prevedere l’evoluzione. Potrebbe anche trattarsi di forme particolari latenti che prima o poi svilupperanno la patologia. A fianco delle possibili ipotesi per spiegare l’assenza di anticorpi rilevabili con le tecniche sierologiche classiche, si può proporre la predominanza di un’immunità cellulomediata efficace, l’azione delle cellule NK o l’esistenza di ceppi parassitari epidermotropi che, per la loro localizzazione cutanea, non stimolerebbero efficacemente la produzione anticorpale (Lamothe, 2002).

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Secondo Ciaramella e De Luna (1999) e Ferroglio e Vitale (2006) non c’è una proporzionalità diretta tra titolo anticorpale e gravità della malattia; per cui la valutazione delle variazioni del titolo sierologico nel monitoraggio della terapia è di scarso significato; più utile sarebbe l’eventuale negativizzazione al termine dei diversi cicli terapeutici, o la ricomparsa di sieroconversione, indice precoce di ricaduta. Secondo Mancianti (2001) l’IFAT è una delle poche metodiche, se non l’unica metodica sierologica, che, insieme ad altre analisi ed alla variazione dei segni clinici, permette il monitoraggio in corso di terapia, anche se spesso il titolo non cambia sostanzialmente nel passaggio dalla forma asintomatica a quella sintomatica e viceversa (Mancianti e Franceschi, 2006). Analogamente anche Paltrinieri e coll. (2007) affermano che il titolo anticorpale può essere utile nell’identificazione dei soggetti con disseminazione del parassita e nel monitoraggio della risposta terapeutica. Amusategui e coll. (2003) hanno rilevato una chiara correlazione solo tra la positività all’IFAT e la presenza dei segni clinici, senza una relazione tra valori del titolo e gravità della malattia, come del resto parecchi altri studi. Invece Giauffret e coll. (1976) osservarono i titoli più alti nei soggetti con le forme viscerali più gravi, rispetto a quelli con forme cutanee di gravità moderata ed una progressione più lenta della patologia. Bourdoiseau e coll. (1997[3]) rilevarono che titoli ≤ 1/640 erano significativamente associati ad infezione asintomatica, mentre titoli > 1/640 erano associati ad infezione sintomatica, senza distinzione tra livelli di gravità. Al contrario, Moreira e coll. (2007) hanno riscontrato una risposta umorale (ELISA) d’intensità decrescente nei soggetti asintomatici, sintomatici ed oligosintomatici, ipotizzando una qualche forma di soppressione dell’immunità umorale nei cani sintomatici95. Applicando l’ELISA alla rilevazione di diversi isotipi anticorpali (IgG, IgM ed IgA), è stato rilevato che i soggetti sintomatici hanno, rispetto agli asintomatici, livelli di ciascun isotipo significativamente superiori (Rodríguez-Cortés et al., 2007). Nelle coinfezioni umane leishmaniosi viscerale-AIDS è stato riportato che la sierologia classica (IFAT ed ELISA con rK39) ha scarsa utilità nel monitoraggio della terapia e

95

Lo studio ha riguardato la comparazione di diverse tecniche diagnostiche in relazione alla forma clinica della malattia. La sensibilità sulle biopsie linfonodali poplitee, è stata, per la citologia, del 75,61% nei sintomatici, del 32% negli oligosintomatici e del 39,13% negli asintomatici; per

l’immunofluorescenza diretta, del 92,68% nei sintomatici, del 60% negli oligosintomatici e del 73,91% negli asintomatici; per l’immunocitochimica, del 92,68% nei sintomatici, del 76% negli oligosintomatici e del 73,91% negli asintomatici; per la PCR, del 100% nei sintomatici, del 96% negli oligosintomatici e del 95,65% negli asintomatici.

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nella prognosi, mentre l’immunoblotting, almeno per quest’ultimo aspetto, sarebbe una metodica più indicativa (Medrano et al., 1998). Comunque sia, nell’ambito del monitoraggio terapeutico, per capire cioè se, durante la terapia, il soggetto risponde e se, alla fine del ciclo, ha risposto, la strada da seguire non sembra semplice. Mancianti e Franceschi (2006) propongono un protocollo di follow-up, applicato esemplificativamente alla classica terapia AnM + allopurinolo per 2 mesi:

1. Prima dell’inizio della terapia: IFAT; PCR qualitativa (su sangue, biopsia linfonodale, cutanea o tampone congiuntivale) e quantitativa (come la PCR real-time); striscio da puntato linfonodale per la ricerca degli amastigoti; LST (Leishmanin Skin Test); parametri clinico- laboratoristici come il rapporto PU/CU, PT ed A/G, esame emocromocitometrico, profilo biochimico di base;

2. Al giorno 14 di terapia: IFAT e le PCR;

3. Al giorno 28 di terapia: IFAT, le PCR e parametri clinico-laboratoristici; 4. Alla fine della terapia (giorno 62): come in (1.).

Per ridurre i costi, dal piano potrebbero essere sottratti i controlli di cui al precedente punto (2.).

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