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Predisposta la scena, reclutate le comparse, e preso posto il soggetto passivo, si apre la terza ed ultima fase dell’iter: il ravvisamento vero e proprio.

In base all’art. 214 comma 2 c.p.p. il ricognitore viene reintrodotto in aula e gli vengono mostrati, uno a fianco all’altro, i soggetti (riconoscendo e comparse) che dovrà esaminare; trascorso un congruo lasso di tempo, il giudice chiederà se abbia individuato tra i presenti la persona originariamente vista.

A questo punto si aprono quattro alternative: gli esiti classici sono quello positivo e quello negativo, a cui si deve aggiungere il caso del falso positivo e del falso negativo.119

Nel casi in cui il soggetto risponda affermativamente, seguirà la richiesta del giudice di indicare la persona riconosciuta. 120 Dopodiché, il giudice chiederà se il

ricognitore sia certo della sua scelta. Questa richiesta è una novità rispetto al codice precedente 121 che

prevedeva la formula della sicurezza, quindi ogni altra incertezza costituiva un fallito riconoscimento. Invece con l’indicazione presente nella disciplina vigente, si lascia spazio anche a quei riconoscimenti “dubbiosi” verso cui spetterà al giudice valutare le eventuali

119 L. DE CATALDO NEUBURGER, Psicologia della testimonianza e prova testimoniale, op. cit., p. 149

120 In questo momento l’elemento importante è che il soggetto

abbia risposto, di aver ravvisato la persona descritta, non rileva se sia effettivamente il ricognoscendo o meno, questo sarà vagliato in un secondo momento dal giudice.

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perplessità e quantificare il grado di certezza, si parla a tal proposito di riconoscimento “per percentuali”.122

Anche nel caso di assoluta certezza del ravvisamento, il giudice dovrà ugualmente vagliare l’esito dell’esame, sarebbe errato, ritenere che un riconoscimento effettuato con un ottimo grado di sicurezza, corrisponda ad un esatto processo mnemonico del soggetto. Sull’ambito sicurezza e attendibilità dell’esame, sono stati effettuati diversi studi; in particolare si è analizzato il possibile comportamento del ricognitore durante tutto l’iter procedurale (modo di interagire con i giudici, di gesticolare, tempo impiegato per riconoscere, tono della voce, espressione del volto), può accadere infatti che la prestazione del soggetto possa essere alterata dall’ansia e dall’agitazione del contesto, ma può accadere anche il contrario, quindi che il soggetto sia più preparato psicologicamente ad esplicare l’atto, ma non per questo sia più attendibile.

I risultati delle ricerche hanno quindi portato ad escludere un collegamento tra sicurezza e attendibilità, aspetto questo che non sembra sia stato recepito dal legislatore, il quale all’interno dell’art. 214 c.p.p. sembra implicitamente elevare la sicurezza del riconoscimento a sintomo di esattezza del ricordo e quindi attendibilità dell’atto. La corretta interpretazione, rispettante degli studi psicologici, sarebbe quindi di tipo restrittivo, attribuendo alla certezza il proprio significato

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letterale, cioè quello di costituire la fase finale dello svolgimento della ricognizione.123

L’altra possibile risposta del ricognitore è di non aver riconosciuto alcuno all’interno della “line up”, l’indicazione dell’art. 214 comma 2 c.p.p., fa riferimento al solo “caso affermativo” come condizione per la prosecuzione del dialogo con il giudice, quindi se l’esito

fosse negativo, l’esame si concluderebbe

definitivamente con un fallito riconoscimento. Questa scelta della legge appare logica con riferimento alla successiva indicazione da parte del ricognitore dell’individuo riconosciuto (impossibile se non c’è stato riconoscimento); tuttavia occorre considerare, che l’importanza probatoria dell’atto può esplicarsi anche nel caso di esito negativo. L’apparente fallimento del ravvisamento, non è tale se posto a confronto con le altre risultanze processuali, esso potrà esplicare un ruolo accessorio nella valutazione del giudice di tutti gli elementi che ha disposizione (ad esempio potrebbe far perdere valenza ad altri elementi a carico dell’imputato non individuato durante l’esame); pertanto anche in caso di esito negativo, il giudice dovrà chiedere se il ricognitore sia certo della propria scelta.124

Il risultato dell’esame può anche essere un cosiddetto “falso negativo”, che avviene quando il ricognitore pur riconoscendo il soggetto evita il riconoscimento formale. Solitamente questo avviene nel caso del ricognitore vittima, in cui le variabili personali riferite al soggetto

123 Cft. A.M. CAPITTA, Ricognizioni e individuazioni di persone nel diritto delle prove penali, op. cit., p. 318 ss.

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stesso, quali la vulnerabilità, la perdita di autonomia, il senso di colpa per l’accaduto, la passività, ecc., vanno ad intersecarsi con le variabili del sistema, come l’approccio delle autorità nei confronti della vittima125. Il

peso di tutto questo si riversa sul soggetto portandolo all’errore; la ricerca ha dimostrato che spesso la vittima tende a portare l’attenzione su alcuni particolari del rapporto interpersonale e del contesto, distogliendola dal volto e dalle fattezze del colpevole.126 La facilità

dell’errore del falso riconoscimento determina peggiori conseguenze nel caso in cui la vittima sia l’unico testimone e il riconoscimento dipenderà anche dal feed back che riceverà.

Infine l’altro esito della ricognizione, può essere un “falso positivo”, un errore nel riconoscimento che porta all’incriminazione di un innocente e che può essere rettificato solo da una prova contraria o dall’arresto del vero colpevole. L’esistenza di questo rischio secondo gli studiosi è legato al fatto che il procedimento ricognitivo, per le proprie caratteristiche, esercita sul soggetto una pressione sociale che lo forza a dare delle risposte affermative.127 In questo caso si realizza quell’effetto suggestivo detto “effetto yes”, per cui il soggetto si trova a cercare di tenere un comportamento consono al contesto e quindi a collaborare con le autorità, cercando di indovinare cosa si aspettano da lui e di offriglielo. L’effetto suggestivo può essere collegato, da una parte

125 Per comprendere la distinzione tra le variabili, vedi cap. II 126 Vedi par. 2.2.1

127 C. PANSERI, La ricognizione di persone: aspetti psicologici e giuridici, op. cit., p. 556

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alla mancata neutralità dell’autorità procedente128, ma anche dal fatto che il testimone non percepisce la gravità o le implicazioni giudiziarie dell’atto che sta compiendo. L’atto non è posto in una prospettiva di diffusione della responsabilità, per cui il soggetto che riconosce pensa che la decisione finale non dipenderà solo dal riconoscimento da esso effettuato, ma anche dalla decisione del giudice, quindi ove avesse riconosciuto la persona sbagliata, ci sarà l’intervento di un altro soggetto a rendere giustizia e a rimediare. Un motivo di pressione è legato al fatto che l’atto stesso per le sue caratteristiche, implicitamente induce a ritenere che tra le comparse esibite ci sia sicuramente il ricognoscendo129, questo avvalora ancora di più l’effetto

di cui sopra.130

Altro elemento determinante per le risultanze dell’atto è l’effetto di “deja vù”, la convinzione di aver visto, vissuto, partecipato a qualcosa, è alla base del falso ricordo. L’effetto è legato al fatto che si attivano gli

128 Vedi cap. II per criterio di neutralità.

129 L. DE CATALDO NEUBURGER, Psicologia della testimonianza e della prova testimoniale, op. cit., p. 132-133, pone in evidenza

l’effetto yes con un esempio. Un ex colonnello degli stati uniti aveva escogitato una proiezione per illustrare il peso delle aspettative sul riconoscimento delle forme. Aveva così presentato ad un pubblico una serie di fotografie, dove in varia misura era possibile vedere degli aerei caccia, dopo questa serie di riconoscimenti, aveva chiesto che si procedesse alla visualizzazione di vari ingrandimenti, che variavano tra i più confusi a quelli in cui potevano riconoscersi, a detta di alcuni, le sagome di aerei, per poi giungere ad un ultimo ingrandimento, in cui il pubblico riteneva di poter individuare anche il modello di aereo sottoposto alla loro attenzione. Sennonché gli ultimi ingrandimenti mostrarono che fin dall’inizio si stava osservando una foto di Cristo in croce. Ebbene il pubblico aspettandosi di dover riconoscere aerei, aveva colmato le incertezze cognitive con questa conoscenza di base.

130 L. DE CATALDO NEUBURGER, Psicologia della testimonianza e prova testimoniale, op. cit., p. 152-153

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stessi centri nervosi, sia nel caso in cui si sia effettivamente visto qualcosa, che nel caso in cui si sia immaginato di farlo, ed è difficile rendersi conto dell’errore.131 La sensazione del “già visto” è di difficile

spiegazione. Esso può essere frutto di conseguenze: fisiologiche (legata ai residui rilasciati da una precedente sensazione), psicologiche (un fenomeno di coscienza derivato da un giudizio), sentimentali (insieme di emozioni, della nuova percezione che fanno riemergere quelle provate in precedenza). Questi elementi possono creare l’effetto per cui rivedendo una persona, si riprova un’emozione che essendo tenue, ci rivela che è trascorso del tempo, quindi quella sensazione appartiene ad una percezione precedente, dandoci appunto la sensazione del “già visto” (ad esempio rivedendo un assassino, si riproduce quel turbamento, che rievoca, il ricordo dell’emozione provata durante la commissione del fatto).

Il problema che si pone, è legata al dover contestualizzare quella sensazione di “deja vù”; la localizzazione può avvenire:

- in forma diretta, il ricordo porta con sé la sua data; -per associazione, alcuni ricordi fungono da punto di riferimento;

-per ragionamento, si cerca di raffrontare le proprie azioni per arrivare al momento in cui si è avuta quella percezione.

Se il raggiungimento della collocazione è avvenuto in modo immediato, più probabilità ci sono che

131 A. M. CAPITTA, Ricognizioni e individuazioni di persone nel diritto delle prove penali, op. cit., p. 104

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effettivamente il ricordo e la relativa sensazione si siano stabilizzati nella memoria. Infatti il processo di ragionamento sulla dislocazione della sensazione può portare ad un effetto collaterale, cioè un errata collocazione spazio-temporale.132 Si accompagna così l’effetto di “deja vù” a quello della “traslazione inconscia di memoria”133, quel meccanismo per cui si genera uno spostamento del ricordo dalla sua sede reale ad una diversa. Nell’ambito della ricognizione, il mostrare i soggetti attraverso il “line up simultaneo” fa si che quella persona che fa sorgere la sensazione del “già visto”, unito all’effetto yes, cioè al dover necessariamente dare una risposta, determina che ci siano elevate possibilità che il ricognitore sia portato ad associare il ricognoscendo all’evento di reato per cui si procede all’atto di ricognizione.134

Infine un ulteriore elemento di alterazione del ricordo è relativo all’attribuzione delle caratteristiche di alcuni elementi a noi noti, anche quando nella realtà percepita, quei particolari non sono presenti. Questo a causa delle conoscenze, ed esperienze possedute dai soggetti135,

oppure a causa del ripetersi delle abitudini. Il ripetersi di un identica percezione crea un automatismo psichico,

132 E. ALTAVILLA, Il riconoscimento e la ricognizione delle persone e delle cose, op. cit., p. 330

133 Vedi cap. I

134 A. M. CAPITTA, Ricognizioni e individuazioni di persone nel diritto delle prove penali, op. cit., p. 105

135 G. GULOTTA, Psicologia della testimonianza, op. cit., p. 504,

dimostra l’effetto con un esperimento. Ad alcuni osservatori venivano mostrate cinque carte da gioco, per alcuni secondi, chiedendo poi ‘quanti assi di picche’ avessero visto. La maggior parte delle persone rispose di averne viste tre, nonostante le carte mostrate, erano tutti assi di picche, ma due erano dipinti di rosso. La conoscenza precedente per cui il segno dei picche, delle carte da gioco, è nero, ha portato all’errore.

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per cui anche se lo stimolo manchi o si modifichi si è indotti a ritenerlo ancora presente. Non si determina la sostituzione della percezione attuale con quella ricordata, ma si integra un ricordo lacunoso; di fronte ad una percezione complessa si effettua una sintesi, ad esempio, vedendo sempre A, B e C associati, è sufficiente vedere B e C, perchè si cada nell’illusione di aver percepito anche A.136

La valutazione dei risultati probatori da parte del giudice, deve avvenire secondo il canone del libero convincimento del giudice e secondo razionalità. Posto l’obbligo di motivazione, il giudice, dovrà giustificare la sua decisione, indicando quali siano le massime di esperienza, se ci sono, che permettono di ritenere attendibile il riconoscimento.

Questo giudizio è particolarmente delicato, considerando la vastità degli aspetti che possono andare ad incidere su tutto il processo mnemonico del soggetto, il giudice dovrà procedere ad effettuare un controllo su diversi momenti: sull’affidabilità del ricognitore, l’ipotesi che possano esserci state interferenze nel consolidamento della memoria, il cui nodo centrale è il percorso dell’art. 213 c.p.p.; sul processo che ha portato il soggetto a procedere con il riconoscimento, questo è il passaggio più delicato poiché per le modalità dell’atto, sono presenti sempre degli elementi che

136 E. ALTAVILLA, Gli attori nel processo penale, op. cit., p. 376-

377, descrive la situazione con il caso di un professore che si accorse di non trovare più una medaglia che portava sempre attaccata alla catena dell’orologio. Gli alunni di diverse classi, sostennero di aver visto la medaglia la mattina stessa dandone anche la descrizione. La medaglia in realtà fu trovata in un ristorante il cui il professore aveva pranzato il giorno precedente.

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restano sommersi137 . Una parte di ciò può essere portato alla luce con l’art. 214 c.p.p., infatti grazie alla predisposizione scenica, e al relativo approccio comparativo-valutativo, il giudice riesce a essere meno distante dallo sfondo psichico del soggetto. Nonostante, la valutazione di questi adempimenti, essi risultano da soli insufficienti a garantire l’attendibilità del risultato, ciò significa la necessità di riscontri esterni, soprattutto nel caso in cui questa sia l’unica prova ai fini del giudizio di colpevolezza.

La stessa relazione al progetto preliminare precisa che “gli adempimenti prescritti dal codice sono indispensabili, ma insufficienti da soli ad assicurare la piena attendibilità di tale mezzo di prova”.138

La ricognizione però per la sua struttura è caratterizzata: dall’impossibilità di usare il meccanismo del controesame, legato alla duplice considerazione che il ricognitore deve essere molto tranquillo mentre procede al ravvisamento e la risposta di un monosillabo non è idonea a procedere al vaglio delle parti; ma anche dall’evitare di estendere il meccanismo della chiamata in correità, per cui la dichiarazione del coimputato può essere rinforzata da un ulteriore soggetto, posto che al pari della ricognizione del ricognitore anche quelle di altri potrebbero essere viziate.

In assenza di norme specifiche previste per la valutazione di attendibilità della ricognizione, il rischio di “falsi positivi” può essere affrontato rispettando nell’esecuzione le formalità previste dagli artt. 213, 214,

137 Vedi cap. I

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217 c.p.p. e gli altri elementi come l’accuratezza della “messa in scena”, tutto ciò che è accaduto durante l’atto e il grado di certezza espresso dal soggetto, possono essere apprezzati dal giudice per una valutazione intrinseca, però solo lui può compiere quel processo logico inteso a precisare quale sia l’elemento esterno idoneo a confrontare i risultati ottenuti dal riconoscimento di persone.139

2.3.4 La documentazione dell’atto e il

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