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Le indagini genetiche

3.1 La fase delle indagini preliminari

3.1.3. Le indagini genetiche

Polizia e pubblico ministero, nel corso delle indagini, potranno rivolgersi in qualunque momento alla banca dati per chiedere il raffronto dei profili tipizzati con quelli conservati nel database, anche se spesso il raffronto si verifica endoprocedimentalmente tra il DNA ritrovato e quello delle persone sospettate

tramite lo strumento dell’accertamento tecnico

irripetibile. Per procedere al raffronto occorre però che il pubblico ministero acquisisca materiali biologici appartenenti alle persone sospette tramite sequestro di oggetti che si abbia motivo di ritenere che conservino la traccia biologica o prelievo, sia volontario che coattivo. Se l’interessato non presta il proprio consenso alle operazioni di cui all’art. 224-bis, il pubblico ministero ne fa richiesta al giudice per le indagini preliminari che le autorizza con ordinanza quando ricorrono le condizioni indicate dallo stesso

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articolo; nei casi di urgenza il pubblico ministero può disporre lo svolgimento con decreto motivato tramite, eventualmente, l’accompagnamento coattivo se la persona non si presenta e non adduce un legittimo impedimento, che il giudice deve convalidare entro le 48 ore successive. In tutti i casi, il provvedimento che dispone il prelievo deve contenere gli elementi previsti dal 2° comma dell’art. 224-bis a pena di inutilizzabilità dei risultati.

Una delle problematiche in sede di analisi dei prelievi organici concerne l'eventuale mancanza di consenso del soggetto che a tali prelievi è sottoposto, eventualità che si realizza ove gli organi inquirenti agiscano "all'insaputa" dell'interessato, come ad esempio le tracce biologiche raccolte tramite tracce di saliva lasciate dalla persona indagata su un bicchiere dallo stesso utilizzato o su una sigaretta da egli fumata, oppure anche agli elementi organici trovati a

seguito di perquisizioni e sequestri compiuti

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Tali accertamenti “occulti” pongono il problema dell’impiego processuale: a tale proposito da parte della giurisprudenza vi è un atteggiamento che tende a dare prevalenza alle esigenze investigative, ponendo in secondo piano la mancanza di consenso o, più esattamente, di consapevolezza dell'indagato a cui è stato "estrapolato" il dato biologico (saliva, capelli,

ecc.)50. Il concetto alla base di questo tipo di

impostazione, fatta propria dalla Suprema Corte, è che questo genere di indagini non necessita del consenso dell'indagato, sempre che non violino la sua libertà personale o altri diritti costituzionali. Inoltre, si tende ad evidenziare come tale tipo di attività posta in essere dagli organi inquirenti non implichi alcun intervento manipolatorio o limitativo della libertà personale del soggetto interessato utilizzando come riferimento normativo, sempre secondo la Suprema Corte, l'art. 348 c.p.p.. In questa prospettiva si colloca anche quell'orientamento giurisprudenziale che tende a ritenere plausibile l'utilizzazione processuale di

50

Sul punto, v. C. Cassazione, sez. V, 15 novembre 2013, n. 45959, in Diritto penale e processo 1/2014

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materiale organico dell'indagato, che è stato raccolto e conservato a prescindere da esigenze investigative o processuali: il riferimento è, ad esempio, ad un prelievo di sangue effettuato a fini diagnostici, vale a dire un materiale biologico comunque non facente più parte del corpo del soggetto e che per poter essere esaminato dagli organi inquirenti non necessita di un intervento diretto su quella persona. Anche in tal caso la Suprema Corte si è orientata nel senso dell'utilizzabilità processuale di siffatto materiale, posto che si tratta di elemento che non appartiene più, dal punto di vista fisico, alla persona e, dunque, non richiede alcun intervento manipolativo sulla stessa e, di conseguenza, non ci si trova in quella sfera di tutela segnalata dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 238/1996; tale impostazione si porrebbe in contrasto con quanto previsto dall'art. 189 c.p.p. se non si considerasse che si tratta di metodi che incidono sulla libertà di autodeterminazione dell'individuo e sulla sua libertà morale. Tale critica trova la sua ratio nel riconoscere l’importanza delle esigenze investigative,

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la cui necessità e centralità dovrebbe comportare che le relative attività siano adeguate e che abbiano preventiva regolamentazione. Ciò detto, tuttavia, non deve certo comportare una "deferenza" acritica da parte dell'organo giurisdizionale chiamato a decidere, nei confronti dei risultati ottenuti da un'analisi tecnicamente così complessa come quella del DNA dato che ancora oggi la "scientificità" del test del DNA non equivale affatto ad una sua affidabilità iuris et de iure perché, anche se il metodo scientifico utilizzato è rigoroso, non è esente da risultati fallaci dipendenti dalle modalità effettive del suo espletamento e con gli eventuali fattori di contaminazione o degradazione della traccia biologica, come ad esempio quelli che possano essere intervenuti nel corso della c.d. "catena di custodia" o se si verifichino situazioni di match tandem (ossia casuali compatibilità dovute al fatto che il test abbia evidenziato solo taluni caratteri genetici della persona e tra quelli più ricorrenti nella popolazione di appartenenza).

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Per quanto riguarda il problema della catena di custodia, all’interno della l. 85/2009 ha però una portata estremamente limitata sia dal punto di vista dell'ambito di applicazione (nulla dice a proposito dei reperti e delle attività dei laboratori di alta specializzazione e di quelli delle forze di polizia), sia da quello dell’effettività delle misure indicate, che sono definite in modo estremamente generico e incompleto e non danno una reale garanzia per l'integrità di profili e campioni; sempre all’interno di tale legge non sono presenti indicazioni sull’obbligo di garantire la continuity of evidence e sulle implicazioni processuali in termini di ammissibilità della prova acquisita o conservata in maniera non corretta dato che viene esplicitato solo il rispetto della privacy, in ossequio al d.lgs. 196/2003.

Un’ulteriore problema è quello della

“identificazione sicura” o “identificazione certa” del campione con il soggetto di appartenenza, in quanto

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una recente ricerca51 ha dimostrato la possibilità

concreta di falsificare campioni genetici, che possono

essere riconosciuti come manipolati solo ed

esclusivamente grazie a uno specifico esame; per tale

motivo l'esplicita previsione dell'inutilizzabilità

processuale di campioni e reperti acquisiti in modo difforme dalle indicazioni per la raccolta e il trattamento del materiale genetico, avrebbero ridotto enormemente il rischio di contestazione della prova genetica sotto il profilo della sua ammissibilità. Per questi motivi, il giudice, in sede di valutazione, non potrà esimersi da una scrupolosa verifica, non solo dell'attendibilità in astratto del metodo d'analisi prescelto, ma altresì dell'affidabilità in concreto dei risultati prospettategli dagli esperti, pena, viceversa, la sostanziale equiparazione di questo tipo di prova scientifica ad una sorta di moderna prova legale.

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D. FRUMKIN-A.WASSERSTROM-A.DAVIDSON-A. GRAFIT, Authentication of forensic DNA samples, Forensic science:genetics, 2009

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3.1.4. Gli accertamenti medico-forensi disposti