2. La storia di Terenzio Baldovin 1 Infanzia e adolescenza di Terenzio
2.1. La storia irrompe: tempo di decision
L'evolversi degli eventi bellici e la guerra civile scoppiata in Italia dopo l'armistizio dell'8 settembre convinsero il diciassettenne Terenzio a prendere attivamente parte alla lotta per la libertà, prima come portatore di viveri e successivamente come combattente volontario172. Il 15 giugno 1944173 si unì
ufficialmente alla Brigata Calvi e per le lunghe basette che era solito portare gli venne dato il nome di battaglia di «Messicano174». Nel novembre del '44, per
scovare i colpevoli dell'attentato del 21 settembre contro alcuni automezzi tedeschi nella località di Ponte Nuovo, che vide la morte di due soldati ed il ferimento di altri cinque175, a Lozzo e negli altri paesi del Centro Cadore (nello
168 Il quale nacque a Lozzo l'8 novembre 1896, da Melchiorre e da Nicoletta Da Prà
Pinza. Primo di sette figli, conseguì la maturità magistrale e fu insegnante presso la scuola elementare di Lozzo di Cadore dagli anni '20, partì per il fronte nella prima guerra mondiale, tornato riprese l'attività di maestro. Si impegnò nella ricerca storica sul proprio paese e fu attivo nella politica locale dagli anni '50. Nella vecchiaia si trasferì a Milano dove morì nel 1989. Si veda Ezio Baldovin, Pagine di storia e itinerari turistici di Lozzo
di Cadore, Tipografia Piave, Belluno, II Edizione, 1983, pp. 8-9.
169 A riguardo si vedano in Appendici, documenti e fotografie, ivi pp. 178-184, i testi di
sette poesie (intitolate La nottola, Le api, Italia, Alla giovane donna, Prima rondine, Il
levamento del sole autunnale e Pasqua) rinvenute in una busta rossa datata 1944
contenente «Componimenti poetici di Baldovin Terenzio fu Lorenzo Monego (detto Susanna)- Partigiano arrestato dalle S. S. Morto in Germania, in campo di
concentramento-» con l'aggiunta della seguente nota da parte del parroco Don Pietro Costantini «N.B. Era autodidatta» in Archivio della parrocchia di S. Lorenzo Martire di Lozzo di Cadore.
170 Si veda il certificato dell'esame d'ammissione in Appendici, documenti e fotografie, ivi
p. 185.
171 Si veda il relativo documento in Appendici, documenti e fotografie, ivi p. 186. 172 Cfr. Musizza e De Donà, Guerra e Resistenza in Cadore, nota n. 8, p. 327. 173 Questa data è indicata nella lista dei partigiani caduti in battaglia appartenenti al
Comando-Brigata Calvi, conservata presso Archivio Baldovin e riportata in copia in
Appendici, documenti e fotografie, ivi p. 187.
174 Il nome di battaglia è presente nella lista dei volontari caduti della Brigata Calvi
riportata in Appendici, documenti e fotografie, ivi p. 187.
specifico Vigo, Laggio e Lorenzago) si diede luogo ad una serie di rappresaglie per mano della forza di polizia germanica operante sul territorio. Fu così che il 30 novembre, a partire dalle 5:00 del mattino, con la minaccia di dare alle fiamme l'intero centro abitato qualora non si fossero scoperti i responsabili dell'imboscata, i tedeschi radunarono in Piazza IV novembre tutti gli uomini del paese e a gruppi di cinque li accompagnarono in Municipio affinché i loro documenti fossero posti al vaglio di un maresciallo. Nonostante l'opposizione della madre Dolores176, anche Terenzio si presentò regolarmente all'appello
dopo aver ricevuto la garanzia dell'assenza del proprio nome nella lista dei presunti colpevoli, che il parroco don Pietro Costantini177 aveva avuto modo di
consultare in precedenza. In un primo momento, come previsto, il giovane passò il controllo, ma proprio quando la tensione generale sembrava placarsi e la gente radunata veniva fatta sfollare e lasciata libera di tornare alle fabbriche ed ai campi, ci fu un secondo appello e, a causa di una delazione traditrice di un compaesano che lo denunciò solo come partigiano e non come artefice
176 Dolores Da Pra, madre di Terenzio, implorò il figlio di non recarsi in piazza con gli
altri uomini usando le seguenti parole in dialetto locale: «Fiol me, io son to mare e te digo
scampa parké no me fido» ovvero «Figlio mio, io sono tua madre e ti dico scappa perché
non mi fido!». Tuttavia fu lo stesso don Pietro Costantini, l'allora parroco di Lozzo, a presentarsi presso l'abitazione del giovane per persuadere la madre a lasciare che il figlio rispondesse all'appello, affermando l'assenza di questi dalla lista dei nomi di ricercati in possesso della gendarmeria tedesca. Così Terenzio si recò in piazza ripetendo alla madre di non avere nulla da temere poiché egli non aveva «fatto del male a nessuno». Questo episodio è riportato dettagliatamente da Lorenzina Baldovin autrice del saggio Mio padre
ha salvato il paese con la deportazione riportato in La parola ai figli e ai nipoti, la memoria della deportazione nel racconto dei familiari, a cura della sezione milanese
dell'Aned (Associazione nazionale ex deportati politici nei campi nazisti), Mimesis, Milano, 12 novembre 2006, pp. 34-35.
177 Don Pietro Costantini nacque il 10 gennaio 1909 a San Vito di Cadore. Fu
cooperatore e parroco di Lozzo dal 1931al 1972. Nella sua attività pastorale s'impegnò molto nel conforto morale e nel soccorso materiale dei suoi parrocchiani, soprattutto durante la guerra mondiale ed aiutò con solerzia i partigiani locali. Morì a Lozzo di Cadore il 17 giugno 1972. A testimonianza del suo attivismo in seno alla Resistenza si riporta la memoria del partigiano Arturo Fornasier «Volpe»: «Il parroco di Lozzo don Pietro Costantini aveva nascosto armi in canonica, pronto a distribuirle a gruppi di volontari, in caso i tedeschi avessero avuto intenzione di incendiare il paese e occorresse opporsi. Le stesse armi sarebbero dovute servire dopo la guerra per opporsi ad un'eventuale invasione dei comunisti jugoslavi». Questa memoria è stata trascritta in fascicolo 1, busta VI, Archivio Zangrando, presso la Biblioteca storica cadorina di Vigo di Cadore. Per i dati anagrafici si veda invece don Elio Cesco, Perché ci parli ancora, a ricordo di don Pietro
dell'attentato a Ponte Nuovo178, Terenzio venne catturato assieme all'amico
Vincenzo Calligaro179 ed a quattro membri del Cln locale180. I prigionieri
vennero condotti prima alla caserma di Tai dove restarono per tre notti e tre giorni nel corso dei quali furono sottoposti a continui interrogatori e violente percosse. Poi, mentre i più anziani furono rilasciati, Terenzio, Vincenzo Calligaro, Celestino Da Rin e Galliano Ronzon vennero condotti a Cortina, dove Giuseppe Da Rin181 cercò di trarli in salvo, ma il tentativo non andò a
buon fine182. Così i prigionieri furono caricati su un treno alla volta del campo
d'internamento di Bolzano183. Il 6 dicembre, pochi giorni dopo il
178 Riguardo a questo episodio, nelle memorie del fratello di Vincenzo Calligaro, Luigi,
nato a Lozzo di Cadore il 20/06/1924, che sono state raccolte da Lorenzina Baldovin alle ore 16:00 del 20 novembre 2006, ora conservate nel suo archivio privato, situato a Laggio di Cadore, d'ora in poi Archivio Baldovin, si legge: «Tutti gli uomini validi di Lozzo erano in piazza e i gendarmi delle S.S. dovevano controllare i documenti, quattro alla volta, davanti ad un tavolo. Degli uomini controllati nessuno è stato fermato. A controllo terminato è stato visto un signore che faceva parte del Comitato di liberazione allontanarsi assieme ai gendarmi e andare verso casa sua che era di fronte all'imbocco della strada che porta al Cimitero di Lozzo. Vedendo ciò Terenzio ci disse: “Kél le dù a ne vende!” (ovvero “quello è andato a venderci!”). Così dissi a mio fratello e a Terenzio: “Entrate in latteria e scappate per la porta del retro!”, ma ormai era troppo tardi, i gendarmi stavano ritornando e anche se sulla loro lista non c'erano i nomi di Vincenzo e di Terenzio, essi furono prelevati, messi sulla camionetta, portati prima a Pieve, poi a Cortina e successivamente a Bolzano.»
179 Vincenzo Calligaro nacque il 23 ottobre 1921, fu partigiano della Brigata Calvi e
assieme a Terenzio Baldovin condivise l'esperienza della deportazione nel campo di Bolzano dal quale fece ritorno a differenza dell'amico. Egli morì a Lozzo il l 5 settembre 1966. Si veda Musizza e De Donà, Guerra e Resistenza in Cadore, nota n.8, p. 327.
180 I quattro membri del Cln di Lozzo che vennero arrestati in seguito al rastrellamento
del 30 novembre erano: Leone Marta, Renzo Calligaro «Bianco», Giovanni Da Pra Colò «Nani Poa» e Guido Da Pra «Falisse». Cfr. Ibidem, p. 323 e ivi p. 49. Per quanto riguarda Giovanni Da Pra Colò «Nani Poa» ed il suo impegno come membro del Cln il partigiano Arturo Fornasier «Volpe» ha rilasciato la seguente testimonianza: «A parlamentare con i tedeschi, per evitare ritorsioni contro la popolazione nel 1945, fu Giovanni Da Pra». Essa si trova trascritta in un documento custodito nella busta VI, fasc. 2, Archivio Zangrando, presso la Biblioteca storica cadorina di Vigo di Cadore.
181 Lo stesso Giuseppe Da Rin era stato preso in ostaggio dai tedeschi presso il Comando
di Tai, dopo un rastrellamento avvenuto il 22 ottobre 1944.Si veda busta VI, fasc. 1, Archivio Zangrando presso la Biblioteca storica Cadorina di Vigo di Cadore.
182 Si veda Musizza e De Donà, Guerra e Resistenza in Cadore, pp. 322-323.
183 Il Polizeiliches und Durchgangslager Bozen era una struttura concentrazionaria che
venne costruita e resa attiva dall'estate del'44. Tale struttura era sottoposta al controllo della Polizia di sicurezza tedesca ed era collocata nel cuore dell'Alpenvorland, ovvero della «Zona d'operazione delle Prealpi». Il campo venne ricavato da un'insieme di capannoni già utilizzati dal Genio dell'esercito italiano e, nei dieci mesi in cui fu attivo, ospitò circa 9.000 persone, la maggior parte delle quali era destinata ai campi di sterminio di Mauthausen, Flossenbürg, Ravensbrück, Dachau e Auschwitz. I deportati provenivano in gran parte dall'Italia settentrionale (Lombardia e Veneto) ed erano soprattutto prigionieri politici, ma in esso furono internati anche ebrei, zingari e testimoni di Geova. Il campo era suddiviso in
rastrellamento, il Comando di polizia germanico diede l'ordine di esporre in Piazza IV novembre un bando che obbligava tutti i partigiani ancora presenti sul territorio a «presentarsi al Comando di polizia germanico di Pieve di Cadore» entro il 20 del mese, «con le rispettive armi o con l'indicazione di dove queste si trovano» e qualora questo non fosse avvenuto sarebbero state prese «severe contromisure» come l'arresto e l'annientamento dei famigliari dei singoli partigiani e la distruzione dell'intero paese184. Tale bando aveva lo scopo
di porre fine ad ogni forza di Resistenza locale per evitare ogni possibile ostacolo alle operazioni belliche nel territorio.