3.1 Caso specifico: la fattibilità di una filiera agroenergetica in Toscana
3.1.3 Individuazione della coltura migliore per l’attivazione della filiera
Per quanto riguarda l’individuazione della coltura migliore per l’attivazione della filiera agroenergetica, sono stati seguiti vari criteri ed è stato acceso un dibattito sulle varie possibilità a nostra disposizione.
Il problema che ci siamo posti è stato quello di analizzare l’impatto che potrebbe avere l’attivazione di questa filiera nel complesso mondo dell’agricoltura e uno dei primi quesiti al quale abbiamo dovuto rispondere è stato quello di decidere che impostazione seguire nella determinazione dei terreni da destinare alla filiera energetica, se un orientamento prettamente aziendale o se puntare anche a un discorso di equità sociale.
Seguendo un’impostazione “aziendale” la tendenza sarà quella di minimizzare gli ettari destinati all’attivazione della filiera per il recepimento della biomassa necessaria, quindi si dovrebbe puntare su quelle specie, tipo il mais, che permettono la massimizzazione delle rese produttive. Questo modo di operare permetterebbe inoltre di minimizzare i costi di trasporto, in quanto la localizzazione dei terreni è meno frazionata sul territorio regionale; inoltre questa impostazione permetterebbe di prevedere sviluppi in futuro cercando di ridurre l’impatto che la filiera potrebbe avere quando, sempre per applicare la normativa, sarà necessario aumentare le quantità di biocarburanti da produrre e di conseguenza di biomasse da trasformare.
Questa impostazione di contro ha la conseguenza di accentrare i redditi percepibili dagli agricoltori in poche zone ristrette, concentrandoli in quelle zone che comunque sono già vocate, quindi è ipotizzabile inoltre una eccessiva specializzazione delle colture con conseguenze negative per l’ambiente.
Se invece venisse scelta un’impostazione che prende in considerazione anche l’aspetto sociale, l’accento verrebbe posto su un discorso di equità sociale permettendo l’accesso agli accordi di filiera da parte del maggior numero di agricoltori senza considerare come prioritario la questione della miglior resa produttiva. Tale scelta porterebbe sicuramente a un peggioramento dell’efficienza della filiera, però sarebbero garantiti redditi al maggior numero di agricoltori e inoltre ci sarebbe un apporto energetico da parte di tutte le province della regione.
Un’ulteriore ipotesi di scelta potrebbe essere quella di riuscire a minimizzare l’impatto dell’attivazione della filiera sulle industrie agroalimentari, andando a produrre bioetanolo da quei prodotti che non sono trainanti per l’economia regionale, cioè da quelle produzioni che hanno un offerta regionale decisamente minore rispetto alla domanda e che quindi dovrebbero essere comunque “importate”. Seguendo tale strada si potrebbe non intaccare quelle produzioni food che hanno un loro mercato ben sviluppato e redditizio, dovremmo cioè andare ad analizzare, per fare un esempio, i dati sull’utilizzo e sulla destinazione del frumento duro e verificare se alimentano o no i pastifici locali, o sulla destinazione del frumento tenero panificabile in relazione ai molini che producono farine o pane. Dopo aver effettuato quest’analisi e aver individuato la bilancia delle importazioni regionale sarà possibile effettuare la scelta più idonea.
Un altro aspetto che non può essere trascurato in generale, ma in particolar modo per il caso toscano, è l’impatto paesaggistico che l’attivazione della filiera agroenergetica potrebbe avere. In Toscana questo aspetto è di un’importanza fondamentale per il semplice fatto che il turismo paesaggistico è un industria particolarmente attiva nel nostro territorio e questo elemento non può non essere preso in considerazione. Infatti cambi di destinazione colturale o coltivazioni monoculturali particolarmente estese male si sposano con il rispetto paesaggistico.
Altra valutazione degna di attenzione è la questione legata al risparmio e alla riduzione delle emissioni di CO2, perché non è possibile dimenticarsi che l’attivazione
della filiera è funzionale alla riduzione della CO2, però la riduzione delle emissioni è
possibile raggiungerla in maniera significativa chiudendo il ciclo della CO2.
Anche da questo punto di vista è fondamentale attivare la filiera interamente nel territorio regionale, in modo tale da poter dire che la Toscana, che oltretutto è da sempre sensibile alle questione ambientali, dà il suo apporto per rispettare il Protocollo di Kyoto e la normativa sull’incorporazione dei biocarburanti nei carburanti tradizionali. E’, inoltre, fondamentale mettere al centro della filiera l’agricoltore,cercando di fare in modo che possa percepire dei redditi superiori a quelli che percepisce attualmente. Senza il loro lavoro sarà complicato poter attivare la filiera a livello regionale e quindi in sede di determinazione del prezzo da pagare all’agricoltore è necessario e doveroso considerare un giusto mark-up anche a tale anello della filiera e
non solo agli altri attori della filiera. Questa può essere un’opportunità per fare in modo che il settore dell’agricoltura possa migliorare e possa ritrovare quella stabilità che oggi sembra ridotta.
La scelta, sulla base di queste indicazioni, avrà un impatto anche sulla struttura dei costi dell’intera filiera, sia sui costi diretti che su quelli indiretti.
Avere produzioni concentrate in determinate zone permette di poter raggiungere maggiormente economie di scala per quanto riguarda i trasporti della biomassa e puntare sulle produzioni e sui terreni con maggior resa produttiva permette anche agli agricoltori di ridurre i costi fissi; è anche ipotizzabile che gli stessi prezzi da percepire agli agricoltori possano essere minori determinando effetti benefici su tutta la filiera.
Questa serie di scelte che è stata evidenziata è funzionale per una futura scelta da parte della Regione, che non potrà tralasciare aspetti particolarmente determinanti e significativi per il futuro dell’agricoltura regionale, ma più in generale per l’economia tutta.
L’analisi fin qui svolta ha portato a scegliere il mais come la coltura candidata ad alimentare la filiera.
La scelta ricade sul mais per tutta una serie di motivi, primo fra tutti il fatto che è la coltura che permette di minimizzare gli ettari da destinare a produzione energetica per la sua alta resa produttiva, che permette di rispettare anche la problematica sul rispetto del territorio. Lo studio che stiamo svolgendo vuole essere prettamente conservativo, per non modificare la destinazione che i territori hanno avuto finora con un impatto nullo sul paesaggio.
Altro aspetto che ha spinto a scegliere il mais è il fatto che la tecnologia degli impianti per la produzione di bioetanolo ormai ha raggiunto un alto livello di efficienza proprio per la lavorazione di tale biomassa e questo permette di minimizzare anche i costi di trasformazione della biomassa.
Inoltre aspetto anch’esso fondamentale è che la produzione regionale complessiva di mais è più che sufficiente per la produzione del fabbisogno di biocarburanti della regione e risulta essere sufficiente anche per la possibilità di continuare a produrre quantità maggiori di biocarburanti nel rispetto dei dispositivi normativi nazionali e comunitari.
Tutte queste componenti sono in relazione alla minimizzazione dell’impatto che la filiera deve avere sul territorio regionale ed è seguendo tale impostazione che il lavoro procede, perché non può essere che una filiera che viene attivata per rispettare l’ambiente e per risparmiare le emissioni di CO2 vada a impattare negativamente sul
territorio e sul paesaggio.
Era possibile integrare la produzione da mais attraverso l’utilizzo del frumento duro, ma questa scelta sarebbe andata a scontrare con le considerazioni fino a qui svolte. Infatti il grano duro ha una resa produttiva che è la metà di quella del mais e inoltre il grano duro ha comunque un mercato di riferimento abbastanza importante rispetto a quello del mais. Discorso simile è possibile farlo per il frumento tenero.
Ora che è stata individuato il tipo di coltura sulla quale basare la filiera energetica, è necessario andare a localizzare dove produrre la biomassa necessaria e dove andare a localizzare l’impianto di trasformazione.
3.1.4 Localizzazione spaziale dei terreni da destinare alla produzione della biomassa necessaria per la produzione di bioetanolo.
Per individuare la zona in Toscana nella quale avviare la produzione di mais da destinare all’attivazione della filiera del bioetanolo è necessario prendere in considerazione molteplici fattori.
Come era stato accennato precedentemente le due zone maggiormente vocate alla produzione di mais sono le zone del padule di Bientina e quella della Val di Chiana, quindi le province di Lucca e Pisa da una parte e di Arezzo e Siena dall’altra.
E’ logico, quindi, restringere la scelta tra queste due zone, anche se non può essere tralasciata la provincia di Firenze che come abbiamo visto è la provincia in Toscana che ha la maggior quantità di ettari dedicati a mais.
Altri elementi che vanno considerati nella scelta della zona migliore per produrre è la presenza di tutta una serie di infrastrutture che possono migliorare la logistica della filiera stessa e che possono permettere di raggiungere buoni livelli di efficienza, e quindi livelli di costo inferiori; inoltre altro elemento importante è la possibilità di avere a disposizione un luogo idoneo alla costruzione dell’impianto di trasformazione, luogo che deve essere il più possibile equidistante dalle zone coinvolte
alla produzione della materia prima e che possa essere facilmente raggiungibile così da favorire il trasporto della biomassa necessaria e diminuire ulteriormente i costi.
Per la prima filiera di bioetanolo da mais in Italia la zona prescelta è la zona di Arezzo e Siena aggiungendo anche la provincia di Firenze.
La scelta è ricaduta su questa zona perchè oltre a essere da sempre vocata al mais ha come elementi positivi tutta una serie di strutture che possono essere funzionali alla coltivazione e allo stoccaggio del mais. Questo elemento è fondamentale in quanto permette di poter sfruttare queste strutture senza doverne costruire di nuove.
Infatti il problema dello stoccaggio per il mais è di importanza fondamentale in quanto è un prodotto che ha alti tassi di umidità, quindi necessita di un processo di essiccazione post raccolta che permetta la conservazione durante tutto l’anno.
Altro motivo che ha fatto scegliere tale zona è l’esperienza degli agricoltori nella coltivazione del mais, particolarmente specializzati in tale coltura, in quanto zona da sempre dedicata per la produzione del mais e l’aspetto dell’esperienza è fondamentale anche per la ricerca dell’efficienza e dell’efficacia produttiva.
Avevamo pensato anche di scegliere un impianto equidistante sia dalle zone di Lucca e Pisa che dalle zone di Arezzo e Siena, ma è stato notato che tale soluzione farebbe aumentare significativamente i costi di trasporto in quanto un ipotetico impianto produttivo che possa essere baricentrico tra le due zone è di difficile individuazione e inoltre tale scelta pone un problema di sotto utilizzo produttivo di entrambi le zone generando anche dispersione e scarsa efficienza.
Un altro elemento che ha portato a optare per la scelta della zona Siena e Arezzo, con l’aggiunta della provincia di Firenze, è la presenza a Castiglion Fiorentino di uno zuccherificio, ormai dismesso per la riforma dell’OCM dello zucchero.
La scelta dell’impianto di Castiglion Fiorentino è importante anche alla luce del fatto che nei piani della Comunità europea, gli zuccherifici che hanno dovuto cessare la propria attività per la riforma dell’OCM dello zucchero debbano essere riconvertiti proprio in centri di produzione di biocarburanti.
Anche da questo punto di vista la struttura dei costi complessivi potrà risultare inferiore, in quanto non sarà necessaria la costruzione ex-novo di un impianto produttivo, ma “semplicemente” basterà riconvertire l’impianto immettendo nel processo produttivo quelle fasi che mancano.
Un'altra considerazione è che il know-how sulla lavorazione degli zuccheri sarebbe già a disposizione e anche questo è un aspetto che non può essere tralasciato e che in sede di scelta del luogo per la produzione può essere determinante.
Questa scelta non è priva di fondamento. Infatti studi condotti da agenzie americane hanno evidenziato come l’impianto, affinché riesca a raggiungere dei buoni livelli di efficienza e di integrazione territoriale, debba essere posto in un raggio non superiore ai 120/150 Km rispetto ai terreni di produzione della biomassa, tale raggio tiene conto della minimizzazione dei costi di trasporto. Una distanza superiore farebbe aumentare eccessivamente il costo73 e risultare minore l’efficienza produttiva.
Con lo zuccherificio è possibile inserire nel processo di riconversione oltre che l’impianto anche i terreni che erano destinati alla coltura della barbabietola, terreni che attualmente sono improduttivi in quanto non hanno uno sbocco sul mercato. Tali colture ammontano a 2.821 ha, ripartiti in 1.685 ha ad Arezzo, 873 ha a Siena e 263 ha a Firenze.
Quindi gli ettari che potrebbero essere destinati alla produzione di mais per la produzione di bioetanolo nella filiera toscana potrebbero essere pari a 13.341 (tab. 8). Per quanto riguarda la stima sulla produzione è stata applicato il valore medio delle rese produttive senza il dato del 2003 nelle province oggetto del caso di studio e tale valore viene applicato anche ai terreni che erano destinati a barbabietola e che vengono cambiati in destinazione, supponendone la stessa resa:
73 USDA, The Clean Fuels Development Coalition and The Nebraska Ethanol Board, A Guide for
Tabella 13 Dati sull’ipotesi della filiera regionale di bioetanolo da mais.
Zone di riferimento Ettari (ha) Rese(ton/ha) Produzione (ton)
Arezzo Mais 1.684,00 8,75 14.735,00 Siena Mais 2.950,00 8,08 23.836,00 Firenze Mais 5.886,00 8,02 47.205,72 Arezzo ex Bietola 1.685,00 8,75 14.743,75 Siena ex Bietola 873,00 8,08 7.053,84 Firenze ex Bietola 263,00 8,02 2.109,26 Totale 13.341,00 109.683,57
Per conoscere la quantità di biocarburante che è possibile ricavare dalla produzione di mais oggetto del nostro studio, applichiamo un “tasso di conversione” del 33%.
La scelta di questo valore è da ritenersi abbastanza prudenziale. Infatti con le tecnologie attuali, è possibile convertire la biomassa in etanolo con un tasso praticamente prossimo al 40%, come evidenziato in uno studio condotto dal dipartimento dell’energia americano74.
L’obiettivo di questa valutazione è quello di riuscire a dare una indicazione abbastanza veritiera della possibilità di produrre etanolo il Toscana, ed è alla luce di tale consapevolezza che scegliamo valori che abbiano un buon margine di prudenza, sia per quanto riguarda le superfici agricole che la percentuale di etanolo ottenibile dalla biomassa.
Per ritornare allo sviluppo del caso in esame, applicando il tasso di conversione della biomassa in bioetanolo risulta che la quantità di 109.683,57 tonnellate di granella di mais possa produrre 36.195,58 tonnellate di biocarburante da sostituire alla benzina verde.
Tale quantità risulta essere superiore al fabbisogno che è stato stimato per la Toscana, ma questo aspetto ha la sua importanza, anche alla luce del fatto che la percentuale di biocarburanti da immettere sul mercato nazionale crescerà di un punto percentuale ogni anno fino al 2010 e questo significa che sarà possibile produrre l’etanolo necessario alla regione anche per i prossimi anni e sarà possibile sfruttare
74 BRDI, Biomass Research and Development Iniziative, The U.S. Dry-Mill Ethanol Industry, 2005.
anche l’altra zona altamente produttiva della Toscana, la zona di Lucca-Pisa, scartata inizialmente per tutte le considerazioni fin qui svolte.
L’eccedenza di produzione del bioetanolo rispetto al reale fabbisogno regionale può andare a soddisfare l’obiettivo indicativo, ma non obbligatorio, posto nella Finanziaria 2007, che ricordiamo essere il 2,5% del totale dei carburanti.
Allargando la valutazione anche agli anni successivi, ricordiamo che ci sarà bisogno di una percentuale maggiore di biocarburanti rispetto a quella necessaria per l’anno 2008; infatti secondo la legge nel 2009 saranno necessari 3,5% di biocarburanti e tale percentuale salirà al 5% nel 2010.
La quantità di biocarburanti necessaria viene calcolata sul dato di consumo della benzina già utilizzato per la quantificazione per il 2008.
Nonostante che il consumo della benzina nel mercato europeo stia diminuendo, sia in termini relativi che assoluti, per l’aumento delle vetture alimentate a diesel, la scelta di non variare la quantità di benzina consumata nella determinazione del fabbisogno futuro di biocarburanti è legata al fatto di poter meglio definire la sostenibilità della produzione di biocarburanti in Toscana e mettere in evidenza come la Toscana sarebbe in grado di essere autosufficiente. Infatti, se è possibile riuscire a produrre il bioetanolo necessario utilizzando un dato sovrastimato, sicuramente sarà possibile produrre quella quantità che realmente sarà necessaria.
Quindi per il 2009 sarà necessaria la quantità di 35.073,08 ton. di bioetanolo e per il 2010 saranno necessari 50.104,4 ton., considerando, come abbiamo detto in precedenza, il 3,5% e il 5% come valori di riferimento.
Con la produzione che possiamo ricavare dalla messa a coltivazione dei terreni scelti per la simulazione della filiera è possibile soddisfare anche il quantitativo necessario per il rispetto della normativa anche per l’anno successivo, il 2009. Per poter invece soddisfare anche il quantitativo per l’anno 2010 sarà necessario mettere a produzione di biocarburanti parte dei terreni della zona di Lucca e Pisa, che come era stato indicato prima, è da considerarsi l’altra zona da poter essere utilizzata per le colture agroenergetiche. Vediamo da questo semplice esempio come anche per i prossimi anni ci sia la possibilità di creare una filiera che penetri in maniera sempre maggiore nel tessuto economico e sociale della regione e che possa avere una totale sostenibilità nel territorio regionale senza impattare sull’ambiente e sul territorio,
semplicemente cambiando la destinazione di determinate colture, con il grande vantaggio, inoltre, di dare uno sbocco certo sul mercato alla produzione cerealicola realizzata.
Questa necessità di produrre anche nel futuro permette di poter avere una sostenibilità economica tale da poter giustificare gli ingenti capitali necessari per la costruzione dell’impianto produttivo.
3.1.5 Analisi dei costi di produzione del bioetanolo nel caso