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CAPITOLO 2 – ILLEGITTIMITA’ DEL LICENZIAMENTO PER GIUSTIFICATO

2.4 Impugnazione del licenziamento stragiudiziale

Il comma 1 dell’art. 6 legge n. 604/66, modificato dal Collegato Lavoro58 sancisce che “il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni

dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione, anch’essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso l’intervento dell’organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento stesso”.

La richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato deve, a pena di inefficacia, essere comunicata alla controparte entro il termine successivo di duecentosettanta giorni Con l’introduzione dell’art. 31 della legge n. 183/2010 ripristina la facoltatività del tentativo di conciliazione59, lasciando invariato rispetto alla precedente disposizione la possibilità di promuovere il tentativo di conciliazione amministrativa, sindacale e giudiziale.

2.4.1 La conciliazione

La conciliazione, ex art. 410 c.p.c. è attivata mediante comunicazione sia alla Commissione di conciliazione, istituita presso la Direzione Provinciale del Lavoro, che alla controparte (datore di lavoro), considerando tali adempimenti necessari al fine della sospensione del termine di decadenza60.

58 Il vecchio testo recitava:” il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso l’intervento dell’organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento”.

59 L’introduzione di tale norma ha riformulato gli artt. 410 ss. c.p.c. e eliminando l’obbligatorietà del tentativo di conciliazione stragiudiziale. L’art. 410 c.p.c. precisava che le controversie erano quelle previste dall’art. 409 c.p.c. e riguardanti: a) rapporti di lavoro subordinato privato; b) rapporti di mezzadria, colonia parziaria, compartecipazione agraria; c) rapporti di agenzia, rappresentanza commerciale e altri rapporti di collaborazione continuativa e coordinata; d) rapporti di lavoro dei dipendenti pubblici.

L’obbligatorietà a tale procedura stragiudiziale, costituiva una condizione di procedibilità dell’azione giudiziaria, infatti nell’ipotesi in cui il ricorrente non avesse promosso tentativo di conciliazione ovvero avesse presentato la domanda giudiziale prima del termine di sessanta giorni entro cui presentare tentativo stesso, il giudice, ex art. 412 bis comma terzo c.p.c. doveva sospendere il giudizio e fissa alle parti il termine perentorio di sessanta giorni per promuovere il tentativo di conciliazione. Solo una volta decorso tale termine e esperito il tentativo di conciliazione, il processo poteva essere riassunto entro centoottanta giorni. In sostanza tale norma aveva l’effetto sospensivo dell’attività processuale fintantoché non fosse esperito il tentativo di conciliazione.

60 Si ritiene che l’effetto sospensivo del termine di decadenza, possa realizzarsi già con la sola comunicazione alla Commissione.

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La richiesta della parte istante deve precisare61: le generalità delle parti implicate; il luogo dove è sorto il rapporto, ovvero dove si trova l’azienda o una sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale egli prestava la sua opera al momento della fine del rapporto; il luogo dove devono essere effettuate le comunicazioni inerenti alla procedura; l’esposizione dei fatti e delle ragioni poste a fondamento della protesta.

Una volta attivata la procedura conciliativa, vi sono vari possibili scenari. La prima ipotesi è quella che la controparte non abbia interesse a intraprendere una soluzione conciliativa, dando così libertà alle parti di attivare controversie in via giudiziale. La seconda ipotesi è quella in cui la controparte decida di accettare la procedura conciliativa depositando presso la Commissione di conciliazione, entro venti giorni dal ricevimento della comunicazione della richiesta, una memoria contenente le difese e le eccezioni in fatto e di diritto, nonché le eventuali domande riconvenzionali.

La Commissione, entro dieci giorni dal deposito della memoria, convoca le parti per il tentativo conciliativo che dovrà avvenire entro i successivi trenta giorni.

Nel caso in cui il tentativo di conciliazione riesce, la Commissione forma un verbale di conciliazione, sottoscritto dalle parti e dal Presidente del collegio. Il verbale è poi depositato presso la cancelleria del giudice del lavoro competente per territorio, che, su istanza di parte, lo dichiara esecutivo con decreto, acquistando efficacia di titolo esecutivo.

La terza ipotesi è quella in cui, una volta accettato il tentativo di conciliazione, le parti non arrivino ad un accordo.

Riguardano questa fattispecie le novità più evidenti introdotte dalla riforma in cui prevede che62:

- la commissione di conciliazione deve formulare una proposta per la bonaria

definizione della controversia;

- in caso di mancata accettazione, i termini di essa sono riassunti nel verbale con

indicazione delle valutazioni espresse dalle parti;

- il giudice deve tener conto in sede di contenzioso delle risultanze della proposta

formulata dalla commissione e non accettata senza adeguata motivazione.

Conseguentemente la norma prevede che a seguito del fallimento del tentativo conciliativo, la parte che attiva l’azione giudiziale deve allegare i verbali e le memorie concernenti il tentativo di conciliazione non riuscito.

61 Art. 31 del Collegato Lavoro. 62 Art. 31 comma 3, Collegato Lavoro.

41 2.4.2 L’arbitrato

Un altro metodo alternativo di risoluzione delle controversie63 è quello dell’arbitrato. L’istituto è stato profondamente rivisto dall’art. 31 della legge n.183/2010 che ha completamente riscritto gli artt. 412, 412-ter e 412-quater del c.p.c. e abrogato il 412-bis.

Il nuovo art. 412 c.p.c. dispone che in qualunque fase del tentativo di conciliazione o al suo termine, in caso di mancata riuscita, le parti possono accordarsi per la risoluzione della lite, affidando alla commissione di conciliazione il mandato a risolvere in via arbitrale la controversia. Nel conferire il mandato per la risoluzione della controversia le parti devono indicare: il termine per l’emanazione del lodo, che non può comunque superare i sessanta giorni dal conferimento del mandato, spirato il quale l'incarico deve intendersi revocato; le norme invocate dalle parti a sostegno delle loro pretese e l'eventuale richiesta di decidere secondo equità, nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento e dei principi regolatori della materia, anche derivanti da obblighi comunitari. Il lodo ottenuto dalla conclusione dell’arbitrato, una volta sottoscritto e autenticato dagli arbitri, ha effetto di legge tra le parti64 e ai sensi dell’art. 2113 c.c. non è annullabile, ed impugnabile solo per motivi

ex art. 808-ter codice di procedura civile65. A tale scopo il ricorso è depositato entro il termine di trenta giorni dalla notificazione del lodo. Decorso tale termine ovvero nel caso in cui le parti hanno dichiarato per iscritto di accettare la decisione arbitrale, il lodo è depositato presso la cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione è la sede dell’arbitrato ed il giudice, una volta accertata la regolarità formale del lodo arbitrale, lo dichiara esecutivo.

Per quanto riguarda la procedura ex art. 412-quater c.p.c., arbitrato irrituale, prevede la possibilità per le parti di avvalersi di un collegio di conciliazione e arbitrato, il quale è composto da un rappresentante per ciascuna parte e di un terzo membro66 scelto di comune accordo tra le parti in funzione di presidente.

63 Individuati dall’acronimo ADR – Alternative Dispute Resolution. 64 Art. 1372 c.c.

65 Il lodo contrattuale è annullabile dal giudice competente secondo le disposizioni del libro I: 1) se la convenzione dell'arbitrato è invalida, o gli arbitri hanno pronunciato su conclusioni che esorbitano dai suoi limiti e la relativa eccezione è stata sollevata nel procedimento arbitrale; 2) se gli arbitri non sono stati nominati con le forme e nei modi stabiliti dalla convenzione arbitrale; 3) se il lodo è stato pronunciato da chi non poteva essere nominato arbitro a norma dell'articolo 812; 4) se gli arbitri non si sono attenuti alle regole imposte dalle parti come condizione di validità del lodo; 5) se non è stato osservato nel procedimento arbitrale il principio del contraddittorio. Al lodo contrattuale non si applica l'articolo 825 c.p.c.

66 Scelto tra i professori universitari di materie giuridiche e gli avvocati ammessi al patrocinio davanti alla Corte di Cassazione.

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La parte che intende ricorrere al Collegio deve notificare all'altra parte un ricorso sottoscritto personalmente o da un suo rappresentante al quale abbia conferito mandato e presso il quale deve eleggere il domicilio. Il ricorso deve: contenere la nomina dell'arbitro di parte; indicare l'oggetto della domanda; indicare le ragioni di fatto e di diritto sulle quali si fonda la domanda; indicare i mezzi di prova; determinare il valore della controversia entro il quale si intende limitare la domanda; contenere il riferimento alle norme invocate a sostegno della pretesa; contenere l'eventuale richiesta di decidere secondo equità, nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento e dei principi regolatori della materia, anche derivanti da obblighi comunitari.

Se la parte convenuta intende accettare la procedura di arbitrato, nomina il proprio arbitro di parte, il quale effettua, concordemente con l'altro arbitro, la scelta del presidente e della sede del Collegio.

In prima udienza vi è il tentativo di conciliazione, se questo riesce, si forma processo verbale che una volta sottoscritto dalle parti e dal presidente del Collegio, è depositato presso la Direzione provinciale del lavoro a cura di una delle parti, dove il giudice, accertata la regolarità formale del verbale di conciliazione, lo dichiara esecutivo con decreto.

Nel caso in cui non si arrivasse ad un accordo, il collegio dopo aver provveduto ad una eventuale fase istruttoria e ad una successiva discussione della controversia, decide entro venti giorni dall’udienza di discussione mediante lodo che produce gli stessi effetti e mezzi di impugnazione del suddetto arbitrato ex art. 412 c.p.c.

L’accordo arbitrale può nascere per fatti concludenti ovvero in seguito ad un compromesso tra le parti o infine, per effetto di una clausola compromissoria.

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Figura 1 - Impugnazione licenziamento