• Non ci sono risultati.

Il Prodotto Interno Lordo e i suoi limit

C APITOLO 1 A LCUNE QUESTIONI PRELIMINARI SUL TEMA DELLA DEFI NIZIONE DELLO SVILUPPO ECONOMICO

1.4. Come si misura lo sviluppo economico

1.4.1. Il Prodotto Interno Lordo e i suoi limit

Per calcolare lo sviluppo e la crescita economica si utilizzano rispettivamente il Prodot- to Interno Lordo pro capite e il Prodotto Interno Lordo.

Negli anni ‘30, in seguito alla Grande Depressione, l’economista Simon Kuznets intro- dusse, con il fine di ottenere informazioni sintetiche sull’economia, il PIL come indica- tore del progresso. Tuttavia già negli anni ‘60 affermò come “bisogna considerare e di- stinguere tra quantità e qualità della crescita, tra costi e ricavi, e tra breve e lungo perio- do. […] L’obiettivo di una maggior crescita dovrebbe sempre specificare quali aspetti della crescita si vogliono monitorare” (Lara, 2010, pag. 52).

Oggi il PIL può essere definito come il valore dei beni e dei servizi finali prodotti dagli operatori nazionali o stranieri, purché all’interno dello Stato considerato.

Il punto di forza di questo indicatore sintetico è quello di saper fornire una panoramica dell’economica nel suo insieme, indicando se essa si trova in una fase di espansione o di recessione, e proponendo quali eventuali misure di politica economica dovrebbero esse- re adottate per stimolare l’economia stessa.

Nel 1968 Robert Francis Kennedy, candidato alla presidenza degli Stati Uniti, in un di- scorso tenuto all’Università del Kansas relativamente al Prodotto Interno Lordo disse:

“Non troveremo mai un fine per la Nazione né una nostra personale soddi- sfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell'ammassare senza fine beni terreni.

Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell'indice Dow- Jones, né i successi del Paese sulla base del Prodotto Interno Lordo. […] Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l'intelligenza del nostro dibattere o l'onestà dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell'equità nei rapporti fra di noi.

Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro Paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita vera- mente degna di essere vissuta.

Può dirci tutto sull'America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani.”5

Prendiamo spunto da queste parole per riflettere sull’effettiva capacità del PIL di misu- rare il livello di benessere di una popolazione, tenendo in considerazione che l’economia e le società odierne sono profondamente diverse rispetto a quelle di quando è stato istituito il PIL.

Questo indicatore misura la produzione destinata al mercato, e nonostante sia ricono- sciuto come inadatto a misurare il benessere, viene comunque usato da politici, giornali- sti e da alcuni analisti economici, per analizzare e commentare il benessere di una Na- zione. Così come il PIL non indica il benessere, anche il suo tasso di variazione annuo non può essere usato come misura di sviluppo: l’aumento del PIL rispecchia la crescita economica (concetto puramente quantitativo), mentre con il termine sviluppo si fa rife- rimento ad un processo di trasformazione che interessa vari livelli del sistema economi- co e della società, cambiamenti volti a favorire l’aumento del benessere comune. Conti- nuare a misurare lo sviluppo attraverso il PIL significa che lo scopo della politica altro non è se non la crescita continua e indiscriminata dell’economia di mercato.

Tra i limiti del PIL (Cheli, 2003) troviamo l’arbitrarietà con cui è stato deciso di inclu- dere determinate attività ed escluderne altre, in base a delle definizioni, a loro volta arbi- trali, di cosa sia attività produttiva e cosa non sia.

Questo indicatore statistico è una media, pertanto non dice nulla sulla distribuzione (Cheli, 2003). Se abbiamo due Paesi, il Paese (1) e il Paese (2), e il Paese (1) ha un PIL maggiore del Paese (2), siamo portati a dire che il Paese (1) vive in una situazione mi- gliore. Tuttavia l’indicatore che stiamo usando non ci dice nulla sulla disuguaglianza economica e sulla povertà, che sono invece importanti quando si va ad analizzare un Paese.

Il PIL incorpora solo gli scambi monetari , cioè il valore dei servizi prestati in cambio di un pagamento, quindi considera solo quelle attività che passano attraverso il mercato; inoltre il benessere fornito da un certo bene o servizio prodotto è misurato attraverso il prezzo di mercato, indipendentemente dalla sua qualità, questo significa che se una somma di denaro viene usata per acquistare beni di prima necessità contribuisce al be- nessere nello stesso modo dell’acquisto di sigarette o armi. Vengono così poste sullo stesso piano attività dal diverso “contenuto etico” (Cheli, 2003).

Il PIL non considera il valore del tempo libero (Cheli, 2003): se la produzione diminui- sce perché la gente preferisce lavorare meno, questo non significa che la società stia peggio, considerando che la scelta di dare più spazio al tempo libero viene fatta volonta- riamente dalle persone al fine di aumentare il loro benessere.

Infine non attribuisce valore alle risorse ambientali: se due industrie attuano lo stesso tipo di produzione ma una impiega una tecnologia pulita, mentre l’altra utilizza tecnolo- gia inquinante, dal punto di vista del PIL, uguali quantità di prodotto apportano lo stesso contributo al benessere. I danni causati all’ambiente e alla salute delle persone non sono infatti considerati nel calcolo del PIL (Cheli, 2003).

Nell’analizzare le implicazioni dello sviluppo economico sono stati forniti diversi esempi che denotano come molto spesso l’aumento del PIL (soprattutto dei Paesi svi- luppati) avvenga a scapito di altri aspetti fondamentali nel contribuire al benessere di una nazione e di ogni singolo individuo: ambiente, sicurezza, tempo libero, rispetto dei diritti umani, possibilità di condurre una vita dignitosa, … .

Cercare quindi di includere in un indicatore statistico la percezione che i cittadini hanno del benessere, della qualità della vita, del fattore ambientale e dell’inquinamento è un qualcosa di fondamentale.

A luce di questo obiettivo si sono svolte nel corso del tempo riunioni estremamente im- portanti.

Nel 1987 la Commissione Mondiale per l’Ambiente e lo Sviluppo ha introdotto con il rapporto Brundtland un nuovo modello di sviluppo, definito “sostenibile”. Il rapporto definisce il concetto di “sviluppo sostenibile” e quali sono le azioni per realizzarlo, sot-

tolineando la necessità di rivedere i nostri modi di vivere e quelli di governare (Lara, 2010).

Secondo quanto contenuto nel rapporto Brundtland per “sviluppo sostenibile” si intende “far sì che esso soddisfi i bisogni dell'attuale generazione senza compromettere la ca-

pacità di quelle future di rispondere alle loro. […] Lo sviluppo sostenibile, lungi dall'essere una definitiva condizione di armonia, è piuttosto processo di cambiamento tale per cui lo sfruttamento delle risorse, la direzione degli investimenti, l'orientamento dello sviluppo tecnologico e i cambiamenti istituzionali siano resi coerenti con i bisogni futuri oltre che con gli attuali”6.

Secondo la definizione data nel rapporto Brundtland, lo sviluppo per essere sostenibile deve venire incontro ai bisogni delle generazioni presenti senza compromettere la capa- cità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni.

Si prende così atto che la sola crescita economica non è sufficiente per risolvere i pro- blemi mondiali: l’ambito economico, così come quello sociale e ambientale sono stret- tamente collegati gli uni agli altri. Concentrarsi solamente sui profitti può infatti portare a gravi squilibri sociali e ambientali di lungo periodo, tuttavia tutelare l’ambiente e for- nire servizi ai cittadini dipende anche dalle risorse economiche (Lara, 2010).

Parlare di sviluppo sostenibile significa anche pensare, agire e coordinare azioni globali: i problemi infatti sono solo raramente limitati ad ambiti circoscritti. È quindi fondamen- tale coordinare tre aspetti fondamentali: società, economia e ambiente; perché l’ambiente, i cittadini e i sistemi economici sono tra di loro in relazione. Da una parte quindi si può sostenere che l’aspetto storico, economico e politico di ogni Paese è unico, tuttavia i principi fondamentali che regolano uno sviluppo sostenibile valgono univer- salmente: la crescita economica è essenziale, ma deve essere accompagnata dal miglio- ramento della qualità della vita, da un innalzamento dei livelli d’istruzione, da un au- mento della speranza di vita alla nascita (Lara, 2010).

Ecco quindi che già nel 1987 la comunità internazionale si è soffermata a riflettere su cosa sia effettivamente il benessere e lo sviluppo al di là di ragioni strettamente econo- miche.

6 Commissione Mondiale per l’ambiente e lo sviluppo, “Il futuro di tutti noi”, Bompiani, Milano, 1988,

Un altro intervento estremante importante nell’evidenziare il ruolo limato del PIL è stata la conferenza “Beyond GDP” (2007), organizzata dalla Commissione europea insieme ad altre istituzioni7, che ha messo in evidenza la necessità di elaborare degli indici stati- stici migliori al fine di poter progettare migliori politiche e dibattiti economici. Obietti- vo della conferenza è stato quello di mettere a fuoco il concetto di progresso, ricchezza e benessere, discutendo con quali indicatori misurare queste grandezze (Lara, 2010). Nel 2008 il presidente francese Sarkozy ha incaricato diversi economisti di fama mon- diale, presieduti da Stiglitz, Amartya Sen e Jean-Paul Fitoussi, di costituire una com- missione, la “Commissione per la misurazione delle performance economiche e del pro- gresso sociale”, con lo scopo di analizzare le misure delle prestazioni economiche e del progresso sociale.

Il 14 settembre 2009 è stato presentato il rapporto conclusivo che contiene 12 racco- mandazioni da seguire per ottenere degli indici migliori al fine di misurare le perfor- mance economiche dell’economica. Queste indicazioni sottolineano la necessità di foca- lizzare l’attenzione non tanto sulla produzione dell’economia bensì sul benessere delle persone, da intendersi sotto un aspetto multidimensionale (reddito, ricchezza, salute, istruzione, relazioni sociali, ambiente, sicurezza, …).

Nonostante questi interventi e questi gruppi di lavoro, ad oggi non c’è un accordo su come aggregare i vari fattori che influenzano il benessere, anzi la maggior parte degli economisti sostiene la necessità di sviluppare una serie di indicatori al fine di misurare lo sviluppo.

1.4.2. Gli indici alternativi al PIL: l’Indice di Sviluppo Umano, l’Indice della Po-