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Dall’iniziativa del FAI ad ulteriori possibili prospettive per l’area di Porta Venezia

Premessa

Per un nuovo ruolo (quale ruolo?) di ‘Porta Orientale’ nelle dinamiche della città contemporanea

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………. [IN ELABORAZIONE]

Capitolo. 1

1.1 Una nuova vita per il Diurno Venezia? ……….

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………. [IN ELABORAZIONE]

1.2 Il tema del restauro del moderno

_ Il «restauro del moderno»: affrontare il tema

La necessità di affrontare una riflessione sulla conservazione e il restauro dell’architettura del XX secolo nasce dai problemi metodologici che l’intervento su tali soggetti presenta, dal momento che l’intervento su tali soggetti presenta, dal momento che sono messe a dura prova la teoria e la prassi nate, codificate e messe a punto su architetture precedenti l’inizio di questo secolo.

Il tema del restauro, o del riuso più in generale, delle architetture parte del passato più prossimo, da qualche tempo non è più relegato nei discorsi di pochi storici o professionisti particolarmente sensibili. Se ne sente parlare (o accennare) sempre di più, se ne scrive (più o meno estesamente, più o meno superficialmente). In realtà non sembra che questa “nuova” attenzione abbia apportato chiarezza o serietà nella riflessione, e non si riesce ad allontanare interamente il sospetto che, più che vero interesse e disinteressata passione, la molla siano altri interessi (di aziende e corporazioni edili per l’immenso mercato che si va aprendo143) e altre                                                                                                                

143  La  valorizzazione  del  patrimonio  spesso  è  pericolosamente  vicina  alla  speculazione  

culturale  ed  economica,  dove  valorizzare  significa  abbedire  a  ragioni  economiche  di  “ritorno   culturale”,  garantito  da  analisi  di  mercato,  e  generalmente  quindi  mirati  a  restituzioni  in  effige   tanto  originarie  quanto  false,  o  al  recupero  di  valori  accettati  per  condizionamento  culturale.   La  presa  di  coscienza  del  rischio  di  erosione  speculativa  del  patrimonio  conduce  a  riflettere   sull’urgenza  di  una  politica  di  protezione.  

passioni (di corporazioni professionali che ribadiscono la propria impronta su ogni campo possa vederle impegnate144). Il risultato è che già ad un primo studio emerge un’attuale mancanza di organicità sulla

riflessione e sulla pratica in materia. Ciò spesso significa non poter traslare le usuali teorie del moderno senza provocare difficoltà operative, o teoriche, nell’intervento; ma soprattutto significa lasciare senza risposta e senza riflessione problematiche specifiche. Le due cose ovviamente si sommano così che la soluzione delle difficoltà cui si è detto è sempre lasciata alla sensibilità personale del progettista, che però si trova ad agire senza una guida, in contesto, un’esperienza di riferimento ed è quindi vittima della mancanza di una riflessione che possa appoggiarlo nelle sue decisioni. La mancanza di organicità o la frammentarietà del quadro si trasforma soprattutto in mancanza di comunicazione sui risultati raggiunti, le esperienze fatte, le ricerche in corso145.

Una riflessione sembra particolarmente opportuna, in un momento in cui il tema sta consolidandosi ed è quindi ancora suscettibile di essere guidato fuori da ogni (pre)concetto. Sarebbe necessario definire, in primo luogo, di cosa si debba occupare, e quindi cosa sia, quell’idea che è espressa con il termine di «restauro del moderno». Ciò significherebbe individuare le problematiche che pone, per poi proporre possibili soluzioni. Ma la trattazione si presenta, evidentemente, come alquanto vasta e difficile, se non addirittura priva di soluzioni (soprattutto se queste si cercano da un solo punto di vista). Una simile ricerca sfiora i confini della sintesi enciclopedica, se non della fondazione di una disciplina, e questo dovrebbe bastare a mettere in guardia sulla possibilità di arrivare a qualche (valida) conclusione.

A questo proposito Francesco la Regina, scrivendo sulla moderna cultura del restauro, esprime un pensiero che, non solo è estendibile alla situazione attuale del «restauro del moderno»., ma introduce anche spunti importanti per metodi e contenuti di una riflessione come quella che ci proponiamo:

«Sull’individuazione del suo oggetto ultimo, regna un accordo pressoché generale: scopo della disciplina [del restauro] è quello di ‘individuare la legittimazione e le modalità dell’intervento di conservazione sui beni culturali… in quanto testimonianze irrinunciabili, risorse collettive e patrimonio della comunità. Quando peraltro ci si interroga sui criteri e sulle modalità d’intervento, si scopre l’esistenza di divergenze non secondarie … che sembrano ben lontane dall’essere chiarite e risolte. L’incertezza a tale riguardo non impedisce al restauro di progredire, ma col progressivo sviluppo del campo disciplinare si moltiplicano gli interrogativi sulle vie operative da seguire per assicurare una reale ed integrale conservazione …

Per chiarire l’incertezza che regna al riguardo sarebbe forse sufficiente sfogliare la non vasta letteratura prodotta in questi ultimi anni ed avente come oggetto i problemi concettuali e metodologici della disciplina; oppure, molto più semplicemente ci si potrebbe dedicare ad un esame dei vari criteri seguiti nel corso degli interventi pratici del restauro. Lo stao fluttuante in cui si trovano le vedute circa i criteri teorico-operativi di restauro dei beni culturali, di per sé non costituisce prova alcuna sulla validità e non validità della disciplina, ma serve solo a dimostrare che i principi su cui riposa il restauro sono essi stessi il prodotto di una lunga e travagliata evoluzione. La storicità del restauro è la sua vera carta di credito.

Rivendicare una fondazione o rifondazione della teoria del restauro è il segno, più che di ignoranza o disinteresse nei confronti della disciplina, della tendenza – molto diffusa presso certe anime belle dell’odierna fenomenologia intellettuale – a confondere il metodo con il significato, isolando i concetti degli

                                                                                                               

144  Cfr.  Josep  Quetglas,  Escritos  colegiales,  Barcellona,  Actar,  1997,  pp.  10-­‐30  

145  Rimandiamo  per  una  trattazione  e  un’analisi  approfondita  della  situazione  della  

comunicazione  alla  bibliografia.  Ricordiamo  qui  come  proprio  dalla  necessità  di  scambiarsi   esperienze  e  ricerche  nasce  l’idea  di  un  organismo  internazionale  come  DO.CO.MO.MO.   (International  working  party  for  DOcumentation  and  COnservation  of  buildings,  sites  and   neighbourhoods  of  the  MOdern  MOvement)  che  ha  tra  i  suoi  scopi  quello  di  essere  una  banca   dati  di  scambio.  

strumenti operativi che li esprimono e li verificano, impedendone la problematizzazione e la reciproca contestualizzazione.

Ma sia che vengano affrontati con la pan semantica ingenua dell’idealismo, sia che si tenti di utilizzare gli schemi già desunti dalle leggi della moderna epistemologia, i problemi teorici del restauro vengono quasi sempre trattati con mentalità astratta e aprioristica, separata dal mondo dei processi empirici e fenomenici …

Non è superfluo affermare che i complessi problemi della moderna tutela non necessitino di ulteriori antologie, ovvero di ulteriori configurazioni sistematiche e onnicomprensive dei temi disciplinari. Pur rifiutando la logica del caso per caso, … si deve invece ritenere che il procedimento più corretto nell’approccio teorico-pratico del restauro sia quello di operare per singoli problemi, selezionati alla luce delle necessità emergenti ed illuminati dalla somma di esperienze storico-disciplinari.»146.

Questo lavoro, dunque, si propone, semplicemente, di tentare di fare luce su alcuni dei frammenti che compongono il quadro.

Alla luce di queste riflessioni si può iniziare a raccogliere i frammenti della coppia restauro/moderno. Tre punti in particolare si riflettono sulla nostra ricerca: il restauro dunque progredisce anche nel frammento, nuove ontologie e sintesi non sarebbero solo inutili, ma addirittura segno di stasi147, una disciplina viva

permette solo di fare il punto su una situazione in divenire, e quindi di cui non si può scorgere che frammenti; non c’è necessità di fondare ma solo di inserirsi in un’evoluzione; la ricerca dovrebbe operare per singoli problemi (non sui singoli edifici), sempre confrontandosi con la pratica.

_ Moderno e non moderno

Sono stati sati i termini antico e moderno finora senza chiarire a che categoria ci si riferisca ma lasciando intendere che il restauro legga tra le due una particolare differenza. Il primo frammento di riflessione sarà dunque mettere a fuoco il concetto di moderno che specifica questo campo del restauro.

Il probelma principale, nella coppia antico/moderno, riguarda soprattutto il secondo termine, poiché in particolare su questo si gioca la definizione dell’altro. «Il temine moderno cominci ad assumere importanza, almeno in campo artistico, soltanto quando viene acquisito il concetto di antico; e inizia ad assumere un preciso significato nella contrapposizione e antitesi tra i due concetti. Questo avviene in architettura, con il Rinascimento umanistico»148. Non cercheremo una definizione di entrambi i concetti, poiché è su moderno

e modernità che si centra lo specifico cercato; antico o premoderno è sufficiente, in questo contesto, individuarli in negativo. La definizione cercata non vuole, infatti, essere assoluta, ma semplicemente quella finalizzata ai temi che si stanno trattando, ovvero il moderno del restauro e per il restauro, con tutte le parzialità e le semplificazioni che quindi ne derivano e di cui bisogna ritenersi avvertiti149.

                                                                                                               

146  Francesco  La  Regina,  Il  restauro  dei  beni  culturali  nell’epoca  della  loro  riproducibilità  

tecnica,  Restauro,  n.  55,  1981,  pp.  71-­‐73  

147  I  manuali  e  le  storie  che  hanno  voluto  porsi  a  sintesi  di  un  periodo  sono  sempre  stati  la  sua  

lastra  tombale  anche  se  volevano  essere  la  glorificazione  del  momento  di  massimo  splendore,   perché  la  sintesi  è  possibile  nel  momento  in  cui  un’esperienza  è  chiusa  e  quindi  non  evolve  più   e  permette  di  guardarla  da  una  certa  distanza.  

148  Patetta,  1991,  p.92  

149  Per  una  definizione  generale  di  antico  e  moerno,  in  architettura  e  non,  rimandiamo,  tra  i  

molti  testi  sull’argomento,  a  :    

Coline  rowe,  The  architecture  of  good  intention.  Towards  a  possible  retrospect,  Academy   Edition,  London,  1994.  

«Lo studio della coppia antico/moderno passa per l’analisi di un momento storico che genera l’idea di “modernità” e, nello stesso tempo, crea, per denigrarla o incensarla – o semplicemente distinguerla e allontanarla – una “antichità”. Chè si scopre una modernità tanto per promuoverla che per vilipenderla»150 Il motivo dell’interesse a verificare quale architettura rientri in questa categoria, e perché, è legato al fatto che il moderno sembra richiedere un approccio differente nel suo restauro. Inoltre, e non secondariamente, perché il moderno del restauro dimostra il delicato e difficile rapporto tra l’architettura “più recente” e le masse. Astraendo si può dire che il primo punto riguarda la materia e il secondo la forma attraverso cui l’architettura moderna si esprime. Entrambi aiutano a definire il campo di azione del «restauro del moderno» e possono essere quindi utili per discuterne in seguito esistenza specificità.

Fase preliminare di questa ricerca è la definizione di cosa sia il moderno, cercando di definire il soggetto nella realtà materiale del concetto, e non tramite una semantica che tenti di stabilire un contenuto da un’analisi verbale. La prima cosa è chiedersi se, volendo parlare di moderno nel restauro, di debba individuare con una categoria dell’architettura diversa per contenuti, limiti, o concetti secondo cui interpretarla, rispetto al moderno di di storie e storiografie. È necessario puntualizzare che non si sta ricreando una nuova definizione di architettura moderna, ma si vuole capire se esista dal punto di vista della conservazione, o del restauro, qualcosa che accomuni stili e linguaggi modernisti, passatisti, postmodernisti…, indipendentemente dal nome che abbiano ricevuto. Ci si trova in una ricerca in cui le parole non aiutano.

«Il comportamento della parole è come il comportamento delle finestre che al tempo stesso isolano e uniscono il mondo interno e quello esterno dell’esperienza. Entrambe introducono luce e presentano una vista. Si può guardare attraverso esse o a esse stesse; più le parole sono formulate in modo analitico o in modo convenzionale, meno ci si accorge della loro presenza; ma se le si trascura, possono diventare opache efumose, la loro capacità illuminante si spegnerà e , come la finestra sporca, la parola sporca non rivelerà che una prospettiva distorta»151

_ Il Moderno e la storiografia

Il primo confronto è con il concetto di moderno della storiografia. La ricerca parte dunque dalla storiografia architettonica152.

Basterebbe scorrere le prime pagine di alcune delle storie dell’architettura del XIX e XX secolo per capire quali problemi abbia dato il decidere da dove iniziare a scrivere una «storia dell’architettura moderna» e

                                                                                                               

Jacques  Le  Goff,  voce  Antico/MOdrno,  Enciclopedia,  vol.I,  Einaudi,  Torino,  1977  

Luciano  Patetta,  Breve  excursus  storico  sul  termine  di  moderno,  AA.  VV.,  Aspetti  del  moderno,   Alinea,  Firenze,  1992  

 

150  Le  Goff,  1977,  p.  679   151  Rowe,  1995,  p.  48  

152  Per  una  trattazione  generale  e  approfondita  del  rapporto  moderno/storiografia,  

rimandiamo,  tra  i  molti  testi  sull’argomento,  a  :  

Fulvio  Irace,  Storie  e  storiografie  dell’architettura  contemporanea,  Jaca  Book,  Milano,  1992.   Maria  Luisa  Scalvini,  Maria  Grazia  Sandri,  L’immagine  storiografica  dell’architettura  

contemporanea.  Da  Platz  a  Giedion,  Officina,  Roma,  1984.  

Giuliana  Massari,  “La  conservazione  dell’architettura  moderna”,  Tesi  di  ricerca  in   conservazione  dei  beni  architettonici  –  VI  ciclo  –  Politecnico  di  Milano  –  Facoltà  di  

quindi per capire quali parametri questi autori abbiano considerato per il loro giudizio su cosa significhi moderno in architettura.

Zevi apre nel 1950 la sua Storia dell’architettura moderna153 chiedendosi perché sia sorta e analizzando quattro tesi sulle origini, ne conclude che la svolta sia da cercarsi negli effetti di una radicale trasformazione sociale simultanea e complementare alle altre tre cause: l’evoluzione del gusto, il progresso tecnico, l’avanguardia figurativa.

Benevolo dieci anni dopo154 si domanda quando inizi e propone tre gradini sostanziali da tre stadi di consapevolezza. Dice a proposito del primo: «Occorre dunque allargare il campo di osservazione e prendere direttamente in esame molti fatti tecnici, sociali, economici, che dal 1750 in poi sono in rapido mutamento anche se al principio non è subito evidente la loro connessione con l’architettura … nuove esigenze materiali e spirituali, nuove idee, nuovi strumenti di intervento, che a un dato punto confluiscono in una nuova sintesi architettonica, profondamente diversa da quella antica … se ci si limitasse a una storia delle forme si dovrebbe postulare una netta soluzione di continuità, una frattura rispetto alla tradizione, che si può prospettare in sede polemmica ma non è storicamente ammissibile». E più oltre chiarisce a proposito dell’importanza della tecnica nella nascita del moderno: «L’architettura moderna nasce dai cambiamenti tecnici, sociali e culturali connessi con la rivoluzione industriale; se dunque si intende parlare delle singole componenti che confluiranno in una sintesi unitaria si può dire che l’architettura moderna comincia appena si delineano le conseguenze edilizie e urbanistiche della rivoluzione industriale»155.

Nel 1969 Banham sposterà decisamente il moderno dalle forme alle tecniche e di conseguenza dalle individualità ad una storia ampliata, oltre l’unità dell’opera e di pochi geniali autori156.

Parallelamente, Collins definisce, nel suo Changing Ideals In Modern Architecture 1750-1950 del 1965, una storia che si basa sulle idee secondo cui operano gli architetti, allargando su questa base l’idea di moderno fino alla metà del XVIII secolo.

Congli anni sessanta la revisione storiografica agisce verso una frammentazione della storia, della sua unicità e continuità.

Tafuri e Dal Co nella loro Architettura contemporanea rifiutano sin dal titolo l’idea di una storia a favore di più storie non per forza complementari e più inizi: «Se abbiamo intrapreso questo lavoro lo abbiamo fatto nella coscienza che non è possibile scrivere una sttoria, ma che è necessario scriverne diverse. Noi abbiamo seguito alcune tracce; altre rimangono da indagare»157.

Stabiliscono comunque il moderno dopo l’art nouveau ma le loro storie non accettano più termini come razionalismo o movimento moderno. Diventa storia di strutture umane, storia di intellettuali, inserzioni in cui definire il moderno è possibile solo nella misura in cui è possibile identificare le storie.

                                                                                                               

153  Bruno  Zevi,  storia  dell’architettura  moderna,  Einaudi,  Torino,  1950   154  Leonardo  Benevolo,  Storia  dell’architettura  moderna,  Laterza,  Bari,  1960  

155  Leonardo  Benevolo,  Storia  dell’architettura  moderna,  XIV  ed.,  Laterza,  Roma-­‐Bari,  1989,  p.  

7  

156  Rayner  Banham,  The  Architecture  of  the  Well-­Tempered  Environement,  1969  (tr.it.  a  cura  di  

G.  Morabito,  Ambiente  e  Tecnica  nell’architettura  moderna,  Laterza,  Roma-­‐Bari,  1978)  

157  Manfredo  Tafuri,  Francesco  Dal  Co,  Architettura  contemporanea,  Electa,  Milano,  1976,  

Quattro anni dopo Frampton nell’introduzione al suo lavoro158 apre con l’importanza di definire un termine a quo per scrivere una storia e la sua ricerca è centrata sul moderno come concetto. L’origine del moderno, la “preistoria del Movimento moderno”, come egli la definisce, viene fatta risalire alla metà del settecento. Se il Movimento Moderno, riconosciuto un mito storiografico, non rappresenta più la totalità della modernità e la frammentazione delle storie ci ha lasciato con vari punti di riferimento a proposito di moderno, a volte in contraddizione tra loro, sembrerebbe difficile utilizzare le categorie della storiografia per questa ricerca di un concetto di moderno valido per il restauro.

Ciò non toglie che la storiografia resti il campo di ricerca più adatto: centrandosi su altri campi, come quello epistemologico ad esempio, potrebbe arricchire il concetto, ma si allontanerebbe dal presupposto per cui si cerca di definire un concetto che rifletta reali architetture e non parole.

Una prima conclusione, che tentiamo malgrado la frammentazione in questo campo di cui si diceva, è che il moderno nasce dalle tecniche e dalle idee. Entrambe sostanziano il moderno ma non sempre procedono insieme.

Si tratta di considerare quali limiti ci possano essere in questa deduzione. Uno in particolare sembra da sottolineare, intrinseco alla storiografia che ci fornisce questi concetti di moderno, limite che riguarda la sua capacità di vedere il tutto e le parti.. Si pone cioè un problema di selettività che pare ineliminabile, limite intrinseco dovuto certo a scelte di campo precise nel modo di fare storia, ma anche ad un’oggettiva impossibilità di non selezionare o a volte impossibilità, malgrado la volontà, di recuperare notizie dai margini, su figure e momenti che non essendo mai stati posti in luce, o non avendola mai cercata, sono svaniti anche per lo storico, lasciandolo nell’impossibilità di capire e ricostruire.

_ Il Moderno e la pratica del restauro

I vari interventi pubblici sul tema della specificità del restauro del moderno sono solitamente concordi sul fatto che il dibattito della delimitazione non solo temporale del periodo da prendere in considerazione sia pienamente aperto, e la situazione resti abbastanza confusa, non solo ai margini159.

«Tentare di stabilire con accuratezza storico-critica metodi, strumenti, obbiettivi di questo nuovo settore disciplinare, è cosa diversa dall’aggirarsi per il Bauhaus in cerca di valori del moderno da conservare, permeati di ottimismo modernista in un edificio esemplare della nuova sintesi dell’arte e della tecnologia»160. Da questo punto di vista si è però più aiutati dalla regola della prassi e dal non dovere

esprimere una sintesi assoluta.

Franco Borsi, nel suo saggio introduttivo al convegno L’architettura moderna conoscenza tutela conservazione, afferma: « pongo il termine in senso generale e in definitiva “dopo” la frattura con i sistemi costruttivi che avevano assicurato dall’antichità a tutto l’ottocento una continuità di metodi tale da offrire al restauro un medesimo campo di congruità e compatibilità al di la delle infinite configurazioni storico formali

                                                                                                               

158  Kennet  Frampton,  Modern  Architecture:  a  critical  History,  Thames  and  Hudson,  Londra,  

1980  

159  Vedi:  Giovanno  Morabito,  «Specificità  del  restauro  del  moderno:  strumenti  e  metodo  

d’intervento»,  AA.  VV.,  Il  restauro  del  moderno,  Betagamma,  Roma,  1992  

160  Mauro  Saito,  «I giovani monumenti del Movimento Moderno», Controspazio, n. 5-6, set-

dic. 1992, p. 103  

ed esecutive dei singoli manufatti. Quella frattura che si identificava con i nuovi materiali si poneva anche antistoricamente come ricerca di un nuovo linguaggio»161

L’introduzione di nuove tecnologie e di materiali legati alla produzione industriale ha stabilito un’indubbia diversificazione del patrimonio moderno rispetto al premoderno, mentre la soluzione di continuità leggibile nelle forme o nelle dichiarazioni, non è di per se significativa di reali diversità materiche: spesso le fabbriche nascondono dietro dichiarazioni di novità e strati di intonaco soluzioni assolutamente tradizionali. La conferma di questo “passaggio” è evidente esaminando i restauri compiuti sul moderno. I problemi che emergono con maggiore evidenza, che richiedono soluzioni particolari, che provocano le riflessioni degli autori sono quasi tutte legate ai materiali. Ci si deve confrontare con l’uso di nuovi “moderni” materiali e nuove tecniche, con le invenzioni dell’autarchia e con i sottili rapporti con cui i materiali furono usati. Materiali non più disponibili, a volte difficilmente riconoscibili, di cui è sconsigliabile l’utilizzo o che non hanno dato buona prova di sé. In ogni caso materiali che per l’uso che ne è stato fatto o per la loro lavorazione non sono riconoscibili come diversi da quelli che si possono mettere in opera oggi nell’intervento sull’edificio.

1.3 Conclusioni

L’area si presta ad ulteriori approfondimenti su questo tema poiché oltre alle presenze storiche è costellata di edifici del secolo breve, precedenti cioè alla prima guerra mondiale, successivi ad essa e propri dell’epoca della ricostruzione,

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