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indagini preliminari

L’individuazione di persone è l’atto tramite il quale il pm (o la polizia giudiziaria su sua delega), seleziona quel soggetto o oggetto che risulta coinvolto nel fatto per cui si procede, delimitando il campo delle indagini.

Sotto questo punto di vista, è l’atto che meglio permette di comprendere il procedimento come l’esistenza di una serie concatenata di fatti, l’uno il presupposto dell’altro, dal momento che si pone come atto di collegamento tra i primi generali accertamenti e i successivi atti di indagini, riferiti ad un soggetto o cosa in particolare.

Dall’art. 361 c.p.p. si ricava la strumentalità dell’atto ai fini endoinvestigativi, dato che essa è subordinata nell’esecuzione alla ‘necessità per la immediata prosecuzione delle indagini’. La strumentalità dell’individuazione si denota anche dalla disciplina, caratterizzata da un profonda semplificazione rispetto al relativo mezzo di prova della ricognizione; si omettono gli ‘atti preliminari, la ‘predisposizione scenica’ per avviare direttamente il tentativo di ravvisamento, escludendo anche il carattere comparativo fondamentale per il mezzo di prova.

Ricognizione e individuazione, mirano entrambi a ravvisare una persona o una cosa coinvolta nel reato, tuttavia, la prima attribuisce definitivamente un ruolo attivo o passivo al soggetto/oggetto da cui discende la necessità del rispetto degli adempimenti previsti dalla specifica disciplina; la seconda, invece, permette solo la

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prosecuzione delle indagini, con le quali si provvederà a verificare che il soggetto individuato sia effettivamente legato al fatto.

Queste caratteristiche fanno rientrare l’atto tra quelli ‘nominati e atipici’ realizzabili dal p.m., in cui in mancanza di un espresso rinvio alla disciplina relativa alla ricognizione, spetta all’autorità procedente adottare i modi ritenuti in concreto più opportuni per svolgere l’atto; fa eccezione il rimando, contenuto nell’art. 361 comma 3 c.p.p., all’art. 214 comma 2225, riguardante la possibilità di avviare il ravvisamento invisa altera parte se ci siano motivi che possano far ritenere che la persona ‘possa subire intimidazioni o altra influenza dal soggetto sottoposto a individuazione’.

Data la sua semplicità e libertà della forma, si colloca nel gradino più basso della ‘scala’ degli atti di indagine, e non può essere posto a fondamento di un provvedimento del giudice per le indagini preliminari, né può essere inserita nel fascicolo del dibattimento, considerando anche che per la verbalizzazione non è prevista alcun obbligo e solitamente il verbale è redatto in forma riassuntiva o mediante annotazioni ritenute necessarie, come disposto dall’art. 373 comma 3 c.p.p.226

A ciò si aggiunga l’altro fondamentale elemento, dell’assenza del diritto di difesa durante lo svolgimento dell’individuazione, giustificato proprio dal fatto che per le sue caratteristiche (semplicità della forma, assenza di

225 Per le cautele che è possibile adottare nel corso dell’atto

ricognitivo vedi par. 2.3.2

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garanzie, finalità endoinvestigative, mancanza di vincoli di verbalizzazione) l’atto del pubblico ministero non ha valore probatorio, pertanto appare inutile l’assistenza del difensore. La Corte Costituzionale (sent. 12 giugno 1991, n. 265), ha ribadito proprio questo aspetto in una pronuncia interpretativa di rigetto; ‘non sussiste alcuna violazione del principio di paritaria partecipazione dell’accusa e della difesa al processo in ragione della funzione non probatoria dell’atto di individuazione’, infatti il legislatore ha ‘graduato l’assistenza difensiva in funzione del rilievo conferito all’atto, che esaurisce i suoi effetti all’interno della fase in cui è compiuto. L’individuazione del p.m. è un ‘procedimento diverso dalla ricognizione, esso si sostanza in un puro atto d’indagine finalizzato ad orientare l’investigazione, ma non ad ottenere la prova.’ Inoltre il codice, ha posto l’individuazione su un piano diverso rispetto agli atti ai quali il difensore ha diritto di assistere, non equiparandola alle ispezioni, al confronto o all’interrogatorio. Si deve considerare poi, che ci sono ipotesi in cui non si sia ancora materialmente identificato un soggetto da sottoporre alle indagini, per cui non sia possibile avviare l’assistenza ‘in incertam personam’.227

Quel carattere strumentale è indice anche della consapevolezza del legislatore del 1988, del particolare legame tra individuazione e ricognizione. Infatti, nell’art. 213 c.p.p., il legislatore ha previsto che tra i chiarimenti disposti dal giudice ci sia la richiesta se ‘prima o dopo il

227 A. MELCHIONDA, Ricognizione e confronti, in Giurisprudenza sistematica di diritto processuale penale, op. cit., p. 263

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fatto, abbia visto la persona da riconoscere’ o se ci siano ‘altre circostanze che possono influire sull’attendibilità’. La cautela della valutazione della prova in questi casi, indica la consapevolezza, come ha ribadito la dottrina, che la precedente individuazione consuma l’effetto psicologico, svuotando la messa in scena allestita successivamente; poiché è più facile che il ricognitore si basi sui dati dell’individuazione, invece che sui dati mnemonici dell’informazione originaria.228

Sebbene rispetto al codice del 1930 (che identificava le precedenti individuazioni come condizione sufficiente per ‘prevenire’ il riconoscimento, inquadrandole quindi in un ottica totalmente negativa) la disciplina odierna presenti una maggiore apertura verso questo mezzo di indagine, ciò non significa l’assenza totale di pregiudizio tra i due atti, come invece sostiene una parte della giurisprudenza. L’art. 213 c.p.p fa unicamente riferimento al rischio dei precedenti atti di ‘influire’ sulla successiva ricognizione, stabilendo quindi in via implicita, la necessaria scelta del pubblico ministero di ricorrere alternativamente all’incidente probatorio per assumere la ricognizione o a procedere direttamente all’individuazione dell’art. 361 c.p.p.; l’autorità procedente dovrà effettuare una valutazione di opportunità, considerando che c’è il rischio che con il previo riconoscimento, l’accusa bruci la realizzazione del

228 A. M. CAPITTA, Ricognizioni e individuazioni di persone nel diritto delle prove penali, op. cit., p. 169. Sostiene che in questo

caso si verrebbe a creare il ‘congelamento del ricordo’, per cui i soggetti non riescono più a distinguere i messaggi relativi alla realtà percepita al momento del fatto da quelli successivi, cosicché il rischio di errori nel riconoscimento aumenta.

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successivo mezzo di prova utilizzabile per il convincimento del giudice.229

Il fatto che in tema di ricognizione, si prospetti l’ipotesi che l’atto di riconoscimento possa già essere avvenuto, evidenzia quella scelta di apertura verso le individuazioni da parte del codice.

La possibile reiterazione dell’atto veniva confermata da alcune sentenze della Cassazione più risalenti, in cui si faceva notare come ‘non sussista alcun rapporto di alternatività tra l’individuazione e la ricognizione, tale per cui una volta disposta la prima non si possa mai procedere alla seconda. Ragionamento che porta a ritenere, conformemente a quanto risulta dalla Relazione al progetto preliminare, che lo strumento dell’art. 361 c.p.p. sia previsto solo nella prima fase delle indagine ad evitare che la necessità del compimento dell’atto possa andare ad incidere sul convincimento del giudice; e che, anche la presenza di una precedente individuazione rende di norma necessaria una successiva ricognizione in dibattimento (o in incidente probatorio)’230.

Lo stesso art. 213 c.p.p. prevede unicamente una sorta di indicazione di prudenza per la valutazione, rivolta al giudice, ma non prevede alcun tipo di sanzione se vi è stata un attività precedente; la nullità sussiste solo nel caso in cui il giudice non abbia proceduto all’adempimento previsto e alla relativa mancata verbalizzazione.

229 A. BERNSCONI, La ricognizione di persone nel processo penale,

op. cit., p. 122 ss.

230 Corte Cass., Sez. VI, 18/02/1994, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1995, p. 264

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Parte della dottrina ha poi individuato nella previsione iniziale dell’art. 361 c.p.p. un divieto probatorio, (confermato in parte dalla Corte cost. 265/91), di inutilizzabilità dei risultati dell’atto davanti al giudice del dibattimento; le caratteristiche dell’individuzione che la qualificano come la ‘gemella povera’ della ricognizione 231 possono essere giustificate solo in quanto l’atto è destinato a esaurire i propri effetti nell’immediato.

Tuttavia, la prassi giudiziaria che si è andata sviluppandosi attribuisce valore probatorio a questo atto di indagine, facendo leva su diversi argomenti:

-la previsione contenuta nell’art. 361 c.p.p. è limitata a indicare il momento temporale di limitazione della libertà del soggetto ai fini dell’individuazione per la prosecuzione delle indagini;

-non esiste alcun divieto di documentazione e di utilizzazione, pertanto, parificando l’individuazione agli altri mezzi di indagine, si può far riferimento al principio generale di utilizzabilità degli atti compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria, ammettendo così che l’atto di riconoscimento realizzato dal p.m. possa entrare a far parte del fascicolo dibattimentale.

-il legislatore ha previsto espressamente le ipotesi di inutilizzabilità, quindi si adotta il criterio interpretativo del ‘ciò che non è vietato è consentito’ volto a valorizzare la libertà della prova.

Queste previsioni, hanno portato ad attribuire una ‘ultrattività’ all’atto investigativo, il quale ha assunto

231 A. BERNASCONI, La ricognizione di persone nel processo penale,

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una funzione non solo investigativa, ma anche probatoria, portando le autorità a preferirlo alla ricognizione in quanto più snello, pratico e interamente rimesso alla libertà del pubblico ministero sia per l’an che per il quomodo.232

Su questa scia, la giurisprudenza ha individuato diverse ipotesi di utilizzabilità dell’individuazione, qualificabili in base all’uso che se ne voglia fare:

- per l’adozione di misure cautelari: l’individuazione si configura come ‘un grave indizio di colpevolezza’ ai sensi dell’art. 273 c.p.p.; il risultato positivo dell’identificazione, fungerebbe come circostanza di fatto, idonea a permettere di attribuire il reato al soggetto. Anche una sola individuazione di polizia giudiziaria sarebbe sufficiente all’adozione della misura, sul presupposto che il requisito della gravità previsto dal codice, non tenga conto della pluralità o meno degli indizi a carico del soggetto. Si opera in questo senso una forzatura all’articolo relativo alle misure cautelari, il quale fa riferimento all’esistenza di gravi indizi di colpevolezza.

- per l’adozione di riti speciali: è qualificabile come elemento di prova fondante per la richiesta di giudizio abbreviato o della pena su richiesta delle parti.233

- per le contestazioni in dibattimento: interpretando estensivamente l’art. 500 c.p.p. relativo alle precedenti dichiarazioni rese dal testimone, si giustificava l’inclusione delle individuazioni fotografiche e personali

232 A. MELCHIONDA, Ricognizioni e confronti, op. cit., p. 264-265 233 S. CAVINI, Ricognizioni e confronti, op. cit., p. 119 ss.

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compiute dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria, assimilandole alle sommarie informazioni, essendo nella sostanza dichiarazioni rese per l’identificazioni di cose o persone. Questa previsione non può essere accettata in quanto il codice del 1988 è improntato al principio dell’oralità e su sollecitazione della commissione parlamentare, ha previsto come deroga a questo principio, la possibilità di rilevare difformità e contestazioni rispetto alle precedenti dichiarazioni rese dal testimone, ma non la possibilità di contestare altre tipologie di atti di indagine, come le individuazioni.

La differenza rispetto alle sommarie informazioni, si evidenzia rispetto sia al contenuto dell’atto, che alla verbalizzazione; innanzitutto, l’individuazione non è strutturata in forma narrativa, risulterebbe, quindi difficile porre delle vere e proprie contestazioni. Diverso è il caso in cui si svolga un esame testimoniale avente ad oggetto la ricognizione e la precedente individuazione, per il quale la testimonianza è ammissibile purché non si effettuino contestazioni relative agli esiti dell’atto. Inoltre l’atto investigativo è diverso rispetto a quello dichiarativo; quest’ultimo è solo una parte del primo, il quale si sostanzia in un atto complesso, composto non solo dall’attività descrittiva e identificativa del soggetto, ma anche da altre attività poste in essere dall’autorità (es. l’attestazione dell’identità del soggetto passivo e attivo). Non è possibile accettare l’orientamento della Corte di Cassazione di scorporare l’atto e distinguere due tipi di dichiarazioni, quelle descrittive del soggetto e dei fatti,

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utilizzabili ai fini delle contestazioni, e quelle individuative in senso stretto su cui vige la preclusione. Dal punto di vista del verbale, non vi è l’obbligo di una verbalizzazione integrale, prevista invece per le informazioni fornite al pubblico ministero, per le quali, la completezza determina la possibilità di rilevare e valutare le difformità.

Assimilare l’atto di individuazione alle sommarie informazioni, ammetterebbe anche l’uso delle precedenti dichiarazioni del coimputato che si rifiuti di sottoporsi al dibattimento, per effetto del principio di non dispersione degli elementi di prova.234 Tuttavia, questo orientamento determinerebbe che qualsiasi dichiarazione resa durante il compimento di atti di indagine, si trasformerebbe in testimonianza e verrebbe acquisito nel fascicolo del dibattimento, determinando

234 Cass. pen., Sez. I, 15/6/94, Sannino, in Cassazione penale,

1996, p. 227. ‘la normativa dell’art. 500 risulta profondamente innovata a seguito della sentenza n. 255 del 3 giugno 1992 con cui la Corte ha dichiarato l’incostituzionalità, per contrasto con l’art. 3 Cost., dei commi 3 e 4 dell’art. 500 c.p.p. nella parte in cui non prevedono l’acquisizione nel fascicolo del dibattimento, se sono state utilizzate per le contestazioni, delle dichiarazioni precedentemente rese dal testimone e contenute nel fascicolo del p.m., osservando che ‘accanto al principio dell’oralità, è presente, nel nuovo sistema processuale, il principio di non dispersione degli elementi di prova non compiutamente (o genuinamente) acquisibili col metodo orale. Sulla scia di tale pronuncia, il testo dell’art. 500 è stato riformulato, disponendo l’acquisizione nel fascicolo del dibattimento delle dichiarazioni usate per le contestazioni e ne ha regolato il valore probatorio. Orbene, questa corte ritiene che l’interpretazione dell’art. 500 giustifichi l’inclusione nel campo di applicazione delle disposizioni ivi contenute, anche dei risultati delle individuazioni fotografiche e personali compiute dal p.m. o dalla polizia giudiziaria, in quanto esse, pur implicando le attività strumentali necessarie per l’esecuzione della ricognizione, costituiscono nella sostanza, pur sempre dichiarazioni rese da testi per l’identificazione di persone e cose, di guisa che detti risultati, possono senz’altro essere acquisiti nell’istruzione dibattimentale con la procedura delle contestazioni nell’esame dibattimentale.’

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l’ingresso di elementi destinati ad operare solo nella fase precedente.235

In linea generale, l’atto del riconoscere non può essere considerato come sommaria informazione sulla base dell’art. 500 c.p.p., non può determinarsi quindi neanche l’utilizzabilità ai fini di vagliare la credibilità del coimputato o del teste-ricognitore. L’unica deroga all’inutilizzabilità è prevista nel caso di atto volontario delle parti, le quali concordino per il recupero della funzione probatoria di atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero.236

- per l’acquisizione del fascicolo in dibattimento: l’esito dell’individuazione è considerato acquisibile al fascicolo in base all’art. 431 lett. c) c.p.p. per cui un atto d’indagine compiuto dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria può essere replicato in dibattimento, tramite la lettura del relativo verbale, quando sia irripetibile. Riguardo all’individuazione personale, si sostiene che questa abbia carattere irripetibile poiché risultano del tutto superate le condizioni del contesto in cui l’atto si è realizzato, sia perché la precedente individuazione esplicherebbe un effetto pregiudicante al successivo compimento dell’atto in dibattimento. La stessa idea vale anche, per le ricognizioni reali, per cui l’irripetibilità dell’individuazione della refurtiva deriva dal fatto che la res restituita al soggetto, è suscettibile di alienazione e trasformazione.

235 Corte App. Bologna, 15 febbraio 1993, Balsamo, in Giustizia penale, 1999, n. 432

236 A. M. CAPITTA, Ricognizioni e individuazioni di persone nel diritto delle prove penali, op. cit., p 237 ss.

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Questo indirizzo sorretto da poche pronunce non può essere considerato valido, poiché quando si parla di irripetibilità, si può far riferimento a:

-irripetibilità ab origine, per cui si è a conoscenza dell’impossibilità di riprodurre l’atto in un momento successivo e si assume nel rispetto di tutte le garanzie del contraddittorio, con la particolare forma dell’incidente probatorio.

L’atto, entra da subito a far parte del fascicolo del dibattimento, e si darà lettura del relativo verbale in udienza, secondo l’art. 511 c.p.p.;

-irripetibilità sopravvenuta, in cui a seguito di circostanze imprevedibili, l’atto compiuto senza le garanzie, con la lettura del verbale ex art. 512 c.p.p., entra a far parte del fascicolo del dibattimento e può essere utilizzato dal giudice per la decisione finale.

Proprio sulla base della combinazione degli artt. 431 e 512 c.p.p., la giurisprudenza giustificava l’ingresso dei risultati dell’individuazione nel dibattimento, senza considerare che ‘la previsione di cui all’art. 431 c.p.p. è una deroga al principio dell’oralità e costituisce una norma eccezionale di stretta interpretazione. Quando ci si riferisce all’irripetibilità, non si può intendere una nozione ampia volta a ricomprendere le ipotesi di salvaguardia dell’atto per il trascorrere del tempo; il concetto di irripetibilità, infatti, non può che consiste in un impossibilità di reiterazione dell’atto in sede dibattimentale, mentre l’esigenza di evitare che il decorso del tempo pregiudichi la genuinità della prova trova la sua tutela nell’incidente probatorio. Pertanto si esclude che gli atti di individuazione fotografica e

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personale non possono considerarsi atti irripetibili’,237 ‘si andrebbe altrimenti a sovrapporre la nozione di atto non rinviabile e di atto non ripetibile, risultando l’individuazione, come tale, sempre ripetibile attraverso il ‘mezzo di prova’ della ricognizione’.238

Anche l’art. 512 c.p.p. pone un limite, facendo riferimento all’irripetibilità derivante da ‘fatti o circostanze imprevedibili’, come ad esempio può accadere nel caso di morte prematura e imprevedibile del ricognitore. Mentre lo stesso non vale per la morte della persona offesa, le cui lesioni sono così gravi da poterne prevedere la morte. Inoltre quell’impossibilità sopravvenuta, sulla base del limite individuato dall’art. 111 comma 5 Cost., deve essere di tipo ‘oggettivo’, si escludono quindi tutte le ipotesi riconducibile alla facoltà del soggetto di astenersi dal deporre, per le quali la lettura del verbale è ammessa solo su accordo delle parti.239

- Per la testimonianza indiretta: l’acquisizione dell’individuazione in dibattimento, avviene con la conferma del soggetto che vi ha proceduto ed è sottoposto all’esame testimoniale. Si fa leva sull’art. 195 comma 1 c.p.p. relativo alla testimonianza indiretta del testimone che ‘si riferisce per la conoscenza dei fatti ad altre persone’; l’esame si svolge con una domanda

237 Cass. pen., Sez. I, 15 giugno 1994, Sannino, op. cit., p. 227 238 Cass. pen., Sez. VI, 18 febbraio 1994, Goddi, op. cit., p. 256 239 A. M. CAPITTA, Ricognizioni e individuazioni di persone nel diritto delle prove penali, op. cit., p. 246 ss. Oltre ai casi visti,

evidenzia anche l’ipotesi di concreta impossibilità sopravvenuta di rintracciare il testimone-ricognitore per cui vale la natura oggettiva, distinguendo il caso di sopravvenuta irreperibilità o latitanza della persona individuata.

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generica di conferma del realizzarsi dell’atto, quindi con modalità diverse rispetto al normale esame che prevede domande più specifiche volte a far emergere le congruenze tra le dichiarazioni rese.

L’inammissibilità del procedimento, dovrebbe aversi in quanto, l’uso in dibattimento determinerebbe un aggiramento della disciplina dell’art. 361 c.p.p. Inoltre il codice non prevede nessuna ipotesi di conferma di un atto di indagine; a cui si deve aggiungere che questo tipo di testimonianza, corrisponde a dichiarazioni su un atto del procedimento, che non è un oggetto tipico della prova testimoniale, il quale dovrebbe riferirsi a fatti relativi all’imputazione e non a qualsiasi attività investigativa.

Infine se la testimonianza indiretta fosse posta in essere da un ufficiale di polizia giudiziaria, si rientrerebbe non più nell’art. 195 comma 1 c.p.p., ma nel comma 4 che pone un divieto di deporre a carico di questi soggetti.240

Gli orientamenti giurisprudenziali hanno dato vita ad una prassi che scavalca la regola dell’inutilizzabilità dell’atto dell’individuazione in dibattimento, determinando uno svuotamento di significato delle previsioni del legislatore.

L’individuazione contemplata all’art. 361 c.p.p. è attività riconducibile al pubblico ministero, nella prassi però spesso è diretto dalla polizia giudiziaria la quale può disporre l’atto:

- a seguito della delega del pubblico ministero.

240 A. M. CAPITTA, Ricognizioni e individuazioni di persone nel diritto delle prove penali, op. cit., p 254 ss.

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L’atto di delega non deve contenere precise indicazioni sull’acquisizione delle dichiarazioni, ma lo svolgimento dell’individuazione deve rispettare le norme dettate per l’atto nominato che il codice contempla tra quelli delegabili. Pertanto sono vietate le ‘individuazioni nominative’ verbalizzate come ‘sommarie informazioni’, cioè le operazioni effettuate a ‘memoria’, in cui il ricognitore si basa unicamente sul suo ricordo e non su elementi di comparazione, quali la persona fisica o le fotografie. La prova in tal caso è illegittima, per compimento dell’atto contra legem, e l’irritualità del verbale si ricava dall’art. 189 c.p.p. che fa riferimento all’impossibilità di usare un mezzo di prova, se ricorrono gli estremi per compierne un altro.

Il p.m., inoltre, procedendo alla delega, dovrà considerare le finalità di ‘immediata prosecuzione delle indagini’ vagliando la possibilità di scagionare in breve

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