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Influenza della memoria storica sulla partecipazione all'evento

Public History nelle comunità di montagna

4. La reazione della comunità allo spettacolo

4.3. Influenza della memoria storica sulla partecipazione all'evento

Soprattutto in occasione dello spettacolo tenutosi a Lozzo di Cadore, si è potuta constatare la scarsa partecipazione dei compaesani di Terenzio Baldovin all'evento, il ché, in apparenza, è parsa una mancanza di rispetto nei riguardi dell'unica persona che compare nel monumento ai caduti come «volontario della libertà». Perché questo? Paura? Reticenza nel ricordare la tragica vicenda della guerra? Ignoranza dei fatti e disinteresse a conoscerli? O più semplicemente pregiudizio derivato da un contesto culturale e ideologico saldamente radicato all'interno della comunità? La memoria delle gesta partigiane nel paese di Lozzo di Cadore è piuttosto controversa. Infatti se da una parte è risaputo che esisteva un Cln locale di cui facevano parte numerosi lozzesi, dall'altra è altrettanto diffusa, in particolar modo tra gli anziani, l'opinione che essi fossero solamente «teste calde», giovanotti sconsiderati che per la loro tracotanza mettevano continuamente a rischio l'incolumità del paese. Ogni azione partigiana veniva vista solamente come il pretesto di rappresaglie da parte dei tedeschi, con i quali bastava non aver nulla a che fare per garantirsi un'esistenza tranquilla anche durante la guerra. Tutto veniva inserito nella dimensione «privata» e non era concepibile pensare che la lotta di Resistenza fosse finalizzata ad un obiettivo di portata nazionale: quello della liberazione della patria dall'invasore straniero e dal dominio fascista. Il fatto che un partigiano pretendesse dalla comunità dei viveri da portare in montagna per il sostentamento suo e dei propri compagni era più molesto di squadre di soldati tedeschi che sequestravano beni mobili ed immobili per disporre il loro controllo sul territorio.

Quando si chiedono notizie sui partigiani agli anziani di Lozzo, non è insolito sentirsi rispondere con affermazioni quali: «Certe cose è meglio dimenticarle!242», «potevano andare a combattere da un altra parte!243» oppure

242 Ciò è quanto mi è stato riferito da Walter Laguna, nato a Lozzo di Cadore il 3 maggio

1925, quando ho voluto intervistarlo riguardo alla sua memoria dei fatti della Resistenza, il 20 giugno 2012.

«per colpa loro i tedeschi volevano bruciare il paese!244». Questo tipo di

asserzioni sembrano essere una reazione comune tra le comunità che sono state investite da una grande tragedia, infatti come si legge nel libro curato da Luca Baldissara e Paolo Pezzino Crimini e memorie di guerra: «Dal punto di vista della memoria che i massacri hanno sedimentato nelle comunità che ne sono state investite, si evidenzia perciò una grande varietà di reazioni: per esempio, chiamare in causa i partigiani come corresponsabili del massacro, e accusarli di avere attirato con le loro azioni, o con la semplice presenza, il potenziale di violenza dei tedeschi, autori materiali del massacro. Addossare la responsabilità della tragedia ai partigiani ha consentito in molti casi di individuare un capro espiatorio, un referente locale, chiaramente individuabile, che permettesse alle vittime di restituire un qualche senso agli avvenimenti, iscrivendoli in un ordine di spiegazione comprensibile245». Questa tesi è

avvalorata dalla teoria di Giovanni Contini, il quale, studiando il fenomeno della Resistenza in Italia, ha ipotizzato l'esistenza di «due modelli di memoria relativamente omogenei, che separano le località di strage collocate al di sotto della Linea gotica da quelle che si trovano a nord di essa». Nelle prime la Resistenza è stata assorbita «come qualcosa di molto esterno» e «il paese dei superstiti si contrappone ai partigiani, li accusa più o meno duramente di essere i responsabili del massacro, che hanno provocato senza poi intervenire per bloccare la strage». Questa è «un'opinione largamente condivisa dalla comunità ma non connotata politicamente come opinione di destra: infatti questa contrapposizione non è con la Resistenza, ma con i partigiani di casa propria; questi ultimi vengono considerati dei “falsi partigiani”, che non hanno nulla a

quale, il 25 agosto 2012, mi ha raccontato la sua memoria sui fatti di «Ceraia» del 21 settembre 1944, quando Alessandro Gallo venne ucciso insieme a due compagni in territorio di Lozzo. Cfr. Ivi p.39 e Fornasier, Il nonno racconta, pp.71-72. Riguardo a questo episodio si veda anche Musizza e De Dona,Guerra e resistenza in Cadore, pp. 236- 238.

244 Quest'affermazione riguardo alla minaccia da parte dei soldati tedeschi di dare alle

fiamme l'intero abitato di Lozzo, è stata tratta dall'intervista del 10 luglio 2012 a Elpidia Zanella, nata a Lozzo il 7 novembre del 1925.

245 Cit. da Luca Baldissara e Paolo Pezzino, Crimini e memorie di guerra, L'ancora del

che vedere con i partigiani “veri” [...]246». Una simile ideologia antipartigiana,

diffusa anche nel paese di Lozzo, è la concreta dimostrazione di come in Italia il fenomeno della Resistenza sia stato un elemento di divisione più che di unificazione.

Di fatto, anche la rievocazione della storia di Terenzio è sfociata a tutti gli effetti in un'indagine sulla memoria, nel corso della quale ci si è spesso confrontati con elementi discordanti, che hanno messo in luce l'assenza di una pensiero omogeneo a discapito di una grande varietà di memorie dei fatti accaduti. Tale molteplicità deriva dall'esperienza vissuta e dal modo in cui essa viene metabolizzata dai singoli individui. Da qui si deve partire per trovare il significato nazionale del fenomeno della Resistenza e capire perché essa, dopo la guerra, non sia stata in grado di rappresentare un fattore di unione, ma piuttosto un elemento di disaccordo. Si rende evidente «una sfasatura tra uso istituzionale della memoria e la memoria stessa sedimentata nella mentalità collettiva o meglio tra gli usi storicamente e politicamente differenziati e le molte memorie della resistenza presenti nella società italiana247». Questa analisi

sulla memoria non è finalizzata a porre in primo piano il punto di vista dei combattenti rispetto a quello di chi, magari perché fortemente colpito nella sfera dei propri affetti, addebita a questi le proprie disgrazie. Inoltre, bisogna considerare l'impossibilità da parte della maggioranza della popolazione, che doveva pensare alla propria sopravvivenza durante la guerra, di assorbire l'etica delle convinzioni che alimentavano la lotta partigiana. Come afferma Adriano Ballone: «Se il 25 aprile commemora gli italiani che hanno combattuto, questo purtuttavia non annulla le “altre” memorie: di chi ricorda di aver combattuto contro la resistenza e il movimento partigiano […]; di chi, proclamandosi e sentendosi “apolitico”, ha tentato di “sopravvivere” barcamenandosi tra partigiani e fascisti; di chi ricorda non “la” Resistenza, ma la “sua”, a volte parzialissima, resistenza e di chi, infine, non vuole ricordare e non vuole che si

246 Si veda Giovanni Contini, Toscana 1944: per una storia della memoria delle stragi

naziste, cit. in Baldissara e Pezzino, Crimini e memorie di guerra, p. 23.

ricordi. Dunque, memorie diverse che tendono a solidificarsi ed ad autoavvalorarsi248».

L'Italia è quindi un paese fondato anche sul persistere di memorie divise, che partendo dalle piccole comunità sono andate ad interessare l'intera nazione. Esse sono state elementi chiave per il concepimento e lo sviluppo del sistema democratico italiano dal dopoguerra ad oggi. In questi processi “la memoria è un fattore storico a pieno titolo, e sottolinearne la varietà nei confronti della Resistenza porta alla necessità di riformulare un giudizio storiografico generale, che sia in grado di ricomporre la pluralità delle memorie comunitarie-locali ma anche della comunità nazionale- in un quadro unico, capace di spiegare alcune caratteristiche della storia successiva. […] Il tema delle memorie divise rimanda perciò in ultima analisi a quello della difficile ricostruzione di un'identità nazionale249”.

Nel capitolo successivo si approfondirà il tema della memoria e nello specifico quella legata alla vicenda di Terenzio Baldovin. Si cercheranno di far emergere le eredità spirituali ed ideali che la sua figura ha lasciato sia nelle persone che l'hanno conosciuto ed hanno partecipato in qualche modo alla sua vicenda, sia nell'intera comunità di Lozzo. A tal fine sono state raccolte le testimonianze orali di numerosi compaesani e in alcuni casi coetanei del Baldovin, nonché la fitta documentazione concernente la possibilità di far intitolare a Terenzio una via del paese come segno di riconoscimento nei suoi confronti da parte della collettività.

248 Cit. da Adriano Ballone, La Resistenza, in Mario Isnenghi (a cura di), I luoghi della

memoria. Strutture ed eventi dell'Italia unita,Roma, Laterza, 1997, pp. 408 e 422.