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TERAPIA SOSTITUTIVA CON IMMUNOGLOBULINE Storia delle infusioni di immunoglobuline

I primi preparati di immunoglobuline umane sono stati sviluppati durante la Seconda guerra mondiale, quando un gruppo di ricercatori con a capo Cohn e Oncley ottenne dal frazionamento del plasma umano con etanolo due frazioni stabili: la prima era albumina, utilizzabile per le grosse perdite ematiche nei feriti di guerra; la seconda erano le gammaglobuline, utilizzabili per la prevenzione delle infezioni. Questa frazione, costituita prevalentemente da gammaglobuline e nominata frazione II di Cohn, era un preparato a base di immunoglobuline umane concentrate al 16%, somministrato per via intramuscolo, utilizzato inizialmente per la prevenzione dell’epatite, della poliomielite e del morbillo.

Nel 1952 Bruton utilizzò le immunoglobuline come trattamento dei pazienti con agammaglobulinemia; utilizzò una via di somministrazione sottocutanea. Successivamente e fino agli anni ’80 continuò l’utilizzo per via intramuscolo di immunoglobuline (IMIG) in quanto i preparati, contenenti precallicreina e altri composti biologicamente attivi, causavano eccessiva febbre e sintomi cardiovascolari se usati per via endovenosa.

E’ a partire dal 1981-82 che ha preso piede l’utilizzo delle immunoglobuline somministrate per via endovenosa (IVIG) e continua tuttora. La somministrazione endovenosa risparmia dalle dolorose iniezioni intramuscolo, permette di somministrare dosi più elevate e di raggiungere i livelli desiderati di IgG circolanti più rapidamente.

Ad oggi sono disponibili diverse formulazioni di immunoglobuline per somministrazione endovenosa, concentrate al 5 o al 10%. Quelle al 10%, essendo più concentrate, riducono il volume e la durata delle infusioni.

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L’applicazione delle immunoglobuline per via endovenosa si è ampliata notevolmente con la scoperta della loro efficacia immuno-modulante in malattia autoimmuni o infiammatorie come la porpora trombocitopenica autoimmune, la malattia di Kawasaki, le malattie neurologiche immuno- mediate e molte altre. In queste malattie, lo schema di trattamento immuno- modulante prevede dosi più elevate rispetto alla terapia sostitutiva, spesso ripetute per più giorni. [52]

La somministrazione sottocutanea di immunoglobuline, già utilizzata negli anni ’50 da Bruton, è tornata in uso più recentemente e oggi si sta diffondendo sempre più. Molti pazienti affetti da immunodeficienza oggi si autosomministrano a domicilio le immunoglobuline per via sottocutanea, in preparati al 10-20%. La somministrazione è generalmente settimanale e ha vantaggi rispetto a quella endovenosa: in particolare non richiede un accesso vascolare, permette di mantenere livelli circolanti più stabili e più elevati, ed è gravata da minori effetti sistemici. [53]

Ad oggi esiste anche una formulazione di immunoglobuline per via sottocutanea a somministrazione “facilitata” mensile: è infatti prevista una prima infusione nel sottocute di ialuronidasi, un enzima che scinde le maglie del connettivo e permette la costituzione di una “tasca” nel sottocute dove vengono quindi infuse le immunoglobuline. Questa tecnica permette di mantenere valori adeguati di immunoglobuline più a lungo e porta le infusioni sottocutanee da settimanali a mensili.

Trattamento

Lo scopo del trattamento sostitutivo con immunoglobuline è quello di raggiungere valori di IgG circolanti sufficienti a prevenire infezioni.

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Le immunoglobuline derivano dal sangue dei donatori – diverse migliaia di donatori contribuiscono al pool plasmatico da cui vengono prodotti i preparati di immunoglobuline. Tali donatori sono testati per HIV, HBV, HCV, sifilide e altri virus per attestare che siano donatori sani e garantire sicurezza al prodotto. Il materiale biologico viene inoltre trattato con solventi, acidi e proteasi e processato con cromatografia, ottenendo la rimozione delle altre proteine plasmatiche e dei virus vivi (ad oggi conosciuti) e garantendo un prodotto sterile, utilizzabile per l’infusione endovenosa o sottocutanea. Essendo prodotte da migliaia di donatori diversi, queste immunoglobuline sono a tutti gli effetti anticorpi diretti contro una vasta gamma di patogeni. [54]

Le IgG somministrate hanno un’emivita di 21-28 giorni: per questo le infusioni endovenose sono programmate ogni 3-4 settimane. I preparati di immunoglobuline contengono più del 95% di IgG e tracce di IgA, mentre le IgM sono normalmente zero; questi residui di IgA possono essere particolarmente rilevanti nei pazienti con un deficit di IgA, in quanto si possono sviluppare anticorpi anti-IgA e gravi reazioni fino allo shock. Alcuni preparati sono ulteriormente deprivati di IgA, proprio per consentirne l’uso in soggetti con deficit di IgA. [55]Le IgM vengono invece rimosse perché possono

formare rapidamente grossi complessi responsabili di reazioni avverse. Lo scopo terapeutico delle infusioni è quindi la sostituzione delle IgG carenti, le IgM e le IgA non sono invece sostituibili per via della loro breve emivita. Delle IgG presenti nei preparati, le IgG1 e le IgG2 rappresentano circa l’85%, le IgG3 il 5-8%, le IgG4 l’1-5%.[56]

La dose raccomandata in terapia sostitutiva è 300-500 mg/kg in infusioni mensili. Nel caso in cui con questa posologia i valori a fine mese, valutati con un prelievo subito prima dell’infusione successiva (IgG trough level), siano

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troppo bassi, è possibile aumentare i mg/kg o diminuire l’intervallo tra un’infusione e l’altra. Le dosi utilizzate in terapia immuno-modulante arrivano invece anche a 1-2 g/kg.

La soglia di sicurezza che permette di ridurre il rischio di polmonite è di IgG>400 mg/dL. Valori più elevati permettono una maggiore protezione verso le infezioni. Nella pratica clinica si ambisce a un IgG trough level > 650-700 mg/dL.

La velocità di infusione raccomandata all’inizio dell’infusione è di circa 0.01 mL/kg/min, che fornisce 0.5-1 mg/kg/min di Ig (al 5% o al 10% rispettivamente). Il tasso di infusione può essere raddoppiato ogni 20 minuti fino a un rate di 0.08 mL/kg/min. Il tasso di infusione medio è quindi di circa 3-4 mg/Kg per minuto. [53]

Farmacocinetica

Delle 4 sottoclassi IgG, le IgG1, IgG2 e IgG4 hanno un’emivita di 21-28 giorni, mentre le IgG3 di soli 7 giorni. Quando somministrate per via endovenosa, i valori di IgG circolanti salgono bruscamente fino a raggiungere un picco che poi cala progressivamente fino a raggiungere un minimo (IgG trough level), appena prima dell’infusione successiva. [54]

C’è da dire che la farmacocinetica delle IVIG mostra una notevole variabilità sia intra- che inter-individuale. La maggior parte degli studi mostra come in seguito all’infusione venga raggiunto un picco, con una conseguente fase di rapida discesa dei valori di IgG circolanti e un’ultima fase di discesa più graduale. Il livello target di IgG non è ben chiaro ma sembra variare da paziente a paziente. Gli studi inoltre fanno riferimento all’emivita delle Ig ma non alla clearance o all’AUC delle stesse, servirebbero quindi ulteriori conoscenze.[57] Tali valutazioni sono rese ancor più complesse dalla

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produzione endogena di immunoglobuline, ridotta ma pur sempre presente, anch’essa soggetta a una notevole variabilità intra- e inter-individuale.[56] La somministrazione endovenosa permette di raggiungere lo steady state generalmente dopo la sesta dose. Nelle fasi iniziali è strettamente raccomandato un controllo mensile dell’IgG trough level mantenuto; una volta raggiunto lo steady state i controlli possono essere diradati. Sono raccomandati anche periodici controlli della funzionalità epatica e renale, degli indici di flogosi e un esame emocromocitometrico.

La crescita, il dimagrimento o l’ingrassamento, la gravidanza e gli stati di malattia intercorrenti possono variare i valori di immunoglobuline e vanno pertanto strettamente controllati.

INDICAZIONI AL TRATTAMENTO

L’utilizzo della terapia con immunoglobuline per via endovenosa (in regime sostitutivo o immunomodulante) trova indicazione [58]:

‒ Nelle immunodeficienze primitive

‒ Come prevenzione di infezioni batteriche nella ipogamma-

globulinemia e in caso di infezioni ricorrenti nella leucemia linfatica

cronica

‒ Come prevenzione degli aneurismi coronarici nella malattia di Kawasaki

‒ Come prevenzione di infezioni, polmoniti e graft-versus-host disease dopo trapianto di midollo osseo

‒ Per ridurre l’incidenza di gravi infezioni batteriche in pazienti HIV+ ‒ Per aumentare la conta piastrinica nella porpora trombocitopenica

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‒ Per migliorare la disabilità neuromuscolare nelle polineuropatie demielinizzanti infiammatorie croniche

‒ Per migliorare la forza muscolare e la disabilità nelle neuropatie motorie multifocali

REAZIONI AVVERSE

Le reazioni avverse in corso di terapia sostitutiva con immunoglobuline possono essere dovute all’antigenicità delle IgG stesse, alla presenza di aggregati IgG ad alto peso molecolare, all’attivazione del complemento o alla presenza di chinine, callicreine o fattori pro-coagulanti a basso peso molecolare, non rimossi durante il frazionamento. Anche la presenza di IgA o di anticorpi anti-emazie (anti-A, -B, -D), che possono essere in tracce nei preparati, sono talvolta causa di reazioni.

Le reazioni avverse alle immunoglobuline possono essere distinte in base [58]:

 alla sede:

‒ locali (nel sito di infusione)

‒ sistemiche - coinvolgendo o uno specifico organo (es. il rene o la cute), o un apparato (il sangue, il sistema nervoso..)

 al tempo di insorgenza rispetto all’infusione:

‒ immediate (60%) – durante l’infusione o entro 6 ore da essa. ‒ ritardate (40%) – da 6 ore a 1 settimana dall’infusione

‒ tardive (<1%) – oltre una settimana dall’infusione

 alla gravità:

‒ lievi, generalmente sono immediate ‒ moderate, generalmente sono ritardate

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Le reazioni locali sono rare e includono dolore, sanguinamento o ecchimosi del sito dove è stato inserito l’ago. Dolore e gonfiore compaiono soprattutto in caso di accesso venoso difficoltoso e stravaso di fluido.

Le reazioni sistemiche più comuni comprendono cefalea, brividi, rialzo termico e dolori muscolari. Sono generalmente in forma lieve, compaiono durante o poco dopo l’infusione e scompaiono entro 6 ore. Si verificano soprattutto in caso di prima infusione, infusione rapida, ampio intervallo tra un’infusione e l’altra, cambio di prodotto o infezioni intercorrenti.

Tra le reazioni moderate si distinguono cefalea persistente che risponde poco ai trattamenti analgesici, meningite asettica, anemia emolitica, artriti e complicanze dermatologiche.

Tra le reazioni gravi invece ci sono la reazione anafilattica/anafilattoide, le complicanze renali e polmonari, tromboembolismi.

Prima dell’infusione, la somministrazione di farmaci in “premedicazione” come paracetamolo, antistaminici o metilprednisolone può ridurre il rischio di reazione avversa all’infusione di immunoglobuline.

Reazione anafilattica e anafilattoide

L’anafilassi, che si presenta con orticaria, prurito, senso di costrizione toracica, dispnea, respiro sibilante e compromissione circolatoria fino allo shock, è una reazione rara ma possibile. Va trattata tempestivamente con adrenalina, antistaminici, corticosteroidi, fluidi e ossigeno se necessario.

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La reazione anafilattoide è clinicamente analoga all’anafilassi ma non è IgE- mediata. Tende a comparire più tardivamente rispetto all’anafilassi, che invece è una reazione generalmente immediata.

Lo sviluppo di anticorpi IgE o IgG anti-IgA è proprio soprattutto dei pazienti con deficit selettivo di IgA, che in seguito all’esposizione alle tracce di IgA presenti nel preparato IVIG si immunizzano. Per questo motivo il deficit selettivo di IgA non trova indicazione al trattamento sostitutivo. Possono invece essere trattati i pazienti con deficit di IgA e concomitante deficit di IgG (ad esempio nei pazienti con CVID o deficit di sottoclassi IgG associato a deficit di IgA).

Gli studi evidenziano comunque che non c’è indicazione a dosare le IgA prima di ogni infusione né dosare gli anticorpi anti-IgA in quanto non sono necessariamente predittivi di reazione anafilattoide in seguito all’infusione. Tali anticorpi sono presenti anche nel 2-7% di soggetti sani.

In caso di reazione grave può essere invece indicato il loro dosaggio, anche se nella pratica clinica i pazienti vengono poi in genere trattati con somministrazione sottocutanea, meglio tollerata.

COMPLICANZE RENALI

Le complicanze renali della somministrazione di IVIG sono descritte in letteratura, seppur rare. La maggior parte degli eventi è stata correlata a prodotti IVIG contenenti saccarosio: apparentemente il saccarosio non viene metabolizzato dal rene e si accumula nel tubulo prossimale. Altri fattori di rischio per le complicanze renali sono i dosaggi IVIG più elevati usati in regime immuno-modulante, il diabete, l’età avanzata, la disproteinemia e la patologia cardiovascolare pregressa.

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I primi segni di complicanza renale sono un rialzo della creatinina e della BUN, con conseguente oliguria e insufficienza renale acuta, che insorge in genere a 5 giorni dall’infusione.

In presenza di fattori di rischio sono indicate un’adeguata idratazione e una bassa velocità di infusione.

EVENTI TROMBOTICI

Sono descritti eventi trombotici che portano a mortalità cardiovascolare per sindrome coronarica acuta o ictus in seguito all’infusione di IVIG, specialmente nei pazienti anziani o con fattori di rischio in senso pro- trombotico. La trombosi è tipicamente arteriosa (80%) e avviene ore o pochi giorni dopo l’infusione, o più raramente venosa (20%), e avviene giorni o settimane dopo, spesso a partire dal sito di infusione.

La trombosi è attribuita a un’iperviscosità ematica post-infusionale, all’aumento della conta piastrinica, alla presenza di autoanticorpi pro- coagulanti o di fattori della coagulazione non rimossi dal frazionamento. In questi casi trovano indicazione una corretta idratazione, acido acetilsalicilico e basse velocità di infusione.

EMOLISI

In presenza di isoemoagglutinine, l’infusione di IVIG può portare a emolisi, generalmente di lieve entità, con iperbilirubinemia e test di Coombs positivo clinicamente silenti. Più raramente possono verificarsi emolisi massicce con conseguenze clinicamente rilevanti. In letteratura sono descritti rari casi di emoglobinuria e conseguente insufficienza renale trattata con dialisi o un

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caso di coagulazione intravascolare disseminata dovuta alla presenza di anticorpi anti-D.

Fattori di rischio per lo sviluppo di tale reazione sono gruppo sanguigno non- 0, sesso femminile, dose elevata di IVIG e stati infiammatori intercorrenti. All’emolisi può accompagnarsi una neutropenia, la cui eziopatogenesi non è però nota.

TOSSICITA’ POLMONARE

Disturbi lievi come un po’ di dispnea o respiro sibilante possono verificarsi immediatamente in prossimità dell’infusione. Complicanze gravi come tromboembolia polmonare o edema polmonare acuto sono sicuramente molto rare.

IPONATREMIA

Dato il volume fluido infuso, il sodio plasmatico può scendere di 10-20 mEq/L. Questa iponatremia è generalmente diluizionale e asintomatica e si risolve spontaneamente.

Per ridurre le reazioni avverse o comunque risolverle tempestivamente, è opportuno che le prime infusioni vengano eseguite in regime ospedaliero, dove i pazienti possano essere strettamente monitorati. Il rischio di sviluppare una reazione avversa è generalmente più alto nelle prime infusioni. [53, 59]

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IMMUNOGLOBULINE SOTTOCUTE (SCIG)

Insieme a quella endovenosa, l’altra modalità di somministrazione delle immunoglobuline è rappresentata dalla via sottocutanea.

Le infusioni sottocutanee si effettuano posizionando l’ago nel sottocute dell’addome o della coscia e utilizzando delle pompe infusionali per circa 1-2h in media una volta a settimana. Tali infusioni sono molto ben tollerate e spesso preferite dai pazienti stessi rispetto alle somministrazioni endovenose. Studi sulla qualità di vita indicano un ottimo tasso di soddisfazione per i pazienti in trattamento con SCIG. Le infusioni sottocute hanno meno reazioni rispetto alle endovenose: i pazienti riferiscono prevalentemente reazioni lievi localizzate nel sito di infusione come gonfiore, arrossamento e indurimento, in genere transitori – le reazioni gravi o sistemiche sono molto rare.

Alla somministrazione di SCIG, i pazienti arrivano generalmente dopo il trattamento IVIG; il passaggio da IVIG a SCIG si effettua partendo dalla settimana successiva all’ultima infusione IVIG - questo permette di non scendere sotto l’IgG trough level target.

I vantaggi della somministrazione sottocute sono un IgG trough level più elevato, valori ematici più sostenuti, risparmio di accessi venosi, minor reazioni avverse; non ultima una maggior flessibilità dello stile di vita, dal momento che le infusioni sottocutanee possono essere eseguite in ambiente domestico anche da parte del paziente stesso, dopo un periodo di addestramento in cui prende dimestichezza con il prodotto e la pompa infusionale.

Dal punto di vista farmacocinetico, la somministrazione sottocutanea richiede infusione settimanali anziché mensili. Esistono però da qualche anno prodotti

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destinati a un uso sottocutaneo “facilitato”, che prevedono una prima infusione dell’enzima ialuronidasi, che scinde le maglie del connettivo e favorisce una maggior penetranza delle immunoglobuline nel tessuto; subito dopo vengono infuse in questa “tasca” proprio le immunoglobuline. Questa tecnica permette di dilatare i tempi tra un’infusione e la successiva fino a una volta al mese.

Gli IgG trough levels raggiunti con la somministrazione sottocute sono più elevati e anche più stabili nell’intervallo di trattamento. Non c’è un picco di concentrazione ematica ma questa si mantiene nel tempo. Per l’assenza di questo picco, però, in pazienti fortemente sintomatici è maggiormente indicata la somministrazione endovenosa in quanto ripristina valori di IgG adeguati più rapidamente.

La massima concentrazione plasmatica di IgG è raggiunta in 4-6 giorni dopo la somministrazione sottocute. [55, 58, 60]

EFFICACIA DELLA TERAPIA SOSTITUTIVA

Gli studi sull’efficacia della terapia immunoglobulinica sostitutiva nei pazienti con immunodeficienza primitiva si concentrano soprattutto sulla valutazione della riduzione del rischio di polmonite e sullo stabilire i valori IgG target del trattamento, che però ancora non sono universalmente definiti.

In passato, gli studi proponevano di raggiungere con la terapia sostitutiva livelli di IgG pari ad almeno 500mg/dL. Oggi la tendenza è quella di raggiungere il limite minimo della norma (700-800 mg/dL). Il raggiungimento di adeguati livelli di IgG permette di ridurre il numero delle infezioni, in

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particolare valori ai quali non si presentino meningiti batteriche, batteriemie e polmoniti. [61]

Una metanalisi del 2009 ha mostrato come il rischio di polmonite in pazienti con un livello di IgG pari a 500 mg/dL fosse cinque volte maggiore rispetto ai paziente con IgG pari a 1000 mg/dL. [62]

Uno studio prospettico del gruppo di Quinti I, et al. ha mostrato come il rischio di polmonite nella CVID fosse più elevato soprattutto nei pazienti che non raggiungevano un IgG trough level di almeno 400 mg/dL. Tale rischio di polmonite è aumentato nei pazienti che alla diagnosi presentava valori di IgA<7 mg/dL e bronchiectasie. Dallo studio non emerge ancora un valore di IgG target da raggiungere con la terapia sostitutiva. [63]

Un altro studio si è concentrato su 50 pazienti seguiti per un periodo di 1-20 anni di trattamento. Tutti questi pazienti avevano avuto un episodio di polmonite prima dell’inizio della terapia sostitutiva, e 11 di questi più di un episodio. In seguito all’inizio del trattamento solo 11 su 50 pazienti hanno avuto una polmonite, prevalentemente durante il primo anno dall’inizio della terapia sostitutiva. Questo indica che la terapia riduce consistentemente il rischio di sviluppo di polmonite nei pazienti affetti da CVID. [64]

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