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INFEZIONI E TERAPIA ANTIBIOTICA

PAZIENTI E METOD

INFEZIONI E TERAPIA ANTIBIOTICA

Durante il periodo di osservazione (Aprile-Settembre 2018) 31 dei 45 pazienti hanno manifestato infezioni. Si è trattato prevalentemente di lievi infezioni delle alte vie respiratorie, quali sinusiti, otiti, faringiti, bronchiti, infezioni delle vie urinarie o episodi diarroici. La remissione è avvenuta spontaneamente o in seguito all’utilizzo di terapia antibiotica.

Non si sono osservate infezioni maggiori quali polmoniti.

C’è da dire che il periodo in studio (primavera-estate) è “fortuito” per quanto riguarda le infezioni. Non si può escludere che dal punto di vista infettivo le stesse valutazioni eseguite in periodo invernale potrebbero mostrare risultati differenti.

I pazienti che hanno fatto ricorso a terapia antibiotica sono 17, per un periodo medio di 16,89 ± 12,97 giorni complessivi (sul totale dei mesi di osservazione). Non ci sono differenze nell’uso di antibiotici rispetto all’indice di catabolismo o all’efficiency index.

100 TERAPIA CORTICOSTEROIDEA E IMMUNOSOPPRESSORI

Ventitré dei 45 pazienti in studio hanno assunto cortisone nel periodo in studio con una dose media totale di 369,71 ± 295,80 mg complessivi (di tutti i mesi in osservazione). C’è una differenza statisticamente significativa tra la dose media complessiva di cortisone assunta dai pazienti con CVID rispetto ai pazienti con ipogammaglobulinemia primitiva (p=0.0069) e quelli con ipogammaglobulinemia secondaria (p=0.0226).

Dei 45 pazienti totali, 14 assumono un qualche farmaco immunosoppressore; tra questi un paziente affetto da CVID, due da deficit di sottoclasse, tre da ipogammaglobulinemia primitiva e otto da ipogammaglobulinemia secondaria. Le forme secondarie sono conseguenti soprattutto a trattamenti di malattie autoimmuni che affliggono tali pazienti; è dunque facilmente spiegabile il maggior utilizzo di immunosoppressori in questo gruppo.

MILZA

E’ stata valutata anche la dimensione della milza con l’obiettivo di valutare se la splenomegalia possa correlare con un accelerato consumo di immunoglobuline. E’ stato misurato l’asse maggiore della milza all’ecografia dell’addome ed è stata definita una splenomegalia in caso di asse > 120mm. Solamente in tre pazienti, tutti affetti da CVID, è stata ritrovata splenomegalia con un asse maggiore medio di 148 ± 25,63mm. Secondo l’indice di catabolismo due dei tre pazienti sono bassi metabolizzatori, uno è un alto metabolizzatore. Secondo l’efficiency index sono tutti e tre bassi metabolizzatori.

Non sembra esserci quindi una relazione tra la dimensione della milza e un aumentato catabolismo delle immunoglobuline.

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CONCLUSIONI

Intraprendere un trattamento sostitutivo per via endovenosa e sottocutanea è una scelta da ponderare accuratamente in quanto si tratta in genere di una terapia che il paziente dovrà continuare per il resto della vita. L’inizio del trattamento è tuttavia indispensabile nei pazienti sintomatici o i cui valori di immunoglobuline siano preoccupanti per un alto rischio infettivo. I pazienti in trattamento sostitutivo endovenoso con immunoglobuline sono molto eterogenei dal punto di vista clinico e biochimico e di difficile categorizzazione.

Nella pratica clinica si somministrano mediamente 300-500mg/kg di immunoglobuline ogni 21-28 giorni. Nelle valutazioni eseguite la somministrazione media di immunoglobuline in tutti i pazienti è 394,98 ± 90,76 mg/kg, è dunque paragonabile ai dati ritrovati in letteratura. Il peso però sembra essere solo uno dei molteplici fattori che regolano i livelli di IgG nei pazienti in terapia sostitutiva: non esistono infatti differenze statisticamente significative tra il BMI degli alti e dei bassi metabolizzatori distinti secondo l’indice di catabolismo o secondo l’efficiency index.

Neppure la diagnosi consente di identificare il comportamento catabolico del singolo paziente: alti e bassi metabolizzatori, identificati attraverso l’uno o l’altro degli indici, possono essere affetti da una qualsiasi forma di ipogammaglobulinemia (Figura 10 – Relazione tra classi diagnostiche e Indice di catabolismo e Figura 20 – Relazione tre classi diagnostiche ed Efficiency Index, entrambi non statisticamente significativi).

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In relazione alla cinetica e in particolare al metabolismo delle immunoglobuline infuse, la sola categorizzazione in classi diagnostiche non sembra quindi cogliere a pieno le differenze nei gruppi di pazienti.

La distinzione effettuata in base al metabolismo delle immunoglobuline utilizzando l’indice di catabolismo e l’efficiency index fornisce la possibilità di meglio descrivere i pazienti, identificando gli alti metabolizzatori che necessitano di mg/kg di immunoglobuline più elevate rispetto ai bassi e che mantengono un IgG trough level più basso. Questo dimostra l’aumentato consumo di immunoglobuline infuse e la necessità di aumentare il dosaggio o accorciare i tempi negli alti metabolizzatori. Nell’esperienza del nostro centro, la tendenza è quella ad aumentare il dosaggio più che accorciare il periodo tra un’infusione e la successiva. Fra i due strumenti che abbiamo utilizzato, l’indice di catabolismo sembra fornire informazioni più complete e più aderenti alla situazione clinica del paziente (vedi la relazione con quality of life).

L’identificazione di alti e bassi metabolizzatori pone numerosi quesiti, che dovranno essere affrontati in ulteriori studi. Non sono infatti chiarite le cause, genetiche e non, che rendono un paziente appartenente a un gruppo o all’altro. La conoscenza a priori di caratteristiche che correlano con l’uno o l’altro gruppo permetterebbe di ottimizzare la terapia fin dalle prime somministrazioni, e non in modo empirico una volta iniziato il trattamento, fino al raggiungimento della dose mensile ideale per quel paziente. Si potrebbe così offrire al paziente una terapia personalizzata, che riduca nettamente il rischio infettivo e le possibili complicanze a lungo termine.

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Anche una maggior conoscenza delle immunodeficienze da parte della classe medica è essenziale per riconoscere in tempo i pazienti immunodeficienti prima dello sviluppo di infezioni gravi, o lievi ma ricorrenti nel tempo, che possono portare a complicanze. Ridurre il ritardo diagnostico medio e trattare quanto prima e adeguatamente questi pazienti è quindi un obiettivo primario per il controllo delle immunodeficienze.

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RINGRAZIAMENTI

Un sentito ringraziamento alla Professoressa Paola Migliorini, che mi ha accolto in questo progetto, esempio di professionalità e competenza. Al dottor Riccardo Capecchi, la mente, tra genio e follia, dietro questo lavoro. Alla dottoressa Donatella Sutera, con cui ho condiviso le mattinate in DH tra provette e questionari. Alla dottoressa Valeria Rocchi, che mi ha guidato nella conoscenza delle immunodeficienze. A Laura Chiti, senza la cui pazienza e disponibilità tutto questo non sarebbe neanche iniziato.

Ai miei genitori, Miriam e Giampaolo, e ad Adriana, che mi hanno cresciuto e insegnato impegno e rigore, che credo di aver messo in questi anni in ciò che facevo. A mia sorella Guendalina, per esserci sempre.

Alla famiglia acquisita, la Big Family: Susanna, mio braccio destro, Luca, l’amico di sempre, Ottavia, perché tanto siamo uguali, e Bernardo, Giada, Gretha e Laura per la migliore squad che potessi avere.

Agli altri compagni di questa avventura, i bulletti Giulia, Francesca, Gabriele e Ilaria, per il supporto e le risate, la disperazione condivisa e il bipolarismo dilagante, tra gite pericolose in macchina e fughe dalle lezioni.

A tutto il gruppo Tenda Marechiaro, per la spensieratezza di ogni estate.

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