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2.6 Requisiti e pre-requisiti sanitari

2.6.6 Requisiti sanitari: il punto di vista dell‟INPS

Il 20 settembre 2010, con una Comunicazione interna diretta a tutti i Dirigenti regionali, l‟INPS diffuse delle “Linee Guida operative in invalidità civile” con lo scopo di “…assicurare la massima omogeneità sul territorio nazionale dei comportamenti e delle valutazioni dei medici impegnati nella invalidità civile…”. Questo documento presenta forti similitudini con i principi contenuti in un emendamento di origine governativa, poi ritirato, con cui nel giugno del 2010, mentre si discutevano le Misure “anti-crisi”

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(Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 che poi fu convertito definitivamente dalla Legge 30 luglio 2010, n. 122), si tentò di modificare i criteri per la concessione dell‟indennità di accompagnamento.

In particolare, a proposito dell‟impossibilità di deambulare, l‟INPS afferma che: “… è opportuno sottolineare alcuni requisiti di legge quali l‟impossibilità a deambulare, non la semplice difficoltà, il carattere di permanenza dell‟aiuto dell‟accompagnatore, non di saltuarietà. Va da sé che presìdi ortopedici e protesici che rendano il soggetto autonomo nella deambulazione escludono il diritto all'indennità. Il requisito della permanenza implica la sussistenza di menomazioni anatomo-funzionali irreversibili e immodificabili da qualsiasi presidio...”.

Per quanto attiene gli atti quotidiani della vita, secondo l‟orientamento INPS, “…constatando la genericità dell‟espressione e in accordo con la prevalente dottrina medico legale, essi vanno intesi come quel complesso di attività che assicurano un livello basale di autonomia personale in un ambito per lo più intradomiciliare. Il prendere in considerazione le attività extradomiciliari, in ambienti complessi come le moderne metropoli, porterebbe, infatti, ad una valutazione talmente estensiva da superare l‟ambito medico legale”.

Inoltre, il ricorso alle scale di valutazione dell‟autonomia è soggetto a limitazioni: si consiglia infatti l‟utilizzo delle scale relative alle attività “basali” (ADL - Activities of Daily Living), limitando la scala IADL (Instrumental Activities of Daily Living) nella sola parte relativa all‟assunzione dei farmaci (“Utile punto di riferimento sono le scale ADL (specialmente nell‟indicare le funzioni basali da prendere in considerazione: lavarsi, vestirsi, spostarsi, continenza sfinteriale e autonomia in toilette, alimentazione) e IADL (enfatizzando le funzioni più elementari quali l‟assunzione dei farmaci e la

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preparazione dei pasti) rifuggendo però da schematismi”). Vengono considerati come maggiormente affidabili strumenti come la scala di Barthel e la scala di Katz.

L‟INPS ricorda ancora “…che il dettato legislativo prevede la necessità di una assistenza continuativa da parte di terzi per il concretizzarsi del requisito medico legale; si intende che la dizione “continuativa” rimanda ad una assistenza che si esplica nell‟arco della intera giornata e non solo in saltuari momenti”.

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DISCUSSIONE

La disamina dell‟argomento ha permesso di evidenziare che le tematiche connesse all‟indennità dell‟accompagnamento, a distanza di cos tanti anni dalla divulgazione delle normative di riferimento, mantengono ancora carattere attuale.

Dall‟analisi dei dati epidemiologici è emerso un aumento generale del numero degli invalidi giudicati meritevoli della misura assistenziale in commento, con livelli di più alta incidenza nelle regioni del meridione, dove si è assistito ad un maggior coinvolgimento delle fasce più giovani.

La diversa distribuzione geografica dei soggetti che hanno visto riconosciuto il beneficio, tenuto conto delle differenze numeriche inter-regionali (alcune province del Sud triplicano per concessione quelle del Nord) e della discrepanza con i dati demografici (quest‟ultimi indicativi di una popolazione più anziana al Nord, dove, in disattesa con il crescente bisogno età correlato, l‟ottenimento dell‟indennità di accompagnamento è più contenuto), non può essere interpretata come attendibile indicatore della densità dei bisogni territoriali. Infatti, seppur la deprivazione socio- economica, rilevabile in alcuni contesti, possa avere correlazione medico-causale con lo

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sviluppo delle condizioni di disabilità, è da ritenersi piuttosto che i dati siano largamente influenzati da quelli che sono gli storici limiti dell‟indennità, ovvero l‟assenza di criteri di valutazione/eleggibilità comuni a livello nazionale.

Un‟esaustiva discussione delle condizioni sanitarie alla base del riconoscimento dell‟indennità di accompagnamento non può che iniziare da quello che è il suo pre- requisito principe e cioè l‟inabilità totale, concetto costantemente associato dalla dottrina medico-legale alla capacità lavorativa. La legge 508/88 prevede la sua quantificazione sulla base delle percentuali di invalidità indicate nella tabella ministeriale (D.M. 5 febbraio 1992), ammettendo una variazione (fino a cinque punti percentuali) in riferimento alle occupazioni confacenti alle attitudini del soggetto, alla eventuale specifica attività lavorativa svolta ed alla formazione tecnico-professionale del medesimo. Si intuisce come la capacità di lavoro, oggetto della valutazione di base in questo settore, corrisponda a quella generica del soggetto.

La legge appena citata ha inoltre specificamente previsto che “l‟indennità di accompagnamento non è incompatibile con lo svolgimento di attività lavorativa”. L‟apparente contraddizione tra la necessità di una condizione di inabilità da un lato e la previsione normativa di un eventuale impiego lavorativo dall‟altro è stata affrontata in circolari ministeriali e sentenze della Suprema Corte. Da queste è emerso, in linea con il carattere compensatorio del beneficio rispetto all‟affezione dell‟invalido, che il concetto di inabilità, correlato alla concessione dell‟indennità di accompagnamento, è da intendersi in “senso estensivo”: non come assoluta incapacità di attendere ad un lavoro, ma come esercizio della prestazione professionale gravato da rilevanti condizionamenti.

D‟altra parte si è dell‟opinione che la titolarità dell‟indennità di accompagnamento non possa essere aprioristicamente preclusiva dello svolgimento di attività professionali, a

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maggior ragione negli attuali ambienti lavorativi che, sempre più informatizzati, possono garantire l‟impiego di soggetti con menomazioni di solo carattere fisico.

Sempre in tema di pre-requisiti, per i soggetti in età non lavorativa la legge impone il riferimento non già alla capacità di lavoro, ma alle “difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie dell‟età”. da rilevare che non esiste, purtroppo, una chiara definizione di “compiti e funzioni proprie dell‟età”. Essi sono da intendersi, secondo alcune indicazioni, nel contesto delle “attività attese e consuete” per il coetaneo in buona salute. Possono essere inoltre interpretate in analogia alle “ordinarie occupazioni”, cioè a tutte quelle attività espletate normalmente dal soggetto di pari età, comprese quelle ricreative e relazionali. Preso atto di questi generici suggerimenti, risulta lecito avanzare dei dubbi su quali debbano essere, più nel dettaglio, le altre caratteristiche della persona di confronto. Infatti, il giudizio finale sarà diverso se compiti e funzioni saranno riferite a persona “omogenea” all‟esaminando o a chi, invece, presenta capacità e vissuti differenti. Per esempio le “attività” di un anziano di basso tenore sociale sono molto più limitate di un coetaneo appartenente a livelli socio- culturali elevati, per cui a parità di “impairment”, la dichiarazione di “difficoltà persistenti” è più facilmente accessibile a chi, probabilmente, ne ha meno necessità. Una frequente interpretazione porta a riferire la valutazione alle attività che di regola caratterizzano la maggior parte degli anziani: leggere, giocare a carte, vedere la televisione, ascoltare musica, passeggiare ecc., senza dimenticare le funzioni fisiologiche e in genere tutti gli “atti quotidiani”, che sono comunque indispensabili per assicurarsi una vita dignitosa e che potrebbero essere resi difficoltosi, faticosi, da una o più menomazioni, ancorché non si siano ancora realizzate le condizioni per la concessione dell‟indennità di accompagnamento. chiaro, tuttavia, che l‟assenza di una posizione condivisa finisce per creare disomogeneità di giudizio. A ciò si aggiunge, per

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il soggetto anziano (ultrasessantacinquenne), la previsione di una classificazione in tre livelli di gravità crescente (lieve; medio-grave; grave) ai fini della mera concessione di benefici non economici (esenzione dal c.d. “ticket”, protesi e ausili vari ecc.), che produce l‟inevitabile effetto di graduare le difficoltà persistenti del soggetto in età non lavorativa, in relazione alla misura percentuale dell‟impairment lavorativo, creando ulteriore caos valutativo. D‟altra parte non può che evidenziarsi che il requisito per la pensione di vecchiaia è rappresentato per il 2019 dal raggiungimento di un‟età di 67 anni e che, non infrequentemente, soggetti anche di età più avanzata risultano ancora attivi nella loro professione. Alla luce di questi aspetti non può che ritenersi ormai desueto il limite dei 65 anni, oltre il quale considerare, ai fini dell‟invalidità civile, i compiti e le funzioni propri dell‟età.

Per quanto riguarda il minore, la valutazione delle “difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni dell‟età” risulta ancor più impegnativa in quanto dovrà considerarsi il carattere dinamico delle competenze via via acquisite in funzione dello stadio di crescita (capacità di colloquiare, deambulazione, gioco, frequenza scolastica, attività sportiva, relazioni sociali con i coetanei ecc.), il tutto pesato sulle variabili “fisiologiche” applicate alle singole età. In un siffatto contesto, l‟assenza di “griglie” valutative identificate e condivise, rende particolarmente ardua l‟individuazione della soglia invalidante, peraltro non definita dalla legge.

Il vuoto normativo di tipo definitorio e l‟assenza di indicazioni pratiche da parte del competente ministero in merito agli strumenti da utilizzare nella valutazione delle difficoltà persistenti, finiscono per offrire ampio spazio alla libera interpretazione, con il rischio di confondere i “compiti e funzioni proprie dell‟età” con gli “atti quotidiani della vita”.

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In merito a quest‟ultimi (atti quotidiani della vita) la nota circolare ministeriale del 1992 ha introdotto criteri interpretativi di largo respiro per l‟identificazione delle azioni che connotano le condizioni esistenziali giornaliere, includendovi funzioni di relazione compatibili con una conservata dignità della persona umana. In tale contesto, gli atti quotidiani della vita si compendiano in quelle azioni elementari (ma anche “relativamente più complesse”), non legate a funzioni lavorative, che espleta quotidianamente un soggetto normale di corrispondente età e che consentono l‟autonomia vegetativa e di relazione. Nella predetta circolare risultano elencati anche “alcuni atti interdipendenti o complementari nel quadro esistenziale di ogni giorno”. In effetti perché siano assicurate alcune funzioni vegetative, è indispensabile una seppur minima vita di relazione; si pensi per esempio all‟assimilazione delle sostanze nutritive, che presuppone la capacità di nutrizione, a sua volta subordinata ad un complesso di attività relazionali: la possibilità di recarsi ad acquistare gli alimenti, il loro allestimento ecc. Altre funzioni di relazione non sono invece direttamente connesse con funzioni vegetative: la cura igienica personale e dell‟ambiente domestico, quelle attività che permettono un seppur minimo ma indispensabile rapporto col mondo esterno (gli spostamenti nel proprio ambiente domestico per raggiungere il telefono, il televisore, ecc.), o ancora la possibilità di dedicarsi a qualche piccolo passatempo (la lettura, il cucito ecc.); di contro, qualche funzione vegetativa è indipendente da funzioni di relazione, come l‟espletamento dei bisogni fisiologici. Secondo questa impostazione sembrerebbe illogico considerare autonomo, ad esempio, chi è in grado di assumere autonomamente gli alimenti se non è capace di procurarseli o chi è in grado di muoversi liberamente in casa, ma non è autonomo nel passare dalla posizione eretta alla seduta e viceversa. Nella circolare del 1992 viene altresì specificato che non importa che vi sia l‟incapacità a compiere tutti gli atti quotidiani della vita, assumendo rilievo che

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dall‟impossibilità di compierne qualcuno debba comunque prodursi un‟alterazione di ogni rapporto concreto con la realtà quotidiana.

In base alle citate indicazioni, il confine definitorio tra gli atti quotidiani ed i compiti e funzioni proprie dell‟età diventa sempre più sfumato man mano ci si sposta da quelli che sono pacificamente considerati atti quotidiani di base (poiché riferiti alle funzioni vegetative) verso le azioni “quotidiane”, indispensabili al mantenimento di condizioni esistenziali e di relazione, ma non fondamentali per la sopravvivenza. Si pensi per esempio ad alcune attività incluse nella circolare ministeriale del 1992 come la guida dell‟automobile, la lettura, la messa in funzione della radio o della televisione e ad altre ancora non indicate all‟epoca ma che, alla luce delle nuove realtà quotidiane fornite dalla tecnologia, ben potrebbero essere considerate oggigiorno.

È da dire che la così estesa interpretazione di atti quotidiani risulta disattesa, seppur a vario grado, dai medici valutatori, sempre più indirizzati a considerare come tali quelli direttamente correlati al mantenimento delle funzioni vitali dell‟individuo.

Secondo le indicazioni fornite dall‟INPS con la Comunicazione interna del 2010, sono da intendersi come atti quotidiani, ai fini valutativi, le attività elementari (lavarsi, vestirsi, spostarsi, continenza sfinteriale e autonomia in toilette, alimentazione), limitati alla propria abitazione, mentre non assumerebbero rilevanza le attività extradomiciliari (ad esempio: saper orientarsi, saper prendere un mezzo pubblico, saper chiedere aiuto o un‟informazione). Inoltre, ai fini della concessione dell‟indennità di accompagnamento, risulterebbe necessaria una compromissione del “complesso di attività”, tale da richiedere assistenza a carattere “continuativo”, per l‟arco dell‟intera giornata e non solo in saltuari momenti. Secondo questo rigido orientamento, non può che evidenziarsi come, a titolo di esempio, una persona con disabilità intellettiva, dipendente nell‟uscire da casa propria, senza un orientamento sufficiente per prendere un autobus e senza

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conoscenza dell‟uso del denaro per fare piccoli acquisti, se in grado di vestirsi, lavarsi, mangiare e controllare gli sfinteri, poiché in possesso di un punteggio di alta autonomia negli atti quotidiani elementari, sarebbe esclusa dalla concessione dell‟indennità di accompagnamento.

La giurisprudenza ha chiarito alcuni aspetti rilevanti sul tema. In particolare, posto che gli atti non espletabili in autonomia debbano avere una cadenza quotidiana, il carattere continuo dell‟assistenza è da intendersi in termini qualitativi e non quantitativi. Non risulta quindi necessario che il ricorso all‟aiuto di terzi perduri per tutta la giornata, ma è sufficiente che si configuri ogni volta che il soggetto debba compiere una determinata attività per lo svolgimento della quale non può farne a meno. Inoltre, in continuità con il contenuto della circolare ministeriale citata, anche l‟incapacità ad un solo genere di atti, può essere sufficiente a giustificare il ricorso all‟assistenza giornaliera. Secondo un altro principio consolidato che deriva dalla Suprema Corte, la capacità di compiere gli elementari atti giornalieri, deve considerarsi oltre che nella possibilità materiale e fisica di esecuzione, anche nella sola facoltà di intenderne il significato, la portata e la loro rilevanza ai fini della salvaguardia della propria condizione psico-fisica. Infatti, l‟indennità di accompagnamento va riconosciuta ai soggetti affetti da patologie psichiche o neuropsichiche o con gravi disturbi della sfera intellettiva, cognitiva o volitiva che non sono in grado di determinarsi autonomamente al compimento degli atti nei tempi dovuti e con modi appropriati per salvaguardare la salute e la dignità personale senza porre in pericolo sé o gli altri. Il beneficio è altresì da concedersi a chi richiede una giornaliera assistenza farmacologica al fine di evitare aggravamenti delle già precarie condizioni psico-fisiche.

In verità, una recente pronuncia della Suprema Corte (n. 5068/2018) nega il riconoscimento dell‟indennità di accompagnamento nel caso si necessiti di “una

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assistenza non continua ma generica e riferita solo ad attività non essenziali ma strumentali (maneggio denaro, preparazione di farmaci, spostamenti esterni con mezzi pubblici)”. Sebbene l‟ordinanza si riferisca al caso specifico, non potendosi quindi elaborare immediate generalizzazioni, vi è tuttavia da prendere atto di come essa tenda a considerare in misura più contenuta il peso degli atti strumentali della vita rispetto a quelli di base, nonché a sottolineare l‟irrilevanza di un‟assistenza che non abbia il carattere della continuità. Ciò appare in disaccordo con i citati precedenti orientamenti giurisprudenziali, richiamando viceversa gli indirizzi avanzati dall‟INPS nella Comunicazione interna del 2010.

Infine, è da sottolineare come punto fermo giurisprudenziale la concessione dell‟indennità di accompagnamento anche agli invalidi in tenerissima età; infatti, sebbene in questa fascia possa di base risultare implicita l‟assenza di autonomia, la presenza di menomazioni può configurare la necessità di un‟assistenza diversa, per forme e tempi di esplicazione, da quella occorrente ad un bambino sano.

Per quanto riguarda l‟alternativo requisito, rappresentato dall‟impossibilità di deambulare, questo si presenta solo apparentemente meno indefinito. Infatti, se in un‟ottica interpretativa assai rigorosa, la perdita della autonoma capacità deambulatoria si esprime solo con l‟abolizione di questa, una circolare ministeriale, in verità diretta ai soggetti minori, esprimendosi nei termini di “non possesso o di grave alterazione o di incapacità al controllo della funzione deambulatoria”, lascia spazio, seppur marginale, ad un giudizio meno categorico.

Sul punto, la dianzi citata Comunicazione INPS del 2010 ha sottolineato la necessità di accertare uno stato di impossibilità a deambulare e non di semplice difficoltà, e ancora “il carattere di permanenza” e non di saltuarietà dell‟aiuto dell‟accompagnatore. La giurisprudenza, pur affermando che l‟impossibilità di deambulazione è un requisito

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diverso e più rigoroso della semplice difficoltà, ammette la concessione dell‟indennità di accompagnamento nel caso sia accertabile una deambulazione particolarmente difficoltosa e limitata nello spazio e nel tempo, tale da essere fonte di grave pericolo in ragione della concreta possibilità di caduta. Inoltre la Suprema Corte, dopo alcune pronunce (1999; 2001) di segno negativo nei confronti di chi, per le sue menomate condizioni di salute, era impossibilitato ad uscire di casa o necessitava di assistenza solo per alcuni atti occasionali e non assolutamente necessari, ammette che deve intendersi sussistente il diritto anche quando il soggetto invalido si trovi nell‟impossibilità di uscire e camminare autonomamente per strada. La giurisprudenza rimane tuttavia in linea con la circolare ministeriale a proposito dell‟interpretazione del ruolo dei presidi ortopedici nella deambulazione, sottolineando che il beneficio non spetta in caso di deambulazione autonoma, seppure con l‟ausilio di supporti esterni.

Come esplicitato, quindi, il giudizio su tale requisito può risultare di non facile formulazione, soprattutto qualora si renda necessario accertare se una precarietà nell‟incedere realizzi o meno un cascame funzionale non più utile, anche in considerazione della penosità della stessa, o predisponga comunque al rischio di rovinose cadute. A ciò si deve aggiungere che la capacità di deambulare non risulta un‟entità astratta rispetto a quelli che sono gli atti della vita quotidiana. Infatti la possibilità di camminare è direttamente correlata allo svolgimento di azioni che risultano di vitale importanza. Con questo si vuole sostenere che non è possibile assurgere ad assioma che un soggetto con difficoltà di deambulazione, ancora autonomo nella marcia, sia di per sé non meritevole dell‟indennità. Infatti sarà di volta in volta opportuno accertare quanto la parziale limitazione motoria rilevata - e da sola non sufficiente - concorra con le altre menomazioni nel rendere il soggetto incapace di

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svolgere gli atti della vita quotidiana, motivazione quest‟ultima che potrebbe a questo punto rendere ragione del riconoscimento del beneficio.

L‟indeterminatezza dei riferimenti normativo-giuridici e delle varie circolari e l‟esigenza di creare delle misure di giudizio comuni ha portato i medici a sperimentare delle soluzioni prendendo come base le scale valutative utilizzate in ambito geriatrico e neuro-riabilitativo. I risultati degli studi, già riportati nel dettaglio, risultano particolarmente promettenti. È stata dimostrata una buona affidabilità predittiva nel riconoscimento dell‟indennità di accompagnamento dall‟applicazione combinata, secondo griglie di analisi, di alcune scale come Mini Mental state examination (MMSE), Clinical dementia rating scala (CDR), Global deterioration scale for assessment of primary degenerative dementia (GDS), Barthel-ADL, Barthel-mobilità, ADL sec. Katz, Barthel index, IADL, ADL, Tinetti, Cumulative Illness Rating Scale (CIRS), NeuroPsychiatric Inventory (NPI). Tali scale prevedono l‟attribuzione di un punteggio/score in base alla capacità di svolgere le attività esplorate. Tramite la loro comparazione ed integrazione sembra possibile il raggiungimento di un cut-off numerico, dirimente nella concessione dell‟indennità di accompagnamento. L‟applicazione, su scala nazionale, di una soglia numerica cos ottenuta, potrebbe contribuire a ridurre la variabilità valutativa geografica, conducendo verso una visione unitaria della concessione del beneficio. Inoltre, l‟integrazione di più scale si configurerebbe come una misura idonea a superare possibili errori di giudizio da parte dell‟operatore.

Appare doveroso sottolineare, infine, che i requisiti sanitari necessari per il riconoscimento dell‟indennità di accompagnamento, esaminati nel presente contesto assistenziale, risultano del tutto sovrapponibili a quelli richiesti ai fini della concessione dell‟assegno mensile per l‟assistenza personale e continuativa nel settore previdenziale

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INPS. Anche la legge 12 giugno 1984, n. 222, riporta infatti, nei suoi articoli, con

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