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imparare dal lavoro e attraverso il lavoro: le strategie formative

2. la formazione

2.1. Una formazione personale che passa attraverso la Formazione Professionale

2.1.3. imparare dal lavoro e attraverso il lavoro: le strategie formative

il discorso sugli oggetti di apprendimento, che abbiamo sviluppato sopra, non

è separabile da quello relativo alle strategie formative. l’intreccio degli apprendi-

menti con la pratica può essere infatti visto contemporaneamente come oggetto e

come metodo di insegnamento-apprendimento. Possiamo dire che, nell’esperienza

formativa vissuta dai nostri partecipanti, il lavoro – e tutto ciò che al lavoro si con-

netteva (la qualità delle attrezzature di laboratorio, i rapporti con le aziende ecc.) –

diventava un vero e proprio dispositivo didattico.

a) Apprendere facendo

È proprio attraverso la pratica lavorativa svolta nei laboratori del cFP, proget-

tando, realizzando artefatti, montando, assemblando ecc., persino “martellandosi le

dita”, che i nostri partecipanti hanno potuto avvicinarsi in modo efficace anche ad

apprendimenti di carattere generale. Del resto, passando dal fare, gli apprendimenti

stessi acquistano una densità diversa da quella che assumerebbero “ridotti” allo

stato di puri compiti scolastici. Vediamo qui di seguito alcuni esempi:

quando si studia solo sul libro non si sa com’è la pratica; al cFP puoi metterti davanti a una macchina, imparare a guardarla, a toccarla. le persone non sono tutti dottori e avvo- cati; […] oggi tutti vogliono studiare e nessuno ha voglia di fare lavori manuali. in realtà l’esperienza la fai lavorando, non solo studiando; certi lavori li impari lavorando, facendo ogni giorno teoria e pratica insieme, sbagliando, martellandoti le dita e imparando a fare più attenzione; il meccanico l’esperienza se la fa lavorando: vede come tagliare il pezzo, impara il modo di legare le cose; oggi quello del meccanico non è più il mestiere di ven- t’anni fa, è un mestiere difficile, le macchine sono sempre più complesse […]. il cFP, a quei tempi, era l’unica scuola che aveva un po’ di pratica e un po’ di teoria […] e con la pratica si impara meglio. Al cFP ho imparato ad usare bene delle macchine che, almeno a livello di base, sapevo come funzionavano; […] dopo non le ho mai adoperate per il mio mestiere, ma, se oggi mi mettessi davanti a un motore, sarei ancora capace di schiacciare qualcosa e di fare qualcosa. Poi abbiamo fatto dei lavoretti di rifinitura e di questo ho avuto bisogno anche nell’arco della mia vita […]. Abbiamo imparato a usare il tornio e la fresa, ma imparavamo anche come sono fatti un motore, una pompa, un cilindro, un iniet- tore. c’è gente che va a scuola guida e non sa come è fatto un motore (intFoss2); il disegno era fatto in maniera molto approfondita ed era strettamente legato all’officina; spesso si faceva un disegno e poi si andava a realizzare il pezzo. queste sono cose che incidono. ho imparato da subito che il disegno non andava interpretato ma letto; infatti, quando la lettura è sbagliata, alla realizzazione del pezzo mancano delle quote. Allora si usavano solo inchiostro di china e matita; gli insegnanti pretendevano la pulizia, l’ordine; tutto serviva per farti capire che c’era bisogno di un decoro personale, che questo serviva per presentarti meglio ma anche per fare meglio il tuo lavoro; tutto era interconnesso […]. Al cFP mi hanno insegnato a fare il disegno, a progettare e a realizzare, perché puoi anche ideare un pezzo molto bello, ma, se alla fine non lo sai realizzare, non serve a niente […]. l’insegnamento al cFP è stato molto importante perché mi ha insegnato la teoria e la pratica interconnesse (intct5);

la trigonometria mi ha insegnato moltissimo, infatti, quando io ho cominciato a lavorare, il cAD-cAM non esisteva; allora, ti mettevi lì a calcolare e bene o male la trigonometria ti faceva lavorare. Se avevi la possibilità di andare in aziende dove c’erano degli investi- menti e trovavi il cAD-cAM, era diverso, ma chi non aveva la possibilità, riusciva a ri- cavare i punti con la trigonometria. quelle cose le ho imparate lavorando su macchine utensili manuali; una volta passato al controllo, sono stato agevolato (intFoss3);

per me quella del cFP è stata una bella esperienza, perché c’era da lavorare; mi piaceva la meccanica, mi piacevano le cose pratiche, più dello studio. Mi piaceva il fatto che al cFP lo studio venisse messo in termini di pratica sul lavoro; le altre scuole non mi piace- vano, perché erano troppo teoriche. il cFP è stata una scuola che ho trovato bella anche perché si muoveva in quello che era il mio campo; già da piccolino venivo nella fabbrica di mio padre a trafficare, a giocare, e in quella scuola mettevo in pratica quello che impa- ravo (intFoss7);

particolarmente importanti sono state le ore di tecnologia e di meccanica e tutti gli at- trezzi che ho usato in officina; adesso sento che tutto a portata di mano […]; ho avuto l’opportunità di usare tanti macchinari e anche in tecnologia ho fatto un programma vasto; ho usato anche l’autocad. Tutto quello che ho studiato e provato negli anni, l’ho poi usato nel lavoro e ringrazio di aver fatto questo percorso, perché mi è stato utile […]. Al cFP ho imparato a usare le macchine utensili, il tornio, la fresa, i trapani, le macchine a controllo numerico: si imposta il programma e poi la macchina ti fa il pezzo; ho impa- rato a saldare, ad assemblare i pezzi, a montare; […] abbiamo costruito diversi macchi- nari e, alla fine dei due anni, abbiamo costruito un centro di lavoro che faceva tutto in au- tomatico […]. Ma nella formazione ho imparato anche e soprattutto alcuni atteggiamenti che mi vengono utili adesso, sul lavoro; ad esempio, ci sono lavori che purtroppo non si fanno più, perché adesso si compra subito il pezzo nuovo; eppure, riparando il pezzo, fai risparmiare il cliente, risparmi tu, non sprechi soldi e materiali, non inquini. il concetto di aggiustare le cose e di non buttare niente l’ho imparato al cFP; oggi si fa ancora, anche se di meno, perché i tempi sono cambiati, si è sempre di corsa; io tutto questo l’ho imparato qui al cFP (intBra5);

del cFP ricordo innanzitutto la disciplina e la serietà; ricordo che a scuola si lavorava ve- ramente e c’era passione; essendo una scuola professionale, si studiavano meno le ma- terie teoriche e si faceva molta pratica; ogni giorno scoprivi e imparavi cose nuove […]. Facevo il montatore, però non avevo una cultura teorica, partecipavo alla costruzione dei vari pezzi, ma non riuscivo a capirne il funzionamento. A riempire questa lacuna è stato il cFP, in particolare don R., che mi ha fatto capire come si costruiva e a che cosa serviva un trasformatore. Tutto questo avveniva anche fuori dalle lezioni scolastiche (intct29).

Attraverso il lavoro, i nostri allievi di un tempo hanno imparato molto altro;

spesso hanno potuto recuperare anche i saperi propri delle discipline più teoriche,

agganciandoli appunto alla pratica, al laboratorio. nel lungo brano che segue, M.

(intFoss3), un artigiano piemontese di 38 anni, ricorda proprio come il lavoro ma-

nuale abbia affinato in lui la capacità di comprendere a fondo le cose

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:

mi occupo sia della produzione sia della parte amministrativa dell’azienda. Faccio un po’ di tutto, dal lavoro con le macchine utensili al preventivo, e curo anche il rapporto con i clienti. Per fare tutto questo devi saper lavorare anche manualmente. Fino a qualche anno, fa ho lavorato soltanto su macchine utensili, tornio e frese, adesso, sono subentrato a mio padre e quindi mi occupo un po’ di tutto il processo. Posso dire che, avendo delle basi di officina, mi viene più facile anche fare i preventivi e capire le cose. il cFP mi ha fatto co- noscere la fresatura, la rettifica; noi ragazzini potevamo fare un po’ di tutto, cioè un po’ di tornio, un po’ di fresa, un po’ di banco, di elettronica, di pneumatica; un po’ alla volta, ve- devamo i vari aspetti del lavoro. quando sono uscito dal cFP, abbiamo portato la fresatura anche qui in azienda; prima di allora, l’unica macchina utensile che avevamo era un tornio; la fresa è entrata nel 1993. Sono riconoscente al cFP, perché ho potuto fare l’esperienza delle macchine utensili manuali. il controllo è una bellissima cosa, è come un computer, però, quando devi fare due calcoli, li fai con la calcolatrice; farli a mano invece ti allena la mente; lo stesso vale per il tornio manuale che non ha la precisione di quello a controllo, ma richiede di saperci fare. Adesso si va solo sulle macchine a controllo numerico, mentre certi pezzi devono essere smussati e, sul tornio a controllo, non esiste la smussatura, esiste

9il legame tra pratica e comprensione profonda è un aspetto su cui torneremo anche più avanti,

solo il pezzo finito; ci sono però dei pezzi che hanno bisogno di un’ulteriore lavorazione a mano. Fra dieci anni nessuno sarà in grado di lavorare con una macchina manuale e questo è un peccato, fa perdere qualcosa di importante. Ricordo che al cFP i professori ci face- vano limare. la limatura è un grande rompimento di scatole, ma è la base, quello che ti permette di imparare ad adoperare lo strumento, a conoscere il pezzo. era bello vedere i professori che si dedicavano anche loro alla limatura. Adesso il pezzo esce finito dalla macchina e quindi non c’è l’esigenza di adoperare la lima, però ci sono certi lavori nei quali hai bisogno della lima, hai bisogno di saper lucidare un pezzo a mano. Se impari bene quello, diventa tutto più semplice: vai su un parallelo, serri il pezzo sul mandrino, fai la lavorazione; se non riesce, prendi la carta vetro; erano cose che ci insegnavano a scuola e che oggi mancano. Ad esempio, allora non esisteva il divisore automatico e, se dovevi fare otto fori a 360 gradi, col divisore manuale imparavi a dividere; c’erano dei calcoli che bisognava fare e che oggi non si fanno più. oggi i ragazzi, senza la calcolatrice, non sanno più fare i calcoli; il giorno che il pezzo non va a controllo, tutto si ferma. oggi, la matema- tica, la trigonometria, seno e coseno, non si sa più che cosa siano. io queste cose le co- nosco a memoria, i ragazzi che vengono qua no; mi dicono: “lo disegni sul cAD…”, “Ma stiamo scherzando? il cAD va benissimo, ma la trigonometria è trigonometria”; i ragazzi che ho di là, in officina, sono tutti bravi, però per far loro capire la trigonometria ho dovuto fare dei disegni che ogni tanto loro controllano. Fare un disegno con il cAD-cAM è molto bello, però bisogna anche saper fare il disegno cartaceo; se prendi un pezzo, sai dove va e quindi metti il colore giusto, con il cAD digiti le colorate e metti i colori a caso, non ti rendi conto; devi saper lavorare, prima di fare il disegnatore. Sul posto di lavoro, oggi i ra- gazzi stanno attaccati a una macchina che esegue un programma e prendono la calcolatrice per calcolare la tangente, per sapere qual è la profondità di uno smusso a 30 gradi ecc., ma a volte i clienti ti portano un pezzo e tu devi saperlo riprodurre su carta, quindi devi pren- dere le quote; non tutti lo sanno fare; noi lo imparavamo a scuola: ci mettevano un pezzo davanti e noi lo dovevamo quotare. i ragazzi di oggi non conoscono la composizione di un materiale; a noi insegnavano la scomposizione di un materiale; oggi puoi andare su in- ternet per saperlo, ma internet ti dà solo la composizione standard; se non sei in grado di tradurre le informazioni che trovi, non vai da nessuna parte (intFoss3).

M. sottolinea di aver potuto, attraverso il lavoro manuale, sviluppare vere e

proprie competenze professionali (efficacemente rese dall’espressione “saperci

fare”), che comportano l’orchestrazione di specifiche abilità di calcolo, abilità gra-

fiche, una conoscenza precisa dei materiali (che l’esercizio della limatura contri-

buisce a far sviluppare), ma anche atteggiamenti come l’attenzione ai dettagli e la

capacità di affrontare le criticità che possono presentarsi. Anche A. (intct12, cfr. la

storia n. 15 nella terza parte di questo lavoro) racconta che proprio attraverso il fare

ha potuto imparare la matematica concreta. Molti ex-allievi ci dicono insomma di

aver sperimentato quello che potremmo definire un approccio “manuale” alla cono-

scenza (Bertagna, 2011). Tra le righe leggiamo che, così come hanno imparato che

da un certo uso delle mani dipende la qualità di un lavoro ben fatto, allo stesso

modo hanno compreso che, anche attraverso la matematica e la lingua, si posso

fare un’infinità di cose.

b) Una didattica centrata sul laboratorio e sulla realizzazione di capolavori

Un’ulteriore declinazione della centratura sul fare è la sottolineatura del labo-

ratorio come ambiente di apprendimento. qui – ci dicono gli ex-allievi – diventava

possibile fare un’esperienza concreta di lavoro in un ambiente che però non era an-

cora quello lavorativo, ma quello protetto del cFP:

il laboratorio era alla base di tutta l’organizzazione salesiana. la teoria ci vuole, […] però la pratica è molto importante. i laboratori erano ben organizzati e, quando non ca- pivi una cosa, sempre ti veniva data una spiegazione supplementare […]. Ad esempio, nel mio settore, quello elettromeccanico, si studiavano prima gli impianti civili e indu- striali - ne studiavi il funzionamento, lo schema elettrico ecc. - e poi passavi anche a rea- lizzare il montaggio su dei pannelli che venivano creati dai professori; poi magari lo stesso quadro elettrico lo ritrovavi in una fabbrica e già sapevi dove mettere le mani. la stessa cosa in aggiustaggio, dove ci hanno insegnato a saldare, ad usare il trapano a co- lonna, a limare; il professore ti spiegava come andava forato e filettato quel pezzo di ferro e dopo te lo faceva fare in pratica; se sbagliavi, ti correggeva, se doveva rimprove- rarti, ti rimproverava, ma sempre a fin di bene (intct17);

sicuramente l’aspetto più significativo della nostra formazione era il laboratorio, dove fa- cevamo pratica; infatti una cosa era la teoria che spiegavano in classe, un’altra era la pra- tica e per noi le cose più importanti avvenivano in laboratorio (intct18);

degli anni del cFP mi è rimasto impresso il signor M., per la sua formazione e la sua se- rietà; insegnava disegno; mi sono rimaste dentro la sua voglia di fare e il suo modo di porsi, il fatto che fosse molto preparato. Anche c., che è ancora qui, metteva una grande passione nel lavorare; insegnava laboratorio e mi ha dato le basi per lavorare. D. aveva una gran voglia di lavorare, si metteva tra i ragazzi e questo mi è sempre piaciuto; anche io uso un po’ il suo metodo, anche perché abbiamo lavorato insieme due o tre anni; arri- vava sempre preparato, con una gran voglia di lavorare e di far lavorare; da noi ragazzi pretendeva il massimo e ci faceva lavorare parecchio e questo mi è rimasto dentro; era serio, preciso, arrivava in classe preparatissimo. quando lavoravamo insieme, stavamo ore e ore a preparare la lezione di officina. […] Trasmetteva anche ai ragazzi la voglia di imparare e di costruire cose complicate. quelle che facevamo con lui infatti non erano operazioni semplici; bisognava preparare la macchina e costruire l’attrezzatura per facili- tare il lavoro ai ragazzi; in sei ore dovevano fare un pezzo e allora cercavamo di metterli nelle condizioni di farlo. Poi c’erano anche undici, dodici macchine, e ogni macchina comportava un lavoro diverso; bisognava attrezzarle singolarmente e ci voleva parecchio tempo; nelle sei ore bisognava fare il lavoro e poi smontare l’attrezzatura perché poi ve- nivano gli altri ragazzi, in modo da fare un lavoro fatto bene (intBra4).

È proprio il laboratorio il fiore all’occhiello dei cFP salesiani, dove possono

avvenire “le cose più importanti” (intct18). G. (intBra4), che oggi è lui stesso for-

matore, oltre alla passione per il lavoro dei suoi formatori, su cui torneremo più

avanti, descrive la cura con cui venivano predisposte le attività di laboratorio. Si

trattava di costruire le condizioni operative perché gli allievi potessero misurarsi

con il fare, ma nello stesso tempo di essere sfidanti e di stimolare in loro il desi-

derio di “imparare a costruire cose complicate”.

com’è tipico della tradizione salesiana (Prellezo, 2010) da sempre molte

energie vengono dedicate al continuo aggiornamento dei laboratori e delle attrezza-

ture:

don B. è stato un punto di riferimento per quanto riguarda il reparto della meccanica, ha sempre battagliato per avere le macchine più moderne all’istituto (intct8);

quand’ero dai salesiani, c’era don G. che aveva fatto arrivare delle macchine dall’Ame- rica per il nostro laboratorio; a quel tempo era un po’ una novità, perché in giro non si trovava ancora niente (intFoss2);

il corso è stato come una prova per il lavoro, perché gli insegnanti ci hanno insegnato a lavorare sulle macchine stesse che poi trovavamo sul posto di lavoro […]. Dopo il cFP ho iniziato subito a lavorare in una piccola tipografia della provincia di catania; da lì c’è stato un crescendo di conoscenze nell’uso delle attrezzature, fino ad arrivare al mio la- voro di oggi, su una macchina che stampa multicolore; ma tutto questo è stato possibile grazie al corso, che per me è stato un’esperienza molto importante, un trampolino di lancio; grazie a quel corso, infatti, oggi posso lavorare su queste macchine (intct20); l’unica cosa che può aiutare i ragazzi che escono dal cFP è essere aggiornati, preparati al massimo per il mondo del lavoro, che oggi è tutta un’altra cosa rispetto a quello che era ai miei tempi. i miei formatori in questo sono stati attenti; anche quelli di oggi sono ag- giornati, anche se le attrezzature che ci sono nei laboratori sono un po’ vecchie; nel mondo della grafica si deve essere sempre super aggiornati (intct25).

Spesso nei cFP i nostri ex-allievi hanno potuto lavorare sulle stesse attrezza-

ture e macchinari che poi avrebbero trovato nelle aziende anche se, come ci ricorda

S. (intct25) non è facile tenere il passo dei cambiamenti tecnologici.

nel brano che segue, F. (intFoss5), che ha frequentato il cFP negli Anni ’60,

descrive bene la centratura sul laboratorio che caratterizzava tale offerta formativa:

la scuola mi ha aiutato a costruirmi le basi della tecnologia che a quel tempo era impor- tante. È stata una scuola dura, per il ritmo e gli orari; da esterno, facevo quindici chilo- metri, entravo all’istituto alle sette di mattino e uscivo alle sette di sera, per sei giorni alla settimana; uscire alle sette di sera, soprattutto d’inverno, arrivare a casa e magari avere ancora dei compiti da fare, delle lezioni da studiare, era un sacrificio; credo però che ne sia valsa la pena. oltre a favorire l’apprendimento delle materie scolastiche e tecniche, il cFP è stato una buona palestra e mi ha dato un insegnamento per la vita; è stato molto più facile, dopo, affrontare le difficoltà. Sono stati anni vissuti intensamente […]; si fi- niva a fine di giugno e si iniziava ai primi di settembre. era breve il periodo in cui uno poteva staccare la spina, anche se ai miei tempi “staccare la spina” voleva dire avere sempre un residuo di corrente elettrica, nel senso che non c’erano le possibilità di oggi, a livello economico, e, all’età di quindici o sedici anni, nel periodo estivo, si andava a la- vorare per guadagnarsi la pagnotta; era normale. Fin da bambino sono sempre stato por- tato per la meccanica: smontare la moto a mio papà, all’età di dodici anni, era una cosa normale per me. Trovarmi in questa scuola, dove c’erano almeno cinque ore di labora- torio al giorno per me era il massimo. Si era operativi, si sperimentava la costruzione di qualcosa, si aveva la soddisfazione di aver fatto qualcosa di importante. Tutto questo, ai nostri tempi, veniva molto valorizzato; ad esempio, noi, dal secondo o terzo anno, face- vamo motori e anche carrozzerie; ci sono state delle esperienze bellissime, come smon- tare dei motori, fare la rettifica dei trattori agricoli o del leoncino, fare operazioni di car-