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2.6 Requisiti e pre-requisiti sanitari

2.6.4 Incapacità di compiere gli atti quotidiani della vita

Il concetto di atti quotidiani della vita destò, sin dal momento della sua previsione normativa, rilevanti dubbi di tipo interpretativo. Con una circolare del 1981 (prot. n. 500.6/AG. 927-58-1449) il Ministero della Sanità precisò che “…per atti quotidiani della vita si intendono quelle azioni elementari che espleta quotidianamente un soggetto normale di corrispondente età e che rendono il minorato che non è in grado di compierle, bisognevole di assistenza”. Successivamente, nel 1992, fu prodotta una circolare dal Ministero del Tesoro (n.14 del 28 settembre 1992), la quale, al punto 8.1d, richiamò la suddetta definizione ministeriale per poi così proseguire: “Il giudizio medico legale, secondo l‟interpretazione corrente, si fonda quindi sulla corretta valutazione della materiale capacità del soggetto di assicurarsi autonomamente e sufficientemente, quel minimo di funzioni vegetative e di relazione indispensabili per garantire gli atti quotidiani, non lavorativi, della vita. Rientrano in quest‟ambito un insieme di azioni elementari e anche relativamente più complesse non legate a funzioni lavorative, tese al soddisfacimento di quel minimo di esigenze medie di vita rapportabili ad un individuo normale di età corrispondente, cos da “consentire ai soggetti non autosufficienti, condizioni esistenziali compatibili con la dignità della persona umana”. Il complesso di tali funzioni quotidiane della vita si estrinseca pertanto in un insieme di attività diversificabili ma individualizzabili in alcuni atti interdipendenti o complementari nel quadro esistenziale d‟ogni giorno: vestizione, nutrizione, igiene personale, espletamento dei bisogni fisiologici, effettuazione degli acquisti e compere, preparazione dei cibi, spostamento nell‟ambiente domestico o per il raggiungimento del luogo di lavoro, capacità di accudire alle faccende domestiche, conoscenza del valore del denaro, orientamento temporo-spaziale, possibilità di attuare condizioni di autosoccorso e di chiedere soccorso, lettura, messa in funzione della radio e televisione,

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guida dell‟automobile per necessità quotidiane legate a funzioni vitali, ecc”. Rispetto alla precedente, questa circolare estende quindi il concetto di “atti quotidiani della vita” finendo con il comprendervi anche quelle funzioni “relativamente più complesse”, disgiunte dalle funzioni lavorative, che garantiscono alla persona un‟esistenza dignitosa. La circolare evidenzia ancora al punto 8.2d: “Laddove l‟autonomia nel compiere un complesso significativo ed esistenziale dei suddetti atti quotidiani venga a mancare e insorga, rispetto ad un soggetto normale di corrispondente età, l‟esigenza di assistenza continua per assicurare un minimo di condizioni vitali per l‟autosufficienza quotidiana, si concretizza l‟impossibilità di compiere autonomamente gli atti di ogni giorno della vita. Il quesito se il diritto all‟indennità si realizzi anche in mancanza di uno solo dei requisiti di autonomia della vita vegetativa e di relazione non sembra porsi in quanto in genere più funzioni sono cointeressate in una menomazione psichica o fisica, grave a tal punto da ledere l‟autonomia dell‟individuo. D‟altra parte, perché sorga il diritto all‟indennità di accompagnamento, la mancanza deve esercitarsi su un insieme di funzioni e di attività tali che ne risulti alterato ogni rapporto concreto con la realtà quotidiana. il caso del grave deterioramento psichico globale con crisi impulsive, del completo disorientamento temporo-spaziale, della demenza senile con grave perturbamento del comportamento o degli atti quotidiani della vita, ecc”. Con questo viene altresì specificato che non è necessario che l‟incapacità sia estesa al compimento di tutti gli atti quotidiani della vita, purché la menomazione, sia essa di ordine fisico o psichico, interessando più funzioni, risulti lesiva dell‟autonomia dell‟individuo “nel compiere un complesso significativo ed esistenziale dei suddetti atti...”, facendo risultare “...alterato ogni rapporto concreto con la realtà quotidiana...”.

Sul requisito in oggetto si è espressa più volte la Suprema Corte, sottolineando che la situazione di non autosufficienza, che è alla base del riconoscimento del diritto in

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esame, è caratterizzata dalla quotidianità degli atti che il soggetto non è in grado di svolgere autonomamente; chiarendo che è la cadenza quotidiana che l‟atto assume per la propria natura a determinare la permanenza del bisogno, che costituisce la ragione stessa del diritto (Cassazione 13362/2003; Cassazione 5027/2003; Cassazione 4389/2001). È stato anche evidenziato che il carattere continuo dell‟assistenza è da intendersi in termini qualitativi: la nozione di incapacità di compiere autonomamente le comuni attività del vivere quotidiano con carattere continuo comprende anche le ipotesi in cui la necessità di far ricorso all‟aiuto di terzi si manifesti nel corso della giornata, ogni volta che il soggetto debba compiere una determinata attività della vita quotidiana per la quale non può fare a meno dell‟aiuto altrui, per cui si alternano momenti di attesa, qualificabili come di assistenza passiva, a momenti di assistenza attiva (Cass. 11 aprile 2003, n. 5784). La capacità richiesta per il riconoscimento dell‟indennità di accompagnamento non deve parametrarsi sul numero degli elementari atti giornalieri, ma soprattutto sulle loro ricadute, nell‟ambito delle quali assumono rilievo non certo trascurabile l‟incidenza sulla salute del malato e la salvaguardia della sua “dignità” come persona. Anche l‟incapacità ad un solo genere di atti può, per la rilevanza di questi ultimi e per l‟imprevedibilità del loro accadimento, attestare di per sé la necessità di una effettiva assistenza giornaliera (Cass. 11 settembre 2003, n. 13362: “…la quotidianità è la cadenza che l‟atto assume, per la propria natura, in quanto (pur eventualmente di breve durata) parte necessaria della vita quotidiana. E la continuità, che è della cadenza quotidiana degli atti, determina (quale propria risonanza) la permanenza del bisogno. Questa permanenza, inscritta nella lettera della norma, è la stessa ragione del diritto. Da ciò discende che, nell‟ambito degli atti che il soggetto non sia in grado di compiere, anche un‟ampia pluralità di atti, se privi di cadenza quotidiana, non determinano, la non autosufficienza prevista dalla norma. E, simmetricamente, anche un solo atto, che abbia cadenza quotidiana, determina la non autosufficienza…”).

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Merita di essere citata, a tal proposito, una recentissima pronuncia della Cassazione, (ordinanza n. 5068/2018) in base alla quale non è da riconoscersi l‟indennità di accompagnamento nel caso sia necessaria “una assistenza non continua ma generica e riferita solo ad attività non essenziali ma strumentali (maneggio denaro, preparazione di farmaci, spostamenti esterni con mezzi pubblici)”. L‟ordinanza risulta di particolare interesse in quanto, da un lato, non meglio definisce il concetto e la natura di “generica assistenza”, dall‟altro sembra ridimensionare il contributo delle attività strumentali nel riconoscimento dell‟incapacità di svolgere gli atti quotidiani della vita.

Sembra invece consolidato il principio secondo cui la capacità del malato di compiere gli elementari atti giornalieri debba intendersi non solo in senso fisico, cioè come mera idoneità ad eseguire in senso materiale detti atti, ma anche come capacità di intenderne il significato, la portata, la loro importanza anche ai fini della salvaguardia della propria condizione psico-fisica (Cassazione, Sentenza 21 gennaio 2005, n. 1268). L‟indennità di accompagnamento va quindi riconosciuta ai soggetti affetti da patologie psichiche o neuropsichiche che risultano privati di tale facoltà. Si fa riferimento in particolare: - a coloro i quali, pur essendo materialmente capaci di compiere gli atti elementari della vita quotidiana (quali nutrirsi, vestirsi, provvedere alla pulizia personale, assumere con corretta posologia le medicine prescritte), necessitano della presenza costante di un accompagnatore in quanto, in ragione di gravi disturbi della sfera intellettiva, cognitiva o volitiva dovuti a forme avanzate di gravi stati patologici o a gravi carenze intellettive, non sono in grado di determinarsi autonomamente al compimento di tali atti nei tempi dovuti e con modi appropriati per salvaguardare la propria salute e la propria dignità personale senza porre in pericolo sé o gli altri. Così, ad esempio, è stato riconosciuto il diritto all‟indennità di accompagnamento: a persona che, per deficit organici e cerebrali, fin dalla nascita si presentava incapace di “stabilire autonomamente se, quando e come”

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svolgere gli atti elementari della vita quotidiana, riferendosi l‟incapacità non solo agli atti fisiologici giornalieri “ma anche a quelli direttamente strumentali, che l‟uomo deve compiere normalmente nell‟ambito della società” (Cass. 7 marzo 2001, n. 3299);

- a persona che, per infermità mentali, difettava anche episodicamente di autocontrollo sì da rendersi pericoloso per sé e per altri (Cass. 21 aprile 1993, n. 4664);

- a persona che, per un deficit mentale da sindrome psico-organica derivante da microlesioni vascolari localizzate nella struttura cerebrale e destinate a provocare nel tempo una vera e propria demenza, non poteva sopravvivere senza l‟aiuto costante del prossimo (Cass. 22 gennaio 2002, n. 667);

- a persona che, anche per un deterioramento delle facoltà psichiche (in un quadro clinico presentante tra l‟altro ictus ischemico e diabete mellito), mostrava una “incapacità di tipo funzionale”, di compiere cioè “l‟atto senza l‟incombente pericolo di danno (per l‟agente o per altri)” (Cass. 27 marzo 2001 n. 4389);

- a persona che, affetta da oligofrenia di grado elevato, con turbe caratteriali e comportamentali, era incapace di parlare se non con monosillabi e di non riconoscere gli oggetti, versando così in una situazione di bisogno di una continua assistenza non solo per l‟incapacità materiale di compiere l‟atto, ma anche “per la necessità di evitare danni a sé e ad altri” (Cass. 8 aprile 2002, n. 5017);

- ai portatori di malattie che, per il grado di gravità espresso, comportano una consistente degenerazione del sistema nervoso ed una limitazione delle facoltà cognitive (ad es.: Alzheimer e gravi forme di vasculopatia cerebrale), o impedimenti dell‟apparato motorio (ad es.: Parkinson), o che cagionano infermità mentali con limitazioni dell‟intelligenza e che, nello stesso tempo, richiedono una giornaliera assistenza farmacologica al fine di evitare aggravamenti delle già precarie condizioni psico-fisiche nonché incombenti pericoli per sé e per altri (es. psicopatie con incapacità di integrarsi nel proprio contesto sociale, o forme di epilessia con ripetute crisi convulsive,

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controllabili solo con giornaliere terapie farmacologiche) (Cassazione, Sez. Lavoro, sentenza 21.01.2005 n. 1268);

- a coloro che, pur in grado di deambulare e di compiere gli atti quotidiani della vita, necessitano della presenza costante di un accompagnatore in quanto “... non sono in grado di determinarsi autonomamente al compimento di tali atti e con modi appropriati per salvaguardare la propria salute e la propria dignità personale” (Sentenza Corte di Cassazione, sez. VI Civile - L, ordinanza 22 ottobre - 27 novembre 2014, n. 25225).

Per quanto attiene i soggetti affetti da Sindrome di Down, vige quanto disposto dall‟INPS con il messaggio n. 31125 del 9 dicembre 2010 (“Con riferimento alle Linee guida operative predisposte dal Coordinamento Generale Medico Legale in materia di invalidità civile, si precisa che, nei confronti dei soggetti affetti da sindrome di Down, interessati da accertamenti sanitari per invalidità civile, deve essere riconosciuto il diritto all‟indennità di accompagnamento e deve essere applicato, ove possibile, il DM 2 agosto 2007, sia in fase di verifica ordinaria, sia in fase di verifica sulla permanenza dei requisiti sanitari. In tali contingenze, anche su base meramente documentale, gli interessati devono essere esclusi da qualsiasi visita di controllo sulla permanenza dello stato invalidante, in conformità alla voce n. 9 dell‟allegato al Decreto ministeriale citato”). Quindi, i soggetti con sindrome di Down:

- sono sempre e in ogni caso meritevoli di riconoscimento di indennità di accompagnamento;

- non devono essere sottoposti a verifica, né ordinaria né straordinaria, relativamente alla persistenza dello stato invalidante;

- ove “erroneamente” dovessero essere sottoposti a visita di verifica, la prestazione dovrebbe essere confermata anche solo sulla scorta della documentazione probante la patologia.

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Una menzione a parte meritano i soggetti affetti da patologie oncologiche. In questi, la valutazione della permanenza dello stato invalidante può talora risultare abbastanza complicata a causa dell‟imprevedibilità prognostica della malattia in sé. Nel caso della concessione dell‟indennità di accompagnamento, sono da considerare gli stessi principi sopra enunciati, vale a dire l‟impossibilità di deambulare autonomamente e l‟incapacità di compiere gli atti della vita quotidiana. Tuttavia in questa tipologia di pazienti, in aggiunta alle dirette conseguenze cliniche della patologia neoplastica, andranno valutati il tipo di protocollo chemioterapico e gli effetti collaterali ad esso legati, tenendo conto della variabilità di risposta in soggetti diversi. Giova ricordare che gli effetti collaterali si possono manifestare immediatamente dopo la somministrazione dei farmaci o tardivamente e che la durata degli stessi può essere variabile. Con sentenza n. 10212 del 27 maggio 2004, la Corte di Cassazione affermò che l‟accertamento dell‟incapacità del malato di deambulare o di attendere al compimento dei normali atti quotidiani della vita a causa del ciclo di terapia, eseguita in regime di Day Hospital, comporta il riconoscimento dell‟indennità di accompagnamento; ciò in quanto nessuna norma vieta il riconoscimento del diritto ad indennità di accompagnamento anche per periodi molto brevi (nella specie, inferiori al mese). In effetti, tale possibilità risulta implicitamente riconosciuta nella pratica valutativa quando, a fronte di situazioni passibili di miglioramento, viene concessa l‟indennità di accompagnamento con prescrizione di revisione anche a breve termine. Tuttavia, secondo la Cassazione (Sez. Lav. 22 ottobre 2008 n. 25569): “…il problema del trattamento chemioterapico non può essere risolto in astratto, con l‟affermazione che esso comporti sempre e di per sé, oppure non comporti, il diritto alla indennità di accompagnamento, ma costituisce una situazione di fatto, sicché si deve esaminare caso per caso se esso comporti, per gli alti dosaggi e per i loro effetti sul singolo paziente, anche per il tempo limitato della terapia, le condizioni previste dall‟articolo 1 legge 11 febbraio 1980, n. 18…”.

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Appare opportuno riportare anche l‟orientamento della giurisprudenza in merito al riconoscimento dell‟indennità di accompagnamento ai malati terminali. Secondo la Corte di Cassazione (Suprema Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, sentenza n. 7179/2003) il diritto all‟indennità deve essere riconosciuto in presenza di patologie di gravità tale non solo da rendere l‟individuo inabile al 100% ma da far ragionevolmente prevedere che per effetto di esse sopraggiunga la morte (il caso trattato riguardava un soggetto affetto da malattie, gravissime nel loro complesso, tali da costringerlo a letto fino al decesso, avvenuto a distanza di circa dieci mesi dalla presentazione della domanda amministrativa); in sostanza, non appare razionale e conforme alla legge negare la necessità di una assistenza continua quando l‟evento letale sia “certus an” ma “incertus quando”. L‟indennità può, invece, essere negata quando l‟assistenza continua, in presenza di probabile rapido sopraggiungere della morte, risulti finalizzata solamente a fronteggiare una emergenza terapeutica.

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