(1742), collocata al centro dell'abside nella parrocchiale di Torbole (Alto Garda). Fu uno dei
primi lavori compiuti dal restauratore in Trentino, dove il suo esordio si registra - nel 1922 -
in occasione del restauro dello Sposalizio mistico di santa Caterina, piccola ma pregevole
tavola tardo quattrocentesca della chiesa di Nomi (Vallagarina)
135. Il suo arrivo va ricondotto
131
Gerola si era recato in vista a Creto e nei paesi limitrofi assieme a un delegato di Treviso, a don Vincenzo Casagrande e don Simone Weber (si evince da ASSBCTn, b.00026, Generali esterne, 1927-1941, lettera del parroco di Creto a Gerola, 2.1.1928).
132
ASSBCTn, b.00026, Generali esterne, 1927-1941, lettera di Dal Bò a Rusconi, 14.8.1928. D'altronde, se Andrea Moschetti non riporta alcuna informazione in merito alla chiesa di Cologna, rileva invece come quella di Strada «fu colpita più volte. Le granate rovesciarono l'altar maggiore di legno dorato, squarciando la tela secentesca» (A. Moschetti, I danni ai monumenti e alle opere d'arte delle Venezie nella guerra mondiale
MCMXV-MCMXVIII, 1931, vol. V, p. 92). Entrambe le opere - rimesse sugli altari nell'autunno del 1929 - vennero
foderate, pulite e restaurate (ASSBCTn, b.00026, Generali esterne, 1927-1941, lettera di Dal Bò a Gerola, 3.9.1930).
133
ASSBCTn, b.00026, Generali esterne, 1927-1941, lettera di Gerola a Dal Bò, 1.9.1930. In un’altra occasione il Soprintendente chiedeva al restauratore, di ritorno da Montagnaga (Piné), di fermarsi al Castello del Buonconsiglio per curare i piccoli guasti patiti dalle opere da lui inviate da Venezia.
134
ASSBCTn, b.00026, Generali esterne, 1927-1941, lettera del parroco di Creto a Gerola, 3.3.1930. Dal Bò curò la rimessa in opera della tela nell'estate del 1931. Analogamente, egli venne preferito per i restauri delle due tele settecentesche di Francesco Unterperger sugli altari laterali della chiesa di Creto, nonostante il preventivo già presentato dalla Werner (ASSBCTn, b.00026, Generali esterne, 1927-1941, lettera di Ady Werner all'Ufficio Belle Arti, 18.8.1928).
135
Lo stesso Gerola riportava nel Notiziario d'arte (in «Studi Trentini», 3, 1922, 5-6, p. 282) come tra maggio e giugno il restauratore stesse principiando il lavoro, rimasto in sospeso dopo la morte di Antonio Mayer. Verso fine anno, il soprintendente scriveva entusiasta al parroco: «Godo di poterle comunicare che il restauro della Madonna è ultimato. Abbiamo voluto non solo consolidare la tavola, ma liberare l'ancona di tutte le ridipinture che avevano completamente svisata e deturpata la pittura originale: la quale è tornata alla luce con tutta la suggestione di un lavoro genuino» (ASSBCTn, b.6352, Nomi, chiesa della Madonna della Consolazione, 1919-1974, lettera di Gerola al parroco, 6.11.1922). Sull'opera e le sue problematiche interpretative, si veda la scheda di G. Sava, in Rinascimento e passione per l'antico: Andrea Riccio e il suo tempo, a cura di A. Bacchi e L. Giacomelli, cat. della mostra (Trento, Castello del Buonconsiglio-Museo Diocesano, 5 luglio-2 novembre 2008), 2008, pp. 562-563, cat. 142.
38
agli ottimi rapporti di Gerola con la soprintendenza veneziana, in primis con il direttore e
amico Gino Fogolari, discendente da una storica famiglia roveretana
136. Dal Bò infatti era
stato il restauratore di riferimento di quella soprintendenza in tutto il periodo della guerra,
quando si era occupato non solo di valutare le provvidenze da prendere per il corretto
imballaggio delle opere d’arte, spesso necessitanti di interventi conservativi per essere
incassate in sicurezza, ma anche dei trasporti di opere a Pisa tra la fine del 1917 e i primi
mesi del 1918. Trattenutosi nella città toscana sino a dopo il termine del conflitto - anche per
richiesta del soprintendente locale ai monumenti Pèleo Bacci - egli aveva curato il ricovero e
alcuni interventi di restauro delle opere veneziane dietro incarico di Fogolari, che in seguito
lo aveva impegnato nelle operazioni di trasporto di ritorno e nei primi restauri dei dipinti
danneggiati dalla guerra
137.
Tornando alla chiamata di Dal Bò a Torbole, egli fu interpellato per arrestare i diffusi
sollevamenti di colore presenti sulla pala del Cignaroli
138. La tela, dalla tormentata storia
conservativa, era già stata restaurata nel 1888 dal pittore Massimo Diodato e, dopo il suo
ritorno da Innsbruck - in occasione della mostra delle opere recuperate allestita al Castello
del Buonconsiglio (1919)
139- Antonio Mayer l'aveva sottoposta quantomeno ad una
pulitura
140. Ora il restauratore veneziano notava che:
136
Gino Fogolari (1875-1941), conseguita la laurea all'Accademia scientifico-letteraria di Milano, perfezionò gli studi all'Istituto Superiore di Firenze (già frequentato da Gerola negli anni precedenti) e poi a Roma alla scuola di Adolfo Venturi. Direttore del Museo di Cividale del Friuli, dal 1909 fu soprintendente ai Musei Medievali e Moderni di Venezia e direttore effettivo delle Gallerie dell’Accademia. Nel dopoguerra assunse anche la carica di soprintendente per i Musei e Scavi di Antichità per il Veneto, fino al 1924, quando fu nominato soprintendente all’Arte Medievale e Moderna di Venezia, competente anche sui beni architettonici. Trasferito a Palermo nel 1935, dopo due anni fece ritorno nella città lagunare, dove concluse la sua carriera a capo della Soprintendenza alle Gallerie, ai Musei Medievali e Moderni e agli Oggetti d’Arte. Assertore dell'italianità di Trento e cugino di Cesare Battisti, restò sempre legato alla sua terra d'origine. In onore dell'amico e collega Gerola scrisse: Commemorazione del m.e. prof. Giuseppe Gerola, in «Atti del R. Istituto veneto di scienze, lettere ed arti», 98, 1938-1939, pp. 51-95. Su Fogolari si veda: G.Manieri Elia in Dizionario biografico dei
Soprintendenti Storici dell'Arte (1904-1974), 2007, pp. 258-265 (con bibliografia precedente), a cui si
aggiungano G. Agosti, La nascita della storia dell'arte in Italia. Adolfo Venturi: dal museo all'università
1880-1940, 1996, p. 164 (per la formazione romana), G.M. Varanini, T. Franco, 'Bella Venezia, non ti lascio più'. Formazione e carriera di Gino Fogolari sino al 1910, in Altrove, non lontano. Scritti di amici per Raffaella Piva, a
cura di G. Tomasella, 2007, pp. 153-170, e infine, G.M. Varanini, Dal Trentino all'Italia e a Venezia (e ritorno).
Percorsi dell'erudizione e della storiografia fra Otto e Novecento, in Le identità delle Venezie (1866-1918). Confini storici, culturali, linguistici, atti del convegno internazionale di studi (Venezia, 8-10 febbraio 2001), a
cura di T. Agostini, 2002, pp. 53-76, in part. 63-73. 137
L. Caburlotto, Lo strenuo cimento della tutela. Soprintendenze venete prima, durante e dopo il conflitto:
protezione, perdite, risarcimenti e recuperi del patrimonio artistico, in La memoria della prima guerra mondiale: il patrimonio storico-artistico tra tutela e valorizzazione, a cura di A.M. Spiazzi, C. Rigoni, M. Pregnolato, 2008,
pp. 69-111, 79 nota 17, 108 nota 113. 138
Cfr. ASSBCTn, b.6302, Torbole, chiesa di S. Andrea, 1919-1971, lettera di Gerola al parroco, 10.10.1922. 139
Le esposizioni di belle arti recuperi "cispadana" e trentini, a cura di G. Wenter Marini, cat. della mostra (Trento, 23 agosto-23 settembre 1919), 1919, p. 6.
140
Sulle note vicende conservative dell'opera si rimanda a E. Mich, Giambettino Cignaroli a Torbole e il pittore
Giuliano Giuliani, in L'Officina dell'arte. Esperienze della Soprintendenza per i Beni Storico-artistici, atti della
giornata di studio (Trento, 27 maggio 2004), a cura di L. Giacomelli e E. Mich, 2007, pp. 143-159, in part. p. 152 per l'intervento di Dal Bò, il terzo in ordine di tempo dei sei subiti dalla pala tra la fine dell'Ottocento e il Novecento.
39
[...] Il bel quadro del Cignaroli, soffre del male comune alla pittura di quel tempo. Manca l'adesione
fra la tela e la mestica, e quelle scrostature che qua e là si riscontrano ne sono la conseguenza.
Io ritengo dunque di procurar con beveroni o quant'altro può suggerirmi il caso particolare del
quadro e l'esperienza: di fissare il più possibile la mestica alla tela. Dopo, naturalmente, ritoccherò
tutte le parti mancanti e se occorre vernicerò il dipinto. In quanto a pulirlo, [...] all'occorrenza [...]
eseguirò anche questa operazione
141.
Indicazioni molto generiche, che non forniscono informazioni circa il tipo di sostanze che
avrebbe utilizzato o le modalità con le quali si proponeva di reintegrare le lacune. Tuttavia, al
termine del lavoro, il parroco parlava di un'opera che si presentava magnifica, in cui «i
ritocchi furono indovinati»
142. Trascorsi cinque anni dal restauro, superando qualche intoppo
burocratico, la parrocchia ottenne il finanziamento necessario per concludere il pagamento
della somma sostenuta proprio nell’ambito del "ripristino simulacro del titolare nelle chiese
danneggiate dalla guerra", qui in esame
143.
Un altro rilevante incarico assolto da Dal Bò, fu il restauro della pala maggiore della chiesa di
San Marco a Rovereto, se non altro per i forti sentimenti "nazionali" legati a quest’opera.
Vale la pena ricordare infatti che la chiesa - la più antica della città - a causa dei danni subiti
nel corso del primo conflitto aveva perso l'originaria pala dell'altare maggiore, opera del
romano Giovanni Maspani (1758). Nell'immediato dopoguerra, tuttavia, grazie alla
sottoscrizione pubblica promossa fra i comuni veneti da don Antonio Rossaro
144- iniziativa
sostenuta peraltro da Arnaldo Segarizzi
145e dal soprintendente Gino Fogolari - la perdita era
stata presto risarcita e nel 1922 la città aveva inaugurato festosa la nuova pala realizzata da
Vittorio Bressanin, ricordando così il suo legame storico con Venezia
146. Ma la tela, a pochi
anni dalla realizzazione, aveva manifestato un precario stato conservativo, tanto da rendere
necessario l'intervento di Dal Bò tra il 1927 e il 1928, per il quale la commissione concesse la
cospicua somma di 5.000 lire
147. Come egli operò si evince da una lettera di qualche anno
dopo, in cui il restauratore - fatto presente come fin dall'inizio avesse avvertito circa la
delicatezza dell'operazione - affermò di aver rifatto metà dipinto e consolidato quanto era
possibile, spiegando: «qualche cosa di vecchio, almeno una traccia, dovevo lasciare, perché il
141
ASSBCTn, b.6302, Torbole, chiesa di S. Andrea, 1919-1971, lettera di Dal Bò a Gerola, 19.12.1922. 142 ASSBCTn, b.6302, Torbole, chiesa di S. Andrea, 1919-1971, lettera del parroco a Gerola, 26.3.1923. 143
ASSBCTn, b.00026, Generali esterne, 1927-1941, atto di collaudo della commissione, 19.1.1928. 144
Figura eminente nell'ambiente roveretano, nazionalista, Antonio Rossaro (1883-1952) a cavallo del conflitto mondiale fu sacerdote a Rovigo, dove fondò e diresse il periodico irredentista Alba Trentina, dalle cui colonne lanciò l'appello per il rifacimento della pala di S. Marco (a partire dal 1920). Ritornato nella sua città d'origine nel dopoguerra, realizzò fra le altre iniziative la Campana dei Caduti e fu impegnato nella costruzione di un'eccezionale simbologia della memoria della guerra. Sulla sua figura rinvio alla scheda di F. Rasera, ad vocem, in Le età del museo. Storia uomini collezioni del Museo Civico di Rovereto, a cura di F. Rasera, 2004, pp. 339-340.
145
All'epoca direttore della biblioteca Querini Stampalia a Venezia: su di lui si veda il volume Arnaldo Segarizzi.
Un intellettuale trentino a Venezia (Avio 1872 - Asolo 1924), a cura di M. Peghini, 1994.
146
L'operazione condotta da don Rossaro è stata ricostruita da A. Pasetti Medin, Venezia madre: la pala di San
Marco a Rovereto, in «Donazione Eugenio Da Venezia», quaderno n. 14, 2005, pp. 25-31.