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Ipogammaglobulinemie e terapia sostitutiva endovenosa

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI RICERCA TRASLAZIONALE E

DELLE NUOVE TECNOLOGIE IN MEDICINA E

CHIRURGIA

Corso di Laurea a Ciclo Unico in Medicina e Chirurgia

TESI DI LAUREA

IPOGAMMAGLOBULINEMIE E TERAPIA

SOSTITUTIVA ENDOVENOSA

Relatore

Chiar.ma Prof.ssa Paola Migliorini

Candidato

Alessandro Ghilarducci

(2)

1

INDICE

Pag.

ABSTRACT……… 5

IMMUNODEFICIENZE……….. 7

Classificazione fenotipica delle immunodeficienze primitive………….. 8

Epidemiologia……… 10

Manifestazioni cliniche e diagnosi……….. 10

IMMUNOGLOBULINE……… 14

Sintesi, assemblaggio e ed espressione di anticorpi……….. 16

Emivita e catabolismo degli anticorpi……….. 17

Valori normali delle immunoglobuline plasmatiche……… 18

IMMUNODEFICIENZA COMUNE VARIABILE……….. 19

Criteri diagnostici……… 19

Epidemiologia……… 20

Genetica……… 20

Immunopatologia delle cellule B………. 22

Immunopatologia delle cellule T………. 23

Clinica………. 23

Infezioni………. 24

Autoimmunità……….. 25

Malattia Polmonare cronica……… 26

(3)

2

Malattia gastrointestinale………. 28

Iperplasia linfonodale e splenomegalia………. 28

Tumori……….. 29

Qualità della vita……… 29

Mortalità………. 30

LOCID……… 31

DEFICIT ISOLATO DI SOTTOCLASSI IgG………. 34

Genetica………. 34

Clinica……….. 35

Diagnosi………. 36

Trattamento……… 37

DEFICIT ANTICORPALE SPECIFICO……… 38

Criteri diagnostici……… 39

Trattamento……… 40

IPOGAMMAGLOBULINEMIA PRIMITIVA………. 41

(4)

3

TERAPIA SOSTITUTIVA CON IMMUNOGLOBULINE……….. 44

Storia……… 44 Trattamento……… 45 Farmacocinetica……… 47 Indicazioni………. 48 Reazioni avverse……….………. 49 Anafilattica/anafilattoide……….. 50 Complicanze renali………. 51 Eventi trombotici………. 52 Emolisi………. 52 Tossicità polmonare……….. 53 Iponatriemia……… 53 Immunoglobuline sottocute……… 54

Efficacia della terapia sostitutiva………. 55

SCOPO DELLA TESI……….. 57

PAZIENTI E METODI………. 58

Pazienti……….. 58

Metodi……… 58

Analisi statistica……… 61

RISULTATI………. 62

Caratteristiche della popolazione totale di pazienti……… 62

(5)

4

Alti e bassi metabolizzatori secondo l’indice di catabolismo………. 77

Alti e bassi metabolizzatori secondo l’efficiency index………. 85

Indice di catabolismo ed efficiency index……….. 91

DISCUSSIONE……….. 93

Terapia sostitutiva ed eterogeneità dei pazienti……….. 93

Valori IgG pre-terapia e IgG trough level nelle classi diagnostiche….. 98

IgG trough level……… 98

Infezioni e terapia antibiotica………. 99

Terapia corticosteroidea e immunosoppressori………. 100

Milza……….. 100

CONCLUSIONE……… 101

BIBLIOGRAFIA………. 104

(6)

5

ABSTRACT

La terapia delle immunodeficienze caratterizzate da deficit prevalentemente anticorpale (PAD) prevede la somministrazione, in regime sostitutivo, di immunoglobuline. Tale somministrazione può essere effettuata per via endovenosa o sottocutanea. La somministrazione endovenosa, da ripetersi ogni 21-28 giorni, riporta i valori di immunoglobuline a livelli desiderati e protettivi nei confronti delle infezioni. I livelli di immunoglobuline misurati appena prima dell'infusione successiva (IgG trough level) danno indicazione dell'efficacia della terapia per tutto il periodo inter-infusionale. E' noto che alcuni pazienti (rapidi o alti metabolizzatori) necessitano di aumentare la dose di immunoglobuline o di accorciare l'intervallo tra un'infusione e l'altra per mantenere livelli adeguati, rispetto ad altri (lenti o bassi metabolizzatori) con caratteristiche opposte. In questo studio sono stati valutati pazienti in terapia sostitutiva endovenosa per verificare chi è in effetti un rapido e chi un lento metabolizzatore e quali sono differenze nei parametri biologici e clinici nelle due popolazioni.

Sono stati reclutati in tutto 45 pazienti che si sottopongono a infusioni di immunoglobuline endovena mensili presso il Day Hospital dell’UO Immunoallergologia dell’AOUP. Di questi 45 pazienti, 15 hanno diagnosi di immunodeficienza comune variabile, 8 di deficit di sottoclassi, 8 di ipogammaglobulinemia primitiva e 14 di ipogammaglobulinemia secondaria. Sono stati calcolati due indici, un indice di catabolismo e un efficiency index, che hanno consentito di distinguere un gruppo di alti e un gruppo di bassi metabolizzatori. Sono state poi valutate differenze tra questi in relazione ai livelli di IgG pre-terapia, ai mg/kg di immunoglobuline per infusione, i giorni di intervallo tra un’infusione e la successiva, l’IgG trough level raggiunto e parametri quali l’assunzione di antibiotici, la terapia corticosteroidea, le

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6

infezioni sviluppate, la quality of life. Non c’è correlazione tra la diagnosi e l’indice di catabolismo o l’efficiency index.

Valutando alti e bassi metabolizzatori secondo l’indice di catabolismo, gli alti presentano IgG trough level più bassi e mg/kg medi di immunoglobuline infuse più elevati. Gli alti inoltre hanno una peggior percezione della propria salute e un maggior impatto della malattia sulle attività quotidiane.

Distinguendo alti e bassi metabolizzatori secondo l’efficiency index, negli alti emergono IgG pre-terapia più elevate e IgG trough levels più bassi.

Nel complesso, questo studio suggerisce la possibilità di costruire una terapia personalizzata identificando rapidamente il fenotipo del paziente con deficit anticorpale, dal punto di vista del catabolismo delle immunoglobuline. Questo approccio consente di ottenere concentrazioni adeguate di immunoglobuline, con un conseguente miglior controllo delle infezioni e migliore qualità di vita.

(8)

7

IMMUNODEFICIENZE

Le immunodeficienze sono condizioni cliniche legate al difetto di una o più componenti del sistema immunitario, con una conseguente aumentata suscettibilità allo sviluppo di infezioni, patologie autoimmuni e neoplasie. [1] Si possono distinguere in

- Immunodeficienze Primitive (PID – Primary ImmunoDeficiencies), malattie geneticamente determinate che possono manifestarsi alla nascita o nel corso della vita dell’individuo. Sono causate da mutazioni (spesso ancora non note) a carico dei geni coinvolti nella maturazione o nell’attivazione della risposta immune, innata o adattativa, umorale o cellulo-mediata.

- Immunodeficienze Secondarie, alterazioni del sistema immunitario molto più frequenti rispetto alle primitive, che compaiono in individui altrimenti immunocompetenti. Possono essere conseguenza di:

 Malnutrizione

 Protido-dispersione per danno renale o intestinale

 Malattie infettive

 Malattie neoplastiche

 Malattie metaboliche

 Farmaci immunosoppressori, citostatici, anticorpi monoclonali

(9)

8

CLASSIFICAZIONE FENOTIPICA DELLE IMMUNODEFICIENZE PRIMITIVE

La Classificazione Fenotipica IUIS 2017 [2, 3] delle immunodeficienze primitive distingue in:

1. Immunodeficienze combinate dell’immunità umorale e cellulare 2. Immunodeficienze associate a condizioni sindromiche

3. Immunodeficienze legate a difetti prevalentemente anticorpali (PAD

– Predominantly Antibody Deficiencies)

4. Patologie con disregolazione immunitaria

5. Difetti congeniti nel numero o nella funzione dei fagociti, o in entrambi 6. Difetti dell’immunità innata

7. Malattie auto-infiammatorie 8. Difetti del complemento

9. Fenocopie di immunodeficienze primitive

Nell’ambito dei difetti prevalentemente anticorpali (PAD) la IUIS 2017 distingue:

A-/Ipo-gammaglobulinemia – caratterizzata da assenza o riduzione

marcata delle IgG e delle IgA e/o IgM in assenza di cause secondarie che potrebbero altrimenti spiegare i bassi valori di gammaglobuline.

Sulla base dei valori delle cellule B circolanti (CD19+) si possono quindi distinguere quadri in cui:

‒ Le cellule B sono assenti (<1%), tra cui l’X-linked agammaglobulinemia (o malattia di Bruton), legata alla mutazione del gene BTK

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9

‒ Le cellule B sono normali o ridotte (ma >1%), tra cui l’Immunodeficienza comune variabile, nelle sue forme a genetica conosciuta o sconosciuta.

Altri deficit anticorpali:

‒ Riduzione marcata delle IgG e delle IgA con IgM normali o elevate in presenza di un numero normale di cellule B: sindromi da Iper-IgM

‒ Deficit numerici o funzionali di specifiche classi o sottoclassi anticorpali o delle catene leggere con linfociti B generalmente normali - tra questi:

 Deficit selettivo di IgA

 Deficit isolato di sottoclassi IgG

 Deficit di sottoclassi IgG associato a deficit di IgA  Ipogammaglobulinemia transitoria dell’infanzia

 Deficit anticorpali specifici verso determinati antigeni, in presenza di valori di immunoglobuline e cellule B circolanti normali

 Mutazioni e delezioni delle catene pesanti delle immunoglobuline

 Deficit delle catene k  Deficit selettivo di IgM

‒ Elevato numero di cellule B circolanti causato da attivazione costitutiva di NF-kB

(11)

10

EPIDEMIOLOGIA DELLE IMMUNODEFICIENZE PRIMITIVE

La prevalenza delle immunodeficienze primitive varia molto a seconda dello specifico disordine, dell’età, del sesso e della localizzazione geografica - da forme riconosciute solamente in singoli pazienti in tutto il mondo, fino al deficit selettivo di IgA, la forma più frequente di PID, che colpisce fino a 1:500 nella popolazione caucasica, spesso in modo del tutto asintomatico.

L’età di insorgenza delle PID varia in base alla gravità del quadro morboso. Pazienti con deficit lievi possono arrivare all’età adulta in modo del tutto asintomatico, pazienti con deficit severi sviluppano infezioni gravi fin dai primi mesi di vita con una mortalità precoce.

I deficit prevalentemente anticorpali rappresentano la categoria più frequente (>50% dei casi) di immunodeficienze primitive – tra queste, l’immunodeficienza comune variabile è la forma sintomatica più frequente nell’età adulta; il deficit selettivo di IgA ha una prevalenza maggiore ma è molto spesso del tutto asintomatico. [4]

MANIFESTAZIONI CLINICHE E DIAGNOSI

La principale manifestazione clinica delle immunodeficienze primitive è rappresentata da un’aumentata suscettibilità alle infezioni. Esiste una correlazione tra il tipo cellulare alterato e il tipo di infezione sviluppata [5]:

 I soggetti con deficit dell'immunità T-cellulare tendono a sviluppare soprattutto infezioni da parte di patogeni opportunisti, virus, protozoi, funghi e micobatteri atipici;

 I soggetti con deficit dell’immunità umorale sono invece maggiormente suscettibili a infezioni da batteri capsulati e piogeni;

(12)

11  I deficit dei granulociti si manifestano prevalentemente con infezioni da parte di batteri che nel soggetto immunocompetente sono in genere a bassa virulenza;

 Nei deficit del complemento vi è una maggior predisposizione ad infezioni da parte di batteri quali Neisseria o piogeni.

Nei deficit prevalentemente anticorpali le principali forme infettive riguardano le alte e le basse vie respiratorie con frequenti faringiti, otiti, sinusiti, bronchiti e anche polmoniti. I pazienti immunodeficienti sono inoltre più esposti al rischio di sviluppare infezioni a livello cutaneo, urinario, gastrointestinale e di altri organi interni.

Il sospetto di un’immunodeficienza primitiva deve nascere prevalentemente in caso di [6]:

 Infezioni (batteriche) ricorrenti, più frequenti di quanto atteso per quell’età, specialmente a livello delle alte e basse vie aeree.

 Più di un’infezione severa (come meningite, osteomielite, polmonite, sepsi)

 Infezioni atipiche, per gravità o durata, o che non rispondono al normale trattamento (ad esempio che richiedano una terapia antibiotica endovenosa)

 Ascessi di organi interni

 Ascessi sottocutanei ricorrenti (specialmente nel bambino)  Diarrea ricorrente o prolungata

 Infezioni causate da un patogeno opportunista (es. Pneumocystis jirovecii)

 Verruche o mollusco contagioso estesi o che perdurano a lungo  Candidiasi mucosa, cutanea o sistemica

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12

 Complicanze importanti in seguito a somministrazione di vaccini vivi attenuati (ad esempio disseminazione del Bacillo di Calmette-Guérin, infezione da varicella, virus polio o da rotavirus)

 Storia familiare positiva per immunodeficienza, intesa come: ‒ Familiari con clinica compatibile con infezioni ricorrenti ‒ Morti improvvise nell’infanzia, morti per infezioni ‒ Consanguineità

‒ Malattie autoimmuni o neoplasie ematologiche in più familiari

Nel sospetto di un’immunodeficienza primitiva è quindi opportuno avviare un appropriato iter diagnostico [7] che comprenda:

 Esami di primo livello:

‒ esame emocromocitometrico con formula leucocitaria ‒ proteine totali ed elettroforesi delle proteine sieriche ‒ dosaggio sierico di IgG, IgA e IgM

‒ Ricerca di anticorpi naturali (es. isoemoagglutinine)

‒ Valutazione della risposta anticorpale alle vaccinazioni: titolo anticorpale prima e dopo 3 settimane dalla vaccinazione con un vaccino peptidico (tossoidi tetanico o difterico) o polisaccaridico (vaccino anti-pneumococcico)

 Esami di secondo livello:

‒ Dosaggio delle sottoclassi IgG (IgG1, IgG2, IgG3, IgG4) ‒ Ricerca di autoanticorpi

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13

‒ Studio delle sottopopolazioni linfocitarie (CD3+, CD4+, CD8+, CD19+, CD20+, CD16+56+)

 Esami di livello avanzato:

‒ Test in vitro di linfoproliferazione per saggiare la capacità proliferativa dei linfociti a stimoli specifici o aspecifici

‒ Test genetici per la ricerca di mutazioni specifiche (es. mutazione di BTK nell’a-gammaglobulinemia X-linked)

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IMMUNOGLOBULINE

Le immunoglobuline o gammaglobuline, sono globuline sieriche dirette contro specifici antigeni. Sono anche dette comunemente anticorpi. Vengono prodotte dai linfociti B in seguito all’incontro con l’antigene [8].

Esistono:

 Anticorpi di membrana, posti sulla superficie dei linfociti B, dove assumono il ruolo di recettore per l’antigene

 Anticorpi in forma solubile, secreti in circolo, che sono gli effettori dell’immunità umorale.

Un anticorpo ha una struttura simmetrica a Y, composta da due catene leggere e due catene pesanti identiche. Sia le catene leggere che le catene pesanti contengono unità ripetute di circa 110 aminoacidi che costituiscono un dominio Ig. Un dominio Ig è un polipeptide formato da due serie di foglietti β disposti in modo antiparallelo; tali serie sono legate tra loro grazie a un ponte disolfuro.

Sia le catene pesanti che le catene leggere presentano regioni variabili, che partecipano al riconoscimento dell’antigene, e regioni costanti, responsabili delle funzioni effettrici dell’anticorpo.

Ogni anticorpo possiede almeno due siti di legame per l’antigene formati da sequenze localizzate a livello delle regioni variabili delle catene pesanti e leggere. Le porzioni costanti delle catene pesanti e leggere invece non legano l’antigene ma sono responsabili delle funzioni effettrici dell’anticorpo interagendo con vari recettori, con le frazioni del complemento e con le cellule (Il legame con i recettori che mediano le funzioni effettrici si verifica solamente quando l’anticorpo lega l’antigene, mai da parte degli anticorpi liberi).

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15

Gli anticorpi possono essere suddivisi in classi e sottoclassi sulla base delle differenze strutturali presenti a livello delle regioni costanti delle catene pesanti. Le regioni costanti delle catene pesanti di una classe hanno infatti essenzialmente la stessa sequenza aminoacidica, diversa nelle altre classi e sottoclassi.

Le diverse classi e sottoclassi svolgono funzioni effettrici diverse perché vengono legate da recettori diversi.

Le classi (o isotipi) anticorpali sono:

IgM – possono essere presenti in forma di membrana, dove svolgono

la funzione di recettore per il linfocita B naive, o in forma solubile, pentamerica. Le IgM sono i primi anticorpi prodotti durante una risposta immune. In gran parte dei processi immuni, la produzione di IgM cessa in favore della produzione di un altro isotipo; in alcuni casi però permangono le IgM, specie se dirette contro antigeni polisaccaridici (come nel caso delle isoemoagglutinine) o lipopolisaccaridici.

IgA – suddivise nelle sottoclassi (o sottotipi) IgA1 e IgA2 – vengono

sintetizzate dalle plasmacellule localizzate nella lamina propria delle mucose o delle ghiandole esocrine. Parte delle IgA, specialmente in forma monomerica, passa in circolo; le restanti, generalmente in forma dimerica, attraversano l’epitelio e vengono secrete a livello luminale.

IgG – suddivise nelle sottoclassi (o sottotipi) IgG1, IgG2, IgG3 e IgG4 –

svolgono funzione di opsonizzazione, neutralizzazione, attivazione del complemento per via classica, citotossicità cellulare

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anticorpo-16

mediata, hanno ruolo di immunità neonatale in quanto passano la placenta e anche di feedback inibitorio sulle cellule B. Sono la principale classe immunoglobulinica in circolo.

IgD – presenti libere in circolo solo in tracce, si localizzano in forma di

membrana sulla superficie dei linfociti B dove svolgono la funzione di recettore.

IgE – svolgono funzione di difesa contro le infezioni elmintiche e hanno

un ruolo primario nelle reazioni di ipersensibilità immediata. Si localizzano prevalentemente nei tessuti, i loro livelli circolanti sono molto bassi.

Sintesi, assemblaggio ed espressione di anticorpi Gli anticorpi sono prodotti dalla linea cellulare B.

Le catene pesanti e leggere delle immunoglobuline vengono sintetizzate sui ribosomi ancorati alla membrana del reticolo endoplasmatico rugoso. La proteina trasloca quindi all’interno del reticolo e viene N-glicosilata. Il successivo assemblaggio delle singole catene e la corretta interazione tra catene pesanti e catene leggere è quindi mediata dalle proteine chaperonine. In seguito all’assemblaggio, le immunoglobuline traslocano nell’apparato di Golgi per essere poi veicolate in vescicole verso la membrana cellulare; quando avviene la fusione delle vescicole con la membrana plasmatica esterna, le immunoglobuline di membrana vengono espresse sulla superficie della cellula, quelle solubili vengono invece secrete all’esterno della cellula.

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17

La maturazione della linea cellulare B è accompagnata da specifici cambiamenti nell’espressione dei geni delle immunoglobuline, che determinano la produzione delle diverse classi anticorpali.

 La prima cellula che produce polipeptidi Ig è la cellula pre-B che sintetizza la catena pesante μ associata a un gruppo di proteine definite catene leggere surrogate.

 Le cellule B immature iniziano a produrre anche catene leggere di tipo k o λ, esprimendo quindi sulla superficie le IgM di membrana.

 Le cellule B mature esprimono sia IgM che IgD di membrana che svolgono la funzione di recettore della cellula B, in associazione ad altre molecole recettoriali e co-recettoriali.

 Una volta attivato, il linfocita B può evolvere in plasmacellula che produce e secerne grosse quantità di anticorpi. Durante il processo di attivazione, la cellula può anche andare incontro allo scambio di classe, fenomeno che comporta la produzione di classi di Ig diverse dalle IgM e dalle IgD, e alla maturazione dell’affinità, che favorisce la selezione di cloni linfocitari in grado di produrre Ig che legano l’antigene con una maggiore affinità.

Emivita e catabolismo degli anticorpi

L’emivita degli anticorpi cambia in funzione della classe in considerazione:

 Per le IgE circolanti è di circa 2-3 giorni; tuttavia se le IgE sono legate ai recettori FcεR sulla superficie dei mastociti la loro emivita si allunga fino a oltre 2-3 settimane.

 Per le IgD è di circa 3 giorni

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18  Per le IgA è di circa 3-6 giorni

 Per le IgG è di 21-28 giorni. Si ritiene che l’emivita molto più lunga delle IgG sia legata alla funzione del recettore Fc neonatale (FcRn), coinvolto anche nel passaggio transplacentare delle IgG da madre a feto. Tale recettore si ritrova sulla superficie delle cellule endoteliali e lega le IgG entrate negli endosomi cellulari per micro-pinocitosi. Le IgG legate dal FcRn vengono risparmiate dalla degradazione lisosomiale e con il ricircolo vescicolare sono nuovamente rilasciate all’esterno della cellula.

Valori normali delle immunoglobuline plasmatiche

 Le IgG sono le immunoglobuline più abbondanti in circolo e la loro normale concentrazione è 700-1600 mg/dL. La concentrazione delle sottoclassi è:

‒ IgG1: 545-735 mg/dL ‒ IgG2: 290-395 mg/dL ‒ IgG3: 37-50 mg/dL ‒ IgG4: 49-66 mg/dL

 Le IgA hanno una concentrazione plasmatica normale di 70-400 mg/dL

 Le IgM di 40-230 mg/dL

I deficit anticorpali possono essere una manifestazione di un’immunodeficienza più estesa oppure essere l’unico difetto presente. I deficit prevalentemente anticopali (PAD), in cui il difetto è proprio a carico dell’immunità umorale, rappresentano le forme più frequenti di immunodeficienze primitive [9].

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IMMUNODEFICIENZA COMUNE VARIABILE

L’Immunodeficienza Comune Variabile (Common Variable Immunodeficiency – CVID) è un’immunodeficienza primitiva che si caratterizza per una riduzione significativa delle IgG, delle IgA e/o delle IgM circolanti, con esclusione di altre cause di ipogammaglobulinemia.

Le manifestazioni cliniche di questa malattia sono molto varie, includendo infezioni acute e croniche, malattie infiammatorie e autoimmuni e una aumentata incidenza di tumori solidi e linfomi. E’ quindi una malattia estremamente eterogenea e complessa. [10]

CRITERI ESID per la diagnosi clinica di CVID [11]

Almeno uno dei seguenti:

• Aumentata suscettibilità alle infezioni • Manifestazioni autoimmuni

• Malattia granulomatosa

• Linfoproliferazione policlonale non altrimenti spiegata • Familiarità per deficit anticorpale

E riduzione dei valori di IgG e di IgA con o senza livelli bassi di IgM (valutati almeno

due volte; tali valori devono essere < 2SD dei valori normali per età)

E almeno una delle seguenti:

• scarsa risposta anticorpale ai vaccini (e/o isoemoagglutinine assenti); i.e. assenza di titoli protettivi nonostante il vaccino

• basse cellule B switched memory (IgD

-IgM-CD27+<70% del valore normale età-correlato)

E esclusione di cause secondarie di ipogammaglobulinemia

E diagnosi dopo i 4 anni di età (i sintomi possono essere presenti anche prima)

E NON evidenza di deficit importante delle cellule T, definito per almeno 2 delle

seguenti:

• Numero di CD4+

circolanti/µL: 2-6aa <300; 6-12aa <250; >12aa <200 • % CD4+

naive: 2-6aa <25%; 6-16aa <20%; >16aa <10% • Assenza di proliferazione T cellulare

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EPIDEMIOLOGIA

Ha una prevalenza stimata tra 1:25.000 e 1:50.000, più bassa tra gli asiatici e gli africani. Colpisce in ugual misura maschi e femmine con picco di esordio in età scolare e nella 2^-4^ decade di vita. In media l'età di esordio dei sintomi è 23 anni per i maschi e 28 anni per le femmine. Data la grande variabilità clinica e la scarsa conoscenza di tale malattia, tra l'insorgenza del deficit anticorpale e la diagnosi vi è spesso un ritardo diagnostico medio di 5-6 anni che aumenta il rischio di insorgenza delle complicanze a lungo termine come le bronchiectasie. [12]

Nel 10% dei casi viene riscontrata un’anamnesi familiare positiva per immunodeficit.[13]

GENETICA

La base genetica o le altre cause di CVID rimangono sconosciute per la maggior parte dei pazienti. Attualmente meno del 20% dei casi di CVID ha alla base una mutazione genetica nota. [14]

La vasta eterogeneità del quadro clinico e del grado del deficit immunologico nei pazienti affetti da CVID riflette in effetti l’eterogeneità del meccanismo alla base della malattia.[15]

Le principali mutazioni indagate:

 Nell’8-10% dei pazienti con CVID è stata trovata una mutazione monozigote o eterozigote di TACI (Transmembrane Activator and Calcium-modulating Cyclophillin ligand Interactor), codificato dal gene TNFRSF13B, membro della famiglia dei TNF. Il polimorfismo di TACI sembra compromettere lo scambio di classe T-indipendente venendo

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meno adeguate interazioni tra TACI e i suoi ligandi APRIL (A PRoliferation-Inducing Ligand) e BAFF (B cell Activating Factor). In condizioni normali, il legame tra TACI e i suoi ligandi fa parte di una complessa rete di segnali che favoriscono l’attivazione del linfocita B e lo scambio di classe. [16] La maggior parte dei pazienti con entrambi gli alleli mutati sviluppa CVID, mentre quelli con la mutazione di un singolo allele sono a rischio di sviluppare CVID e manifestazioni autoimmuni. [17] Mutazioni di TACI e del recettore BAFF sono state identificate anche in pazienti sani, ma a minor frequenza. [18]

ICOS (Inducible COStimulator on activated T-cells) è una proteina costimolatoria espressa sulla superficie dei linfociti T helper follicolari, normalmente implicati nella costituzione del centro germinativo negli organi linfoidi periferici. La perdita di ICOS causa il fallimento della maturazione dei centri germinativi e dello sviluppo di una risposta B cellulare T-dipendente.[19]

Sono state identificate anche mutazioni a carico di CD19, CD81 e CD21. Gli studi hanno evidenziato come l’assenza di CD19 e di CD81 riduca il segnale del BCR (B Cell Receptor) mentre l’alterazione di CD21 sembra ridurre i segnali di costimolazione. Le mutazioni di CD19 e CD81 sembrano anche essere associate allo sviluppo di fenomeni autoimmuni, tra cui glomerulonefriti. [20, 21, 22]

Studi genome-wide hanno inoltre rivelato multipli loci di suscettibilità genetica per la CVID, alcuni più diffusi, altri più rari, a dimostrazione della natura estremamente eterogenea della malattia. Tali evidenze potrebbero

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22

portare nuove conoscenze sull’immunopatologia della malattia e predire varianti fenotipiche cliniche.[23]

IMMUNOPATOLOGIA DELLE CELLULE B

Dato che la sua manifestazione principale è l’ipogammaglobulinemia, la CVID è generalmente considerata un malattia delle cellule B. Può essere un difetto primitivo della cellula B o il risultato di un help insufficiente alla produzione di anticorpi da parte delle altre cellule. In particolare, gli studi dimostrano una riduzione del numero delle cellule switched-memory (IgD-IgM-CD27+) [24] e una riduzione delle plasmacellule sia nel midollo osseo che nelle mucose. [25]

Nei pazienti con CVID, le cellule B circolanti sono generalmente nella norma, talvolta possono essere ridotte o assenti; in ogni caso c’è una maturazione anomala che comporta una ridotta produzione, in vivo, di immunoglobuline. Alcuni studi hanno distinto i pazienti sulla base della capacità dei linfociti B, stimolati in vitro, di produrre anticorpi: nella maggior parte dei campioni ematici i linfociti B producono una normale quantità di immunoglobuline, in altri producono solo IgM e in altri ancora non sono in grado di produrre alcuna immunoglobulina. [26]

C’è quindi alla base della malattia una alterazione delle cellule B di varia natura che culmina in un’aumentata suscettibilità alle infezioni, una ridotta risposta ai vaccini e una più alta prevalenza di manifestazioni autoimmuni e linfoproliferative.

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IMMUNOPATOLOGIA DELLE CELLULE T

In alcuni pazienti con CVID è stato osservato che i linfociti B opportunamente stimolati riescono a produrre normalmente immunoglobuline: in tali pazienti questo fa propendere per un problema di stimolazione della cellula B, di per sé sana, da parte delle cellule T.

Alcuni pazienti possono presentare linfopenia e riduzione dei linfociti T CD4+ circolanti.

In altri pazienti è presente un difetto di espressione di CD40L nei linfociti T: CD40L è implicato nei segnali di help per il linfocita B in via di attivazione. Diversi studi riportano anche difetti di produzione di varie citochine, tra cui riduzione della produzione di IL-2 o un aumento di IFNγ e IL-6. [27]

MANIFESTAZIONI CLINICHE

Chapel et al. hanno distinto i pazienti affetti da CVID in 5 fenotipi clinici sulla base delle singole manifestazioni di malattia:

1. Solo infezioni senza complicanze

2. Autoimmunità, in particolare citopenie autoimmuni

3. Infiltrazioni linfocitarie policlonali, che lo stesso studio ha dimostrato essere un fattore di rischio per lo sviluppo di neoplasie linfoidi

4. Enteropatia

5. Neoplasie linfoidi maligne

Dallo studio è emerso che l’83% dei pazienti in studio rientrava in un’unica categoria clinica, il 12,6% presentava invece criteri per due fenotipi clinici. I fenotipi clinici associati a maggior mortalità sono quello caratterizzato da enteropatia e quello caratterizzato da infiltrazioni linfocitarie policlonali. [28]

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INFEZIONI

Le infezioni frequenti o ricorrenti sono la ragione più comune che pone il sospetto di immunodeficienza.

Tali infezioni sono prevalentemente otiti ed infezioni delle alte e basse vie aeree (sinusiti, riniti, bronchiti e polmoniti) spesso causate da batteri quali Haemophilus influenzae, Streptococcus pneumoniae, Strptococcus pyogenes, Moraxella catarrhalis.

Il polmone rappresenta una delle principali sedi di infezione con quadri di polmonite; in gran parte dei pazienti con CVID si associa a broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) ed asma, con la costante produzione di secrezioni bronchiali che possono portare allo sviluppo di bronchiectasie.

A livello cutaneo possono presentarsi follicoliti, verruche piane, condilomi, zoster.

Anche infezioni urinarie ricorrenti, specialmente da parte di enterobatteri ma anche di Ureaplasma urealyticum o Mycoplasma sono state ampiamente descritte. [29]

Significativa è anche l’infezione da parte di Helicobacter pylori, che correla anche col rischio di sviluppo di adenocarcinoma o linfoma gastrico.

Altrettanto frequenti sono le infezioni gastrointestinali che si manifestano con diarrea cronica, dolore addominale, gonfiore e perdita di peso fino a quadri importanti di malassorbimento. I patogeni più frequentemente implicati sono Giardia duodenalis, Campylobacter e Salmonella spp.

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25

Nell’ambito della CVID bisogna però considerare che oltre la metà dei pazienti soffre di complicanze non infettive quali malattie autoimmuni o infiammatorie, interstiziopatia polmonare, enteropatia, linfoproliferazione e neoplasie quali linfomi o tumori solidi.[30]

AUTOIMMUNITA’

In uno studio europeo comprendente 334 pazienti seguiti per 25 anni (Chapel et al.[28]) il 71% aveva una o più manifestazione infiammatoria o autoimmune. In uno studio USA su 476 pazienti, solo il 32% dei pazienti aveva solo una componente infettiva, con il 68% presentante anche uno stato infiammatorio/autoimmune (Resnick[30]).[31]

Le malattie autoimmuni colpiscono circa il 20% dei pazienti con CVID e sono comunemente la prima manifestazione della malattia.[32]Per motivi ignoti, i pazienti possono anche non avere alcuna storia infettiva rilevante ma esordire proprio con manifestazioni del genere.

Le principali forme di autoimmunità sono rappresentate dalle citopenie autoimmuni quali la porpora trombocitopenica autoimmune, l’anemia emolitica autoimmune o la combinazione di esse (sindrome di Evans), più raramente la neutropenia autoimmune. Le opzioni di trattamento comprendono i corticosteroidi, immunoglobuline per via endovenosa a dosi più elevate rispetto alla terapia sostitutiva, anticorpi anti-D Rhesus e la splenectomia.[33] In alternativa anche il Rituximab (anticorpo monoclonale anti-CD20) è stato usato con beneficio in pazienti con CVID. La splenectomia può risultare efficace anche dove il Rituximab ha fallito, però espone il paziente a un aumentato rischio infettivo per cui va adeguatamente “protetto” sia prima che dopo l’intervento con adeguate dosi di immunoglobuline per via endovenosa. [27]

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L’inizio della terapia sostitutiva con immunoglobuline riduce la ricorrenza di citopenie autoimmuni. [34]

Altre manifestazioni autoimmuni d’organo o sistemiche possono essere:

 Artrite reumatoide  Anemia perniciosa  Vitiligine  Tiroiditi autoimmuni  Enteropatia  Epatiti autoimmuni  Uveiti  Vasculiti

 Colangite biliare primitiva

 Sindrome sicca

 Lupus eritematoso sistemico, molto raro.

Il trattamento delle manifestazioni autoimmuni d’organo o sistemiche è analogo a quello che si effettua nei pazienti immunocompetenti; nei pazienti immunodeficienti è opportuno però evitare forti immunosoppressioni, in modo da non incrementare eccessivamente il rischio infettivo. [35]

MALATTIA POLMONARE CRONICA

L’infezione ricorrente e la concomitante infiammazione delle vie aeree sono condizioni molto comuni nella CVID e possono portare nel tempo allo sviluppo di pneumopatie croniche ostruttive o restrittive con anche la formazione di bronchiectasie evidenziabili alla TC torace. I continui processi infiammatori portano progressivamente a danno d’organo e riduzione della

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27

sopravvivenza. La malattia polmonare cronica è una delle principali cause di mortalità nei pazienti con CVID. [36]

In caso di infezioni, una broncoscopia con lavaggio broncoalveolare potrebbe essere necessaria per ottenere una coltura e iniziare la terapia antibiotica più appropriata. Germi spesso implicati in tali processi infettivi possono essere H. Influenzae e/o virus.

Le linfoadenopatie mediastiniche sono comuni nella CVID – quando i linfonodi sono particolarmente ingrossati, o associati a opacità nodulari persistenti nei campi polmonari, può essere opportuno eseguire biopsie per determinare se la lesione è un’area di fibrosi, di infiltrato infiammatorio, di proliferazioni clonali o granulomatose o una vera e propria neoplasia.

Gli interessamenti interstiziali polmonari si possono manifestare con astenia, tosse secca e dispnea progressivamente ingravescente. La prova di funzionalità respiratoria è normale per lungo periodo, ma spesso è evidenziabile la riduzione della diffusione dei gas a livello alveolare.

MALATTIA GRANULOMATOSA

La malattia granulomatosa colpisce tra l’8 e il 22% dei pazienti con CVID. Le principali sedi coinvolte sono i polmoni, i linfonodi e la milza ma possono essere coinvolti anche altri organi, ad esempio il fegato e la cute. I granulomi sono generalmente non caseosi, raramente vi possono essere trovati agenti infettivi. Entra in diagnosi differenziale con la sarcoidosi, con cui spesso viene confusa; tale diagnosi differenziale è particolarmente complessa, dato che le sedi e anche il quadro istologico spesso sono sovrapponibili. [35]

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La malattia granulomatosa a livello polmonare, rispetto agli altri organi interessati, accelera la distruzione del parenchima sano e facilita quindi la progressione verso l’insufficienza respiratoria. [30]

MALATTIA GASTROINTESTINALE

Le manifestazioni gastrointestinali croniche rimangono un problema nel 19-32% dei pazienti con CVID.

Quando presente, si manifesta come diarrea cronica, perdita di peso, steatorrea e malassorbimento. Alla biopsia, la mucosa presenta un aumentato numero di linfociti intraepiteliali, aggregati linfoidi, danno ai villi intestinali, distorsione delle cripte intestinali e perdita di cellule ematiche nel lume intestinale. [35]

Il quadro bioptico è simile alla celiachia, la cui diagnosi nei pazienti con CVID è difficile per la sierologia spesso negativa o falsata dalla terapia sostitutiva. Per fare diagnosi differenziale tra enteropatia da CVID e celiachia si può ricorrere ai test genetici. [37]

IPERPLASIA LINFONODALE E SPLENOMEGALIA

Almeno il 20% dei pazienti con CVID presenta linfoadenomegalie a livello cervicale, mediastinico o addominale; circa il 30% presenta splenomegalia. Infiltrati linfocitari possono essere presenti a livello polmonare o anche in altri organi come il fegato o i reni. Le biopsie linfonodali mostrano spesso iperplasie linfocitaria atipiche o reattive, o granulomi. La splenomegalia può essere anche massiva, con ipersplenismo e sensazione di pesantezza addominale.

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Abbastanza tipica è la mancanza di plasmacellule nei linfonodi e negli altri organi e tessuti linfoidi. [35]

TUMORI

Circa il 15% dei pazienti con CVID sviluppa una neoplasia maligna.

Tra i tumori solidi, l’adenocarcinoma gastrico è la forma più comune, spesso associato alla presenza di Helicobacter pylori che frequentemente colonizza la mucosa gastrica di questi pazienti.

Lo sviluppo di un linfoma, Hodgkin o non-Hodgkin, è uno dei maggiori fattori di mortalità nei pazienti con CVID. [35]

QUALITA’ DELLA VITA

Il gruppo di Quinti I, et al. dell’Università la Sapienza di Roma ha elaborato un questionario per valutare l’impatto della CVID sulla qualità della vita dei pazienti. Il questionario, costituito da 32 quesiti, indaga attraverso diverse domande tre sfere della vita quotidiana: come la CVID affligga la funzione emotiva, la funzione di relazione con gli altri e come la presenza di sintomi cutanei o gastrointestinali limiti le normali attività quotidiane.

Dalle valutazioni emerge che l’impatto maggiore sulla qualità della vita è attribuibile ai sintomi quali la tosse, l’astenia, i dolori articolari e muscolari, la diarrea. Anche le pianificazioni di attività nel breve e nel lungo periodo sono spesso compromesse dallo stato di malattia.

Il minimo impatto sulla qualità della vita è invece attribuito a tutto ciò che concerne la terapia sostitutiva. [38]

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MORTALITA’

Negli ultimi 40 anni, grazie all’utilizzo su larga scala della terapia sostitutiva con immunoglobuline, che porta i valori di Ig in range normali, la sopravvivenza dei pazienti affetti da CVID è notevolmente migliorata.

Prima della terapia, le infezioni frequenti e le ospedalizzazioni prolungate conducevano spesso all’exitus, prevalentemente per insufficienza respiratoria. Con la terapia sostitutiva le infezioni più gravi come le polmoniti, la sepsi, le meningiti e le osteomieliti sono divenute più rare. [39]

Lo studio di Resnick et al. sulla morbidità e sulla mortalità per oltre 4 decadi di 473 soggetti affetti da CVID ha mostrato che la malattia polmonare cronica, lo sviluppo di linfomi, le epatopatie e le enteropatie con o senza malassorbimento correlano con una peggior sopravvivenza. In tale studio la prima causa di morte è rappresentata dalla malattia polmonare (28.5%), seguita dalle neoplasie maligne tra cui linfomi (8.2%) e carcinomi, al polmone e allo stomaco soprattutto. [30]

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31

LOCID – Late Onset Combined ImmunoDeficiency

Uno dei criteri ESID per la diagnosi di CVID è quello di esclusione di deficit T cellulare, definito per almeno due tra i seguenti:

 CD4+ <200/μL (nell’adulto)

 Naive CD4+ <10% (nell’adulto)

 Assenza di proliferazione T-cellulare

I pazienti che non soddisfano questo criterio, cioè pazienti che presentino oltre al quadro di ipogammaglobulinemia, anche deficit T-cellulare, possono rientrare nella definizione di LOCID.

CRITERI DIAGNOSTICI

La LOCID è proprio definibile come una CVID con associato il deficit T cellulare:

 CVID secondo i criteri ESID +

 Deficit T cellulare valutato come T CD4+<200/μL, T naive <10% e assenza di proliferazione T cellulare.

La diagnosi di CIDs (Combined ImmunoDeficiencies) viene generalmente effettuata nella prima infanzia. La diagnosi di LOCID invece è propria dell’adolescenza o dell’età adulta, in pazienti che hanno una presentazione di malattia simile alla CVID ma con associato anche il riscontro di deficit T cellulare. [40]

Lo studio DEFI, in Francia, ha rivalutato le diagnosi dei pazienti con CVID secondo i criteri ESID più recenti. In particolare, un gruppo di pazienti che

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prima rientravano nella definizione di CVID, è stato riclassificato come LOCID. Sono state quindi osservate le possibili differenze tra i pazienti CVID e i pazienti LOCID:

‒ I livelli medi di immunoglobuline pre-terapia sono simili sia nel gruppo dei pazienti con diagnosi CVID che LOCID così come la percentuale di pazienti con valori di IgM nella norma.

‒ La tipizzazione linfocitaria mostra una marcata riduzione dei linfociti T, B e NK circolanti nei pazienti con LOCID.

‒ I linfociti T circolanti sono <400/μL nel 75% dei pazienti con LOCID rispetto al 20% dei pazienti con CVID.

‒ Circa il 71% dei pazienti con LOCID e il 37% dei pazienti con CVID hanno linfociti T CD4+ <20%.

‒ Anche una riduzione dei linfociti T CD8+ è stata osservata nei pazienti con LOCID con associata riduzione dei naive.

‒ Circa il 30% dei pazienti con LOCID ha una conta B cellulare CD19+<1% contro il 9% dei pazienti con CVID.

Dal punto di vista delle manifestazioni cliniche, i pazienti con LOCID hanno una elevata prevalenza di disordini linfoproliferativi e disturbi gastrointestinali.

I pazienti LOCID hanno un maggior rischio di progressione della malattia polmonare cronica e di sviluppo di bronchiectasie; questa osservazione apre a un possibile ruolo dei linfociti T nello sviluppo delle infezioni croniche e del danno a livello polmonare.

In definitiva, i pazienti con CVID e deficit T cellulare (quindi pazienti LOCID) differiscono dalla classica CVID in termini di presentazioni cliniche e fenotipo immunologico. La conta dei linfociti T CD4+ sembra essere un buon marker di malattia anche se non in tutti i pazienti.

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33

Da questi studi emerge quindi come la LOCID rappresenti un sottotipo specifico di CVID che merita ulteriori studi di approfondimento, genetico e clinico. [41]

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DEFICIT ISOLATO DI SOTTOCLASSI IgG

Il deficit isolato di sottoclassi IgG è un’immunodeficienza primitiva caratterizzata da normali concentrazioni ematiche di IgG con la riduzione di una o più sottoclassi IgG (IgG1, IgG2, IgG3, IgG4). I pazienti con deficit di IgG1 talvolta presentano una vera e propria ipogammaglobulinemia in quanto le IgG1 costituiscono circa il 70% delle IgG - una riduzione delle IgG1 può quindi comportare una riduzione dei livelli delle IgG totali.

Il deficit di sottoclassi IgG, oltre che isolato, può essere associato al deficit di IgA (Deficit di sottoclassi IgG associato a deficit di IgA).

Seppur raro, non è escluso che i pazienti con deficit di sottoclassi IgG possano sviluppare nel tempo una CVID.

In molti casi il deficit di sottoclassi IgG è del tutto asintomatico – in questi casi il difetto è puramente laboratoristico. Si parla invece di deficit di sottoclassi clinicamente significativo quando si associa a infezioni ricorrenti. La sintomaticità è il criterio che può giustificare l’inizio della terapia sostitutiva con immunoglobuline.

GENETICA

Solo in pochi casi si è dimostrata una delezione omozigote della regione costante del locus genico IGH.

A parte questo meccanismo, riscontrato in pochi pazienti, i meccanismi molecolari alla base del deficit non sono noti ma si ritiene che siano legati a una alterata espressione dei geni IGHC. Come risultato, la maggior parte dei deficit di sottoclassi non è limitato a una singola sottoclasse, ma ne colpisce più di una. [42]

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35

Il deficit potrebbe essere legato a un’alterazione delle vie citochiniche. Ad esempio, una riduzione dell’mRNA dell’IFNγ è stata riscontrata in un deficit di sottoclassi IgG2, anche se il suo esatto ruolo nel processo non è definito. [43]

CLINICA

Gran parte dei soggetti con deficit di sottoclassi IgG sono del tutto asintomatici, soprattutto se il deficit è limitato alle IgG4. [44]

Le forme sintomatiche sono caratterizzate da infezioni ricorrenti delle alte vie respiratorie come otiti, sinusiti, faringiti, o patologie polmonari associate quali asma, bronchiti o bronchiectasie. In tali infezioni, i patogeni responsabili sono prevalentemente quelli con capsula polisaccaridica come H. influenzae, N. meningitidis e streptococchi di gruppo B. Altre manifestazioni possono essere asma e allergie.

La maggioranza dei pazienti con deficit isolato di sottoclassi IgG non è malata o ha solo una lieve sintomatologia respiratoria. Se la funzione anticorpale è intatta, difficilmente tali pazienti saranno sintomatici. Un deficit clinicamente evidente necessita di conferma attraverso la valutazione della risposta vaccinale ad antigeni polisaccaridici.

La maggior parte dei pazienti ha bassi valori di IgG1, IgG2 e IgG3 mentre le IgG4 possono essere proprio assenti (10-20% dei casi).

Il deficit di IgG1 è più frequente nell’adulto rispetto al bambino, il deficit di IgG2 invece è il secondo più frequente nel bambino dopo quello di IgG4. Poiché le IgG2 rappresentano la maggior parte degli anticorpi anti-antigeni polisaccaridici, il deficit di IgG2 è associata a una scarsa risposta immunitaria a tali antigeni. [45]

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36

Gli anticorpi IgG3 hanno un ruolo importante nelle infezioni virali come anche nelle risposte anticorpali a Moraxella catarrhalis o Streptococcus pyogenes. Spesso, specie se sintomatico, il deficit di IgG3 si associa al deficit di un’altra sottoclasse. Questi pazienti presentano infezioni respiratorie ricorrenti, sinusite cronica e asma.[46]

Il deficit di IgG4 è la forma più frequente ma molto dipende dalla tecnica di laboratorio usata per il dosaggio. Usando metodiche di dosaggio sensibili fino a 5-7 mg/dL, fino al 15% dei bambini e al 10% degli adulti sani possono avere deficit di IgG4. Nei bambini entro i 5 anni la prevalenza è ancora più elevata. Con tecniche ELISA più sensibili, le IgG4 sono generalmente dosabili in tutti i sieri, risultando indosabili solo se <1 mg/dL. Se il deficit riguarda solo le IgG4, molti pazienti sono asintomatici e hanno una risposta anticorpale normale ai vaccini; in alcuni casi ci possono essere infezioni e bronchiectasie.[47]

DIAGNOSI

CRITERI ESID per la diagnosi clinica di Deficit isolato di sottoclassi IgG [11]

 Infezioni (batteriche, ricorrenti o gravi)

E

 Valori di IgG, IgA e IgM plasmatiche normali

E

 Bassi livelli in una o più sottoclassi IgG (<2DS rispetto ai valori normali per età, verificati almeno due volte)

E

 Normale risposta anticorpale IgG ad alcuni vaccini

E

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TRATTAMENTO

Individui asintomatici con uno o più deficit di sottoclassi non necessitano di trattamento. Dato che il rischio di evoluzione del deficit di sottoclassi in CVID è piuttosto basso, i soggetti che abbiano una funzionalità anticorpale conservata non hanno indicazione alla terapia sostitutiva, pur essendo opportuno monitorarli nel tempo.

Soggetti invece sintomatici beneficiano della terapia sostitutiva con immunoglobuline. Questo è evidente soprattutto nei pazienti con ridotta risposta sia agli antigeni polisaccaridici che peptidici.

Analogamente, la necessità di ricorrere a terapie antibiotiche prolungate o in somministrazione parenterale, e il fallimento delle terapie antibiotiche di prima linea, sono tutte indicazioni all’utilizzo della terapia sostitutiva. [42]

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38

DEFICIT ANTICORPALE SPECIFICO

Il deficit anticorpale specifico (Specific Antibody Deficiency - SAD) è una immunodeficienza primitiva ad eziopatogenesi ignota. E’ anche detto SADNI (Selective Antibody Deficiency with Normal Immunoglobulins).

E’ definito come una scarsa risposta anticorpale agli antigeni polisaccaridi non coniugati presenti nel vaccino anti-pneumococcico 23-valente (PPSV23). Le concentrazioni ematiche di IgG, IgA, IgM, delle sottoclassi IgG e anche i valori dei linfociti B circolanti sono nella norma.

La risposta anticorpale ai vaccini peptidici (es. tossoide tetanico o difterico) e ai vaccini polisaccaridici coniugati (es. anti-Haemophilus influenzae tipo b o anti-pneumococcico 13-valente) sono normali nella maggior parte dei pazienti. Alcune forme di deficit anticorpale specifico mostrano invece assenza di risposta anche contro antigeni polisaccaridici coniugati e, più raramente, contro antigeni proteici. [48]

La prevalenza della SAD è ignota, è infatti una forma di immunodeficit ancora poco conosciuta. E’ di frequente riscontro nei pazienti con infezioni ricorrenti delle vie aeree.

Dal punto di vista clinico, come negli altri deficit anticorpali, la principale manifestazione è rappresentata da episodi infettivi delle vie aeree (riniti, sinusiti, faringiti, otiti, bronchiti e polmoniti) con una ricorrenza o frequenza maggiore rispetto alla popolazione sana e con la necessità di terapia antibiotica più prolungata.

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39

CRITERI DIAGNOSTICI ESID [11]

 Infezioni batteriche ricorrenti o gravi, specialmente delle alte e basse vie respiratorie.

 Età superiore ai due anni - prima dei due anni infatti la risposta agli antigeni polisaccaridici può essere bassa per un sistema immunitario non ancora completamente maturo.

 IgG, IgA, IgM e sottoclassi IgG nella norma.

 Alterazione della risposta anticorpale ai vaccini polisaccaridici.

 Esclusione di deficit T-cellulare.

La valutazione della specifica risposta anticorpale permette di fare diagnosi: lo strumento ideale per la diagnosi è il vaccino anti-pneumococcico 23-valente, costituito da antigeni polisaccaridi non coniugati. In particolare, si valuta il titolo anticorpale anti-pneumococcico dopo aver ricevuto una dose vaccinale. Confrontando i titoli pre- e post- vaccino si ottiene una stima della risposta anticorpale specifica.

Esistono però due problematiche diagnostiche rispetto alla valutazione della risposta anticorpale:

1. Non c’è un accordo standardizzato su quali siano i titoli anticorpali protettivi

2. Non c’è un accordo sul numero di sierotipi di S. pneumoniae da testare per valutare la risposta anticorpale; in genere dovrebbero esserne saggiati almeno sei.

Il PPSV23, essendo un vaccino polisaccaridico non coniugato, determina un’attivazione dei linfociti B T-indipendente; per questo non viene somministrato nei bambini <2 anni, nei quali si preferisce invece il vaccino

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13-40

valente polisaccaridico coniugato, che determina una risposta B T-dipendente.

Nonostante le controversie presenti, esiste una classificazione dei pazienti con SAD in quattro fenotipi clinici [49]:

 Fenotipo lieve: sono pazienti che non riescono a costituire una corretta risposta anticorpale verso alcuni sierotipi.

 Fenotipo moderato: producono titoli anticorpali protettivi in tre o più sierotipi ma comunque in meno del <50% se sotto i 6 anni o <70% se sopra i 6 anni.

 Fenotipo grave: producono titoli protettivi contro meno di due sierotipi e anche questi titoli generati sono bassi.

 Fenotipo “memory”: sono pazienti che hanno una normale risposta anticorpale iniziale ma che dura molto poco. C’è da dire che essendo un vaccino polisaccaridico non coniugato e attivando le cellule B in modo T-indipendente, non vengono generate cellule B della memoria neppure nell’immunocompetente. Con questo fenotipo si intende comunque un paziente che perde la risposta anticorpale più rapidamente di un soggetto pienamente immunocompetente.

TRATTAMENTO

Nei pazienti con deficit anticorpale specifico può trovare luogo:

‒ La somministrazione del vaccino anti-pneumococcico polisaccaridico coniugato, per cercare di invocare una risposta immune protettiva. ‒ La terapia antibiotica profilattica.

‒ Nei casi che non migliorano con gli antibiotici può essere intrapresa la terapia sostitutiva con immunoglobuline. [49]

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41

IPOGAMMAGLOBULINEMIA PRIMITIVA

Si parla di ipogammaglobulinemia quando vi è una riduzione delle γ-globuline al tracciato elettroforetico (v.n 11.1-18.8 % delle proteine totali) o una riduzione dei valori di IgG circolanti (v.n. 700-1600 mg/dL).

Un paziente con ipogammaglobulinemia primitiva, o di incerto significato (HGUS), è un paziente con un quadro di ipogammaglobulinemia che non soddisfa i criteri diagnostici per cui gli possa essere diagnosticata un’altra immunodeficienza primitiva e che non ha cause secondarie che possano spiegare il quadro.

CRITERI DIAGNOSTICI ESID [11]

 Marcata riduzione (almeno <2DS) delle IgG

 O una marcata riduzione in una delle maggiori sottoclassi IgG (IgG1, IgG2, IgG3)

 Non soddisfatti i criteri ESID per la diagnosi di CVID

 Esclusione di agammaglobulinemia X-linked, sindrome di Good, deficit selettivo di IgA o di IgM e sindrome da iper-IgM

Queste condizioni possono essere del tutto asintomatiche o complicarsi con fatti infettivi. In caso di ipogammaglobulinemia sintomatica trova applicazione la terapia sostitutiva con immunoglobuline.

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42

IPOGAMMAGLOBULINEMIA SECONDARIA

L’ipogammaglobulinemia secondaria è invece una riduzione delle γ-globuline al tracciato elettroforetico e/o delle IgG circolanti riconducibile a una causa più o meno definita. Le cause di ipogammaglobulinemia secondaria sono proprio tutte le condizioni da escludere nel corso del processo diagnostico di un’immunodeficienza primitiva. [50]

Tra le cause di ipogammaglobulinemia secondaria [51]:

 Farmaci ‒ Agenti antimalarici ‒ Captopril ‒ Carbamazepina ‒ Antiepilettici ‒ Penicillamina ‒ Sulfasalazina ‒ Corticosteroidi

‒ Farmaci biologici, tra cui il Rituximab

 Malattie infettive ‒ Rosolia congenita ‒ CMV congenito ‒ Toxoplasmosi congenita ‒ HIV ‒ EBV

(44)

43  Neoplasie maligne

‒ Leucemia linfatica cronica

‒ Sindrome di Good (timoma e ipogammaglobulinemia) ‒ Linfomi non-Hodgkin

‒ Mieloma multiplo

 Malattie sistemiche associate a protido-dispersione

‒ Malattie renali, specialmente quelle che comportano una sindrome nefrosica

‒ Malattie gastrointestinali, come la linfangectasia intestinale o le malattie infiammatorie croniche come il Crohn.

(45)

44

TERAPIA SOSTITUTIVA CON IMMUNOGLOBULINE

Storia delle infusioni di immunoglobuline

I primi preparati di immunoglobuline umane sono stati sviluppati durante la Seconda guerra mondiale, quando un gruppo di ricercatori con a capo Cohn e Oncley ottenne dal frazionamento del plasma umano con etanolo due frazioni stabili: la prima era albumina, utilizzabile per le grosse perdite ematiche nei feriti di guerra; la seconda erano le gammaglobuline, utilizzabili per la prevenzione delle infezioni. Questa frazione, costituita prevalentemente da gammaglobuline e nominata frazione II di Cohn, era un preparato a base di immunoglobuline umane concentrate al 16%, somministrato per via intramuscolo, utilizzato inizialmente per la prevenzione dell’epatite, della poliomielite e del morbillo.

Nel 1952 Bruton utilizzò le immunoglobuline come trattamento dei pazienti con agammaglobulinemia; utilizzò una via di somministrazione sottocutanea. Successivamente e fino agli anni ’80 continuò l’utilizzo per via intramuscolo di immunoglobuline (IMIG) in quanto i preparati, contenenti precallicreina e altri composti biologicamente attivi, causavano eccessiva febbre e sintomi cardiovascolari se usati per via endovenosa.

E’ a partire dal 1981-82 che ha preso piede l’utilizzo delle immunoglobuline somministrate per via endovenosa (IVIG) e continua tuttora. La somministrazione endovenosa risparmia dalle dolorose iniezioni intramuscolo, permette di somministrare dosi più elevate e di raggiungere i livelli desiderati di IgG circolanti più rapidamente.

Ad oggi sono disponibili diverse formulazioni di immunoglobuline per somministrazione endovenosa, concentrate al 5 o al 10%. Quelle al 10%, essendo più concentrate, riducono il volume e la durata delle infusioni.

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45

L’applicazione delle immunoglobuline per via endovenosa si è ampliata notevolmente con la scoperta della loro efficacia immuno-modulante in malattia autoimmuni o infiammatorie come la porpora trombocitopenica autoimmune, la malattia di Kawasaki, le malattie neurologiche mediate e molte altre. In queste malattie, lo schema di trattamento immuno-modulante prevede dosi più elevate rispetto alla terapia sostitutiva, spesso ripetute per più giorni. [52]

La somministrazione sottocutanea di immunoglobuline, già utilizzata negli anni ’50 da Bruton, è tornata in uso più recentemente e oggi si sta diffondendo sempre più. Molti pazienti affetti da immunodeficienza oggi si autosomministrano a domicilio le immunoglobuline per via sottocutanea, in preparati al 10-20%. La somministrazione è generalmente settimanale e ha vantaggi rispetto a quella endovenosa: in particolare non richiede un accesso vascolare, permette di mantenere livelli circolanti più stabili e più elevati, ed è gravata da minori effetti sistemici. [53]

Ad oggi esiste anche una formulazione di immunoglobuline per via sottocutanea a somministrazione “facilitata” mensile: è infatti prevista una prima infusione nel sottocute di ialuronidasi, un enzima che scinde le maglie del connettivo e permette la costituzione di una “tasca” nel sottocute dove vengono quindi infuse le immunoglobuline. Questa tecnica permette di mantenere valori adeguati di immunoglobuline più a lungo e porta le infusioni sottocutanee da settimanali a mensili.

Trattamento

Lo scopo del trattamento sostitutivo con immunoglobuline è quello di raggiungere valori di IgG circolanti sufficienti a prevenire infezioni.

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46

Le immunoglobuline derivano dal sangue dei donatori – diverse migliaia di donatori contribuiscono al pool plasmatico da cui vengono prodotti i preparati di immunoglobuline. Tali donatori sono testati per HIV, HBV, HCV, sifilide e altri virus per attestare che siano donatori sani e garantire sicurezza al prodotto. Il materiale biologico viene inoltre trattato con solventi, acidi e proteasi e processato con cromatografia, ottenendo la rimozione delle altre proteine plasmatiche e dei virus vivi (ad oggi conosciuti) e garantendo un prodotto sterile, utilizzabile per l’infusione endovenosa o sottocutanea. Essendo prodotte da migliaia di donatori diversi, queste immunoglobuline sono a tutti gli effetti anticorpi diretti contro una vasta gamma di patogeni. [54]

Le IgG somministrate hanno un’emivita di 21-28 giorni: per questo le infusioni endovenose sono programmate ogni 3-4 settimane. I preparati di immunoglobuline contengono più del 95% di IgG e tracce di IgA, mentre le IgM sono normalmente zero; questi residui di IgA possono essere particolarmente rilevanti nei pazienti con un deficit di IgA, in quanto si possono sviluppare anticorpi anti-IgA e gravi reazioni fino allo shock. Alcuni preparati sono ulteriormente deprivati di IgA, proprio per consentirne l’uso in soggetti con deficit di IgA. [55]Le IgM vengono invece rimosse perché possono

formare rapidamente grossi complessi responsabili di reazioni avverse. Lo scopo terapeutico delle infusioni è quindi la sostituzione delle IgG carenti, le IgM e le IgA non sono invece sostituibili per via della loro breve emivita. Delle IgG presenti nei preparati, le IgG1 e le IgG2 rappresentano circa l’85%, le IgG3 il 5-8%, le IgG4 l’1-5%.[56]

La dose raccomandata in terapia sostitutiva è 300-500 mg/kg in infusioni mensili. Nel caso in cui con questa posologia i valori a fine mese, valutati con un prelievo subito prima dell’infusione successiva (IgG trough level), siano

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47

troppo bassi, è possibile aumentare i mg/kg o diminuire l’intervallo tra un’infusione e l’altra. Le dosi utilizzate in terapia immuno-modulante arrivano invece anche a 1-2 g/kg.

La soglia di sicurezza che permette di ridurre il rischio di polmonite è di IgG>400 mg/dL. Valori più elevati permettono una maggiore protezione verso le infezioni. Nella pratica clinica si ambisce a un IgG trough level > 650-700 mg/dL.

La velocità di infusione raccomandata all’inizio dell’infusione è di circa 0.01 mL/kg/min, che fornisce 0.5-1 mg/kg/min di Ig (al 5% o al 10% rispettivamente). Il tasso di infusione può essere raddoppiato ogni 20 minuti fino a un rate di 0.08 mL/kg/min. Il tasso di infusione medio è quindi di circa 3-4 mg/Kg per minuto. [53]

Farmacocinetica

Delle 4 sottoclassi IgG, le IgG1, IgG2 e IgG4 hanno un’emivita di 21-28 giorni, mentre le IgG3 di soli 7 giorni. Quando somministrate per via endovenosa, i valori di IgG circolanti salgono bruscamente fino a raggiungere un picco che poi cala progressivamente fino a raggiungere un minimo (IgG trough level), appena prima dell’infusione successiva. [54]

C’è da dire che la farmacocinetica delle IVIG mostra una notevole variabilità sia intra- che inter-individuale. La maggior parte degli studi mostra come in seguito all’infusione venga raggiunto un picco, con una conseguente fase di rapida discesa dei valori di IgG circolanti e un’ultima fase di discesa più graduale. Il livello target di IgG non è ben chiaro ma sembra variare da paziente a paziente. Gli studi inoltre fanno riferimento all’emivita delle Ig ma non alla clearance o all’AUC delle stesse, servirebbero quindi ulteriori conoscenze.[57] Tali valutazioni sono rese ancor più complesse dalla

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produzione endogena di immunoglobuline, ridotta ma pur sempre presente, anch’essa soggetta a una notevole variabilità intra- e inter-individuale.[56] La somministrazione endovenosa permette di raggiungere lo steady state generalmente dopo la sesta dose. Nelle fasi iniziali è strettamente raccomandato un controllo mensile dell’IgG trough level mantenuto; una volta raggiunto lo steady state i controlli possono essere diradati. Sono raccomandati anche periodici controlli della funzionalità epatica e renale, degli indici di flogosi e un esame emocromocitometrico.

La crescita, il dimagrimento o l’ingrassamento, la gravidanza e gli stati di malattia intercorrenti possono variare i valori di immunoglobuline e vanno pertanto strettamente controllati.

INDICAZIONI AL TRATTAMENTO

L’utilizzo della terapia con immunoglobuline per via endovenosa (in regime sostitutivo o immunomodulante) trova indicazione [58]:

‒ Nelle immunodeficienze primitive

‒ Come prevenzione di infezioni batteriche nella

ipogamma-globulinemia e in caso di infezioni ricorrenti nella leucemia linfatica

cronica

‒ Come prevenzione degli aneurismi coronarici nella malattia di Kawasaki

‒ Come prevenzione di infezioni, polmoniti e graft-versus-host disease dopo trapianto di midollo osseo

‒ Per ridurre l’incidenza di gravi infezioni batteriche in pazienti HIV+ ‒ Per aumentare la conta piastrinica nella porpora trombocitopenica

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‒ Per migliorare la disabilità neuromuscolare nelle polineuropatie demielinizzanti infiammatorie croniche

‒ Per migliorare la forza muscolare e la disabilità nelle neuropatie motorie multifocali

REAZIONI AVVERSE

Le reazioni avverse in corso di terapia sostitutiva con immunoglobuline possono essere dovute all’antigenicità delle IgG stesse, alla presenza di aggregati IgG ad alto peso molecolare, all’attivazione del complemento o alla presenza di chinine, callicreine o fattori pro-coagulanti a basso peso molecolare, non rimossi durante il frazionamento. Anche la presenza di IgA o di anticorpi anti-emazie (anti-A, -B, -D), che possono essere in tracce nei preparati, sono talvolta causa di reazioni.

Le reazioni avverse alle immunoglobuline possono essere distinte in base [58]:

 alla sede:

‒ locali (nel sito di infusione)

‒ sistemiche - coinvolgendo o uno specifico organo (es. il rene o la cute), o un apparato (il sangue, il sistema nervoso..)

 al tempo di insorgenza rispetto all’infusione:

‒ immediate (60%) – durante l’infusione o entro 6 ore da essa. ‒ ritardate (40%) – da 6 ore a 1 settimana dall’infusione

‒ tardive (<1%) – oltre una settimana dall’infusione

 alla gravità:

‒ lievi, generalmente sono immediate ‒ moderate, generalmente sono ritardate

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Le reazioni locali sono rare e includono dolore, sanguinamento o ecchimosi del sito dove è stato inserito l’ago. Dolore e gonfiore compaiono soprattutto in caso di accesso venoso difficoltoso e stravaso di fluido.

Le reazioni sistemiche più comuni comprendono cefalea, brividi, rialzo termico e dolori muscolari. Sono generalmente in forma lieve, compaiono durante o poco dopo l’infusione e scompaiono entro 6 ore. Si verificano soprattutto in caso di prima infusione, infusione rapida, ampio intervallo tra un’infusione e l’altra, cambio di prodotto o infezioni intercorrenti.

Tra le reazioni moderate si distinguono cefalea persistente che risponde poco ai trattamenti analgesici, meningite asettica, anemia emolitica, artriti e complicanze dermatologiche.

Tra le reazioni gravi invece ci sono la reazione anafilattica/anafilattoide, le complicanze renali e polmonari, tromboembolismi.

Prima dell’infusione, la somministrazione di farmaci in “premedicazione” come paracetamolo, antistaminici o metilprednisolone può ridurre il rischio di reazione avversa all’infusione di immunoglobuline.

Reazione anafilattica e anafilattoide

L’anafilassi, che si presenta con orticaria, prurito, senso di costrizione toracica, dispnea, respiro sibilante e compromissione circolatoria fino allo shock, è una reazione rara ma possibile. Va trattata tempestivamente con adrenalina, antistaminici, corticosteroidi, fluidi e ossigeno se necessario.

Riferimenti

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