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Le implicazioni dello sviluppo economico

C APITOLO 1 A LCUNE QUESTIONI PRELIMINARI SUL TEMA DELLA DEFI NIZIONE DELLO SVILUPPO ECONOMICO

1.3. Le implicazioni dello sviluppo economico

Analizzare le conseguenze dello sviluppo economico nel contesto attuale significa con- siderare un altro fenomeno estremamente importante, quello della globalizzazione: lo sviluppo economico è infatti, nello stesso tempo, causa ed effetto del processo di globa- lizzazione.

Prima di procedere con le implicazioni dello sviluppo economico è opportuno definire il termine globalizzazione. Dal punto di vista economico possiamo far riferimento alla de- finizione proposta dal Fondo Monetario Internazionale, secondo cui per globalizzazione si intende “[…] la crescente interdipendenza economica tra Paesi realizzata attraverso

l’aumento del volume e delle varietà di beni e servizi scambiati internazionalmente, la crescita dei flussi internazionali di capitali e la rapida ed estesa diffusione della tecno- logia” (FMI, 1997, pag. 45).

In campo economico possiamo dire che il processo di globalizzazione, così come lo svi- luppo, ha preso il via con la rivoluzione industriale; tuttavia si è manifestato, e continua a manifestarsi, in modo disomogeneo sia dal punto di vista spaziale che temporale: nel corso del tempo si sono infatti alternate fasi di accelerazione, stasi e rallentamento; inol- tre non tutti i Paesi e i popoli hanno partecipato al processo di integrazione in modo uguale, alcuni ne hanno tratto benefico altri invece hanno passivamente subito (Targetti, Fracasso, 2008).

Un’importante accelerazione del processo si è avuta dopo la caduta dei sistemi a eco- nomia socialista: dapprima è stata interessata la finanza internazionale, con la libera cir- colazione dei capitali e con il collegamento in tempo reale tra le diverse piazze; il feno- meno si è poi esteso alle merci, condizionando pesantemente le recenti vicende dell’economia internazionale, investendo anche il mercato del lavoro.

Diversi sono i vantaggi che ha portato il processo di sviluppo economico: grazie alla di- visione internazionale del lavoro e alla maggior efficienza nell’allocazione del rispar- mio, si è registrato un aumento della produttività e della qualità della vita.

I sostenitori dello sviluppo economico e della globalizzazione sostengono che l’interazione tra questi processi porta ad una maggiore efficienza: la specializzazione produttiva comporta un incremento nella produttività e quindi un aumento del reddito (Figini, 2004).

Secondo questa impostazione i Paesi poveri si specializzano nella produzione di beni ad alta intensità di lavoro; mentre i Paesi più ricchi si specializzano nelle produzioni tecno- logicamente più avanzate. La maggior mobilità dei capitali fa si che si possano sfruttare al meglio le opportunità di profitto in qualsiasi mercato, consentendo un’allocazione più efficiente dei risparmi, anche grazie alla possibilità di accesso a un numero superiore di strumenti finanziari rispetto a quelli altrimenti disponibili in un contesto di scarsa inte- grazione finanziaria.

Grazie alla globalizzazione e al processo di sviluppo oggi i consumatori hanno a dispo- sizione una maggior varietà di prodotti e servizi provenienti dall’estero a costi contenu-

ti. Basti pensare che negli ultimi anni i flussi commerciali mondiali dei prodotti agricoli hanno visto un incremento verso i Paesi del Nord dei prodotti tropicali (Dematteis, Lan- za, Nano, Vanolo, 2010).

Questo commercio però ha importanti conseguenze sull’equilibrio economico dei Paesi del Sud del mondo: in molti Paesi in via di sviluppo una grossa quota del commercio in- ternazionale dipende dall’esportazione di un numero ristretto di prodotti (in alcuni casi dipende da un solo prodotto); ciò comporta una certa dipendenza alle condizioni del mercato e a quelle del clima. Un periodo caratterizzato da scarse piogge o da un calo dei prezzi sui mercati internazionali può tradursi in una grave crisi economica per i Paesi esportatori: le riserve valutarie in divisa estera si consumano velocemente e questo im- pedisce ai Paesi del Sud del mondo di pagare le importazioni dei beni primari, portando- li così in una situazione di debito. Sono 43 i Paesi in cui un singolo prodotto incide per più del 20% sul totale delle esportazioni1; la maggior parte di questi Paesi si trova nell’Africa sub-sahariana, in America Latina e nei Caraibi ed esportano zucchero, caffe, cotone e banane.

Diverse sono le critiche che vengono mosse nei confronti di questo processo: sul piano ambientale, economico e anche finanziario, senza dimenticare quello dei diritti umani. Prima di analizzare le critiche ritengo importante accennare ad una politica aziendale, adottata sia dalle multinazionali che dalle piccole e medie imprese, che ha risvolti nei diversi ambiti sopra elencati. Negli ultimi anni i Paesi con un’economia più sviluppata hanno basato sempre di più la loro produzione sulle alte tecnologie e sui servizi avanza- ti, contemporaneamente un numero crescente di attività produttive (quali il settore cal- zaturiero, tessile, automobilistico,…) sono state delocalizzate nei Paesi con economie in via di sviluppo o in transizione. Sul piano tecnico la delocalizzazione produttiva può at- tuarsi attraverso la costituzione di proprie filiali nei Paesi dove il costo del lavoro è più conveniente; tramite accordi di sub-fornitura con imprese specializzate che offrono parti componenti del prodotto finito a prezzi più vantaggiosi, mediante l’acquisizione di pac- chetti azionari di imprese che producono beni complementari, offrendo le migliori op- portunità (De Arcangelis, 2009).

I motivi che stanno alla base del processo di delocalizzazione sono strettamente econo- mici: riduzione dei costi di produzione, disponibilità di materie prime sul luogo, presen- za di mercati locali in forte sviluppo, agevolazioni e semplificazioni finanziarie, man- canza dei diritti sindacali, carenza delle misure per la protezione della salute e della si- curezza dei lavoratori nonché di salvaguardia dell’ambiente.

Tra i possibili costi dello sviluppo economico e dell’integrazione mondiale ritroviamo le crisi finanziarie internazionali, che hanno degli effetti reali devastanti: non è da condan- nare la liberalizzazione dei movimenti di capitale, che contribuisce ad una distribuzione del risparmio, ma questa può portare con se le crisi che sono tanto più ampie e profonde quanto più il sistema finanziario è interconnesso (Dinucci, 2004).

Anche da un punto di vista ambientale i problemi non mancano. Le imprese tendono in- fatti a delocalizzare la loro produzione in quei Paesi dotati di una legislazione in tema di tutela dell’ambiente molto permissiva: in molti Paesi non è necessario rispettare tutti quei parametri volti ad evitare vere e proprie catastrofi, quali la fuoriuscita di nubi tossi- che, l’avvelenamento dei fiumi, … (Dinucci, 2004).

Sono soprattutto i Paesi in via di sviluppo che attuano una “corsa al ribasso” nella defi- nizione degli standard ambientali al fine di essere più attrattivi, rispetto agli altri Paesi concorrenti, per le imprese straniere. La popolazione dei Paesi in via di sviluppo oltre a dover affrontare il problema della povertà si trova coinvolta anche in gravi disastri am- bientali, tra i quali troviamo la deforestazione e il degrado del suolo. Particolarmente minacciate sono le foreste tropicali del Sud America, dell’Africa e dell’Asia. Alla base di questo fenomeno ci sono spesso gli interessi della grandi compagnie nazionali e transnazionali che sfruttano intensivamente o distruggono le foreste per ricavare risorse (quali legname, monoculture, bestiame e minerali) destinate principalmente all’esportazione.

All’impatto distruttivo dei grandi interessi economici si aggiunge quello che deriva dal- la povertà: i contadini senza terra attuano il disboscamento per praticare l’agricoltura di sussistenza e il taglio degli alberi è l’unico modo per procurarsi legna, il principale o unico loro combustibile (Dinucci, 2004).

La degradazione del suolo è dovuta all’erosione idrica ed eolica, al degrado chimico e fisico, allo sviluppo della attività umane a all’aumento della popolazione; questo feno- meno si manifesta sotto molteplici aspetti tra cui ritroviamo la desertificazione, il disse- sto idrogeologico, la crisi idrica. La desertificazione consiste nel degrado delle terre nel- le zone aride, semi-aride e sub-umide secche (Dinucci, 2004). Particolarmente grave è la desertificazione in Africa provocata non tanto dalla densità demografica ma dal fatto che mentre le terre migliori sono spesso destinate alla colture commerciali per l’esportazione, l’agricoltura tradizionale destinata all’alimentazione e alla piccola pasto- rizia sono limitate alle terre aride con un ecosistema debole. Succede quindi che le po- polazioni rurali povere per sopravvivere sono costrette a sfruttare al massimo il terreno, accelerando in questo modo la degradazione del suolo.

Per quanto riguarda il dissesto idrogeologico possiamo dire che le zone in cui la degra- dazione del suolo è maggiore sono le più esposte al tale rischio, il quale innesca una ca- tena di effetti ambientali, economici e sociali, tanto più gravi quanto più povera è la po- polazione colpita (Dinucci, 2004).

Le risorse idriche rinnovabili sarebbero in teoria sufficienti ad assicurare alla popola- zione mondiale una quantità maggiore rispetto al necessario di acqua dolce. Tuttavia, a causa del crescente consumo di acqua e dell’ineguale distribuzione geografica, la dispo- nibilità idrica pro capite è in forte calo in numerosi Paesi. Oltre al problema quantitativo va aggiunto anche quello qualitativo: la contaminazione dell’acqua è particolarmente grave in quelle regioni economicamente meno sviluppate, dove le acque di superficie e quelle sotterranee sono sempre più inquinate dalle acque nere non depurate dei centri urbani, dagli scarichi industriali, dai fertilizzanti e dai pesticidi (Dinucci, 2004).

Questo problema colpisce soprattutto la popolazione povera, che si serve dell’acqua in- quinata a fini alimentari. Le conseguenze sanitarie che ne derivano, come si può ben immaginare, sono devastanti.

Particolarmente pericolose sono le sostanze chimiche organiche sintetiche delle indu- strie che finiscono nei fiumi, nei laghi e nelle falde acquifere; per quando riguarda inve- ce quelle sostanze immesse nell’atmosfera, queste ricadono sul terreno sotto forma di pioggia, contaminando così le risorse idriche. Queste sostanze chimiche molto pericolo- se si accumulano nelle acque e negli animali che vi abitano, e raggiungono l’uomo at-

traverso la catena alimentare provocando gravi forme tumorali, rallentamenti della cre- scita, disturbi alla memoria (Dinucci, 2004).

Lo sviluppo economico raggiunto attraverso la globalizzazione è stato fortemente criti- cato da numerosi intellettuali e dalle Organizzazioni internazionali che sostengono il ri- schio di un peggioramento del divario economico tra il Nord e il Sud del mondo (Osualdella, s.d.).

Coloro che contestano il processo di sviluppo economico e quello di globalizzazione so- stengono che questi facciano gravare sui Paesi poveri un impoverimento sempre mag- giore, mentre diano dall’altra parte un maggior potere alle multinazionali, favorendo lo spostamento della produzione dai Paesi più industrializzati verso i Paesi in via di svi- luppo, caratterizzati da salari più bassi e da una minor protezione dei diritti umani. Que- sto spostamento della produzione inoltre non porta alcun beneficio reale alla popolazio- ne locale, anzi ne distrugge gran parte dell’economia.

In un primo momento sembrava che i Paesi in via di sviluppo potessero essere protago- nisti di un formidabile processo di accelerazione, tale da portare ad una riduzione del gap con le economie sviluppate. Tuttavia, nonostante l’accresciuta importanza di alcuni Paesi asiatici, il dominio del mercato globale rimane nelle mani della triade Stati Uniti- Europa-Giappone, e la maggior parte degli investimenti è concentrata in alcune aree del mondo, mentre altre sono completamente escluse (Osualdella, s.d.).

La globalizzazione non “distrugge” solo l’economia dei Paesi in via di sviluppo, ma se- condo alcuni intellettuali porta alla deindustrializzazione delle economie dei Paesi ricchi (Osualdella, s.d.). Da una parte la struttura produttiva viene riorganizzata in base a delle nuove tecnologie tali da garantire un aumento della produttività riducendo il numero di occupati e quindi il costo del lavoro. Dall’altra parte si assiste ad una crescente produ- zione di beni proveniente dai Paesi a basso costo del lavoro e ciò provoca la perdita dei posti di lavoro all’interno dei Paesi industrializzati e maggiormente colpiti sono i lavo- ratori dotati di capacità inferiori.

Contemporaneamente la globalizzazione sarebbe causa di effetti negativi anche all’interno delle economie più povere in quanto incentiva l’utilizzo del lavoro giovanile che spesso assume la forma di sfruttamento. La causa fondamentale del lavoro minorile è la povertà: per le famiglie povere il contributo offerto dal reddito di un bambino che

lavora può fare la differenza tra la fame e la sopravvivenza (Dinucci, 2004). Nel docu- mento prodotto in seguito alla Conferenza di Oslo del 1997 compare una frase che ben descrive questo fenomeno: “… lo sfruttamento del lavoro minorile è al tempo stesso

conseguenza e causa della povertà. Le strategie volte alla riduzione e alla eliminazione della povertà devono, dunque, necessariamente occuparsi di questo problema”2.

Il lavoro minorile può assumere diverse forme, tra cui il lavoro nelle piantagioni: i bam- bini sono esposti senza alcuna precauzione ai pesticidi, ai morsi di serpenti, alle mutila- zioni provocate dagli utensili agricoli, all’umidita e al freddo. Se invece i bambini lavo- rano in miniera, in fabbrica o nello fornaci allora sono costretti a sopportare temperature che non di rado arrivano a toccare i 45°, sono costretti ad inalare sostanze chimiche no- cive o ad essere vittime di incidenti provocati dalla mancanza delle norme di sicurezza (Dinucci, 2004).

Incoraggiare in modo diretto o indiretto il lavoro minorile significa favorire la propaga- zione di gravi problemi nei Paesi in via di sviluppo. I minori percepiscono una retribu- zione più bassa rispetto agli adulti, i cui salari sono influenzati proprio dallo sfruttamen- to minorile: con l’entrata nel mercato del lavoro dei minori si registra un aumento dell’offerta e questo aiuta a mantenere bassi i salari. Vi è anche il rischio che i salari dei minori facciano concorrenza a quelli percepiti dai lavoratori in altre parti del mondo: i produttori potrebbero approfittare dei bassi costi di manodopera per trarre dei benefici economici e utilizzare, in modo diretto o indiretto, il lavoro minorile per la propria pro- duzione. Questo porta a un disincentivo ad investire nelle nuove tecnologie, quindi la domanda per l’istruzione diminuirà e sarà sempre più difficile, se non impossibile, in- trodurre delle leggi che stabiliscano un età minima per accedere al mercato del lavoro e l’istruzione obbligatoria. Incoraggiare lo sfruttamento minorile danneggia il capitale umano sia della generazione presente sia quello della generazione futura; inoltre contri- buisce a mantenere alto il livello di povertà. Impedire ai bambini di andare a scuola comporta una grave perdita sia per il minore stesso ma anche per la società nel suo complesso. A tal proposito John Stuart Mill afferma che: la comunità intera soffrirebbe delle conseguenze dell’ignoranza e del desiderio di istruzione dei cittadini3.

2 Conferenza di Oslo sul lavoro infantile organizzata dall’UNICEF il 27-30 ottobre 1997, pag. 1,

Il legame povertà–lavoro minorile può essere sintetizzato in quello che Basu chiama “trappola del lavoro minorile”4: se i genitori hanno un reddito bassissimo obbligano i figli a lavorare per l’intera giornata, impedendoli in questo modo di frequentare la scuo- la. Il fatto che i figli non ricevano un’istruzione adeguata non permette loro di acquisire delle competenze e anche da adulti riceveranno un salario basso, quindi si vedranno co- stretti, a loro volta, a mandare i propri figli a lavorare da bambini.

Le conseguenze del lavoro minorile non sono solamente economiche, non di rado infatti lo sfruttamento può causare deformazioni fisiche e problemi di salute a lungo termine: le punizioni corporali e lo sfruttamento sessuale sono collegati al lavoro minorile. È difficile valutare in linea generale quali siano i benefici netti derivanti dal processo di sviluppo economico e dalla globalizzazione. Possiamo dire che questi processi ha inte- ressato un gran numero di Paesi e hanno consentito alle economie dei Paesi in via di sviluppo di aumentare il loro peso all’interno del sistema economico mondiale; oggi in- fatti questi Paesi non sono ancorati solo al settore agricolo ma partecipano alla produ- zione dei beni manufatti anche grazie al processo di delocalizzazione attuato dalle mul- tinazionali e dalle piccole e medie imprese dei Paesi ricchi. Inoltre possiamo affermare che non e possibile sostenere che il processo di sviluppo, ed in particolare la globalizza- zione, siano la causa della povertà, ma senza ombra di dubbio l'hanno resa più evidente. Inoltre l’aumento dello sviluppo economico nei Paesi sviluppati avviene a scapito di quello dei Paesi in via di sviluppo, da intendersi non solo dal punto di vista economico ma anche, e soprattutto, ambientale, sociale, della dignità umana, ... .