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2. L’olivo: una coltura mediterranea

2.4. Impianto dell’oliveto

La scelta del sito d’impianto dell’oliveto dipende da diversi tipi di valutazioni ambientali, agronomiche e socio-economiche. Il clima, l’esposizione, il terreno, i limiti termici e le pendenze del terreno influenzano molto la quantità e la qualità delle produzioni di una determinata cultivar. I fattori vincolanti della scelta del sito d’impianto sono soprattutto i limiti termici, le anomalie del suolo e le pendenze eccessive del terreno. La collocazione d’impianto in un’agro-ecosistema ottimale senza dubbio riduce o elimina il rischio per le piante e riduce notevolmente i costi di gestione. Il contesto socio economico, paesaggistico ed l’obiettivo di mantenere l’equilibrio ambientale del sito scelto per l’impianto è molto importante perché può essere decisivo per il mantenimento o il ripristino dell’oliveto, soprattutto nelle zone collinari e su terreni terrazzati con più difficoltà per una produzione ottimale.

La scelta del sito d’impianto inizia con l’analisi del suolo, valutando i limiti fisici e chimici, la scelta della cultivar adatta al sito, la preparazione del terreno e la progettazione dell’oliveto.

Il progetto dell’oliveto ha lo scopo di determinare la distribuzione delle piante nell’appezzamento in modo da ottimizzare l’uso delle risorse (luce ed acqua), facilitare le operazioni di coltivazione e sfruttare razionalmente la superficie a disposizione62.

La densità e le distanze di piantagione devono essere scelte in modo di assicurare la massima capacità di intercettazione luminosa, mantenendo l’opportuna separazione tra le piante per evitare i fenomeni di ombreggiamento. L’orientamento dei filari ottimale è la direzione Nord-Sud. Il sesto d’impianto è la forma geometrica con cui le piante sono distribuite sul terreno. Le forme più comuni sono rettangolare, quadrata ed a quinconce. La densità di piantagione e le distanze d’ impianto dipendono molto dal tipo di sistema di coltivazione; si possono distinguere i sistemi estensivi ed intensivi. La tendenza negli ultimi anni in frutticoltura in generale è stata quella di aumentare il numero di piante per ettaro per incrementare la produttività, anche se si è rivelato che, dopo i primi vantaggi produttivi, un eccessivo aumento del numero di piante per ettaro si trasforma in un’eccessiva competizione tra le piante per luce, acqua e nutrienti, obbligando i coltivatori a drastici interventi agronomici.

Negli impianti con densità di piantagione troppo rada, invece, non sono utilizzate al massimo le potenzialità dell’oliveto e una buona parte della produttività si perde.

La densità di piantagione è molto variabile nei diversi paesi e tipi di coltivazione, oscillando dalle 20 piante/ha nelle zone arride della Tunisia, alle 400 piante/ha in alcune zone italiane, alle oltre 666 piante/ha in alcune nuove piantagioni spagnole63.

La densità ottimale media per le attuali cultivar allevate nelle condizioni di clima e terreno delle zone olivicole italiane si può valutare dalle 200 alle 400 piante/ha, con distanze di piantagione che variano da 6x8 m a 6x4 m e sesto d’impianto rettangolare64.

Ultimamente un particolare oggetto dei dibattiti tra gli esperti al livello internazionale sono gli oliveti superintensivi, un nuovo modello di olivicoltura tipicamente industriale. I costi di produzione sono bassi rispetto ad altri tipi di coltivazione e sono la principale ragione della nascita e dell’attuale successo commerciale di tale modello. Gli oli extra vergini ottenuti con questo tipo di produzione sono estremamente competitivi sul mercato internazionale. Attualmente nel mondo l’olivo superintensivo è coltivato su 25-30.000 ha, di cui oltre la metà in Spagna.

Il sistema superintensivo in Spagna è basato sull’impiego di 3 cultivar - Arbequina, Arbosana e Koroneiki - a ridotto sviluppo vegetativo in modo da essere impiegate con una densità di 1.600-2.000 piante/ha. I sesti d’impianto utilizzati sono: in Catalogna di 4 m tra le file e 1,50 m sulla fila, con densità d’impianto di oltre 1.600 piante/ha; in Andalusia, dove si registrano una maggiore luminosità e temperature medie più elevate, di 3,75 m × 1,35 m, con densità di circa 2.000 piante/ha. Le produzioni dichiarate per 1 ha di

oliveto sono dell’ordine di 30 q già al 3° anno di età delle piante e poi, a regime, di 80-120 q. Viene, inoltre, riferita una bassa incidenza dell’alternanza di produzione, per effetto della bassa produttività per singola pianta e del massiccio impiego di nutrienti65.

La durata economica dell’oliveto dovrebbe attestarsi sui 15 anni, dopo i quali l’oliveto andrebbe estirpato e quindi reimpiantato. La durata relativamente breve dell’oliveto produrrebbe maggiori guadagni per i vivaisti i quali potrebbero dedicarsi più attivamente a attività di selezione clonale e varietale per trovare cultivar sempre più adatte al sistema e alle richieste del mercato.

Le considerazioni negative che riguardano questo modello di coltivazione sono innegabilmente legate all’uso indiscriminato e illimitato degli agrochimici, senza tener conto del conseguente impatto ambientale. Le grandi quantità di concimi e fitofarmaci impiegate creano un effetto estremamente dannoso all’equilibrio dell’ecosistema e la salvaguardia della biodiversità. Si può osservare che questo modello di coltivazione è basato esclusivamente sulla logica economica e dei valori del mercato, e risulta spesso incompatibile con la tutela dell’ambiente.

L’altra considerazione negativa riguarda l’omologazione del paesaggio che diventa “globalizzato - standardizzato” e senza le caratteristiche tipiche ed uniche dell’identità riconoscibili di un territorio.

La terza considerazione negativa riguarda la desertificazione.

Essa si manifesta con "la diminuzione o la scomparsa della produttività e complessità biologica o economica delle terre coltivate, sia irrigate che non, delle praterie, dei pascoli, delle foreste o delle superfici boschive causate dai sistemi di utilizzo della terra, o da uno o più processi, compresi quelli derivanti dall'attività dell'uomo e dalle sue modalità di insediamento, tra i quali l'erosione idrica, eolica, ecc; il deterioramento delle proprietà fisiche, chimiche e biologiche o economiche dei suoli; la perdita protratta nel tempo di vegetazione naturale" (UNCCD, Art. 1.f).

Un esempio significativo si può osservare in regione spagnola di Andalusia, studiato da Gòmez:

“(…) solo il 39% degli oliveti sono situati su versanti con pendenze inferiori al 15%, classificate come “moderate” dalle statistiche regionali (Consejería de Agricultura y Pesca 2003). Del rimanente 61%, più della metà (35% della superficie ad olivo) si sviluppa su versanti con pendenze superiori al 25%. Queste aree montane, attualmente occupate da oliveti, sono antiche terre di foreste trasformate in superfici olivetate in diverse ondate a partire dalla metà del XIX secolo, sotto la spinta della crescente domanda di olio di oliva.

Per decenni, i terreni sono stati gestiti praticando lavorazioni leggere e facendo uso della trazione animale, o combinando la coltivazione di olivo con il pascolo, garantendo, in tal modo, interventi minimi sul terreno ed una buona copertura vegetale. L’avvento della meccanizzazione in agricoltura, avvenuta negli anni ’60, ha favorito la lavorazione intensiva lungo tutto l’arco dell’anno permettendo di mantenere il terreno libero dalle infestanti, ma al tempo stesso, ha esposto la superficie del terreno ad un eccessivo deflusso superficiale e quindi all’erosione

idrica (Gómez et al., 2002; Gómez et al., 2003). Il sedimento generato sulle superfici investite ad olivo, crea notevoli problemi a valle, ad esempio l’interrimento dei serbatoi (Junta de Andalucía, 2003), danni alle strade e contaminazione dei corsi d’acqua a causa dei pesticidi.66”

I produttori olivicoli della provincia di Cordoba negli ultimi anni si stanno orientando alla produzione biologica, contribuendo in questo modo alla riduzione del degrado dei suoli rispetto a quanto avveniva con i sistemi convenzionali. Questo esempio dimostra come il coordinamento tra l’intervento pubblico e il mercato orientato ad un aumento della redditività, raggiungibile attraverso migliori pratiche irrigue o l’integrazione delle cooperative, unitamente alle normative in materia agro-ambientale, possono notevolmente contribuire al miglioramento della sostenibilità della produzione olivicola.

Fig. 2.19. Oliveti a sesto irregolare (primo piano) e regolare (secondo piano), in Puglia. (Foto Dessì G.)

Fig. 2.20. Oliveto in terreno collinare sistemato a terrazzamenti in area periurbana di Sassari, Sardegna.

Fig. 2.22. Oliveto superintensivo sul terreno collinare in Alentejo, Portogallo.

Fig. 2.24. Il paesaggio di oliveti a sesto regolare, seminativi e sughereta in Alentejo, Portogallo.

Fig. 2.25. Oliveti in consociazione con le vigne sul terreno collinare terrazzato a Primosten, Croazia.