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NON FREQUENTANO LA SCUOLA PRIMARIA ( MIGLIAIA )

Fonte: Rielaborazione personale dei dati pubblicati da The International Bank, 2011, “World Deve- lopment Indicators 2011”, data.worldbank.org

Negli anni sono sorte diverse associazioni che chiedono la regolamentazione del lavoro minorile, consapevoli che la sua soppressione potrebbe essere pericolosa per la soprav- vivenza delle famiglie povere. Vengono quindi chiesti degli orari compatibili con quelli scolastici, degli stipendi adeguati, misure di sicurezza e di prevenzione (Varani, 2009a). Il lavoro minorile assume diverse forme: in primis quelle sessuali, reclutamento dei bambini soldato, il traffico di bambini, il lavoro nei campi e nelle miniere.

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Nelle zone dove la povertà domina, la guerra dilaga e le catastrofi naturali incombono, il traffico di minori trova origine: l’organizzazione internazionale per le migrazioni ha stimato che i guadagni del commercio di bambini nel 2009 si aggirano attorno agli 8-10 miliardi di dollari, che aumentano se si considera il commercio di organi (Varani, 2009a).

Il commercio dei bambini si articola in tre fasi: vengono prelevati dai Paesi di origine58, fatti passare attraverso i Paesi di transito59, e infine fatti giungere nei Paesi di destina- zione6061.

Il traffico dei bambini ha sia una dimensione internazionale che interna. Nel primo caso il commercio avviene con lo scopo di favorire le adozioni internazionali. Nel secondo caso i bambini vengono impegnati nelle strade, nei mercati, nei campi, nelle miniere e nei lavori domestici, e sono sottoposti a condizioni di vita spaventose: lavorano dalle 10 alle 12 ore al giorno, non ricevano denaro né alcuna forma di istruzione, soffrono di malnutrizione ma non hanno alcuna possibilità di accedere alle cure mediche, infine su- biscono abusi sessuali.

Ad esempio nel 2008 sono stati denunciati più di 50 casi di traffico di donne e bambine trasferiti dal Mozambico ai bordelli di Pretoria (Sudafrica) (Salom, 2009). Il fenomeno è ulteriormente peggiorato durante i “mondiali di calcio”: i bordelli si sono riempiti di bambini e bambine nell’attesa dei turisti sessuali. Inoltre nel mercato Sudafricano dilaga il problema relativo al traffico di organi (Varani, 2009a).

I bambini e le bambine vengono reclutati nei conflitti armati come soldati, e coloro che sopravvivono riportano spesso ferite e mutilazioni, senza considerare le pessime condi-

58 Come fonte primaria troviamo i seguenti paesi: Senegal, Mali, Guinea, Niger, Chad, Burkina Faso,

Ghana, Togo, Benin, Nigeria, Rep. Dem. del Congo, Etiopia, Kenya, Tanzania e Mozambico.

I paesi che rappresentano la seconda fonte sono: Liberia, Costa d’Avorio, Guinea Equatoriale, Gabon, Congo, Rep. Centrafricana, Eritrea, Uganda, Ruanda, Burundi, Angola, Zimbabwe, Zambia, Malawi, Namibia, Sudafrica, Lesotho e Madagascar.

59 Senegal, Guinea, Mali, Niger, Burkina Faso, Chad, Nigeria, Ghana, Togo, Benin, Camerun, Guinea

Equatoriale, Rep. Dem. del Congo, Uganda, Kenya, Etiopia, Sudafrica, Botswana e Zimbabwe.

60 I paesi di prima destinazione sono: Senegal, Guinea, Mali, Burkina Faso, Niger, Togo, Benin, Nigeria,

Camerun, Rep. Centrafricana, Gabon, Kenya e Sudafrica.

Mentre sono la seconda destinazione i seguenti paesi: Costa d’Avorio, Ghana, Chad, Congo, Uganda, Tanzania, Angola, Zambia, Botswana, Zimbabwe, Swaziland, Mozambico.

61 La classificazione è quella proposta dall’UNICEF nel documento “Innocenti Insight. Trafficking in hu-

zioni di salute in cui versano a causa della malnutrizione, delle malattie respiratorie e dell’apparato sessuale, soprattutto in seguito alle violenze.

I bambini e le bambine vengono arruolati con la forza dagli eserciti ufficiali o dalle uni- tà ribelli e messi a combattere (Werner-Lobo, 2011). Il problema dei bambini soldato è ampiamente diffuso nell’Africa sub-sahariana: Angola, Congo, Repubblica Democratica del Congo, Repubblica Centrafricana, Uganda, Ruanda, Burundi, Guinea, Chad, Sierra Leone, Costa d’Avorio e Liberia. I bambini sono usati come spie, e vengono mandati avanti nelle spedizioni in cerca delle mine anti-uomo. Gli stessi bambini sono costretti ad intraprendere delle azioni violente contro la popolazione e i propri famigliari, in quest’ultimo caso il senso di vergogna che li assale farà in modo di annientare la loro volontà di tornare a casa.

Per capire la drammaticità di questa situazione, ci affidiamo alle seguenti parole: “Durante il mio secondo viaggio in Congo nel 2001 intervistai un bambino- soldato. Il ragazzo, che allora aveva sedici anni, mi racconto che fu rapito otto giorni prima del suo undicesimo compleanno con la sorella di nove anni mentre tornava a casa da scuola, e mandato in un campo di addestramento. «Spesso di notte avvenivano i tentativi di fuga. Quando i fuggitivi venivano presi, ci svegliavano. Uno dei soldati allora diceva: “Tu!” e quel ragazzo doveva sparare al bambino o alla bambina in questione. Poteva anche suc- cedere di dover sparare al proprio fratello. Se rifiutavi, uccidevano te» […] «Niente. Niente di niente. Mi mancava mia mamma. Non avevamo nulla da mangiare. Non riuscivo a dormire. […] e poi, purtroppo morì mia sorella. […] La cerci e un amico mi dice: “Tua sorella sfortunatamente è stata uccisa durante la notte”. Si è rifiutata di combattere, per cui un comandante le ha sparato in testa. Non ho potuto fare alto che seppellirla con le mie mani»”

(Werner-Lobo, 2011, pag. 65-66). Tra i vari Paesi protagonisti dello sfruttamento minorile ritroviamo il Ghana, dove mi- gliaia di famiglie vendono (per un minimo di $40-$50 ad un massimo di 100) o abban- donano i propri figli, che molto spesso diventano di proprietà, nel puro senso del termi- ne, dei pescatori che vivono sul lago Volta (Varani, 2008). I pescatori comprano i bam-

14 ore giornaliere, con lo scopo di recuperare le reti da pesca, fissarle al fondo o liberar- le da qualche impiglio, i bambini sono così costretti ad immergersi nelle acque melmose del lago. In cambio i pescatori offrono al massimo un pasto al giorno, senza corrispon- dere alcun salario e alcun tipo di istruzione né cure mediche in caso di malattie. Le con- dizioni in cui questi bambini sono costretti a vivere sono disumane, e soventemente ca- pita che perdano la vita in seguito all’annegamento nel lago provocato dalle correnti che lo percorrono (Varani, 2008).

Abbiamo visto che l’Africa sub-sahariana è ricca di metalli e pietre preziose, quindi l’attività mineraria è molto intensa e i bambini sono assai ricercati in questo settore per diversi motivi: i bambini lavorano fino a 13 ore al giorno, non protestano né scioperano, essendo piccoli riescono a penetrare nei tunnel più stretti e pericolosi, sono veloci a risa- lire con i carichi in superficie,… (Varani, 2009a).

Quando parliamo di sfruttamento minorile nel settore minerario, non dobbiamo trascu- rare la presenza di bambine, sulle quali grava un doppio peso: oltre ad occuparsi delle faccende domestiche (cucinare, pulire, procurare l’acqua pulita, …) compiono anche un lavoro esterno fatto di ricerca, estrazione e trasporto di minerali.

In Tanzania ad esempio le bambine trasportano 20-25 litri di acqua al giorno per 3-4 volte, lavorano 12 ore giornaliere per 6 giorni alla settimana a contatto con sostanze tos- siche e polveri sottili.

Oltre ai danni fisici che questo carico di lavoro comporta, le cui conseguenze si manife- stano nella fase dello sviluppo, non bisogna dimenticare le pressioni psicologiche a se- guito di abusi e sfruttamenti sessuali. Molto spesso sono le bambine stesse che decidono di prostituirsi per cercare di avere qualche soldo in più ed incontrare magari un uomo che decida di prenderle in moglie (Varani, 2009b) e dobbiamo soffermarci a riflettere anche sul rischio che queste bambine corrono di contrarre l’HIV/AIDS.

La condizione femminile è difficile e problematica fin dalla tenera età e non migliora certo con il trascorrere degli anni: la donna adulta è responsabile della casa e della fa- miglia, dell’istruzione dei figli, e si occupa di tutte le mansioni di sussistenza legate all’agricoltura e all’allevamento, ma non solo deve cercare la legna da ardere, e fare il rifornimento di acqua dal pozzo (il quale, in alcune zone, dista 2-3 ore di cammino) (Varani, 2009b).