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INFEZIONI DA ENTEROCOCCHI NEGLI ANIMALI DA COMPAGNIA

PATOGENI OPPORTUNISTI E FATTORI DI VIRULENZA

1.3 INFEZIONI DA ENTEROCOCCHI NEGLI ANIMALI DA COMPAGNIA

Come già ripetuto più volte nella parte relativa alla patogenesi, essendo gli enterococchi dei batteri opportunisti, il loro habitat principale è costituito dal tratto gastroenterico dell’ospite, dove costituiscono la normale microflora, come dimostrato in numerosi studi effettuati a proposito della composizione del microbiota intestinale del cane (Suchodolsky, 2011; Kil & Swanson, 2011). Ovviamente, rispetto ai modelli umani, gli studi che riguardano il cane sono di numero inferiore, probabilmente a causa della sintomatologia pressoché assente che possiamo avere in soggetti sani. Gli enterococchi risultano essere meno virulenti degli streptococchi, ma, rispetto a questi, posseggono un più alto grado di resistenza nell’ambiente e sono in grado di resistere ai più comuni antimicrobici.

Nel cane, esattamente come nell’uomo, gli enterococchi sono causa di infezioni specialmente in pazienti ospedalizzati e con deficit immunitari, che favoriscono complicazioni nosocomiali, per esempio in seguito ad infezioni post-chirurgiche. Anche se queste sono la primaria causa di infezione d enterococco negli ospedali veterinari, E. hirae può essere causa di diarrea nel cane. Un case report , le infezioni Molto frequente, come già accennato in precedenza, è il coinvolgimento degli enterococchi nelle UTI (urinary-tract infection), soprattutto quando le infezioni sono di carattere ricorrente (Thompson et al., 2010); probabilmente questo è spiegato dalla capacità degli enterococchi di approfittare di situazioni di dismicrobismo, create dall’instaurarsi di infezioni ravvicinate, e poi di moltiplicarsi, causando infezione. Possiamo dire, inoltre, che la resistenza agli antibiotici e l’elusione delle difese dell’ospite, li rende i batteri ideali per la colonizzazione del tratto urinario (Ball et al., 2008).

Rari sono in letteratura i casi di endorcardite da enterococchi nel cane; un case report di Vetzel et al (2003) descrive un caso di endocardite vegetativa causata da E.faecalis in un cucciolo di rottweiler di 5 mesi, portato a visita per una diarrea cronica da

cinque settimane ed un murmure cardiaco auscultato dal suo veterinario; batteriologici di sangue ed urine erano positive per E.faecalis ed il cucciolo è stato sottoposto ad eutanasia per le complicazioni renali sopraggiunte successivamente.

1.4 L’ ANTIBIOTICORESISTENZA

La resistenza dei batteri alle diverse molecole antibiotiche e ad una loro eventuale associazione, costituisce un problema che ormai da tempo preoccupa chi opera in campo medico-scientifico.

Tale problema deriva naturalmente dall’uso indiscriminato che è stato fatto e che viene fatto, della maggior parte degli antibiotici, nonché dalla rapida diffusione di geni in grado di codificare innumerevoli fattori di resistenza. Una delle principali cause dell’antibiotico-resistenza, è costituita di fatto dall’uso o dall’abuso di antibiotici a fini terapeutici o auxinici in animali produttori di derrate alimentari. L’incidenza, nonché l’aumento della resistenza, in ciascun patogeno inoltre è dipendente da una pressione selettiva esercitata sul germe stesso, attraverso la quantità di farmaco impiegata, in termini di dose e durata del trattamento.

L’allarmismo generato da tale situazione ha necessariamente portato le istituzioni pubbliche a pianificare ed attuare piani di sorveglianza, a seguito di una attenta valutazione della situazione, grazie anche all’aiuto conferito da dati ottenuti da studi di tipo retrospettivo. Un lavoro condotto nel 2013, ad esempio, propone una panoramica sulla resistenza di microrganismi zoonotici o commensali sul territorio Europeo nel periodo compreso tra il 2005 e il 2011, concentrandosi principalmente su ceppi microbici appartenenti al genere Salmonella spp, Escherichia,

Campylobacter ed Enterococcus. Tale conoscenza risulterebbe di fatto necessaria al

fine di poter disegnare e pianificare possibili strategie di intervento (Garcia-Mgura et

al., 2013). Alcuni batteri, compresi gli enterococchi, a seguito della pressione e della

selezione causati dall'uso di antimicrobici, vengono considerati dei buoni indicatori (Caprioli, 2000).

I pazienti, sia uomo che cane, possono venire in contatto con ceppi microbici resistenti in diversi modi, anche se resta importante ricordare che l’esposizione al patogeno non determina automaticamente l’insorgenza della malattia. Le modalità di trasmissione includerebbero strumentari quali: termometri elettronici rettali, superfici contaminate, operatori sanitari che non praticano buone norme igieniche, etc. È stato

dimostrato infatti che le mani o i guanti del personale sanitario se contaminati, sono potenzialmente in grado di determinare una contaminazione in circa il 10% dei contatti, sia direttamente con i pazienti non infetti, oppure di contaminare a loro volta superfici o strumentari (Duckro et al., 2005). I fattori di rischio in umana, purtroppo, non sono unicamente limitati ad una contaminazione diretta, ma un fattore determinante è legato alla scelta della terapia antibiotica o addirittura al tempo di permanenza all’interno della struttura ospedaliera, in quanto maggiore è il tempo di permanenza, maggiore risulterebbe il fattore di rischio di esposizione (Weinstein et

al., 1996; Donskey et al., 2000; Ostrowsky et al., 2001; Elizaka et al., 2002). La

scelta degli antibiotici da utilizzare per un eventuale approccio terapeutico dovrebbe essere sempre subordinata ad un’ indagine attraverso la quale è possibile conoscere la minima concentrazione inibente (MIC) alla quale quella molecola mostra il massimo della sua efficacia.

I microrganismi, come abbiamo già detto, hanno la possibilità di modificare il proprio patrimonio genetico, sia attraverso mutazioni spontanee, (spesso sporadiche), sia attraverso il diretto scambio di materiale genetico, processo quest’ultimo, che può avvenire attivamente o meno (sex pilus oppure uptake di materiale genetico da cellule non vitali). Infatti, attraverso il complesso meccanismo trasposone-plasmide, i batteri possono, in linea teorica, avere a disposizione l’intero corredo cromosomico di tutte le specie batteriche esistenti (Russo S. & Turin L., 2005).

Tale capacità conferisce loro un notevole vantaggio, soprattutto legato all’eventuale possibilità di adattarsi a qualsiasi ambiente, ivi compresi quelli in cui interagiscono con molecole antibiotiche.

La reale capacità di resistenza è identificata nelle possibilità che il microrganismo generi sporadicamente, o acquisisca, una strategia molecolare attraverso la quale riesca a “gestire” la molecola antibiotica in questione. In alcuni casi, infatti, i microrganismi sono in grado di esprimere un corredo enzimatico capace di inattivare la molecola stessa, oppure di modificarla. A tal proposito, potremmo citare come esempio la beta-lattamasi che agisce sulla classe molecolare, notoriamente conosciuta

generare la capacità di regolare scambi selettivi di membrana, impedendo così alle molecole antibiotiche di entrare all’interno della cellula (Russo S. & Turin L., 2005). In realtà, tra i fattori che possono, di fatto, predisporre i microrganismi batterici ad una sempre maggiore resistenza agli antibiotici, non possiamo unicamente contemplare fattori intriseci al microrganismo stesso, ma anche fattori estrinseci, quali la scelta della molecola. Tale considerazione nasce dal fatto che, l’utilizzo di una molecola antibiotica non adatta al contesto clinico (così come via di somministrazione, durata della terapia, interazione con altri farmaci, eventuale resistenza) già predispone ad uno o più dei fattori precedentemente descritti, attraverso i quali il microrganismo acquisisce la resistenza stessa.

I sistemi maggiormente diffusi attraverso i quali è possibile conoscere una eventuale e già presente resistenza antibiotica all’interno di una popolazione batterica, sono sostanzialmente due. Il primo è l’antibiogramma. Tale metodica si basa sul concetto di massima esposizione del microrganismo verso una o più molecole. La tecnica di elezione è il Kirby-Bauer. Quest’ultima viene effettuata con una coltura pura del microrganismo isolato. Si dispongono sulla superficie del terreno su cui è stato seminato il batterio, dei piccoli dischetti imbevuti di antibiotico alla massima concentrazione; nelle ore successive il principio attivo della molecola presente nel disco diffonderà radialmente nel terreno. Alla fine sarà valutata l’eventuale presenza e il raggio di ampiezza nei confronti della crescita batterica (Figura n.10). L’alone, espresso in millimetri, permette di classificare, sulla base di di criteri interpretativi suggeriti dal N.C.C.L.S (National Committee for Clinical LAboratory Standards), il microrganismo come sensibile, mediamente sensibile o resistente. Il successivo risultato viene interpretato ed in base alla misurazione metrica dell’alone di inibizione, il microrganismo può essere classificato come sensibile, mediamente sensibile o resistente ad una o più molecole antibiotiche. La resistenza si decreta nel momento in cui l’alone di inibizione attorno ad uno o più dischi risulti assente o troppo debole (per debolezza viene inteso un raggio troppo ridotto). La sensibilità, invece, si verifica quando una molecola risulta nettamente efficace, inibendo completamente la crescita, generando un chiaro ed ampio alone di inibizione. La

condizione intermedia potrebbe suggerire che quel microrganismo sta iniziando a manifestare una possibile resistenza e che l’efficacia della molecola ancora potrebbe essere sfruttata, ma utilizzandola a concentrazioni di fatto assai maggiori rispetto a quelle consigliate (Barry et al., 1974; Kluge et al., 1975; Russo S. & Turin L., 2005; Intorre L., 2009). Una metodica ormai consolidata, che trova i suoi fondamenti sulla tecnica e metodica del Kirby-Bauer è l’analisi della MIC (minima concentrazione inibente). Questa tecnica prevede di sottoporre il microrganismo all’interazione con una serie di molecole antibiotiche a diversa concentrazione crescente. Questo offre una serie di notevoli vantaggi, tra cui la possibilità di conoscere la minima concentrazione alla quale data molecola avrà ancora efficacia nei confronti di quel determinato microrganismo. Tale metodica può essere riprodotta o con tecniche manuali come l’Etest, (Figura n.11) oppure con tecniche automatizzate (Sensititre) (Figura n.12). Tra le metodiche manuali, il test epsilometrico, detto anche Etest, è una variante oggi molto diffusa del metodo per diffusione in gel di agar. mettendo sul terreno una o più stick di carta bibula rettangolari (circa 0.4 cm x 8 cm), all’interno dei quali sono contenute concentrazioni scalari dell'antibiotico di cui si vuole testare l’eventuale efficacia. Dopo l'incubazione, qualora la molecola sia efficace, si può evidenziare un alone d’inibizione a forma di goccia subito attorno allo stick. La parte più ampia, data dall’inibizione di crescita, sarà rivolta verso la parte superiore dello stick, ovvero quella con maggior concentrazione di antibiotico. Il confronto dell'ampiezza dell’inibizione generata tra i vari stick contenenti diversi antibiotici, associato alla valutazione dei valori standard, permette la rapida e chiara identificazione del farmaco più efficace nei confronti del microrganismo in questione, avendo inoltre informazioni chiare sulla MIC. Un altro metodo manuale è il cosiddetto metodo per diluizione, effettuato anche in terreno liquido. Viene effettuato inoculando gli isolati batterici in una serie di pozzetti, nei quali sono posti concentrazioni scalari di antibiotici, con una concentrazione nota di microrganismo. Dopo incubazione i singoli pozzetti vengono valutati per verificare a quale concentrazione è avvenuta o meno l’inibizione della crescita. Il sistema Sensititre per

facile utilizzo. Il sistema funziona come segue: viene generata una coltura pura del microrganismo oggetto d’esame in un terreno liquido. A seguito di questo la macchina distribuisce l’antibiotico all’interno di una serie di pozzetti (Figura n.12) in cui è presente una concentrazione nota di microrganismo. La piastra viene successivamente incubata a 37° per 24h e solo in seguito effettuata la lettura attraverso un sistema automatizzato. (Barry et al., 1974; Kluge et al., 1975; Gavan et

al., 1981; Allen S.D. & Dowell V.R., 1996; Russo S. & Turin L., 2005; Intorre L.,

2009; Chang et al., 2014).

Per prevenire quindi la resistenza, ogni qual volta si abbia la necessità di utilizzare una molecola antibiotica è buona norma effettuare un esame colturale seguito da un antibiogramma. Conoscere a priori se il microrganismo in questione già possiede resistenza ad una specifica molecola, risulta fondamentale ai fini, non solo del successo terapeutico, ma anche nella prevenzione dell’antibiotico-resistenza.

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