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L’INDENNITÀ DI ACCOMPAGNAMENTO NEL SETTORE ASSISTENZIALE: INQUADRAMENTO NORMATIVO, RIFERIMENTI GIURISPRUDENZIALI E ASPETTI MEDICO-LEGALI

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA

Scuola di Specializzazione in Medicina Legale

L’INDENNITÀ DI ACCOMPAGNAMENTO

NEL SETTORE ASSISTENZIALE:

INQUADRAMENTO NORMATIVO, RIFERIMENTI

GIURISPRUDENZIALI E ASPETTI MEDICO-LEGALI

Relatore: Chiar.mo Prof. Gian-Aristide NORELLI Candidato:

Dott. Davide Mario GUGLIELMINI

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SOMMARIO

Indice delle Figure ... 2

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INTRODUZIONE ... 3

2

L’INDENNITÀ

DI

ACCOMPAGNAMENTO

NEL

SETTORE ASSISTENZIALE ... 5

2.1 Riferimenti normativi ... 5 2.2 Aspetti epidemiologici ... 8 2.3 Requisiti amministrativi ... 13 2.3.1 Incompatibilità / Compatibilità ... 13 2.4 Iter Amministrativo ... 14 2.4.1 Istanza di Riesame ... 21 2.4.2 Ricorso ... 21

2.5 Criteriologia medico legale e strumenti di giudizio ... 22

2.6 Requisiti e pre-requisiti sanitari ... 27

2.6.1 Inabilità totale ... 28

2.6.2 Difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie dell‟età ... 30

2.6.3 Impossibilità di deambulare ... 34

2.6.4 Incapacità di compiere gli atti quotidiani della vita ... 38

2.6.5 Le Scale di Valutazione ... 45

2.6.5.1 Stato cognitivo ... 46

2.6.5.2 Capacità funzionali ... 46

2.6.5.3 Disturbi comportamentali ... 48

2.6.5.4 Aspetti cognitivi e comportamentali ... 48

2.6.5.5 Rischio di caduta ... 49

2.6.5.6 Valutazione delle condizioni cliniche generali ... 50

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2

2.6.6 Requisiti sanitari: il punto di vista dell‟INPS ... 57

3

DISCUSSIONE ... 59

4

CONCLUSIONI ... 71

5

BIBLIOGRAFIA ... 73

INDICE DELLE FIGURE

Figura 1: Numero di titolari di i.a., 2011-2016 per classe di età , numero indice 2011 = 100 ... 9

Figura 2: Beneficiari di i.a. (ogni 100 persone) 2011-2016, minori e adulti ... 10

Figura 3: Beneficiari di i.a. (ogni 100 persone) 2011-2016, anziani ... 11

Figura 4: Distribuzione provinciale del numero di beneficiari i.a. in rapporto alla popolazione totale. ... 12

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INTRODUZIONE

I continui e rilevanti progressi nel campo delle scienze biomediche, grazie al miglioramento delle possibilità diagnostiche e terapeutiche, hanno avuto il merito di favorire l‟allungamento della vita media, comportando però, allo stesso tempo, la cronicizzazione di patologie un tempo rapidamente mortali e la loro evoluzione verso stati invalidanti.

Lo scenario sociale delineatosi negli ultimi anni, caratterizzato da un incremento della disabilità e non autosufficienza e dai relativi carichi di cura, rende sempre più attuale e doveroso l‟intervento assistenziale dello Stato, attraverso la concessione di benefici economici volti a garantire alle famiglie coinvolte la possibilità di far fronte agli oneri necessari per l‟accudimento del soggetto bisognevole.

In quest‟ottica l‟indennità di accompagnamento, in quanto prestazione economica a favore degli invalidi civili totali con accertata impossibilità di deambulare autonomamente senza l‟aiuto permanente di un accompagnatore, oppure di compiere gli atti quotidiani della vita senza un‟assistenza continua, rappresenta la più “estrema” forma di assistenza, indipendente da qualsiasi appartenenza assicurativa o dal superamento di soglie reddituali.

Da considerare inoltre che, al di là delle motivazioni etiche e solidaristiche del caso, le indicazioni di carattere assistenziale trovano fondamento nei principi costituzionali. L‟art. 38 della Costituzione, stabilisce infatti che “Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all‟assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia,

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disoccupazione involontaria. Gli inabili ed i minorati hanno diritto all‟educazione e all‟avviamento professionale. Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato…”. Inoltre l‟art. 3 della Costituzione, al secondo comma, ammette che “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l‟eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l‟effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all‟organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. E ancora, come riportato nell‟art. 2 della Costituzione, “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell‟uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l‟adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.

Esiste quindi una forte tutela costituzionale dei diritti umani nei confronti di chi versa in condizioni di difficoltà e di non autosufficienza, che impone l‟intervento da parte degli enti statali, tramite l‟erogazione di provvidenze economiche, al fine di garantire dignità umana ed eguaglianza sociale.

Considerata il notevole incremento delle richieste finalizzate all‟ottenimento del beneficio in oggetto e la frequenza con cui ricorre l‟accertamento medico-legale dei relativi requisiti, il presente elaborato si propone di ricercare ed evidenziare gli elementi valutativi per il riconoscimento dell‟indennità di accompagnamento, desumibili dalle norme, dall‟interpretazione giurisprudenziale, dalla dottrina medico-legale e dalle circolari ministeriali e INPS in materia.Tale analisi risulta di particolare interesse al fine di comprendere la possibilità di standardizzazione di percorsi clinico-diagnostici che rendano quanto più possibile equo e territorialmente uniforme il metro di giudizio.

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L‟INDENNITÀ DI ACCOMPAGNAMENTO

NEL SETTORE ASSISTENZIALE

2.1 RIFE RIMENTI NORMATIVI

L‟istituto giuridico dell‟indennità di accompagnamento trova le sue basi legislative nella legge del 28 marzo 1968, n. 406 (“Norme per la concessione di una indennità di accompagnamento ai ciechi assoluti dall‟Opera nazionale ciechi civili”), nell‟art. 17 della legge n. 118/1971 (l‟ormai abrogato assegno di accompagnamento) e nell‟art. 1 della legge n. 18/1980 (“Indennità di accompagnamento agli invalidi civili totalmente inabili”). Quest‟ultima legge stabilisce i requisiti necessari per la concessione dell‟indennità (“1. Ai mutilati ed invalidi civili totalmente inabili per affezioni fisiche o psichiche di cui agli articoli 2 e 12 della legge 30 marzo 1971, n. 118, nei cui confronti le apposite commissioni sanitarie, previste dall‟art. 7 e seguenti della legge citata, abbiano accertato che si trovano nell‟impossibilità di deambulare senza l‟aiuto permanente di un accompagnatore o, non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, abbisognano di un‟assistenza continua, è concessa un‟indennità di accompagnamento, non reversibile, al solo titolo della minorazione… omissis… La medesima indennità è concessa agli invalidi civili minori di diciotto anni che si trovano nelle condizioni sopra indicate. Sono escluse dalle indennità di cui ai precedenti commi gli invalidi civili gravi ricoverati gratuitamente in istituto”) e richiama la già citata norma del 30 marzo 1971, nella quale, all‟art. 2, viene definita giuridicamente la figura dell‟invalido civile (“art. 2… si considerano mutilati ed invalidi civili i cittadini affetti da minorazioni congenite o acquisite, anche a carattere progressivo, compresi gli irregolari psichici per oligofrenie di carattere organico o dismetabolico, insufficienze

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mentali derivanti da difetti sensoriali e funzionali che abbiano subito una riduzione permanente della capacità lavorativa non inferiore a un terzo o, se minori di anni 18, che abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età. Sono esclusi gli invalidi per cause di guerra, di lavoro, di servizio, nonché i ciechi e i sordomuti per i quali provvedono altre leggi…”).

Una successiva norma rappresentata dalla legge 21 novembre 1988, n. 508, all‟art. 1 (Aventi diritto alla indennità di accompagnamento), indica che: “1. La disciplina della indennità di accompagnamento istituita con leggi 28 marzo 1968, n. 406, e 11 febbraio 1980, n. 18, e successive modificazioni ed integrazioni, è modificata come segue. 2. L‟indennità di accompagnamento è concessa: a) ai cittadini riconosciuti ciechi assoluti; b) ai cittadini nei cui confronti sia stata accertata una inabilità totale per affezioni fisiche o psichiche e che si trovino nella impossibilità di deambulare senza l‟aiuto permanente di un accompagnatore o, non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, abbisognano di una assistenza continua. 3. Fermi restando i requisiti sanitari previsti dalla presente legge, l‟indennità di accompagnamento non è incompatibile con lo svolgimento di attività lavorativa ed è concessa anche ai minorati nei cui confronti l‟accertamento delle prescritte condizioni sanitarie sia intervenuto a seguito di istanza presentata dopo il compimento del sessantacinquesimo anno di età. 4. L‟indennità di accompagnamento di cui alla presente legge non è compatibile con analoghe prestazioni concesse per invalidità contratte per causa di guerra, di lavoro o di servizio. 5. Resta salva per l‟interessato la facoltà di optare per il trattamento più favorevole. 6. L‟indennità di accompagnamento è concessa ai cittadini residenti nel territorio nazionale”.

Da considerare inoltre il Decreto legislativo del 23 novembre 1988, n. 509 (art. 6), con il quale si aggiunge, all‟articolo 2 della legge 30 marzo 1971, n. 118, dopo il secondo

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comma, il seguente: “Ai soli fini dell‟assistenza socio-sanitaria e della concessione dell‟indennità di accompagnamento, si considerano mutilati ed invalidi i soggetti ultrasessantacinquenni che abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età”.

Con le due norme emanate nel 1988 si confermano le condizioni di pertinenza biologica all‟origine del diritto - le “affezioni fisiche o psichiche” - e le loro conseguenze, individuate, alternativamente, nell‟ “impossibilità di deambulare senza l‟aiuto permanente di un accompagnatore” e/o nella necessità di “un‟assistenza continua non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita”. Le novità attengono, invece, le pregiudiziali amministrative (mentre la legge 18/1980 escludeva “gli invalidi civili gravi ricoverati gratuitamente in istituto”, le due norme emanate nel 1988 circoscrivono il diritto ai soli cittadini residenti nel territorio nazionale purché gli stessi non siano titolari di “analoghe prestazioni concesse per invalidità contratte per causa di guerra, di lavoro o di servizio” ferma restando la facoltà, per l‟interessato, di “optare per il trattamento più favorevole”) e, soprattutto, la qualificazione dell‟impairment, considerato che:

- nella legge n. 508/1988, il riferimento è alla “…inabilità totale per affezioni fisiche o psichiche…”;

- nel Decreto legislativo n. 509/1988 per i soggetti ultra-65enni (così come già previsto dalla legge 30 marzo 1971, n. 118 per i minori di anni 18) si considerano le “difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età”.

Il d.lgs. 23 novembre 1988, n. 509, prevede inoltre, all‟art. 2, che il Ministro della Sanità approvi, con proprio decreto, la nuova tabella indicativa delle percentuali di invalidità per le minorazioni e malattie invalidanti, ai sensi dell‟art. 2, comma 2, della L.

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26 luglio 1988, n. 291, sulla base della classificazione internazionale delle menomazioni elaborata dall‟Organizzazione Mondiale della Sanità.

In adempimento di tale obbligo è stato emanato il d.m. 5 febbraio 1992, che riporta al suo interno la tabella delle percentuali di invalidità ordinata per apparati e detta apposite disposizioni in merito alle patologie plurime, con riferimento alle diverse ipotesi di menomazioni funzionalmente in concorso tra loro.

2.2 ASPET TI EPI DEMI OL OGIC I

Per meglio comprendere la rilevanza sociale della tematica, si enunceranno di seguito i dati statistici riguardanti la concessione dell‟indennità di accompagnamento e la sua distribuzione per età anagrafica e per sede geografica. I numeri, ricavati dalla banca dati Istat (al momento aggiornata sull‟argomento all‟anno 2016) e dall‟analisi del Welforum - Osservatorio Nazionale sulle Politiche Sociali, così come evidenziato nell‟introduzione del presente elaborato, fanno emerge la crescita, negli ultimi anni, del riconoscimento del beneficio in oggetto.

Più nel dettaglio, nel 2016 risultano titolari di indennità di accompagnamento circa 2,1 milioni di persone (il 4,3% in più rispetto al 2011), con un assorbimento annuo di 13,6 miliardi di risorse, pari allo 0,81% del Pil.

Rispetto al totale dei percettori, sono gli anziani la categoria di beneficiari prevalente (il 70,4% dei titolari del 2016). Per meglio interpretare questo valore percentuale, è opportuno suddividere la popolazione anziana in tre fasce di età: 1a fascia (65-74 anni); 2a fascia (75-84 anni); 3a fascia (≥ 85 anni). La massima incidenza (35,7%) si osserva nell‟ultima fascia, mentre la prima e la seconda contribuiscono rispettivamente per il

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10,1% e 24,6%. La classe degli adulti (20-64 anni) rappresenta il 17,5% dei beneficiari; i più giovani (< 20 anni) il 12,1%.

Nel 2016, si è assistito inoltre, rispetto al 2011, ad un aumento significativo del numero di percettori nelle classi più giovani (Fig. 1): +37,6% nei bambini fino a 4 anni e +35,3% nei soggetti tra i 5-19 anni. La crescita del riconoscimento è stata riscontrata in misura più limitata negli anziani over-85enni (+9,7%), mentre quelli di 1a fascia (65-74 anni) e 2a fascia (75-84 anni) hanno sperimentano una drastica riduzione della numerosità (-5,7 e -8,3%).

Figura 1: Numero di titolari di i.a., 2011-2016 per classe di età , numero indice 2011 = 100

I dati sono ancora più significativi quando si confronta il numero di percettori con la popolazione. Si può così notare che la diffusione dell‟indennità di accompagnamento sta

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aumentando considerevolmente tra i bambini più piccoli e ancor di più nella fascia 5-19 anni (rispettivamente +0,39 e +0,71 punti di copertura tra il 2011 e il 2016) (Fig. 2). L‟incremento della richiesta di riconoscimento di invalidità nei minori potrebbe dipendere, più che da fattori epidemiologici, da una maggiore capacità diagnostica delle disabilità dell‟età evolutiva, accompagnata da una crescita della consapevolezza delle famiglie dei propri diritti.

Figura 2: Beneficiari di i.a. (ogni 100 persone) 2011-2016, minori e adulti

Lo stesso confronto riferito alla popolazione anziana (Fig. 3), per quanto faccia rilevare una percentuale elevata di soggetti coinvolti (ne beneficiano, nel 2016, il 39% degli ultraottantacinquenni, l‟11,1% dei soggetti tra 75 e 84 anni e il 3,4% di quelli tra 65 e 74 anni), risulta altresì indicativa di un trend in discesa rispetto al 2011.

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Figura 3: Beneficiari di i.a. (ogni 100 persone) 2011-2016, anziani

In generale sembra in atto una redistribuzione dell‟utenza target, con un ruolo degli anziani (over-65enni) che si va indebolendo: a titolo di confronto, nel 2011 tutti gli over-65enni pesavano per il 73,1% (nel 2016 il 70,4%). Analoghe riduzioni si osservano anche se si considerano insieme gli anziani di 2a e 3a fascia (dal 62% del 2011 al 60,4% del 2016).

È difficile immaginare che in pochi anni le condizioni di salute abbiano fatto registrare un miglioramento così pronunciato negli ultra-settantacinquenni e, ancor di più, nei grandi anziani. Viceversa, questa diminuzione nella fascia che generalmente si considera il principale target dell‟indennità potrebbe essere indicativa di maggiori difficoltà incontrate dagli anziani nell‟accedere alla prestazione, vale a dire di una maggiore severità nei criteri di ammissione, posticipando il riconoscimento alle

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situazioni estremamente compromesse (purtroppo non sono disponibili evidenze sul numero di richieste non accettate e sul loro andamento intertemporale).

Da un punto di vista territoriale, i tassi di copertura dell‟indennità di accompagnamento sul totale della popolazione variano notevolmente all‟interno della nazione, sino a triplicare, in alcune province del sud della Penisola, i valori minimi riscontrati soprattutto nel nord e centro–Italia (Fig. 4).

Figura 4: Distribuzione provinciale del numero di beneficiari i.a. in rapporto alla popolazione totale.

La distribuzione territoriale dei beneficiari, come anche un‟anomala preminenza degli stessi di età “più giovane” nelle regioni del Mezzogiorno rispetto alle regioni del Centro-Nord (Barbabella et al 2015, 29), non possono che legarsi ad una certa

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disomogeneità nelle procedure di accertamento sanitario, favorite dall‟assenza di strumenti standardizzati di valutazione del bisogno. Infatti, considerando la demografia come elemento per approssimare lo stato di salute, visto che è ragionevole riscontrare patologie gravi (e condizioni di non autosufficienza) laddove la popolazione è più anziana, i dati fanno rilevare una certa incongruità statistica nelle regioni del Sud ove, a fronte di una popolazione più giovane (età media 43,7 anni), l‟indennità di accompagnamento viene riconosciuta in misura maggiore rispetto a quelle del Nord e del Centro che ospitano, invece, una popolazione più anziana (età media di 45,6 anni).

2.3 REQUISITI AMMINI ST RAT IVI

L‟indennità di accompagnamento è una prestazione economica che, indipendentemente dal reddito personale annuo e dall‟età, viene erogata a domanda, previo accertamento di requisiti sanitari, ai seguenti soggetti:

-cittadini italiani;

- stranieri comunitari iscritti all‟anagrafe del comune di residenza;

-stranieri extracomunitari in possesso del permesso di soggiorno di almeno un anno (articolo 41 Testo unico immigrazione);

- residenti stabili e abituali sul territorio nazionale.

2.3.1 Incompatibilità / Compatibilità

L‟indennità di accompagnamento è incompatibile con prestazioni simili erogate per cause di servizio, lavoro o guerra, salvo il diritto di opzione per il trattamento più

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favorevole; non è inoltre compatibile con l‟indennità di frequenza, concessa ai soggetti di minore età.

Essa è invece compatibile e cumulabile con la pensione di inabilità, con le pensioni e le indennità di accompagnamento per i ciechi totali o parziali (soggetti pluriminorati), nonché con lo svolgimento di attività lavorativa, dipendente o autonoma, e con la titolarità di una patente speciale.

Il pagamento dell‟indennità viene sospeso in caso di ricovero a totale carico dello Stato per un periodo superiore a 29 giorni.

A proposito di quest‟ultimo punto è da rilevare che, secondo giurisprudenza (Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza 2 febbraio 2007, n. 2270), il ricovero presso un ospedale pubblico non costituisce “sic et simpliciter” l‟equivalente del “ricovero in istituto” ai sensi della L. n. 18 del 1980, art. 1, comma 3 e che pertanto l‟indennità di accompagnamento può spettare all‟invalido civile grave anche durante il ricovero in ospedale, ove si dimostri che le prestazioni assicurate dal nosocomio non esauriscono tutte le forme di assistenza di cui il paziente necessita per la vita quotidiana (la sentenza menzionata si esprime, in particolare, su una paziente in stato di coma profondo da decerebrazione, ricoverata da oltre un quindicennio, continuativamente e gratuitamente, presso un reparto ospedaliero).

2.4 ITER AMMI NIST RATI VO

L‟iter amministrativo inizia con la richiesta del cittadino al proprio medico di fiducia di un certificato introduttivo; il medico “certificatore”, accreditato e munito di un PIN rilasciato dall‟INPS, effettua la procedura su supporto informatico e, utilizzando l‟apposito modulo digitale predisposto dall‟ente, riporta i dati anagrafici e la natura

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delle infermità invalidanti; indica, qualora presenti, le patologie elencate nel D.M. 2 agosto 2007 (patologie stabilizzate o ingravescenti) che danno titolo alla non rivedibilità e l‟eventuale sussistenza di patologie oncologiche in atto. In quest‟ultimo caso, infatti, l‟art. 6 della legge 80/06 prevede che l‟accertamento dell‟invalidità civile e dell‟handicap venga effettuato entro 15 giorni dalla presentazione della domanda; inoltre, nella specifica circostanza, l‟esito dell‟accertamento viene consegnato direttamente all‟interessato il giorno stesso della visita ed i benefici che ne derivano hanno efficacia immediata, fatta salva la facoltà delle commissioni INPS di sospenderne gli effetti fino all‟esito di ulteriori accertamenti richiesti.

Completata l‟acquisizione del certificato, la procedura genera una ricevuta, con specifica numerazione, che il medico consegna all‟interessato. A questo punto, trasmesso il certificato, il cittadino ha 90 giorni di tempo per presentare la domanda telematica all‟INPS. In questa fase la domanda viene abbinata al numero attribuito in precedenza al certificato digitale. Nella stessa, devono essere indicati gli accertamenti ai quali si è interessati: invalidità civile, cecità, sordità, disabilità, handicap. L‟utente può presentare la domanda autonomamente attraverso il sito dell‟INPS utilizzando un PIN, oppure delegando le Associazioni di categoria o i Patronati abilitati. Per conto del minore e della persona interdetta, la domanda è presentata rispettivamente dal genitore e dal tutore.

In merito alla compilazione del certificato telematico, occorre sottolineare che, in passato, l‟incompletezza dello stesso ha indotto l‟Inps ad eccepire l‟improcedibilità dei ricorsi per accertamento tecnico preventivo. Nello specifico, l‟ente ha invocato a motivazione la mancata apposizione del segno di spunta nelle caselle relative alle dizioni “Persona impossibilitata a deambulare senza l‟aiuto permanente di un accompagnatore” oppure “Persona che necessita di assistenza continua non essendo in

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grado di compiere gli atti quotidiani della vita”. Ciò ha portato ad una serie di pronunce giudiziarie che, inizialmente, hanno accolto la tesi dell‟Inps, dichiarando improcedibili i ricorsi, mentre successivamente hanno riconosciuto l‟ininfluenza di tali carenze del certificato medico telematico. In particolare, la sentenza della Corte di Appello di Napoli n. 5307 del 2014, chiarisce che:

- Il legislatore col DPR n. 698 del 1994 ha previsto espressamente quale sia il modulo da utilizzare per la presentazione della domanda amministrativa. Il modulo, che per effetto dell‟art. 20 comma 3 del D.L. 78/2009, convertito in L. 102/2009 n. 102, non è più cartaceo, ma deve inoltrarsi telematicamente, non fa esplicito riferimento all‟indennità di accompagnamento, ma solo ed unicamente all‟invalidità civile ai sensi della legge 30 marzo 1971 n.118 e successive modificazioni e integrazioni. E‟ stata invece l‟Inps ad impartire delle istruzioni piuttosto rigorose circa la compilazione della domanda di invalidità civile con circolare n. 131/2009 ma tale atto, essendo appunto una circolare interna, risulta privo di qualsivoglia forza normativa;

- Qualora si voglia ipotizzare una certa rilevanza del segno di spunta, vi sarebbe comunque a carico della Commissione medica, ai sensi dell‟art. 2, comma 2, del Decreto del Ministero del Tesoro n. 387/91, l‟onere di invitare l‟interessato a regolarizzare la propria istanza, nel momento in cui si ravvisi che essa o la certificazione medica allegata non siano conformi alle prescrizioni al riguardo dettate sì da non consentire l‟esame della domanda.

Ancora, un‟ordinanza del Tribunale di Roma - Seconda Sezione Lavoro - dell‟8.5.2014 si focalizza sulla natura della domanda amministrativa come atto di manifestazione di volontà dell‟interessato, che si distingue dalla natura certificatoria dell‟atto riservato al medico.

Da ultimo, vi è da segnalare la sentenza n. 223 del Tribunale di Napoli Nord del 2017 in cui il Giudice ritiene che deve escludersi che la dicitura “Persona impossibilitata a

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deambulare senza l‟aiuto permanente di un accompagnatore” oppure ” Persona che necessita di assistenza continua non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita”, costituisca un necessario requisito della certificazione medica da allegare alla domanda amministrativa, ove intesa a conseguire il riconoscimento dell‟indennità di accompagnamento, sicché, a maggior ragione, deve escludersi che l‟allegazione di un certificato medico che tale dicitura contenga possa considerarsi requisito imprescindibile della domanda amministrativa.

Chiariti gli aspetti relativi alla compilazione del certificato medico telematico ed all‟invio della domanda amministrativa, si passa ora a descrivere i successivi momenti dell‟iter.

Il cittadino viene invitato a visita medico-legale tramite una lettera indicante i riferimenti della prenotazione (data, orario, luogo di visita) ed ha facoltà di farsi assistere da un medico di fiducia a sue spese. Nel caso in cui la persona sia intrasportabile (il trasporto comporta un grave rischio per l‟incolumità e la salute della persona) è possibile richiedere la visita domiciliare. In tali casi il medico certificatore dovrà compilare e inoltrare per via telematica il certificato di richiesta di visita domiciliare almeno 5 giorni prima della data eventualmente già fissata per la visita ambulatoriale. La visita viene espletata presso la Commissione della Azienda USL competente, la quale, dal 1 gennaio 2010 (Legge 3 agosto 2009, n. 102, articolo 20; Circolare INPS 131/2009), è integrata dal medico INPS. In merito alla composizione della suddetta Commissione, la legge 15 ottobre 1990, n. 295, all‟articolo 1, prevede che: “…2. Nell‟ambito di ciascuna unità sanitaria locale operano una o più commissioni mediche incaricate di effettuare gli accertamenti. Esse sono composte da un medico specialista in medicina legale che assume le funzioni di presidente e da due medici di cui uno scelto prioritariamente tra gli specialisti in medicina del lavoro. I medici di cui

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al presente comma sono scelti tra i medici dipendenti o convenzionati della unità sanitaria locale territorialmente competente. 3. Le commissioni di cui al comma 2 sono di volta in volta integrate con un sanitario in rappresentanza, rispettivamente, dell‟Associazione nazionale dei mutilati ed invalidi civili, dell‟Unione italiana ciechi, dell‟Ente nazionale per la protezione e l‟assistenza ai sordomuti e dell‟Associazione nazionale delle famiglie dei fanciulli ed adulti subnormali, ogni qualvolta devono pronunciarsi su invalidi appartenenti alle rispettive categorie…”. La legge Regionale Toscana n. 45/2017, stabilisce inoltre, all‟articolo 6, che: “…1. L‟accertamento sanitario della condizione di disabilità è svolto, a seguito di domanda unica e contestuale, da una commissione unica di accertamento, costituita presso i servizi dell‟azienda USL che svolgono funzioni in materia medico legale, di seguito denominata commissione. 2. La commissione rappresenta diverse professionalità e competenze specialistiche ed è composta da: a) un medico dipendente o convenzionato dell‟azienda USL specialista in medicina legale, che svolge le funzioni di presidente; b) un medico dipendente o convenzionato dell‟azienda USL, scelto prioritariamente tra gli specialisti nella branca medica relativa alla patologia oggetto di accertamento; c) un medico in rappresentanza dell‟associazione di categoria alla quale appartiene la persona sottoposta ad accertamento, ai sensi dell‟articolo 1, comma 3, della legge 15 ottobre 1990, n. 295 (Modifiche ed integrazioni all‟articolo 3 del D.L. 30 maggio 1988, n. 173, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 luglio 1988, n. 291, e successive modificazioni, in materia di revisione delle categorie delle minorazioni e malattie invalidanti); d) un medico dell‟INPS. 3. Per gli accertamenti di cui alla l. 104/1992, alla l. 68/1999 ed al d.p.c.m. 185/2006, la commissione è integrata da un operatore sociale. 4. Quando l‟accertamento sanitario è finalizzato al collocamento mirato al lavoro di cui alla l. 68/1999, il componente di cui al comma 2, lettera b), è uno specialista in medicina del lavoro...”. In sede di accertamento è opportuno esibire documentazione sanitaria

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inerente le condizioni patologiche dell‟interessato (lettere di dimissione dopo ricovero, relazioni cliniche, referti radiologici, relazione geriatrica, ecc.). Al termine della visita viene redatto un verbale elettronico. Nel caso di giudizio medico-legale espresso all‟unanimità, il suddetto verbale, validato dal Responsabile del Centro Medico Legale dell‟INPS, è trasmesso da parte dell‟Ente presso il domicilio del cittadino richiedente. Se invece il giudizio medico legale viene espresso a maggioranza, l‟INPS sospende l‟invio del verbale ed acquisisce la documentazione sanitaria. Il Responsabile del Centro Medico Legale territorialmente competente potrà, entro dieci giorni dalla sospensione, validare il verbale agli atti oppure disporre una visita diretta da effettuarsi entro i successivi 20 giorni. La visita medica sarà effettuata da una Commissione costituita dal medico INPS, con funzioni di Presidente e diverso dal componente della Commissione Medica Integrata, da un medico rappresentante delle associazioni di categoria (ANMIC, ENS, UIC, ANFASS) e dall‟operatore sociale nei casi previsti dalla legge. Il verbale definitivo viene inviato al Cittadino dall‟INPS. Le versioni inviate sono due: una contenente tutti i dati sensibili e una contenente il giudizio finale per gli usi amministrativi. Qualora dal riconoscimento derivi un beneficio economico, l‟interessato verrà invitato a completare online o tramite un patronato la domanda con i dati necessari per l‟accertamento dei requisiti socio-economici e sarà contestualmente attivato il flusso amministrativo con la verifica dei requisiti al fine di contenere al massimo i tempi di concessione. I benefici decorrono dal primo giorno del mese successivo la data di presentazione della domanda di accertamento.

Si riportano di seguito ulteriori indicazioni di carattere amministrativo:

- Ai sensi dell‟art. 25, comma 6 bis, del D.L. 24 giugno 2014, n. 90, introdotto dalla legge di conversione 114/2014, nel caso in cui sia prevista la revisione per la permanenza dei requisiti sanitari, si conservano tutti i diritti acquisiti (provvidenze

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economiche, prestazioni e agevolazioni lavorative) anche alla scadenza del verbale in attesa di nuovo accertamento. La convocazione dell‟utente a nuova visita nonché l‟effettuazione della stessa sono a carico dell‟INPS, le cui commissioni saranno chiamate ad esprimersi non soltanto sulla permanenza o meno del grado d‟invalidità precedentemente accertato, ma anche su un eventuale sopravvenuto aggravamento. I soggetti per i quali sia già stata accertata da parte degli uffici competenti una menomazione o una patologia stabilizzata o ingravescente di cui al decreto del Ministro dell‟economia e delle finanze 2 agosto 2007, inclusi i soggetti affetti da sindrome da Talidomide o da sindrome di Down, (di cui all‟art. 42-ter del D.L. 69/2013, conv. in L. 98/2013), sono esclusi dalle visite di controllo sulla permanenza dello stato invalidante da parte dell‟INPS.

- Le domande intese ad ottenere un aggravamento delle condizioni invalidanti devono essere corredate da documentazione sanitaria comprovante le modificazioni del quadro clinico preesistente. Qualora sia stato proposto ricorso (o la nuova procedura di accertamento tecnico preventivo) contro il giudizio della commissione preposta all‟accertamento della invalidità, le domande di aggravamento sono prese in esame soltanto dopo la definizione dello stesso.

- L‟art. 1 comma 8 del D.P.R. 698/94 prevede che, nel caso di decesso del richiedente, per il riconoscimento dell‟invalidità le commissioni mediche possano, su formale istanza degli eredi, procedere all‟accertamento sanitario “esclusivamente in presenza di documentazione medica rilasciata da strutture pubbliche o convenzionate, in data antecedente al decesso, comprovanti, in modo certo, l‟esistenza delle infermità e tali da consentire la formulazione di una esatta diagnosi ed un compiuto e motivato giudizio medico-legale”.

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2.4.1 Istanza di Riesame

Nel caso in cui non condivida il giudizio formulato dalla commissione di accertamento operante presso l‟Azienda Usl, l‟interessato può proporre, all‟INPS, istanza di riesame in autotutela, ai fini di una sua rivalutazione.

Il ricorso all‟autotutela trova la propria disciplina all‟art. 21-nonies della legge 241/1990, come modificata dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15. Di particolare rilievo è inoltre l‟art. 1, comma 136 della legge 30 dicembre 2004, n. 311 - Legge finanziaria 2005, che ha potenziato tale istituto, prevedendo modalità per l‟annullamento di ufficio di provvedimenti amministrativi illegittimi, “anche se l‟esecuzione degli stessi sia ancora in corso”, per il perseguimento dell‟interesse pubblico finalizzato a conseguire risparmi o minori oneri finanziari per le amministrazioni pubbliche. L‟esercizio dell‟autotutela è inoltre regolamentato dall‟INPS ai sensi della deliberazione del C.d.A. n. 275 - 27 settembre 2006, delle circolari 146/2006 e 100/2016. È comunque necessario tenere sempre presente che la richiesta di riesame non sospende i termini per la proposizione del ricorso giudiziario, i quali rimangono fissati in 6 mesi dalla comunicazione del provvedimento. Di conseguenza, anche nell‟ipotesi in cui si decidesse di utilizzare tale strumento, è opportuno che l‟eventuale ricorso giudiziario (ATP) venga, comunque, perentoriamente depositato nel termine di decadenza semestrale.

2.4.2 Ricorso

Dal 01.01.2012 la nuova ed unica modalità di introduzione delle controversie in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, nonché di pensione

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di inabilità e di assegno di invalidità, è l‟accertamento tecnico preventivo (ATP) ex art. 445 bis c.p.c., introdotto dall‟art. 38 del D.L. 98/2011, convertito con modificazioni in L. 111/2011.

In sintesi, la procedura può essere così schematizzata:

1. Si riceve un verbale di invalidità o di handicap o di disabilità che si intende contestare;

2. Si presenta al Tribunale competente (quello di residenza) istanza di accertamento tecnico per la verifica preventiva delle condizioni sanitarie;

3. Il Giudice nomina un medico come proprio consulente tecnico;

4. Il consulente invia la bozza al cittadino e all‟INPS e attende le osservazioni; quindi deposita la relazione definitiva presso il Giudice;

5. Il giudice chiede formalmente a INPS e al cittadino se vi sono contestazioni; in assenza, omologa la relazione del consulente con decreto che diventa inappellabile. 6. Se l‟INPS o il cittadino intendono contestare la relazione del consulente tecnico del giudice devono proporre il ricorso introduttivo del giudizio, specificando i motivi della contestazione.

7. Si procede (con le relative udienze) nel processo vero e proprio fino all‟emissione della sentenza definitiva.

La sentenza è inappellabile.

2.5 CRITE RIOL OGI A MEDICO LE GALE E ST RUMENTI

DI GI UDI ZI O

La svolta storica della criteriologia valutativa dell‟istituto dell‟invalidità civile è rappresentata dal decreto legislativo n. 509/1988. I principali parametri di riferimento su cui è articolato tale disposto sono:

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- il danno anatomo-funzionale permanente (“art. 1, comma 1: Le minorazioni congenite od acquisite, di cui all‟articolo 2, secondo comma, della legge 30 marzo 1971, n. 118, comprendono gli esiti permanenti delle infermità fisiche e/o psichiche e sensoriali che comportano un danno funzionale permanente”);

- la capacità lavorativa (“art. 1 commi: 2. Ai fini della valutazione della riduzione della capacità lavorativa, le infermità devono essere accertate da apposite indagini cliniche, strumentali e di laboratorio, allo scopo di determinare la entità delle conseguenze e delle complicanze anatomo-funzionali permanenti ed invalidanti in atto. 3. La dizione diagnostica deve essere espressa con chiarezza e precisione in modo da consentire l‟individuazione delle minorazioni ed infermità che, per la loro particolare gravità, determinano la totale incapacità lavorativa, o che, per la loro media o minore entità, determinano invece la riduzione di tale capacità. L‟accertamento diagnostico deve essere effettuato dalle strutture periferiche del Servizio Sanitario Nazionale o da quelle della Sanità Militare. 4. La determinazione della percentuale di riduzione della capacità lavorativa deve basarsi: a) sull‟entità della perdita anatomica o funzionale, totale o parziale, di organi od apparati; b) sulla possibilità o meno dell‟applicazione di apparecchi protesici che garantiscano in modo totale o parziale il ripristino funzionale degli organi ed apparati lesi; c) sull‟importanza che riveste, in attività lavorative, l‟organo o l‟apparato sede del danno anatomico o funzionale. Art. 3: Le percentuali di invalidità, indicate nella tabella di cui al comma 1 dell‟articolo 2 in misura fissa ovvero con individuazione di fascia, possono essere ridotte o aumentate dalle competenti commissioni fino a cinque punti percentuali, rispetto ai valori fissi indicati, con riferimento alle occupazioni confacenti alle attitudini del soggetto, alla eventuale specifica attività lavorativa svolta ed alla formazione tecnico-professionale del medesimo. Le competenti commissioni in ogni caso determinano le potenzialità lavorative del soggetto”);

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- un sistema tabellare (“art. 2: 1. Il Ministro della sanità, entro due mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, approva, con proprio decreto, la nuova tabella indicativa delle percentuali di invalidità per le minorazioni e malattie invalidanti, ai sensi dell‟articolo 2, comma 2, della legge 26 luglio 1988, n. 291, sulla base della classificazione internazionale delle menomazioni elaborata dall‟Organizzazione mondiale della sanità. Il Ministro della sanità, con la medesima procedura, può apportare eventuali modifiche e variazioni. 2. La tabella di cui al comma 1 elenca le infermità specificamente individuate alle quali è attribuito un valore percentuale fisso. Nella medesima tabella sono altresì espresse, in fasce percentuali di dieci punti, con riferimento alla riduzione permanente della capacità lavorativa, le infermità alle quali non sia possibile attribuire un valore percentuale fisso… art.4 In caso di concorso o di coesistenza in uno stesso soggetto di più minorazioni, il danno globale non è valutato addizionando i singoli valori percentuali ma considerato nella sua incidenza reale sulla validità complessiva del soggetto. Per i danni coesistenti si tiene conto della tecnica valutativa a scalare individuata con il decreto di cui all‟articolo 2, comma 1. Art. 5 Nella valutazione complessiva della invalidità non sono considerate le minorazioni comprese tra lo 0 per cento ed il 10 per cento e le altre specificatamente elencate in calce alla tabella di cui all'articolo 2, comma 1, purché non concorrenti tra loro o con altre minorazioni comprese nelle fasce superiori…”). Tale sistema è stato reso successivamente esecutivo con il D.M. 5 febbraio 1992 che, oltre a riportare la nuova tabella valutativa, specifica, nella sua prima parte, le modalità d‟uso. Nel suddetto decreto ministeriale si legge: “…La nuova tabella fa riferimento alla incidenza delle infermità invalidanti sulla capacità lavorativa secondo i criteri della normativa vigente. Pertanto richiede l‟analisi e la misura percentuale di ciascuna menomazione anatomo-funzionale e dei suoi riflessi negativi sulla capacità lavorativa. La tabella elenca sia infermità individuate specificatamente, cui è attribuita una determinata percentuale

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“fissa”, sia infermità il cui danno funzionale permanente viene riferito a fasce percentuali di perdita della capacità lavorativa di dieci punti, utilizzate prevalentemente nei casi di più difficile codificazione. Molte altre infermità non sono tabellate ma, in ragione della loro natura e gravità, è possibile valutarne il danno con criterio analogico rispetto a quelle tabellate. 1) Il danno funzionale permanente è riferito alla capacità lavorativa (art. 1, comma 3 ed art. 2 comma 2 D.L. 23 novembre 1988, n. 509) che deve intendersi come capacità lavorativa generica con possibilità di variazioni in più del valore base, non superiori a cinque punti di percentuale, nel caso in cui vi sia anche incidenza sulle occupazioni confacenti alle attitudini del soggetto (capacità cosiddetta semispecifica) e sulla capacità lavorativa specifica. Le variazioni possono anche essere nel senso di una riduzione, non maggiore di cinque punti quando l‟infermità risulti non avere incidenza sulla capacità lavorativa semispecifica e specifica. 2) nel caso di infermità unica, la percentuale di base della invalidità permanente viene espressa utilizzando, per le infermità elencate nella tabella: a) la percentuale fissa di invalidità, quando l‟infermità corrisponde, per natura e grado, esattamente alla voce tabellare (colonna “fisso”); b) la misura percentuale di invalidità calcolata rimanendo all‟interno dei valori di fascia percentuale che la comprende quando l‟infermità sia elencata in fascia (colonna “min-max”); c) se l‟infermità non risulta elencata in tabella viene valutata percentualmente ricorrendo al criterio analogico rispetto ad infermità analoghe e di analoga gravità come indicato sub a) e sub b). 3) Nel caso di infermità plurime, i criteri per giungere alla valutazione finale sono i seguenti: sono calcolate dapprima le percentuali relative alle singole infermità secondo i criteri individuati al punto 2) lettere a) b) c). Di seguito, occorre tener presente che le invalidità dovute a menomazioni multiple per infermità tabellate e/o non tabellate possono risultare da un concorso funzionale di menomazioni ovvero da una semplice loro coesistenza. Sono funzionalmente in concorso tra loro, le menomazioni che interessano lo stesso organo o

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lo stesso apparato. In alcuni casi, il concorso è direttamente tariffato in tabella (danni oculari, acustici, degli arti ecc.). In tutti gli altri casi, valutata separatamente la singola menomazione, si procede a valutazione complessiva, che non deve di norma consistere nella somma aritmetica delle singole percentuali, bensì in un valore percentuale proporzionale a quello tariffato per la perdita totale anatomo-funzionale dell‟organo o dell‟apparato. A mente dell‟art. 5 D.L. n. 509 del 1988, nella valutazione complessiva dell‟invalidità, non sono considerate le minorazioni inscritte tra lo 0 ed il 10%, purché non concorrenti tra loro o con altre minorazioni comprese nelle fasce superiori. Non sono state inoltre individuate altre minorazioni da elencare specificatamente ai sensi dello stesso art. 5. Sono in coesistenza le menomazioni che interessano organi ed apparati funzionalmente distinti tra loro. In questi casi, dopo aver effettuato la valutazione percentuale di ciascuna menomazione si esegue un calcolo riduzionistico mediante la seguente formula espressa in decimali: IT = IP1 + IP2 - (IP1 x IP2) dove l‟invalidità totale finale IT è uguale alla somma delle invalidità parziali IP1, IP2, diminuita del loro prodotto...”.

Occorre chiarire che la tabella annessa al D.M. 05/02/1992 è, attualmente, l‟unica legalmente valida ai fini della valutazione delle percentuali di invalidità civile. Si tratta, tuttavia, di un riferimento oramai datato che, da un lato, non contempla le più recenti patologie correlate agli stati invalidanti, dall‟altro risulta insufficiente ad inquadrare malattie in esso presenti, le quali grazie alla più mirata diagnostica clinica-strumentale sono diventate meglio definite nelle loro varie fasi di stadio.

Considerato che, in parecchi casi, le voci tabellari del 1992 non sono esaustive, anche al fine di rendere uniforme le valutazioni sul territorio nazionale, l‟INPS ha pubblicato nel 2012 delle linee guida (Linee Guida I.N.P.S. per l‟accertamento degli stati invalidanti), suddivise per apparati, che si dimostrano molto dettagliate nella descrizione e

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classificazione delle varie menomazioni, rappresentando un ausilio nel definire casi particolari per i quali esisterebbe solo la possibilità di una valutazione con criterio analogico.

È bene sottolineare che si tratta comunque di un atto amministrativo che non ha forza di legge, quindi l‟INPS, nella persona dei medici delle sue Commissioni, non può farlo valere in quelle situazioni in cui l‟adesione alle indicazioni tabellari del 1992 è indispensabile.

Alle linee guida diffuse dall‟INPS si aggiunge ulteriore materiale dall‟intento “chiarificatore”, rappresentato da circolari, alcune delle quali prodotte dall‟ente stesso, altre di matrice ministeriale, nonché da interventi della Suprema Corte, più volte intervenuta sul tema dell‟indennità di accompagnamento, esprimendo l‟orientamento giuridico sui casi di non univoca interpretazione.

I suddetti riferimenti, che si ritiene debbano far parte del bagaglio culturale del medico legale che si occupa dell‟accertamento oggetto della presente trattazione, verranno di seguito evidenziati nell‟ambito della disamina dei requisiti e pre-requisiti sanitari.

2.6 REQUISITI E PRE-REQUISITI S ANIT ARI

Sulla base delle norme sopra enunciate, l‟indennità di accompagnamento, è una prestazione concessa ai cittadini riconosciuti ciechi assoluti ed a quelli nei cui confronti sia stata accertata un‟inabilità totale per affezioni fisiche o psichiche e che si trovino nell‟impossibilità di deambulare senza l‟aiuto permanente di un accompagnatore o, non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, abbisognano di assistenza continua. Per i soggetti in età non lavorativa, il pre-requisito della totale inabilità

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(necessario ma di per sé non sufficiente) viene sostituito dalle “difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età”.

Tralasciando lo status di cieco assoluto, per il quale il riconoscimento dell‟indennità di accompagnamento è insito nella condizione, si tratterà a seguire delle altre condizioni sanitarie necessarie per il riconoscimento di tale beneficio.

2.6.1 Inabilità totale

Si tratta di un pre-requisito sanitario correlato all‟accertamento di un danno funzionale permanente che determina una inabilità di grado pari al 100%. Tale valutazione si basa sull‟individuazione di ciascuna minorazione e/o complesso di minorazioni, concorrenti e/o coesistenti e della loro correlazione con le percentuali di invalidità stabilite dalle tabelle approvate nel 1992, il tutto con la rigorosa applicazione delle regole dettate dal decreto legislativo n. 509/1988, il quale consente al valutatore una discrezionalità di 5 punti percentuali (in più o in meno) in relazione alle occupazioni confacenti alle attitudini del soggetto, alla eventuale specifica attività lavorativa svolta ed alla formazione tecnico-professionale del medesimo. Il “presupposto” della “totale inabilità” per la concessione dell‟indennità di accompagnamento e la contemporanea previsione della compatibilità di quest‟ultima con un‟attività lavorativa (legge n. 508/1988), ha destato in passato molte perplessità concettuali. Sul tema è intervenuta l‟Avvocatura Generale dello Stato (Nota trasmessa dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri il 14 novembre 1986, n. 1.1-83/28790-24), la quale ha escluso “che la locuzione “totale inabilità” che si rinviene nel testo dell‟art. 1 della legge n. 18/1980, coincida con la totale inabilità lavorativa richiesta dall‟art. 12 della legge n. 118/1971”. Successivamente, il Ministero della Sanità (Circolare 11 febbraio 1987, n. 3 - Prot.

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500.1/A.G.11.2/53/1.35) ha confermato tale orientamento con una nota esplicativa, affermando che “tale norma… omissis… sia per lo sganciamento dell‟indennità da ogni considerazione di reddito, sia per il collegamento logico con analoghi benefìci concessi ad altra categoria di invalidi, va interpretata in senso estensivo” e oltre “I mutilati ed invalidi civili totalmente inabili, di cui all‟art. 1 della legge n. 18/1980, quindi, sono da individuare nei portatori delle più gravi minorazioni, ma non necessariamente in coloro cui è del tutto precluso lo svolgimento di un‟attività lavorativa”. Nella stessa nota viene riportato un parere del Ministero del Lavoro (Circolare n. 6/13966/A del 28 ottobre 1969), secondo il quale “anche i minorati ad altissima percentuale di invalidità (talora anche del 100%) possono (se oculatamente utilizzati) svolgere, sia pure eccezionalmente, determinate attività lavorative e quindi essere dichiarati collocabili”. Infine, anche la Suprema Corte (Cass., Sez. Lav., Sent. n. 4498 del 24 aprile 1991) si è pronunciata nel senso che “…sotto il profilo giuridico il concetto di inabilità lavorativa di cui all‟art. 1 della legge n. 118/80 dev‟essere inteso non come assoluta incapacità di attendere ad un lavoro, ma più propriamente, quale oggettiva situazione che comporti comunque l‟esercizio della prestazione professionale con gravissimi limiti o condizionamenti. Ed invero, giova a tal proposito osservare che la formulazione dell‟art. 1 della legge n. 18/80 si differenzia da quella dell‟art. 12 della legge n. 118/71 perché contiene in essa l‟inciso “al solo titolo della menomazione”, che ha il chiaro fine esplicativo delle ragioni cui è informata la corresponsione dell‟indennità di accompagnamento, la quale viene così ad atteggiarsi come una sorta di compensazione per l‟affezione particolarmente limitativa dell‟invalido… l‟inabilità lavorativa che costituisce il presupposto dell‟indennità in parola non può che essere valutata, appunto, in maniera più ampia e meno restrittiva dell‟inabilità indispensabile per ottenere la pensione, anche se entrambe le leggi a raffronto esigono che trattasi di inabilità totale”.

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2.6.2 Difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie dell’età

La valutazione delle “difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età”, limitata ai soggetti infra-18enni ed ultra-65enni, si configura, così come l‟inabilità totale, come condizione necessaria ma da sola non sufficiente per l‟ottenimento dell‟indennità di accompagnamento. L‟argomento genera tutt‟oggi molti dubbi tra gli operatori protagonisti dell‟accertamento. Ciò, soprattutto, a causa di problemi interpretativi inerenti il significato di “compiti e funzioni” che, eccezion fatta per il generico riferimento dettato dalla correlazione con “l‟età”, non sono stati meglio individuati dal Legislatore.

Sul tema, alcuni autori (Cattinelli et al) hanno proposto un‟interpretazione in analogia con le vigenti disposizioni penalistiche in tema di lesioni personali (art. 583 Codice Penale - circostanze aggravanti), indicando pertanto le “ordinarie occupazioni” come parametro di riferimento; anche se, come è noto, il giudizio penalistico è riferito ad una condizione “temporanea”, mentre nell‟invalidità civile il disposto compete le difficoltà “persistenti”. Seguendo tale analogia, confluiscono nella nozione di “compiti e funzioni” tutte le considerazioni della dottrina medico-legale e penalistica, nonché della giurisprudenza, sul concetto di “ordinarie occupazioni”. È opinione consolidata ed univoca che ci si debba riferire a tutte le attività espletate dal soggetto, comprese quelle voluttuarie, purché socialmente apprezzabili e consentite dalla legge.

Nel caso dei minori, secondo questa interpretazione, le “ordinarie occupazioni”, come “i compiti e le funzioni proprie dell‟età”, devono essere estesi a tutte quelle attribuzioni che ne consentono un regolare ed armonico approccio col mondo esterno. Inoltre, il concetto dovrà intendersi con carattere dinamico, in quanto con la crescita il minore

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acquisterà funzioni che andranno progressivamente affinandosi: la capacità di colloquiare, la deambulazione, il gioco, la frequenza scolastica, l‟attività sportiva, le relazioni sociali con i coetanei ecc. Dunque, il giudizio non può altro che essere comparato tra il minore invalido ed il coetaneo in buona salute, apprezzandone le sostanziali differenze, per effetto della menomazione. A tal proposito, alcuni autori (Martini M. e Mattioli M. R.: L‟invalidità civile- Aspetti medico legali e giuridici. SBM Ed., 1987) ritengono che la minima età, per la quale sia attendibile un confronto tra coetanei, fatte salve le immancabili eccezioni, sia quella dei due anni.

In alcuni testi (L‟invalidità civile, Martini - Scorretti, Essebiemme 1999) il lasso di tempo che dalla nascita si protrae al 18° anno di età viene scomposto in tre fasce di valutazione:

1) La prima fascia comprende il periodo dalla nascita al 2° anno di vita: raramente la minorazione può essere valutata come causa di difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie dell‟età, poiché tali “compiti e funzioni” non possono ancora essersi sufficientemente delineati;

2) La seconda fascia compendia minori tra il 2° ed il 15° anno di vita: a due anni, favella, deambulazione, rapporti di relazione ecc., si delineano in modo piuttosto chiaro. Le difficoltà persistenti a compiere funzioni tipiche dell‟età sono più facilmente rapportabili alla condizione di “normalità” e la valutazione medico-legale può essere convenientemente conclusa;

3) La terza fascia, infine, comprende soggetti tra il 15° ed il 18° anno di vita: la percentualizzazione della minorazione può essere opportuna e, in tale circostanza, è riconducibile alle stesse caratteristiche valutative utilizzate per il soggetto adulto, associata alla dichiarazione della sussistenza o meno delle “difficoltà persistenti”, per poter accedere al beneficio economico (indennità di frequenza). Con le dovute eccezioni, in genere, non è possibile individuare attitudini sufficientemente delineate,

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pertanto la stima della riduzione della capacità lavorativa va formulata considerando un‟ampia gamma di ipotesi lavorative future.

La suddetta classificazione necessità di una puntualizzazione riguardo a quanto riportato nella prima fascia. Inizialmente il Ministero dell‟Interno (Circ. n. 68 del 12.12.1998) si espresse nei termini di una impossibilità valutativa nei confronti del soggetto in tenerissima età; ciò in considerazione che il minore, in condizioni fisiologiche normali, nei primi quindici mesi di vita non è comunque in grado di svolgere autonomamente “i compiti e le funzioni proprie dell‟età”, oltre, ovviamente, a non essere in grado di deambulare, e avrebbe comunque la necessità della continua presenza ed assistenza dei genitori. Parere diametralmente opposto fu espresso dalla Suprema Corte (Cass. Sez. Lav., Sent. n. 11329 del 24.10.1991) ritenendo che “…anche per gli infanti, che pure, per il solo fatto di essere tali abbisognano comunque di assistenza, può verificarsi una situazione, determinata dall‟inabilità, la quale comporti che l‟assistenza, per le condizioni patologiche in cui versi la persona, assuma forme e tempi di esplicazione ben diversi da quelli di cui necessita un bambino sano. Per il compimento degli atti della vita quotidiana, cui la legge ha riguardo, non esiste identità di situazioni tra soggetti sani e soggetti inabili, anche se, in un caso e nell‟altro, di tenera età”. Il Ministero dell‟Interno, con circolare n. 3 del 22.01.1992, prese atto della sentenza, indicando “Al fine di evitare inutile contenzioso, si ritiene opportuno aderire a detta interpretazione e, pertanto, codesti Uffici concederanno la provvidenza ai minori anche al di sotto dei quindici mesi”. Successive pronunce della Cassazione si espressero nello stesso senso (Cass. Sez. Lav., Sent. n. 1377 del 29 gennaio 2003).

Per quanto riguarda, invece, i soggetti ultrasessantacinquenni, sulla medesima falsariga, i “compiti e le funzioni” proprie dell‟età sono da riferire a qualsiasi attività ricreativa e di relazione, oltre tutte quelle utili ad assicurare uno stile di vita quantomeno dignitoso.

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A differenza dei minori, le “difficoltà persistenti” dei soggetti ultrasessantacinquenni sono da percentualizzare. Infatti, dopo la pubblicazione del D. Lgs. n. 509/1988, per effetto del quale pareva di dover escludere l‟anziano da un processo di percentualizzazione, a causa della frammentarietà delle norme si palesarono ampie difficoltà nel campo della fornitura di protesi/ausili e dell‟esenzione dalla quota di partecipazione alla spesa farmaceutica e sanitaria. La questione fu affrontata con la pubblicazione del D.Lgs. n. 124/1998, per effetto del quale (art. 5, comma 7) è stata ripristinata la valutazione, in termini percentuali, anche del soggetto ultrasessantacinquenne; sul disposto, il Ministero della Sanità è intervenuto con una propria direttiva (Nota Ministeriale - Ministero della Sanità Dipartimento della Prevenzione Ufficio IV- 27 luglio 1998, n. 643) mediante la quale, precisato che la percentuale riveste utilità ai fini della mera concessione di benefici non economici (esenzione dal c.d. “ticket”, protesi e ausili vari ecc.), vengono definite alcune linee-guida; segnatamente: a) la percentuale va riferita alle sole “difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età”; b) i “compiti e le funzioni” proprie dell‟età devono essere intesi nel contesto delle “attività attese e consuete”; c) sono indicate a scopo semplificativo, per le competenti commissioni, tre classi di gravità (1. difficoltà lievi, corrispondenti a invalidità comprese tra il 33,3% ed il 66,6% (da 1/3 a 2/3), ai fini della fruizione dell‟assistenza protesica (art. 4, comma 2, del d.m. 28 dicembre 1992); 2. difficoltà medio-gravi, corrispondenti a invalidità comprese tra il 66,6% ed il 99%, ai fini dell‟esenzione dalla partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie (art. 6, del d.m. 1° febbraio 1991, e successive modificazioni); 3. difficoltà gravi, corrispondenti ad invalidità pari al 100%, ai fini dell‟esenzione dal pagamento della quota fissa sulla ricetta (art. 8, comma 16, della legge n. 537/1993 e successive modificazioni).

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2.6.3 Impossibilità di d eambulare

Nel caso dell‟impossibilità di deambulare autonomamente, alla base della concessione dell‟indennità si colloca il criterio della motricità. La capacità di marcia é una funzione che riguarda in primis l‟apparato locomotore, ma non in maniera esclusiva. La deambulazione è, infatti, una funzione complessa che comporta il regolare sviluppo e la sufficienza di apparati e sistemi anatomo-funzionali diversi che vi partecipano in rapporto all‟integrità delle singole parti ed alle loro possibilità di coordinamento (sistema osteo-articolare, neuro muscolare, tendineo, neuro-psichiatrico, sensoriale visivo, uditivo, tattile, ecc.) (Ministero del Tesoro, circolare n. 14/1992). Alla base del suo buon funzionamento si colloca, quindi, il corretto ed armonico funzionamento di diversi sistemi del corpo umano. Si deduce, di conseguenza, che l‟impossibilità di deambulare non sempre indica necessariamente una alterazione funzionale degli organi o degli apparati impegnati in tale atto, essendovi soggetti potenzialmente capaci, ma impediti nell‟espletamento della funzione, per patologie altamente invalidanti non direttamente coinvolte in essa. Con circolare n. 7 prot. 500.1 del 17.1.1972, il Ministero della Sanità indicò che “la funzione della deambulazione quale complessa attività neuromotoria, va intesa in termini estensivi, e cioè come mancanza di autosufficienza e collegata alla necessità di un accompagnatore”. Con altra circolare (prot.500.6 del 4 dicembre 1981), il suddetto Ministero precisò che “si trovano nell‟impossibilità di deambulare gli invalidi che non deambulano neppure con l‟aiuto di presidi ortopedici". In seguito a numerose richieste di chiarimenti sui requisiti minorili per poter beneficiare dell‟indennità di accompagnamento, il Ministero della Sanità emanò una ulteriore Circolare (prot. n. 500.6 del 17 marzo 1986) affermando che l‟impossibilità di deambulare era “da intendersi come impossibilità o incapacità del minore invalido civile a svolgere la complessa funzione neuro-motoria della deambulazione; in particolare è da

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intendersi “non deambulante” il minore che non possiede o ha gravemente alterata tale funzione per amelie, dismelie, paralisi, ecc. o non è in grado di controllarla perchè affetto da forme neuropsichiche”.

Una sentenza della Corte di Cassazione (Sez. Lav., n. 00636 del 23.01.1998) sottolineò che “ai fini della concessione dell‟indennità di accompagnamento ai mutilati ed invalidi civili totalmente inabili, sono richiesti dall‟art. 1, primo comma, della legge 11 febbraio 1980 n.18, in via alternativa l‟impossibilità di deambulazione o l‟incapacità di attendere agli atti della vita quotidiana, requisiti diversi e più rigorosi della semplice difficoltà di deambulazione o di compimento degli atti della vita quotidiana”. Secondo un‟altra sentenza della Suprema Corte (C. Cass. sent. n. 3228/1999), il diritto all‟indennità di accompagnamento sussiste ogniqualvolta la condizione fisica dell‟invalido comporti un difetto di autosufficienza determinato dalla deambulazione particolarmente difficoltosa e limitata nello spazio e nel tempo, tale da essere fonte di grave pericolo, incombente in ragione della concreta possibilità di caduta dello stesso, tale da giustificare il permanente aiuto di un accompagnatore. Gli aspetti relativi al rischio concreto di cadute trovano conferma in una recente ordinanza della Cassazione (Corte di Cassazione Sez. Lav., ordinanza 30 gennaio - 20 agosto 2018, n. 20819), chiamata a dirimere sul riconoscimento dell‟indennità in un soggetto con deficit visivo (“…s‟appalesa deficitario il plesso motivazionale del giudice d‟appello, che a fronte del richiamato orientamento giurisprudenziale di legittimità (Cass. n. 3228/99), ha del tutto omesso di motivare in relazione ai principi affermati nella citata pronuncia di questa Corte, in riferimento ai gravi pericoli correlati alla concreta possibilità di cadute a cui poteva andare incontro il ricorrente a causa delle accertate patologie da cui lo stesso era affetto, ponendosi così in contrasto con i principi affermati dalla sentenza succitata: “il difetto di autosufficienza capace di giustificare il riconoscimento dell‟indennità di

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accompagnamento ricorre certamente anche allorquando - senza che si sia in presenza di una totale ed oggettiva impossibilità di movimento - la deambulazione del soggetto si presenti particolarmente difficoltosa e limitata (nello spazio e nel tempo) ed inoltre fonte di grave pericolo in ragione di una incombente e concreta possibilità di cadute, tanto da tradursi di fatto in una incapacità di compiere gli atti quotidiani della vita e da rendere, conseguentemente, necessario il permanente aiuto di un accompagnatore”).

In passato la Corte di Cassazione si espresse anche sulle incapacità dell‟invalido nell‟ambiente extradomiciliare (Cass. Sez. Lav., n. 14293 del 18.12.1999) affermando che “…l‟invalido civile che sia in grado di attendere autonomamente e senza alcun grave e concreto pericolo alla quasi totalità degli atti quotidiani della vita… non ha diritto all‟indennità di accompagnamento, anche se per le sue menomate condizioni di salute sia impossibilitato ad uscire di casa e ad attendere alle più dispendiose faccende domestiche in ragione del maggior impegno fisico che dette attività comportano…”. Qualche anno dopo fu puntualizzato (Sentenza Cassazione Sez. Lav., n. 15303 del 04.12.2001) che: “…il bisogno di assistenza nel compimento degli atti quotidiani o di aiuto nella deambulazione… abbia carattere tendenzialmente continuo e permanente, dovendosi escludere una situazione di non autosufficienza allorché il bisogno di assistenza o di aiuto emerga solo in relazione ad alcuni atti che, per il loro esiguo numero e la loro occasionalità (in quanto non assolutamente necessari), sono meno fondamentali e nel contempo più articolati e complessi; pertanto, la necessità di un‟assistenza continua per uscire fuori dell‟abitazione, e in particolare per la deambulazione a tal fine necessaria, non vale ad integrare, di per sé sola, il diritto alla suddetta indennità”. Le richiamate sentenze sottolineano quindi che, ai fini del riconoscimento dell‟indennità di accompagnamento, con riferimento al requisito deambulatorio, quest‟ultimo debba caratterizzarsi come di rilevante entità ed associato

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ad un grave pericolo per il soggetto, derivante dal rischio concreto di caduta. Non viene, invece, data rilevanza all‟incapacità di esecuzione delle attività occasionali e “meno fondamentali”, tra cui gli spostamenti al di fuori della propria abitazione. Quest‟ultimo aspetto fu, tuttavia, riproposto in chiave decisamente diversa nel 2004, quando la stessa Corte di Cassazione ribaltò il precedente orientamento ammettendo che deve intendersi sussistente il diritto anche quando il soggetto invalido, pur in grado di compiere gli atti quotidiani della vita come lavarsi, nutrirsi e muoversi autonomamente - seppure a fatica - nella propria abitazione, sia stato accertato che si trovi nell‟impossibilità di uscire e camminare autonomamente per strada (“l‟impossibilità di deambulazione… era costituita dal fatto che essa poteva compiere da sola entro le mura domestiche soltanto qualche passo e che, in ogni caso, non poteva uscire di casa se non accompagnata, dipendendo “totalmente dagli altri per spese e approvvigionamenti esterni)” (C. Cass. sent. n. 8060/2004). Successive sentenze (Cass. Sez. Lav., 28.5.2009 n. 12521; Cass. Sez. Lav., 12.5.2008 n. 11718) ribadirono il carattere insufficiente, ai fini del riconoscimento dell‟indennità, della sola difficoltà deambulatoria. Una più recente pronuncia (Cass. Sez. Lav., sent. 20 maggio - 28 luglio 2015, n. 15882) oltre a confermare che l‟impossibilità di deambulare deve essere effettiva e intesa in senso assoluto, si espresse anche, interpretando il ruolo degli ausili deambulatori nel giudizio valutativo. In particolare, secondo la Suprema Corte, in assenza dell‟accompagnatore il beneficiario deve essere completamente impossibilitato a deambulare. Viceversa, in caso di deambulazione autonoma, seppure con l‟ausilio di supporti esterni, non scatta il beneficio (“…la ricorrente deambula autonomamente sia pure con l‟ausilio di bastoni, circostanza, quest‟ultima, che non rileva ai fini in esame, essendo necessaria l‟impossibilità di deambulazione senza l‟ausilio di altro soggetto…”).

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