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Le teorie dello sviluppo

C APITOLO 1 A LCUNE QUESTIONI PRELIMINARI SUL TEMA DELLA DEFI NIZIONE DELLO SVILUPPO ECONOMICO

1.2. Le teorie dello sviluppo

L’avvio della “rivoluzione industriale” è un avvenimento storico estremamente impor- tante perché segna l’inizio dello sviluppo economico moderno; a partire da questo even- to il sistema economico mondiale ha sperimentato fenomeni di internazionalizzazione e globalizzazione, che hanno accentuato le differenze fra i Paesi in termini di ricchezza, tecnologia e processi di sviluppo.

Nel corso della storia troviamo altri fatti che interagiscono con lo sviluppo economico; in particolare con la fine della Seconda Guerra Mondiale entrano a far parte del lin- guaggio economico due termini importanti: “crescita economica” e “sviluppo economi- co”. Molto spesso queste due espressioni vengono usate come sinonimi, tuttavia con il termine “sviluppo” si fa riferimento alle trasformazioni qualitative (ad esempio cam- biamenti istituzionali, sociali e politici), mentre con il termine “crescita” ci si riferisce ad aspetti quantitativi. Infatti l’aumento della ricchezza di un Paese esprime un processo di crescita ma non necessariamente di sviluppo (Zupi, 2007).

Secondo un’impostazione strettamente economica, si contrappongono i Paesi con un’economia avanzata e quelli con un’economica arretrata, quindi si può dire che lo svi- luppo è il passaggio da un’economia arretrata ad un’economia avanzata (Zupi, 2007).

Un altro evento importante è la fine del processo di decolonizzazione, con il quale sono emersi nello scenario globale gli Stati deboli del Terzo mondo; questa situazione ha sol- levato il problema dello sviluppo e del sottosviluppo, e cioè la questione delle differen- ze relative alle performance e capacità economiche, sociali e politiche che contraddi- stinguono Stati simili (Zupi, 2007).

In questo contesto storico lo sviluppo è diventato un obiettivo da raggiungere al fine di migliorare la situazione socio-economica dei Paesi che hanno appena ottenuto l’indipendenza, tramite la modernizzazione, la liberalizzazione del commercio interna- zionale e l’intensificarsi delle relazioni Nord–Sud.

Da un punto di vista qualitativo sviluppo significa raggiungere un’economica avanzata, uscire cioè da un agricoltura di sussistenza per approdare ad un’economica di mercato, grazie ad un processo di industrializzazione; dal punto di vista quantitativo sviluppo si- gnifica raggiungere determinati standard economici (livello del reddito nazionale, pro- duttività, tasso degli investimenti) (Vanolo, 2010).

Nel pensiero economico possiamo individuare diverse “teorie dello sviluppo”, ovvero quelle teorie che spiegano lo sviluppo della società, cioè come il desiderabile cambia- mento, economico e non solo, possa essere realizzato nel modo migliore.

TABELLA N°1.LE TEORIE DELLO SVILUPPO ECONOMICO

Teorie Ortodosse Teorie Eterodosse

1980 Teoria della crescita endogena

1970 Teoria neo–liberale Teoria del Sistema mondo

1960 Teoria della Modernizzazione

Teoria dell’Indipendenza 1950 Teoria Neo-Classica

1940 Teoria Keynesiana

1910 Teoria dell’imperialismo

1750 Classici Marx

Fonte: PhD student in Political Studies, University of Milano, “L’economia dello svi- luppo tra Modernizzazione e Dipendenza” di Debora Valentina Malito

1.2.1. La teoria della modernizzazione, del sistema-mondo e della dipendenza

In letteratura troviamo un gran numero di studi che indagano sul rapporto tra sviluppo e sottosviluppo, e che cercando quindi di capire perché alcuni Paesi hanno intrapreso la via della crescita economia mentre altri sono a livelli decisamente inferiori, come lo è l’Africa Sub-Sahariana.

Non rientra tra i nostri obiettivi quello di analizzare in maniera approfondita le teorie delle sviluppo, ma ci concentriamo solamente su tre di queste che meglio ci consentono di inquadrare il tema del minor sviluppo economico dell’area sub-sahariana.

La teoria della modernizzazione nasce negli Stati Uniti con la fine della Seconda Guerra Mondiale, e cerca di studiare i problemi e le difficoltà che devono essere affrontati dai Paesi meno sviluppati al fine di elaborare delle strategie efficaci di crescita economica e di stabilità politica.

Il lavoro più noto ed esplicativo di questa teoria è il modello evolutivo delle società proposto da Rostow (1960), secondo cui lo sviluppo dei diversi Paesi avviene attraverso cinque stadi successivi che portano alla modernità (Vanolo, 2010):

1. Società tradizionale. È caratterizzata da scarse conoscenze tecnologhe, tanto che

la scienza è sostituita dalla superstizione.

2. Condizioni preliminari per il decollo. Condizioni necessarie al decollo, che si svi-

lupperà nel corso di 10-15 anni, sono lo sviluppo di strutture per l’istruzione e la formazione, l’accumulazione del capitale, la crescita della struttura dell’impresa e della classe imprenditoriale.

In questa fase si diffonde “l’idea che il progresso economico non sia solo possibi- le, ma che esso sia una condizione necessaria per qualche altro scopo, ritenuto buono, si chiami esso dignità nazionale, profitto privato, benessere generale, o una vita migliore per i figli” (Vanolo, 2010, pag. 39).

3. Decollo. Si ha la trasformazione delle strutture sociali e culturali, che nel giro di

50-100 anni assomiglieranno a quelle moderne.

4. Passaggio alla maturità. Con la crescita economica diventa necessaria la diversi-

ficazione delle attività produttive; e proprio la costruzione di strutture maggior- mente diversificate aiuterà a ridurre gli squilibri e la povertà.

5. Società dei consumi di massa. È la tipica struttura della società occidentale, basa-

ta sulla produzione e sul consumo di beni ad alto valore aggiunto.

Con il termine modernizzazione si intende quindi quell’insieme di cambiamenti e di mutamenti che avvengono su larga scala e che coinvolgono una determinata società, modificandone le strutture e i modelli di organizzazione sociale e territoriale.

Partendo da questa definizione si nota come il concetto di modernizzazione sia legato a quello di sviluppo economico, il quale rappresenta un processo di mutamento e di cre- scita della capacità produttiva (sia tecnologica che organizzativa); sono proprio questi cambiamenti che hanno permesso alla maggior parte della popolazione di poter usufrui- re di una quantità di beni e servizi maggiore e migliore rispetto al passato, inoltre hanno cambiato in modo profondo le strutture, le istituzioni economiche, i modi di pensare, gli stili di vita e le aspettative.

Da un punto di vista delle politiche di crescita, i Paesi del Sud del mondo devono in qualche modo industrializzarsi; da un lato quindi troviamo le attività economiche “tra- dizionali” (agricoltura di sussistenza), mentre dall’altro troviamo le attività “moderne” (agricoltura commerciale e di piantagione, attività minerarie e industria manifatturiera). Secondo l’economista Lewis (Vanolo, 2010) per avere “sviluppo” ci deve essere il pro- gressivo passaggio del surplus di lavoro da attività legate al settore tradizionale verso attività capitalistiche. Tuttavia nelle società rurali non esiste una quantità significativa di surplus lavorativo, quindi il processo di urbanizzazione e di migrazione dalla campagna verso la città sono i presupposti dello sviluppo.

Inoltre affinché il processo di industrializzazione prenda il via sono necessari investi- menti di capitali, difficili però da reperire nelle società povere. Proprio per questo moti- vo Lewis introduce l’idea “dell’industrializzazione su invito”, ovvero dell’importanza di attrarre capitale straniero per avviare processi di sviluppo. L’applicazione di questa idea ha portato molti Paesi del Sud del mondo ad introdurre incentivi fiscali per le imprese straniere (Vanolo, 2010).

Infine secondo questa impostazione, il sottosviluppo è causa di ostacoli endogeni (man- canza di risorse, passato storico, attitudini economiche, …), indipendentemente dai fat- tori geografici che caratterizzano un Paese (Vanolo, 2010).

La teoria della dipendenza si basa sul presupposto che i Paesi del mondo siano divisi in due categorie: gli Stati che “hanno capitale e conoscenza” e gli Sati che “non hanno ca- pitale e che vengono sfruttati”. Questa teoria si fonda sull’idea che gli effetti del colo- nialismo sui Paesi meno sviluppati si manifestino e pesino sulla capacità di generare nuovo sviluppo (Vanolo, 2010).

La relazione fra i Paesi del Nord e del Sud del mondo si basa su un meccanismo di di- pendenza, quindi le condizioni di sottosviluppo dei Paesi più poveri possono essere comprese esclusivamente attraverso l’analisi di funzionamento del sistema capitalistico mondiale nel suo complesso.

Proprio in base al grado di sviluppo si distinguono due categorie di Paesi: le “metropo- li” industrializzate che dominano la “periferia” sottosviluppata attraverso l’appropriazione del surplus prodotto in quest’ultima; per questo motivo nella periferia troverà il via lo “sviluppo del sottosviluppo”.

L’economista Frank chiarisce come la contraddizione sviluppo-sottosviluppo “non esi- ste solo fra la metropoli del mondo capitalistico e i Paesi satelliti periferici, ma può veri- ficarsi anche fra regioni interne a questi Paesi, fra città e centri industriali in rapido svi- luppo e aree agricole in ritardo o in declino” (Vanolo, 2010, pag. 44).

Quindi i Paesi caratterizzati da un’ampia dotazione di risorse tendono ad accrescere il proprio vantaggio, mentre i Paesi che basano il proprio sviluppo sull’utilizzo delle risor- se naturali vedono, con il passare del tempo, una contrazione dei vantaggi. Dal punto di vista commerciale questo implica un vantaggio per i Paesi del Nord del mondo (il lavo- ro e i capitali investiti vengono remunerati maggiormente, perché le condizioni generali della produzione, non essendo riproducibili o esportabili, permettono di produrre beni e servizi maggiormente qualificati); mentre i beni prodotti nel Sud del mondo sono sem- plici, perché privi di una tecnologia moderna. Questi Paesi per sopravvivere devono di- minuire le remunerazioni dei fattori locali rispetto al caso in cui gli stessi fattori siano impiegati in produzioni più qualificate.

I Paesi del Nord del mondo acquistano merci da quelli del Sud pagando un costo infe- riore dei fattori produttivi rispetto a quello sostenuto nel caso le merci fossero prodotte internamente. Dall’altra parte i Paesi del Sud importano dai Paesi ricchi delle merci pa- gando un prezzo superiore. Si ha così un aumento del divario fra le due realtà.

Negli anni ‘70 Immanuel Wallerstein (Vanolo, 2010) elabora la teoria del “sistema- mondo”, individuando una struttura tri-modale:

* Centro. Comprende qui Paesi che rappresentano il “cuore” del processo di accu-

mulazione capitalistica. È caratterizzato da intense relazioni funzionali, quindi si realizza più efficacemente la circolazione e lo scambio di idee, servizi, informa- zioni, …

* Semi-periferia. È costituita da aree di recente industrializzazione o di transazione

economica, dipendenti dal punto di vista tecnologico, finanziario e decisionale dal centro.

* Periferia. Comprende un ampio insieme di territori economicamente arretrati,

fonti di materie prime, prodotti agricoli e forza lavoro a basso costo. Le relazioni funzionali sono sporadiche e limitate a funzioni specifiche. La periferia è caratte- rizzata dalla povertà diffusa, dall’instabilità politica, dall’arretratezza tecnologica. Wallerstein rifiuta l’idea di un “Terzo mondo”, sostenendo che esiste solamente un mondo connesso attraverso una complessa rete di relazioni di scambio, che riguardano il capitale, il lavoro e l’accumulazione. I percorsi di sviluppo dei Paesi non sono quindi autonomi, ma sono definiti dal percorso storico e dalle condizioni geografiche. I rappor- ti di dominanza, secondo l’economista, sono storicamente dinamici: alcuni Paesi, nel corso della storia, potranno passare da una posizione periferica a una semiperiferica, co- sì come dal centro alla semi-periferia (Vanolo, 2010).