• Non ci sono risultati.

La ricognizione nel processo penale: profili di attendibilità tra disciplina legislativa e realtà giuridico-psicologica

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "La ricognizione nel processo penale: profili di attendibilità tra disciplina legislativa e realtà giuridico-psicologica"

Copied!
134
0
0

Testo completo

(1)

I

Introduzione

In questo elaborato si è cercato di analizzare l’istituto della ricognizione, la sua evoluzione nel corso del tempo, tra le varie discipline che si sono susseguite.

Il cambiamento che si è venuto a realizzare con l’ingresso, ad opera del codice del 1988, nel genus dei mezzi di prova e il relativo distaccamento rispetto al mezzo della testimonianza con cui spesso si accomuna. Il riconoscimento di persone, cose e tutto ciò che è percepibile, basandosi sul ricordo, è caratterizzato dal subire molte influenze esterne. La scienza psicologica ha analizzato questi fattori che vanno dallo studio dei volti, ai vari eventi o situazioni condizionanti la percezione originale e di conseguenza il risultato del ravvisamento. Il legislatore, con il codice del 1988 si è impegnato a conformare giuridicamente gli insegnamenti e gli esperimenti svolti nei vari studi su questo tema, tanto è vero che le minuziose formalità prescritte negli artt. 213 e ss. c.p.p. tengono conto della complessità del procedimento mnemonico.

Inoltre, allo scopo di evitare esiti della ricognizione influenzati da informazioni successive all’atto, si è

(2)

II

proceduto all’adozione di criteri e correttivi che possano guidare il giudice per sondare la veridicità della memoria dei soggetti coinvolti nell’iter procedimentale. Infatti, il ricognitore non sempre si rende conto che la percezione originaria è stata colmata da procedimenti logici al fine di rendere meno labili i contorni del ricordo divenuti tali a causa del trascorrere del tempo.

Se a livello teorico sono previste disposizioni che rispondono ai richiami della scienza psicologica, resta da verificare l’esito in concreto di questo ambizioso disegno. Lacune e contraddizioni normative possono sempre emergere. E soprattutto è da verificare l’impatto con la prassi; si può essere indotti a pensare che la sede di acquisizione debba essere anticipata rispetto al momento dibattimentale attraverso l’uso dello strumento dell’incidente probatorio, così da poter ridurre il lasso di tempo trascorso tra la percezione originaria e l’atto ricognitivo.

Infine, si cerca di comprendere in che modo il tentativo del legislatore di porre delle cautele nella valutazione dell’attendibilità dell’atto, sia stato dalla prassi disatteso durante le indagini investigative. Agli strumenti messi a

(3)

III

l’individuazione ex. art. 361 c.p.p., le autorità procedenti attribuiscono un valore probatorio che nella disciplina legislativa non è prevista, determinando una violazione delle basilari garanzie del giusto processo.

(4)

IV

INDICE

CAPITOLO I

Evoluzione storico-normativa

1.1 Inquadramento del codice 1930 1

1.2 Riforma del codice 1988

1.2.1 Le principali novità rispetto alla disciplina previgente 6 1.2.2 L’emancipazione dalla testimonianza 9

CAPITOLO II

Ricognizione di persone: le formalità

“scenografiche”

2.1 L’atto del riconoscere: qualificazione e processo mnemonico 16 2.2 I protagonisti dell’atto 2.2.1 Il ricognitore 24 2.2.2 I soggetti passivi a. Il riconoscendo 29 b. I “distrattori” 30 2.2.3 Il giudice e i suoi poteri coercitivi: la ricognizione coatta 33 2.3 Il procedimento 38 2.3.1 Gli atti preliminari 39

(5)

V

a. Descrizione ad opera del soggetto attivo 40 b. Chiarimenti su richiesta del giudice 45 2.3.2 “Predisposizione scenica” e cautele 51 2.3.3 I risultati 57 2.3.4 La documentazione dell’atto e il regime delle

invalidità 66 2.4 La sede di acquisizione dell’atto: l’incidente

probatorio 72

CAPITOLO III

Altre forme di ricognizione

3.1 Riconoscimento di cose 76 3.2 Individuazioni di voci e suoni 82 3.3 Ricognizioni plurime 88

CAPITOLO IV

Il surrogato: le forme atipiche di

riconoscimento

4.1 Riconoscimenti informali 4.1.1 Individuazione in udienza 95 4.1.2 Identificazione spontanea 99 4.2 Ricognizioni fotografiche 100 4.3 Individuazione durante le indagini preliminari 104

(6)

1

Capitolo I

Evoluzione storico-normativa

SOMMARIO: 1.1 Inquadramento del codice 1930 1.2 Riforma del

codice 1988 1.2.1 Le principali novità rispetto alla disciplina previgente 1.2.2 L’emancipazione dalla testimonianza

1.1 Inquadramento del codice 1930

“La ricognizione è il mezzo di prova al quale si ricorre per procedere al riconoscimento di persone, del corpo del reato, di cose pertinenti al reato, mediante percezione sensoriale (vista, voce, suono, sapore, odore, tatto).1

Nonostante spesso sia indicata dai mass media come “confronto all’americana” è un istituto processuale non importato d’oltre oceano ma presente nel nostro ordinamento fin dai codici preunitari, che lo regolavano e spesso confondevano con un altro mezzo di prova, il confronto tra reo e testimone.2

Lo stesso codice Rocco entrato in vigore nel 1931, affiancava questi due istituti disciplinandoli in un unico capo, nella sezione dedicata all’istruzione formale, portando avanti una tradizione così sedimentatasi fin dal codice di procedura penale napoleonico del regno d’Italia del 1807. La confusione era legata al fatto che

1 G. CANZIO - G. TRANCHINA, sub art. 213, in Codice di procedura penale, a cura di G. CANZIO, G. TRANCHINA, Milano, 2012, p.

2002

2 A. MELCHIONDA, sub art. 214, in Commento al nuovo codice di procedura penale coordinato da M. Chiavaro, Torino, 1990, p. 548

(7)

2

entrambi sono mezzi di risoluzione di situazioni dubbie, sulla base di nozioni parzialmente già note.

La disciplina si diversificava tra ricognizione avente ad oggetto persone (ricognizione personale) o “cose” (ricognizione reale).

Riguardo alla prima, dal punto di vista normativo, il legislatore del 1930, prevedeva che legittimato a disporre la ricognizione fosse il giudice, ma anche il pubblico ministero nell’istruttoria preliminare o sommaria; nei casi di necessità e urgenza poteva procedere all’atto anche la polizia giudiziaria.

All’operazione, nel rispetto delle norme di garanzia degli artt. 304-bis, 304-ter, 304-quater, potevano assistere i difensori delle parti, i quali dovevano essere avvisati ventiquattro ore prima e avevano facoltà di presentare al giudice istanze e osservazioni, in ogni caso senza mai fare cenni o rivolgere parola ai testimoni o alle parti. Nonostante più persone avessero il diritto di assistere alla ricognizione, l’unico conduttore rimaneva il giudice, al quale era rimesso l’apprezzamento delle ipotesi in cui procedere all’atto e la valutazione del grado di attendibilità del soggetto attivo con diverse domande. La prima previsione che si riteneva desse maggiore garanzia all’atto era l’invito del giudice alla descrizione della persona da riconoscere. Si procedeva poi a vari interpelli per verificare se il ricognitore fosse già stato sottoposto a tale esperimento da altra autorità o avesse avuto, in qualche modo, una precedente possibilità di ravvisamento (es. tramite fotografia, tramite indicazioni ecc.), così da poter evitare che vi fossero convincimenti

(8)

3

preformati atti a prevenire il riconoscimento; delle dichiarazioni doveva farsi menzione nel verbale.

Sulla base della descrizione il giudice allestiva la “messa in scena”, assicurando la presenza di altre due o più persone aventi qualche somiglianza con quella descritta, la quale doveva presentarsi nelle stesse condizioni in cui era stata vista dal ricognitore. Il giudice invitava il soggetto attivo a dichiarare se, tra i presenti, avesse riconosciuto “con sicurezza” la persona ed eventualmente ad indicarla; di tutto ciò si faceva menzione nel verbale.

Il codice all’art. 363 c.p.p. abr. distingueva due tipi di soggetti attivi:

-chi avesse già assunto, nel corso del procedimento la qualifica di testimone, il quale, a pena di nullità, doveva prestare giuramento prima dell’atto, secondo le formalità previste dall’art 449 c.p.p., e diventava “testimone nell’atto di ricognizione” senza poter assumere la qualifica di ricognitore attivo.

-E qualsiasi altra persona, estranea al ruolo di testimone, verso i quali non era imposto il previo giuramento.3

Questa previsione è stata poi oggetto di disputa sul tema del rapporto con l’istituto della testimonianza, a cui la ricognizione si riteneva fosse assoggettata.

Inoltre, durante la vigenza del c.p.p. 1930, si è vivamente dibattuto sul valore processuale di questo strumento. Si individuavano diverse teorie che avevano diviso la dottrina dell’epoca:

3 N. TRIGGIANI, Ricognizioni mezzo di prova nel nuovo processo penale, Milano, 1998, p. 52 ss

(9)

4

-la prima teoria sosteneva che la ricognizione fosse un atto istruttorio informativo, diretto ad assodare e valutare l’attendibilità di un mezzo di prova. Quindi un elemento che, qualunque fosse il risultato, da solo non sarebbe stato in grado di provare nulla riguardo agli atti imputati. La vera prova invece era la testimonianza, la cui valutazione e il controllo avvenivano proprio attraverso la ricognizione.

-La seconda dottrina riteneva la ricognizione come vero e proprio mezzo di prova mediante il quale si acquisiva nel processo la conoscenza dell’identità fisica di una persona o di una cosa, muovendo dal presupposto che “ogni accertamento processuale, tendente a fare conoscere chi sia l’autore di un reato e quali siano le modalità con le quali un avvenimento si è svolto, è una prova.

Si immagini che un testimone si sia limitato a descrivere quegli che ha visto senza poterlo identificare: si arresta un individuo, sottoposto ad un atto di ricognizione, il testimone lo riconosce. Ora il giudice si persuade della responsabilità del riconoscimento, non per la descrizione che era molto sommaria, ma per il riconoscimento giudiziario.4

-Si è poi diffuso un terzo orientamento che individuava la ricognizione come un atto di prova generica a carattere indiziario, poiché il giudice sfrutta tutta una serie di atti che si svolgono sotto la sua diretta percezione per poter individuare l’identità del soggetto o della cosa. Atti quali la conformità della descrizione, il

4 Cfr. E. ALTAVILLA, Psicologia giudiziaria, vol. II., 4° ed., Torino,

(10)

5

riconoscimento basato sul ricordo della prima impressione visiva, l’individuazione della persona tra più soggetti somiglianti, sarebbero tutti elementi con i quali il giudice acquisisce indizi utili a formare il proprio convincimento. Quest’ultima dottrina tuttavia, presenta un punto debole legato proprio a quegli elementi indizianti, i quali si presentano in realtà come “indicazioni di tendenza” così da essere strumenti utili per il controllo sulla credibilità del teste.5

Riguardo alla ricognizione di cose, il legislatore non specificava l’oggetto a cui fare riferimento, dottrina e giurisprudenza ritenevano che con l’indicazione “cosa” fossero suscettibili di riconoscimento, le cose mobili, ma niente impediva che lo fossero anche quelle immobili o luoghi6, le cose animate come gli animali o inanimate, e

anche le cose fungibili o generiche se dotate di particolari che permettevano l’identificazione. 7 Per quanto riguarda le modalità di esecuzione, il legislatore rinviava in modo generico alla disciplina della ricognizione personale.8

1.2 Riforma del codice 1988

5 N. TRIGGIANI, Ricognizioni mezzo di prova nel nuovo processo penale, op. cit., p. 12-13

6 Come ad esempio poteva essere la ricerca di un luogo o un

immobile in cui il soggetto fosse stato trattenuto perché vittima di un sequestro.

7 Cass. 17 marzo 1964, sez. III, Passera: ‘il giudice di merito debba

ritenere efficace la ricognizione effettuata dal proprietario di una gioielleria a cui erano stati rubati degli anelli, perché fatta ‘con l’occhio del padrone’. La circostanza che oggetti della stessa specie sarebbero stati venduti anche da altri negozianti, come avviene generalmente, non distrugge il riconoscimento affidato alla praticità del padrone e sorretto dalle particolarità delle confezioni.’

8 N. TRIGGIANI, Ricognizione mezzo di prova nel nuovo processo penale, op. cit., p. 147

(11)

6

1.2.1 Le principali novità rispetto alla

disciplina previgente

Il nuovo codice di procedura penale, ha accentuato la regolamentazione e ha rinforzato la normativa adottata dal previgente rito, ponendo l’accento sulla “marcata diffidenza verso l’attendibilità dei risultati” del mezzo di prova e rimarcando la necessità di scongiurare “esiti influenzati e precostituiti”.

Il legislatore del 1988 ha optato per una strategia di doppio livello, su un versante ha riproposto, non senza irrobustirli, alcuni dettagli procedurali relativi agli accertamenti preliminari e all’allestimento della ricognizione già contenuti nel codice del 1930, sull’altro, ha arricchito il sistema sanzionatorio posto a tutela dei predetti adempimenti. Con ciò ha accolto, almeno in parte, gli inviti provenienti dalla psicologia, ad un approccio di estrema cautela nell’utilizzo di questo mezzo di prova.9

Il codice ha operato un’importante distinzione tra due titoli, i “mezzi di prova” e i “mezzi di ricerca della prova”, i primi hanno l’attitudine di offrire al giudice risultanze probatorie direttamente utilizzabili in sede decisionale e assicurano la formazione della prova in sede processuale; invece i secondi, permettono l’acquisizione in processo di elementi probatori precostituiti e non sono per il giudice mezzi diretti su cui fondare il convincimento. La ricognizione, pur avendo funzione di controllo, è stata collocata tra i mezzi di prova, ponendo

9 A. BERNASCONI, La ricognizione di persone nel processo penale, struttura e procedimento probatorio, Torino, 2003, p. 53

(12)

7

fine alla disputa circa il valore probatorio avuta nel corso della vigenza del codice precedente.

Dal punto di vista sistematico, il codice del 1988 ha posto una rottura rispetto al passato, prevedendo una nuova collocazione all’istituto della ricognizione, separandola dal capo dedicato ai confronti. All’atto è dedicato il capo IV del titolo II del libro III (artt. 213-217 c.p.p.).10 Riguardo alla disciplina, questa non è

dissimile nella sostanza a quella contemplata dal codice precedente, si mantengono le previsioni di una previa descrizione del soggetto da riconoscere e le successive interpello poste dal giudice.

Le maggiori novità si hanno in tema di ricognizione personale, e di riflesso anche nell’ambito della ricognizione reale, visti gli specifici rinvii agli artt. 213 e 214 comma 3 c.p.p.

Tra queste innovazioni si ha la previsione del rispetto delle formalità previste a pena di nullità, affiancata da un altro regime sanzionatorio, quello dell’inutilizzabilità, così da accentuare l’osservanza delle previsioni dell’art. 213 c.p.p. e ss. Per quanto riguarda i soggetti attivi della ricognizione, è venuta meno per il ricognitore-testimone la formalità di prestare giuramento, non sostituito da altre formule, ma dando per scontato che un dovere di verità debba esserci nonostante non ci siano precise sanzioni a livello penale.11

Un'altra non marginale novità si ha a seguito della messa in scena, ossia nel momento delle risultanze

10 Per un’analisi più dettagliata della disciplina vedi cap. II

11 A. MELCHIONDA, sub art. 213, in Commento al nuovo codice di procedura penale, op. cit., p. 547

(13)

8

dell’atto di riconoscimento, il ricognitore attivo dovrà indicare se tra le persone a lui presentate si trova la persona (o l’oggetto) descritta; l’indicazione non dovrà più essere “con sicurezza”, ma è sufficiente che il soggetto ritenga di esserne certo. Un cambio lessicale, che però consente di poter ricorrere alle “percentuali” di certezza già ammesse dalla prassi.12

Altra novità riguarda la possibilità per il giudice di disporre che lo svolgimento dell’atto ricognitivo sia documentato non solo con il tradizionale verbale, ma

anche mediante “rilevazioni fotografiche o

cinematografiche” o con “altri strumenti o procedimenti audiovisivi”. Ciò è legato sia alla questione della formazione di convincimento del giudice, il quale potrà apprezzare anche in momenti successivi all’atto, le modalità del suo svolgimento. Sia al fatto che spesso il tradizionale verbale non teneva conto di descrivere alcuni aspetti, che invece erano necessari per una corretta valutazione del risultato ottenuto.

Per quanto concerne l’art. 215 c.p.p., le novità riguardano la specificazione di che cosa si intenda per “cosa” riconoscibili, con l’individuazione delle categorie “corpo del reato o di altre cose pertinenti al reato”.13

La vera e propria innovazione del codice del 1988 è l’introduzione di una disposizione totalmente nuova rispetto al passato, la previsione di un nuovo tipo di ricognizione, quella concernente il riconoscimento di “voci, suoni e tutto ciò che sia suscettibile di percezione

12 A. MELCHIONDA, sub art. 214, in Commento al nuovo codice di procedura penale, op. cit., p. 550

13 Per una disciplina più dettagliata sulla ricognizione reale vedi cap.

(14)

9

sensoriale”14. Un mezzo che si avvicina alla materia della perizia, ma che mantiene sempre l’elemento della soggettività e quindi di contenuta attendibilità. Novità che permette un adeguamento alle tecnologie odierne e che, inoltre, può essere un mezzo di particolare importanza per delitti di sequestro di persona a scopo di estorsione ( es. la vittima riconosce la voce del custode, dopo settimane di convivenza).15

Una questione non espressamente disciplinata dal codice del 1930, ma che ha suscitato dibattito durante la sua vigenza, riguarda l’ipotesi di “ricognizioni fotografiche” realizzate alla presenza della polizia giudiziaria. La dottrina è stata concorde nella condanna di questa prassi anomala, mentre la giurisprudenza, nonostante andamenti oscillanti è favorevole all’orientamento. Il problema riguardava l’esistenza o meno di un principio di “tassatività dei mezzi di prova”. Il codice del 1988 non è riuscito a risolvere la questione, poiché nonostante i vari richiami a norme, manca al suo interno un esplicito divieto di ricorsi alle ricognizioni fotografiche e quindi un relativo rischio di nullità legato all’inosservanza di una disposizione processuale.16

1.2.2 L’emancipazione dalla

testimonianza

Il codice del 1988, con le novità dal punto sistematico, segna la conclusione di un lungo processo di

14 Per una disciplina maggiormente dettagliata vedi cap. III 15 A. MELCHIONDA, sub art. 216, in Commento al nuovo codice di procedura penale, op. cit., p. 552

16 A. MELCHIONDA, sub art. 213, in Commento al nuovo codice di procedura penale, op. cit., p. 545

(15)

10

“emancipazione” dalla testimonianza, della quale, secondo molti autori, la ricognizione è considerata una “filiazione”.17

Affrancamento che era già iniziato nel codice 1930, poiché all’interno dell’art 363 c.p.p. abr., vi era la formula “quando la persona o la cosa deve essere riconosciuta da chi ha la qualità di testimonio”, da cui a contrario si poteva ricavare che vi fossero soggetti ricognitori-attivi che non fossero anche testimoni. Secondo un’autorevole dottrina, quest’articolo presenterebbe un manifesto errore, risolvibile considerando la ricognizione come una testimonianza ridotta ai minimi termini, poiché la singolarità di questo mezzo di prova non è il modo di rispondere all’interrogazione, ma proprio il metodo d’interrogazione. Il giudice nel porre la domanda anziché svolgerla come un discorso, mostra una persona o una cosa, facendo sorgere nel soggetto un dubbio. A questo esame il testimone risponde risolvendo quel dubbio con un sì o un no; risposte che darebbe se anche le altre domande gli fossero poste con questo massimo grado di specificazione e concretezza.18

Le ragioni del dibattito sul punto non erano solo a causa della previsione del giuramento per il testimone-ricognitore, ma il problema era legato alla comune radice soggettiva dei due istituti, risalente alla storia del processo penale italiano. Il ricognitore, anche nel processo romano, con la recognitio persona rum per

17 A. M. CAPITTA, Ricognizioni e individuazioni di persone nel diritto delle prove penali, Milano, 2001, p. 62

18 F. CARNELUTTI, Lezioni sul processo penale, vol. IV, Roma, 1949,

(16)

11

testes, era concepito come un testimone e i codici che si sono susseguiti, compreso il codice Rocco non hanno fatto altro che portare avanti questa tradizione, conclusasi con il nuovo codice. Anche la Corte Costituzionale (C. cost, sent. 30 giugno 1994, n. 267) ha avuto occasione di intervenire sul punto ritenendo arbitrario equiparare i due istituti, poiché nella testimonianza, il chiamato non può che essere un testimone, quindi una persona estranea, disinteressata ai fatti. Soggetto attivo della ricognizione, invece, può essere tanto un testimone quanto un coimputato o imputato in un procedimento connesso, quindi un soggetto interessato ai fatti, situazione questa assimilabile all’esame. 19

Il legislatore ha preferito disciplinare negli artt. 213-214 c.p.p. le caratteristiche peculiari dell’istituto, lasciando un vuoto normativo sul profilo soggettivo; questa lacuna, tuttavia non deve essere colmata assimilando automaticamente la ricognizione alla testimonianza o all’esame di parte privata, ma è parametro che consente di distinguere il regime delle varie specie di ricognizione, senza che l’istituto generale perda la sua autonomia.20

Ricognizione e testimonianza hanno in comune lo sfondo: entrambe consistono in “riproduzioni mnemoniche” di un avvenimento, in cui si ripete la percezione della realtà, avuta in un momento precedente. Entrambi i soggetti esercitano attività conoscitiva e dichiarativa e

19 A. BERNASCONI, La ricognizione di persone nel processo penale, struttura e procedimento probatorio, Torino, 2003, p. 46-47

20 A. M. CAPITTA, Ricognizioni e individuazioni di persone nel diritto delle prove penali, op. cit., p. 63

(17)

12

la fase intermedia, quella cognitiva passa attraverso il filtro degli organi sensoriali del soggetto che percepisce la realtà. Anche il processo di rielaborazione dei ricordi è in entrambi i casi dinamico, tuttavia le analogie a questo punto si fermano, poiché la dinamicità è percepita nella testimonianza attraverso le dichiarazioni esplicitate dal teste, invece nell’atto ricognitivo, il procedimento avviene internamente e si esplica poi con l’atto di comparazione. Le interpello poste dal giudice seguendo le formalità degli artt. 213-214 c.p.p. confermano che l’atto non consiste solo in una mera operazione di comparazione “asettica”, ma è una rievocazione del ricordo che tiene conto della collocazione di quel volto o quell’oggetto in un determinato contesto così da aiutare la memoria a dare un senso alle impressioni visive. Il fatto che questo procedimento avvenga a livello interiore indica che la tipicità della ricognizione consiste anche nel suo oggetto, molto più limitato rispetto alla testimonianza. Nell’atto ricognitivo, rilevante è il volto o la cosa che torna alla memoria, sulla base del quale il ricognitore può effettuare la sua valutazione ed esprimere un giudizio di corrispondenza o meno tra ciò che gli presenta il giudice e ciò che ha percepito in precedenza. Il teste invece, ha un ricordo che coinvolge fatti, avvenimenti, che racconterà in udienza.

Anche le modalità di formazione della prova sono diverse, quel racconto è organizzato dal teste, che si avvale di elementi temporali, spaziali, e secondo schemi logici di “causa-effetto” che agevolano il soggetto poiché rendono in parte prevedibile la realtà. Essendoci una

(18)

13

narrazione, anche l’indicazione di un individuo è calato nell’episodio narrato con tutti i suoi contorni. Questa fase di ricostruzione per l’esposizione di fatti, può essere direttamente vagliata dalle domande del pubblico ministero, dai difensori delle parti private e dal giudice con l’istituto dell’esame incrociato con cui è possibile verificare e valutare l’attendibilità del teste, le contraddizioni rese in precedenti dichiarazioni ed effettuare contestazioni. Nell’ambito della ricognizione, questo non può avvenire, perché il contesto narrativo è implicito, il che comporta un approccio diverso che non può esplicarsi nell’esame delle parti. Sia perché l’esame è interamente condotto dal giudice, ma anche perché il ricognitore indica solamente se l’imputato è la persona che ha visto in un luogo particolare o in una precisa circostanza. Quindi proprio la struttura della prova è tale per cui non esiste un racconto da analizzare e su cui porre contestazione, né esiste alcuna dichiarazione resa in precedenza. Pur trattandosi in entrambi i casi di “prova rappresentativa” vi è una diversità del grado di elaborazione, nell’atto ricognitivo, vi è una coincidenza solo parziale tra elemento e risultato probatorio poiché con la semplice affermazione “è lui”, rimane sempre qualcosa d’implicito che il giudice dovrà ricostruire sulla base delle altre risultanze probatorie.21 Ciò non esclude

che il soggetto attivo possa essere sottoposto al controesame delle parti, e del pubblico ministero, in un momento successivo, durante il dibattimento. Il soggetto può essere chiamato in qualità di testimone, di

21 A. M. CAPITTA, Ricognizioni e individuazioni di persone nel diritto delle prove penali, op. cit., p. 65 ss

(19)

14

coimputato o imputato in un procedimento connesso ai sensi dell’art. 210 comma 1 e 6 c.p.p. e la sua testimonianza verrà utilizzata come riscontro probatorio per poter verificare l’attendibilità della prova ricognitiva. Al soggetto non potrà essere contestata la precedente individuazione, ma la sua deposizione sarà utile al giudice per esaminare tutti gli elementi e misurare il valore persuasivo della ricognizione. In particolare, soprattutto nel caso di ricognizioni fallaci, attraverso il controesame sarà possibile evidenziare la presenza di errori relativi alla percezione o all’immagazzinamento del ricordo oppure errori relativi alle condizioni irregolari con cui si è svolto l’esame.22

Alla luce di queste considerazioni, possiamo dire che la ricognizione, con l’enunciato testimoniale ha in comune lo sfondo, entrambi hanno nella struttura sostanziale, l’incidenza determinante del ricordo. Ma al momento della dichiarazione, i ricognitori operano più laboriosamente, anche se dal punto di vista formale è ridotta ai minimi termini, inoltre con la dichiarazione del testimone si deduce un fatto storicamente avvenuto che può portare ad assumere informazioni nuove rispetto a quelle già conseguite, invece con la ricognizione si

22 A. M. CAPITTA, Ricognizioni e individuazioni di persone nel diritto delle prove penali, op. cit., p. 210 ss. Per dimostrare l’importanza

del controesame, si porta alla luce l’esempio di un precedente italiano, in cui l’avvocato difensore è riuscito a dimostrare un errato riconoscimento effettuato in buona fede dal testimone. Il ricordo del teste si era combinato con altri dati già presenti nella memoria, realizzando il cosiddetto effetto di ‘traslazione inconscia’ per cui un volto viene correttamente riconosciuto, ma si colloca in un contesto errato. Nel caso specifico il teste fece traslazione tra il ricordo della persona coinvolta in una rapina e quello di un famoso giocatore di calcio.

(20)

15

acquisisce quel fatto storico confermando una dato di cui si è già a conoscenza.23

A paragone col discorso testimoniale, l’atto ricognitivo appare alquanto più aleatorio: poiché, rispetto al testimone il ricognitore non riporta un passato, ma agisce nel presente attingendo al passato per poter eseguire la sua valutazione, e su ciò vi influiscono variabili emotive. Inoltre non esibendo trame logicamente elaborate, risulta poco verificabile il procedimento seguito dal soggetto. Le formalità prescritte e accentuate dalla disciplina vigente mirano proprio a ridurre questa fallibilità.

23 A. GIARDA, sub art. 213, in Codice di procedura penale commentato, 1997, p. 791

(21)

16

Capitolo II

Ricognizione di persone: le formalità

“scenografiche”

SOMMARIO: 2.1 L’atto del riconoscere: qualificazione e processo mnemonico 2.2 I protagonisti dell’atto 2.2.1 Il ricognitore 2.2.2 I soggetti passivi a. Il riconoscendo b. I “distrattori” 2.2.3 Il giudice e i suoi poteri coercitivi: la ricognizione coatta 2.3 Il procedimento 2.3.1 Gli atti preliminari a. Descrizione ad opera del soggetto attivo b. Chiarimenti su richiesta del giudice 2.3.2 “Predisposizione scenica” e cautele 2.3.3 I risultati 2.3.4 La documentazione dell’atto e il regime delle invalidità 2.4 La sede di acquisizione dell’atto: l’incidente

probatorio

2.1 L’atto del riconoscere:

qualificazione e processo mnemonico

Il legislatore nel disciplinare il fenomeno ricognitivo, riconduce alla stessa categoria diversi atti quali “ricognizione”, “individuazione”, “riconoscimento”, poiché tutti hanno la medesima radice nell’atto di “riconoscere”. Tuttavia la specificazione terminologia evidenzia già un diverso regime giuridico per ciascuno di questi fenomeni.24

In particolare questi termini permettono di identificare, tre categorie concettuali: anzitutto, il legislatore intende una serie di atti con cui un soggetto è chiamato a ricollegare ciò che a lui si presenta in un dato momento

24 A. M. CAPITTA, Ricognizioni e individuazioni di persone nel diritto delle prove penali, op. cit., p. 1

(22)

17

e ciò che è già di sua conoscenza, istaurando così un rapporto tra passato e presente; tra queste ipotesi vi rientrano la ricognizione di persone, cose, voci, suoni e tutto ciò che può essere oggetto di percezione sensoriale.

In una diversa accezione i termini possono essere usati per indicare quegli atti con cui taluno compie un’ammissione, cioè una dichiarazione contra sé; l’ordinamento, nel caso in cui l’oggetto delle dichiarazioni sia una situazione di fatto, qualifica questa ipotesi come “confessione”.

Infine il legislatore dà un terzo significato, inquadrabile soprattutto a livello internazionale, intendendo un gruppo eterogeneo di dichiarazioni che si riferiscono a soggetti o ad atti che attribuiscono una particolare qualità o efficacia al soggetto o all’atto riconosciuto.25 La prima ipotesi è quella che qui interessa, l’atto di riconoscere come atto di natura processuale a contenuto ricognitivo. L’attività può essere funzionale all’acquisizione di una prova, oppure il risultato può essere utilizzato ai fini di prosecuzione delle indagine. In entrambe le ipotesi il soggetto è chiamato al riconoscimento di persona attinente con i fatti per cui si procede. Nonostante appartengano allo stesso genus, queste due figure, sono diverse non solo sul piano lessicale, ricognizione in un caso, individuazione nell’altro, ma anche e soprattutto dal punto d vista del valore probatorio, e della forma con cui sono compiuti.26 Ciò significa che l’atto del riconoscere può coesistere

25 N. TRIGGIANI, Ricognizioni mezzo di prova, op. cit., p.2 ss 26 Per una dettagliata analisi dell’atto d’individuazione vedi cap. IV

(23)

18

con la ricognizione, (intesa come atto processuale che si svolge davanti al giudice con le formalità previste dal codice), poiché nel caso di esito positivo, ne è la fase conclusiva, che non sussiste qualora il risultato sia negativo (mancato riconoscimento); ma sono due atti distinti, poiché il riconoscimento può avere efficacia endoinvestigativa nel caso dell’individuazione.27

La natura probatoria dell’atto di ricognizione rispetto agli altri atti appartenenti allo stesso genus attiene alle particolari formalità che vincolano il giudice nell’acquisizione del mezzo. L’incidenza di questa prova sulla ricostruzione del fatto è considerevole, poiché il ricognitore non si limita a stabilire un giudizio di identità, ma la prospettiva che ne scaturisce è più estesa. Con il racconto, può indicare che quel soggetto, o uno ad esso somigliante era presente in quel determinato luogo e in un determinato momento, oppure l’informazione può essere il punto di partenza per andare ad aggiungere o escludere qualcuno dal novero dei sospetti o ancora per decidere un rinvio a giudizio o motivare una sentenza.28

La qualificazione come prova “grave”, cioè quella col maggior peso probatorio in quanto in grado di stabilire l’esistenza del fatto da provare, dipende dalla certezza e dalla immutabilità della dichiarazione finale, nonostante sia un monosillabo affermativo o negativo. La prova è raggiunta sia nel caso un cui il soggetto effettui il riconoscimento sia nel caso lo escluda 29 , mentre

27 A. M. CAPITTA, Ricognizioni e individuazioni di persone nel diritto delle prove penali, op, cit., p. 8 ss.

28 L. DE CATALDO NEUBURGER, Psicologia della testimonianza e prova testimoniale, Milano, 1988, p. 134

(24)

19

secondo alcuni, si parla di prova “fallita” se il ricognitore non si ricorda nulla, poiché non si ricavano elementi utili ai fini della decisione.

Inoltre, nel caso in cui la ricognizione termini con il riconoscimento, è possibile qualificare l’atto in termini di “prova diretta” se l’oggetto della dichiarazione si riferisce al fatto principale di cui si discute, o se il soggetto sottoposto al processo penale sia il responsabile dell’evento, poiché si configura come strumento per una diretta conoscenza del factum probandum. Nell’ipotesi in cui la dichiarazione si riferisca alla persona offesa, ad altri soggetti o sia idonea a provare un fatto secondario, diverso da quello da provare ma attraverso il quale il giudice possa ricavare elementi utili per il fatto rilevante, si parla di “prova indiretta”.30

La ricognizione presenta tutte queste caratteristiche, che la rendono un mezzo di prova con un elevata capacità probatoria, contrapposto a questo, tuttavia si evidenziano problemi circa l’attendibilità, poiché è un istituto che deve fare i conti con la memoria, le emozioni e altri caratteri che potrebbero inficiare la percezione degli eventi; si distinguono due categorie di variabili che possono incidere sui processi mentali del soggetto: le variabili endogene, con cui si intendono le caratteristiche biologiche dell’osservatore (sesso, 31

30 A. M. CAPITTA, Ricognizioni e individuazioni di persone nel diritto delle prove penali, op. cit., p. 40 ss

31 G. GULOTTA, Psicologia della testimonianza, in Trattato di psicologia giudiziaria nel sistema penale, a cura di G. GULOTTA,

Milano, 1987, p. 504. Evidenzia che la percezione varia anche in base al sesso, gli uomini sono in grado di fornire elementi più dettagliati se il soggetto agente è a sua volta un uomo, mentre le

(25)

20

età,32 razza33, capacità cognitive, condizioni fisiche e psichiche) e le variabili esogene, relative all’ambiente esterno, sia quello in cui si realizzò il fatto originale (condizioni di luce, stress, carica emotiva, tempo di osservazione), sia quello dove si svolge l’esame (lasso di tempo intercorso tra evento e ricognizione 34 , cambiamenti nell’aspetto della persona da riconoscere, contesto e modalità della procedura di ricognizione,

donne ricordano con più precisione personaggi femminili. Questo perché generalmente si pone maggior attenzione alle persone che hanno in comune con noi fattori o elementi essenziali.

32 E. ALTAVILLA, Il riconoscimento e la ricognizione delle persone e delle cose, in Psicologia giudiziaria, il processo psicologico e la verità giudiziale, di E. ALTAVILLA, Torino, 1955, p. 334. Sottolinea

che una delle variabili circa la percezione del ricognitore è l’età, in particolare il riconoscimento del fanciullo può essere fonte di errori, in quanto trattasi di un processo di astrazione che nel bambino non si è ancora formato completamente. Essi hanno un modo di ragionare semplice e schematico, a cui generalmente sfuggono le note differenziali. Inoltre l’attenzione nell’osservare le persone è più debole a meno che non ci sia un abbigliamento, un’andatura particolare o qualcosa di straordinario. Per la giovane età non funziona il contrasto tra la realtà e le cose pensate, udite narrate, sognate, diventa quindi difficile l’esattezza di un riconoscimento potendo travisare tra una persona vista nella realtà e una visione cinematografica.

A tutto ciò si aggiunga che molte volte i bambini cercano di valorizzare il falso riconoscimento con menzogne. Esemplare è il caso della servetta di 9 anni che a seguito di una rapina nella casa in cui si trovava, riconobbe il soggetto che l’aveva aggredita, il giovane, poi si rivelò un onesto lavoratore. I proprietari dichiararono che era difficile che la bambina avesse visto bene, poiché nella stanza della casa in cui si trovava era buio. A giustificazione del suo riconoscimento, la bambina disse che la stanza era illuminata dal riflesso dei fanali della vicina stazione, ma questa si trovava a più di mille metri ed era illuminata da un debole lume.

33 A. M. CAPITTA, Ricognizioni e individuazioni di persone nel diritto delle prove penali, op. cit., p. 108. Descrive l’esistenza del

‘cross-racial effect’ cioè della difficoltà di discriminare facce di soggetti di razza diversa dalla propria. Alcuni studiosi hanno rilevato che presi singolarmente i volti di individui di altre razze sono molto ‘distintive’, ma se considerati insieme, costituiscono un gruppo omogeneo che ne rende difficile la discriminazione.

34 G. GIARDA, sub art. 213, op. cit, p. 793, indica che maggiore è

il tasso di tempo trascorso dall’episodio imputato, tanto più è svanita e quindi inattendibile la residuale impressione mnemonica sul soggetto attivo.

(26)

21

suggestione da parte di chi conduce l’esperimento). Questa distinzione tra variabili interne o esterne al soggetto, nonostante permetta una trattazione ordinata degli elementi, non risulta agevole per capire effettivamente quali siano i fattori che influenzano maggiormente il ricordo e soprattutto su quali si possa agire con correttivi al fine di rendere più precisi i risultati ricognitivi. A questo scopo, sembrano esser migliori, le variabili elaborate dalla letteratura angloamericana, la quale distingue tra le variabili attinenti alla persona del ricognitore, e le condizioni di osservazione le quali possono solo essere valutate senza possibilità di modificarle (estimator variables), e le variabili relative alla modalità di svolgimento dell’atto ricognitivo, che possono essere codificate e controllate dall’ordinamento.35

Dal punto di vista psicologico, il processo mnemonico prevede una serie di tappe, che vanno dalla percezione, all’immagazzinamento, al recupero per l’atto di riconoscimento.

La prima fase della percezione è caratterizzata dal fatto che questa non è una mera registrazione passiva e automatica di ciò che avviene all’esterno, ma è un processo selettivo in cui alcuni fatti possono rimanere impressi nella memoria mentre altri sono trascurati. La scelta avviene in modo inconsapevole, sulla base di elementi oggettivi, l’informazione, e elementi soggettivi, le convinzioni e motivazioni personali, i pregiudizi che si

35 A. M. CAPITTA, Ricognizioni e individuazioni di persone nel diritto delle prove penali, op. cit., p. 101-102

(27)

22

riflettono direttamente sulla percezione distorcendola.36 Nel codice non ci sono disposizioni riferite a questo primo ambito, tuttavia si può intendere in modo estensivo la clausola generale contenuta nell’art. 213 c.p.p. “le circostanze che possono influire sull’attendibilità del riconoscimento”.

La seconda fase è costituita dall’immagazzinamento della percezione, è un processo che avviene nella mente del soggetto e resta sconosciuto a terzi poiché non è esternato neanche al momento del processo. I dati percepiti non “riposano” nella memoria, ma vengono costantemente rimaneggiati e riorganizzati inserendoli in una struttura che sarà quella poi, ad essere ricordata e non i singoli elementi che la compongono. Di fronte a questo processo può accadere che il dato presente nella memoria al momento del richiamo sia differente rispetto a quello originariamente acquisito.

La terza fase consiste nel recupero, per cui il ricognitore è chiamato ad effettuare una valutazione di comparazione che ha ad oggetto le immagini percepite e quelle che gli sono presentate. La fase di rievocazione può avvenire attraverso la modalità della descrizione o del riconoscimento, l’una non esclude l’altra anzi il codice, le prevede entrambe, così che con la narrazione a forma libera si stimoli il soggetto a ritrovare nelle memoria le informazioni per poi procedere all’atto di ravvisamento vero e proprio.37

36 G. GULOTTA, Psicologia della testimonianza, op. cit., p. 503 37 A. M. CAPITTA, Ricognizioni e individuazioni di persone nel diritto delle prove penali, op. cit., p. 93 ss.

(28)

23

La ricerca psicologica consapevole dei rischi a cui può incorrere l’attendibilità della prova ricognitiva ha cercato di spingere il legislatore e nel caso concreto il giudice, all’adozione di correttivi, e al rispetto di alcuni parametri. Tra questi criteri, si ha:

o la pluralità, cioè la previsione della presenza di più “comparse” tra cui il ricognitore possa scegliere secondo un metodo comparativo;

o l’omogeneità, la presenza di soggetti da confrontare che siano il più possibile simili alla descrizione fatta dal soggetto attivo, così da poter costituire una valida alternativa al sospettato;

o la neutralità, delle alternative tra cui scegliere, senza cioè che sia scontata la presenza tra i soggetti del ricognoscendo, così che il ricognitore presti la medesima attenzione a tutti.38 Questo problema è legato anche alla struttura stessa dell’atto, che fa pensare implicitamente alla presenza del colpevole tra le “comparse”, così che il teste al fine di evitare una sorta di fallimento personale, anche se non trova perfetta coincidenza tra ricordo e “distrattore”, si senta in qualche modo “forzato” ad effettuare il riconoscimento, e lo fa nei confronti del soggetto che risulta più somigliante dal punto di vista fisionomico.39

La neutralità deve anche essere intesa nel senso che il soggetto che conduce l’esame non deve avere comportamenti che possono in qualche modo

38 S. CAVINI, Le ricognizioni e i confronti, op. cit., p. 14

39 Per le conseguenze rispetto ai risultati dell’atto ricognitivo, vedi

(29)

24

influenzare il ricognitore. Molteplici possono essere i modi con cui l’autorità potrebbe influenzare la scelta del soggetto, ponendo domande suggestive 40 ,

facendo gesti o espressioni che il ricognitore possa percepire come correttezza del riconoscimento. Un possibile strumento per evitare ciò potrebbe essere quello del cosiddetto “doppio cieco” cioè tenere nascosta l’identità del ricognoscendo sia al ricognitore che al soggetto che dirige la ricognizione; l’autorità in quanto “cieca” non potrebbe neanche inavvertitamente influenzare il soggetto attivo.41

Il legislatore ha recepito l’esistenza di questi criteri all’interno del codice, prevedendo numerose e precise formalità per l’esecuzione dell’atto ricognitivo.

2.2 I protagonisti dell’atto

2.2.1 Il ricognitore

Per il soggetto attivo della ricognizione non sono previste particolari caratteristiche, l’art. 213 c.p.p. parla

40 G. GULOTTA, Psicologia della testimonianza, op, cit., p. 506,

descrive un esperimento che è stato effettuato, tre gruppi di persone sono stati sottoposti alla visione di un breve filmato relativo ad uno ‘scippo’ in un supermercato in cui la borsa della vittima veniva presa senza che la vittima fosse stata effettivamente toccata. Si è misurata l’influenza delle domande poste, in particolare la domanda ‘in che modo l’aggressore ha spinto la signora?’, era in grado di influenzare le risposte della metà dei soggetti interrogati. Inoltre questo tipo di domanda determinava come effetto collaterale ‘la rielaborazione fantastica’ del vissuto, cioè i soggetti non si erano limitati a descrivere ciò che avevano visto nel filmato, ma avevano aggiunto particolari inesistenti, volti ad avvalorare le loro tesi. Ovviamente questi effetti consequenziali alle domande suggestive portano a conseguenze catastrofiche per l’accertamento della verità.

(30)

25

genericamente di “chi deve eseguirla” così come l’art. 214 c.p.p. “colui che deve eseguire la ricognizione”. Da ciò si ricava che ricognitore può essere chiunque, compreso un soggetto civilmente o penalmente incapace, quindi sia il minore di età che l’infermo di mente. Non rileva neanche l’esistenza di rapporti con il ricognoscendo o l’ipotesi che rivesta anche altri ruoli processuali. Il legislatore del 1988, ha lasciato un vuoto di disciplina sotto questo punto di vista, ritenendo di poter assimilare il ricognitore alle qualifiche processuali che lo caratterizzano e quindi richiamare le regole che attengono a quel determinato soggetto e che sono collocate all’interno dell’istituto che lo riguardano.42 Si è

previsto però un esclusione, quella del giudice-ricognitore che potrebbe avvenire nelle ipotesi in cui il giudice debba riconoscere la persona già vista da immagini, fotografie acquisite durante il procedimento. Saremmo di fronte a un giudizio diretto di rassomiglianza e non di ricognizione, poiché non si può ammettere una sorta di self-service probatorio da parte del giudice. La stessa Cass. 27 gennaio 1994, Nardozzi, ha escluso questa previsione poiché si avrebbe una totale confusione tra i soggetti che vagliano l’attendibilità della prova e che poi la valutano in udienza e sarebbe anche impedito un controllo da parte della corte sull’adeguatezza dei criteri adottati dal giudice. Lo stesso codice escluderebbe questa ipotesi, facendola rientrare nel caso di incompatibilità con la figura del testimone, ex art. 197 lettera d c.p.p. e

42 A CAPITTA, Ricognizioni e individuazioni di persone nel diritto delle prove penali, op. cit., p. 63

(31)

26

nell’ipotesi di astensione “per gravi ragioni di convenienza” ex art. 36 lettera h c.p.p.43

L’ipotesi tipica è quella del ricognitore-testimone, per il quale il nuovo codice ha eliminato la disciplina precedente che faceva espresso riferimento all’obbligo di giurare di dire la verità. Oggi non si ha un espressa previsione, ma si deve ritenere che vi sia un obbligo di verità, tant’è che l’introduzione di falsità possano essere punite come ipotesi di favoreggiamento personale, di falsa testimonianza o di calunnia.44

Situazione problematica è quella del ricognitore-coimputato, si è ritenuto applicabile il disposto dell’art. 210 c.p.p. quindi l’avvertimento della facoltà di non rispondere e di astenersi dal compiere ricognizione per il rispetto del privilegio contro l’autoincriminazione. La Corte di cassazione aveva osservato anche che se il coimputato aveva manifestato la volontà di non sottoporsi all’esame a norma dell’art. 210, diventava superfluo e irrilevante disporre la ricognizione, poiché l’imputato si era già espresso nel senso di non prestare il proprio contributo. Ciò in quanto la ricognizione rappresenta un mezzo di prova con un contenuto dimostrativo minore rispetto all’esame, potendo assumere anche solo un segmento dell’acquisizione rifiutata.45 Questo aspetto è stato criticato dalla dottrina,

poiché l’interpretazione data dalla corte alla volontà dell’imputato tende ad estendere il suo significato

43 A. MELCHIONDA, Ricognizione e confronti, in Giurisprudenza sistematica di diritto processuale penale, diretto da M.

CHIAVARIO – E. MARZADURI, Tomo II, Torino, 1999, p. 274

44 G. GIARDA, sub art. 214, in Codice di procedura penale commentato, op. cit., p. 796

(32)

27

rispetto al desiderio del soggetto. Anche l’aspetto della superfluità della prova sembra non idoneo in quanto la valutazione deve avvenire rispetto al contenuto della prova stessa non sulla base della “rinuncia” al mezzo di prova.46 Il principio affermato dalla Cassazione circa il diritto di astenersi del coimputato, è stato confermato da una successiva sentenza della Corte Costituzionale che ha assimilato la ricognizione all’istituto dell’esame e quindi i soggetti sono assistiti dal “diritto al silenzio” il cui esercizio impedisce il compimento dell’atto. 47 Queste previsioni devono fare i conti con la nuova figura del testimone “assistito” ciò del testimone che abbia già deposto su responsabilità altrui e che è tenuto a

rispondere alle domande in dibattimento e

conseguentemente a non potersi sottrarre alla ricognizione se abbia già effettuata un’individuazione nel corso delle indagini preliminari.48

L’ipotesi più delicata riguarda il caso del ricognitore-vittima, previsione in cui il rischio di errore nel riconoscimento è molto più elevato degli altri. La vittima soprattutto in caso di pericolo all’incolumità personale, essendo coinvolta in prima persona, è sottoposta ad un notevole stress psicologico che invece di affinare le capacità percettive, fa si che nella mente del soggetto si fissino particolari attinenti al fatto criminoso e non al volto del soggetto agente.49 Di fronte ad un

46 N. TRIGGIANI, Ricognizioni mezzo di prova nel nuovo processo penale, op. cit., p. 104

47 Vedi cap. I

48 S CAVINI, Le ricognizioni e i confronti, Milano, 2015, p. 145 ss. 49 S. CAVINI, Le ricognizione e i confronti, op. cit., p. 5, evidenzia

come la percezione possa essere fuorviata dal cosiddetto ‘effetto arma’, per cui l’attenzione del testimone e in particolare della

(33)

28

vittima di particolare importanza è il comportamento delle autorità che per prime vi entrano in contatto; contatti inappropriati possono portare ad una non collaborazione e un rifiuto a proseguire le indagini creando la situazione di “falso negativo”, la vittima pur riconoscendo il soggetto, dichiara di non riconoscerlo, oppure ad un “falso positivo”, il soggetto dà le notizie che le autorità vogliono così da potersi liberare di loro.50

Il pericolo di errore si presenta anche per le vittime che hanno avuto un buon contatto iniziale, che sono intenzionate a collaborare ma verso le quali si istaura un processo di elevata aspettativa del buon esito dell’atto al fine di ricompensare gli inquirenti e il più grande timore di tradire le loro speranze.51

Il codice contempla poi un altro caso, quello per cui chiamati ad eseguire l’atto ricognitivo siano i “grandi ufficiali dello stato”, vale a dire i Presidenti delle Camere, il Presidente del Consiglio dei Ministri, il Presidente della Corte Costituzionale, per i quali si debba procedere nelle forme ordinarie, in deroga a quanto previsto nell’art. 205 comma 2 c.p.p. per cui tali soggetti possano essere “esaminati nella sede in cui esercitano il loro ufficio al fine di garantire la continuità delle funzioni a cui sono preposti”. Mentre per il Presidente della Repubblica, si

vittima posta in una situazione di forte stress, focalizzino l’attenzione sull’arma impugnata dall’agente, in quanto oggetto inusuale e pericoloso e non noti altri elementi del volto o del contesto criminoso.

50 Per disciplina più specifica vedi cap. II, paragrafo 2.3.3

51 C PANSERI, La ricognizione di persona: aspetti psicologici e giuridici, in Trattato di psicologia giudiziaria nel sistema penale, a

(34)

29

mantiene la previsione dell’esame in sede ex art. 205 comma 1.52

2.2.2 I soggetti passivi

a. Il riconoscendo

La genericità prevista per le caratteristiche del soggetto attivo, è presente anche per inquadrare il soggetto passivo. Il codice parla di “persona da riconoscere” o “persona sottoposta a ricognizione”, ciò significa che anche il ruolo di ricognoscendo, al pari di quello di ricognitore può essere assunto da chiunque. È passibile di ricognizione non solo l’imputato, ma anche la persona offesa dal reato, colui che ha sporto denuncia, un testimone e qualsiasi persona nei cui confronti il compimento dell’atto appare necessario poiché collegati con gli elementi ex art. 187 c.p.p. Il fatto di poter sottoporre a ricognizione qualsiasi altro soggetto oltre all’indagato-imputato, dimostra l’elasticità dell’istituto adattabile a diverse situazione e non solo alla ricerca di identità tra l’imputato e il responsabile del reato. Basti pensare alla possibilità attraverso l’istituto di acquisire elementi non direttamente legati al fatto principale, ma dai quali possano trarsi degli indizi importanti per verificare l’attendibilità delle prove già assunte. Ad esempio un testimone che neghi di essersi trovato in un luogo ad una certa ora e che invece venga riconosciuto da chi vi si trovava.53

52 N. TRIGGIANI, Ricognizioni mezzo di prova nel nuovo processo penale, op. cit., p. 98

(35)

30

Quando soggetto passivo sia una persona che si trova, a qualsiasi titolo, in stato di detenzione in carcere e si proceda per delitti previsti dall’art. 51 comma 3-bis c.p.p., il giudice ove lo ritenga necessario, sentite le parti dispone la presenza dell’imputato in udienza per il tempo necessario al compimento dell’atto, derogando alla previsione di una “partecipazione a distanza” dell’art. 146-bis disp. att. La ratio della deroga è volta ad evitare che l’atto ricognitivo sia reso inefficace per il fatto di essere svolto “a distanza”, quindi compiuto attraverso collegamenti audiovisivi. Spetterà al giudice valutare e decidere caso per caso, bilanciando la necessità dell’atto con le particolari ragioni (gravi ragioni di sicurezza, di ordine pubblico o dibattimento di particolare complessità, o soggetto sottoposto alle misure dell’art. 41-bis) contenute nell’art. 146 per cui si ritiene di dover procedere a distanza.54

b. I “distrattori”

La ricognizione ha come punto centrale un giudizio di

comparazione, questa valutazione presuppone

l’individuazione da parte del giudice di altri soggetti, oltre al riconoscendo, da presentare al ricognitore. Queste “comparse” anche dette “distrattori”, devono rispettare i requisiti dell’omogeneità e della pluralità55, quindi devono essere almeno due e “il più possibili somiglianti” al soggetto che deve essere riconosciuto; dalla somiglianza dipende in larga misura l’attendibilità

54 N. TRIGGIANI, Ricognizioni mezzo di prova nel nuovo processo penale, op. cit., p. 110

(36)

31

dell’esperimento. Se la vittima descrive l’aggressore come “alto” e l’unico partecipante di quella statura è l’imputato, inevitabilmente la scelta sarà nei suoi confronti, ma avrà poco significato ai fini dell’identificazione del vero colpevole; la stessa cosa vale nel caso in cui il ricognoscendo sia l’unico ad avere delle precise caratteristiche (tatuaggi, cicatrici, un modo particolare di vestire).56 Il codice fa riferimento ad

una somiglianza non solo dal punto di vista fisico, ma “anche nell’abbigliamento57“, il quale dovrebbe essere lo stesso per tutti, quello preventivamente descritto dal ricognitore. Riguardo a questo ambito, sfugge la fonte

56 L. DE CATALDO NEUBURGER, Psicologia della testimonianza e prova testimoniale, op. cit., p. 155.

ALTAVILLA, Gli attori nel processo penale, vol. II, Torino, 1929, p. 386. Descrive un caso emblematico: durante il rientro a casa, tal Francesco C., vide sul tram il rivale in amore che anni prima l’aveva sfregiato; armato di coltello, colpì il suo aggressore dandosi poi alla fuga. Fu subito inseguito da due carabinieri che si trovavano sullo stesso tram, senza riuscire però a raggiungerlo. Giorni dopo fu arrestato un sospettato, e presentato insieme ad altri detenuti ai carabinieri che lo riconobbero. In realtà il soggetto riconosciuto era il fratello dell’aggressore con il quale aveva in comune solo la statura. La natura dell’equivoco era legata proprio al fatto che egli era l’unico, rispetto agli altri detenuti-comparse ad avere quell’altezza.

57 E. ALTAVILLA, Il riconoscimento e la ricognizione delle persone e delle cose, op. cit., p. 353 ss. Evidenzia come l’abbigliamento sia

un elemento importante. Spesso alcuni dettagli senza importanza restano fissati nella memoria e possono integrare il riconoscimento di una persona. Come nel caso accaduto a Benevento, in cui una donna a seguito di un’aggressione avvenuta nella sua stanza, nella penombra aveva notato le scarpe dell’aggressore. Il giorno dopo recandosi a fare la spesa da un contadino, la sua attenzione fu attratta da un cerino buttato a terra da un individuo, il quale aveva le medesime scarpe, inusuali per un contadino, che ella aveva visto la notte precedente.

Altre volte però l’abbigliamento può essere pericoloso. Rischiando di far commettere degli errori, ad esempio integrando degli accessori che generalmente sono presenti in un abbigliamento, come in una divisa anche se nella realtà della percezione quei dettagli non vi erano. Oppure può essere fonte di equivoci, basti pensare al cambiamento di un soggetto che si è sempre visto a testa nuda se poi si vede con un cappello.

(37)

32

del potere del giudice di imporre una vestizione omogenea, laddove questa non sia accettata spontaneamente.58

Questa locuzione contenuta nell’art 214 c.p.p. si ritiene una sorta di linea guida tendenziale rivolta al giudice, poiché anche se si intendesse in senso più rigoroso, come “vincolo”, si scontrerebbe con il dato di fatto, cioè che il parametro della somiglianza non può essere misurato con parametri certi. Tuttavia, ciò non deve significare lo schieramento di comparse del tutto dissimili rispetto al ricognoscendo, che comporterebbe una difformità rispetto al modello legale di prova.59 I soggetti di comparazione hanno una relazione puramente casuale con il procedimento essendo delle mere “controfigure” della persona da riconoscere, per questo sono stati qualificati come testimoni all’atto di ricognizione, rientrando nella più ampia categoria dei “testimoni ad atti del procedimento” ai sensi dell’art. 120 c.p.p..60 Questo inquadramento non convince, in

quanto la figura del testimone ad atti del procedimento riguarda coloro che prestano assistenza all’imputato durante gli esami, quindi soggetti che sono reperibili prontamente e possono fungere da ausilio all’imputato. Invece il ruolo di comparsa è puramente strumentale allo svolgimento dell’atto ricognitivo, ad essi viene richiesta la silente partecipazione alla messa in scena. La presenza di questi soggetti è indispensabile per il

58 A. MELCHIONDA, sub art. 214, in Commento al nuovo codice di procedura penale, op. cit., p. 548

59 A. BERNASCONI, La ricognizione di persone nel processo penale,

op. cit., p. 80

60 N. TRIGGIANI, Ricognizione mezzo di prova nel nuovo processo penale, op. cit., p. 111

(38)

33

compimento della ricognizione, quindi il contributo è considerato un vero “ufficio legalmente dovuto”, il cui rifiuto è sanzionato penalmente.

Il codice non disciplina l’ipotesi in cui il ricognitore o in caso di ricognizioni plurime, i ricognitori, identifichino, una delle comparse invece del riconoscendo per cui si provvede. Tuttavia si ritiene che in tal caso, se non ci sono altri riscontri probatori acquisiti contro l’attuale imputato, si debba avviare un procedimento nei confronti della comparsa identificata come autore del fatto principale.61

2.2.3 Il giudice e i suoi poteri

coercitivi: la ricognizione coatta

La figura del giudice, nell’atto di ricognizione, ha un ruolo centrale, poiché questo è un mezzo di prova in cui i suoi poteri direttivi-decisori hanno un ampia incidenza. Il giudice è equiparato al “registra” sia dal punto di vista “fisiologico” della prova, quindi circa la fase di assunzione, la fase organizzativa, la scelta dei soggetti di comparazione e l’adozione di eventuali cautele. Sia nella fase “patologica”, quando cioè si presenta la necessità di esercitare poteri coercitivi di cui all’art. 131 c.p.p. verso soggetti che oppongono qualche resistenza impedendo l’assunzione della prova.62

Il problema va affrontato tenendo presente due profili, da una parte la partecipazione del soggetto all’atto

61 S. CAVINI, Le ricognizioni e i confronti, op. cit., p. 152-153 62 S. CAVINI, Le ricognizioni e i confronti, op. cit., p. 139

(39)

34

ricognitivo, dall’altra il discusso potere di agire sul comportamento tenuto dall’imputato durante l’esame. Per quanto riguarda il primo aspetto, ogni volta si renda indispensabile la partecipazione del soggetto per il compimento di determinati atti, il potere del giudice si esplica con lo strumento dell’accompagnamento coattivo.63

L’ordine di condurre il soggetto in presenza del giudice, può essere disposto nei confronti: dell’imputato a norma dell’art 132 c.p.p., della persona sottoposta alle indagini, che non si sia presentata senza addurre legittimo impedimento, ex art. 399 c.p.p., ma anche verso il soggetto attivo. In particolare, si ritiene, l’art. 133 c.p.p. che consente l’accompagnamento dei testimoni che regolarmente citati o convocati non siano comparsi, interpretabile in modo estensivo nei confronti delle “comparse” . La supposizione è legata al fatto che se ciò non fosse previsto e la partecipazione fosse rimessa alla spontanea disponibilità dei soggetti, l’atto di ricognizione sarebbe difficile se non impossibile.64

Il codice prevede una specifica ipotesi nei confronti dei soggetti che collaborano con la giustizia di cui all’art. 147-ter disp. att. c.p.p. per i quali è stato emesso il decreto di cambiamento delle generalità ovvero ad altro atto che implica l’osservazione del corpo della medesima, il giudice dispone l’accompagnamento

63 G. GIARDA, SUB ART. 213, op cit., p. 794, evidenzia come

l’imputato in questo caso debba essere inteso come ‘oggetto di prova’.

64A. MECHIONDA, Sub Art. 213, in Codice di procedura penale, op.

(40)

35

coattivo in dibattimento per il tempo necessario al compimento dell’atto.65

L’altro aspetto problematico, per l’esercizio dei poteri di cui all’art. 131 c.p.p. del giudice riguarda il comportamento tenuto dall’imputato durante l’atto di ricognizione. La giurisprudenza ha ritenuto in capo all’organo giudicante “il potere-dovere di usare tutti i mezzi necessari per il compimento dell’atto, l’imputato nel processo assume la veste di “oggetto di prova”, nel senso che è obbligato dalla legge a subire accertamenti (perizia, ricognizione, perquisizione e ispezione personale). Il soggetto non può sottrarsi alla prova, tant’è che all’art. 490 c.p.p. è previsto l’accompagnamento coattivo quando la sua presenza è indispensabile per il compimento dell’atto. Secondo questo orientamento non avrebbe senso disporre l’accompagnamento coattivo se poi si permettesse, con atteggiamenti ostruzionistici di vanificare l’assunzione della prova.66

La questione si era presentato per un caso del Tribunale di Piacenza (sent. 13 dicembre 1991, Quirci) e riguardava non la partecipazione del soggetto all’atto di ricognizione, bensì il suo atteggiamento ostruzionistico al compimento dello stesso, per il quale il presidente aveva disposto ai Carabinieri della scorta di abbassare le mani del soggetto, con le quali si copriva il volto al fine di boicottare l’atto.

65N. TRIGGIANI, Ricognizione mezzo di prova nel nuovo processo penale, op. cit., p. 114

66 Cfr. A. MELCHIONDA, Ricognizioni e confronti, in Giurisprudenza sistematica di diritto processuale penale, op. cit., p. 275

Riferimenti

Documenti correlati

I  workshop  si  svolgono  online  in  modalità  sincrona*  con  l’apertura  di  una  virtual  classroom  ‐  aula  virtuale  ‐  che  permetterà 

La domanda di partecipazione al concorso dovrà essere inoltrata dal candidato ESCLUSIVAMENTE in modo telematico utilizzando la procedura di seguito descritta, entro la data

«Gli psicologi scolastici sono riconosciuti, a livello internazionale, per svolgere un ruolo significativo nel sostenere il sistema scolastico e tutti gli Stati membri europei - ad

- formula i percorsi formativi degli specializzandi con le relative modalità di svolgimento delle attività teoriche e delle attività professionalizzanti, avuto

un modello di attività, ruoli e relazioni interpersonali un modello di attività, ruoli e relazioni interpersonali sperimentate dall’individuo che cresce in

Quando la formazione viene effettuata in gruppo è già stata fatta una prima scelta significativa; nel processo stesso di. formazione è sotteso il valore positivo che ha

La formazione degli La formazione degli atteggiamenti politici atteggiamenti politici La codifica delle informazioni politiche.. La codifica delle

 Il livello intergruppo – studia le relazioni tra gruppi sociali differenti (es. identità sociale, favoritismo verso il proprio gruppo, conflitto sociale intergruppi)3.  Il