Politecnico di Milano
Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni
Corso di Laurea Magistrale in Architettura
L’area di Porta Venezia e le sue potenzialità
Relatore: Maria Vittoria Capitanucci
Studente: Daria Zamproni
matricola: 815677
INDICE
L’area di Porta Venezia e le sue potenzialità
Premessa generale
I. ANALISI STORICA p.5 Premessa
Le trasformazioni delle mura: da Mediolanum alla Milano spagnola
Capitolo. 1 p.9 Le trasformazioni della Milano fortificata nel Settecento
1.1 Milano durante la prima dominazione austriaca 1.2 Il periodo di fine Settecento inizio Ottocento a Milano 1.3 Il ritorno dei francesi
Capitolo. 2 p.13 Le trasformazioni della Milano fortificata nell’Ottocento
2.1 Il periodo della restaurazione. Seconda dominazione austriaca 2.2 L’età unitaria e post-unitaria
Capitolo. 3 p.16 I Bastioni di Porta Venezia nel Settecento
3.1 La Chiesa, l’Abbazia e l’Ospedale di S. Dionigi (poi monastero delle Carcanine) 3.2 Il Lazzaretto
3.3 I Giardini Pubblici
3.4 I Boschetti e l’ampliamento dei giardini
3.5 I Bastioni di Porta Orientale da fortificazione a pubblico passaggio
Capitolo. 4 p.24 I Bastioni di Porta Venezia nell’Ottocento
4.1 I Caselli daziari di Porta Venezia
4.2 Il progetto di ampliamento dei giardini pubblici ad opera del Balzaretto 4.3 La Stazione Centrale e la modifica del Bastione
4.4 L’Esposizione Nazionale del 1881 e il progetto di Emilio Alemagna 4.5 Il Piano Beruto
Capitolo. 5 p.31 I Bastioni nel Novecento
5.1 Inquadramento urbanistico nei primi decenni del secolo 5.2 Altri piani di sviluppo della città di Milano
5.3 Il Cavo Redefossi
5.4 Sistemazione del Bastione e viale Venezia
e demolizione di una parte del Bastione di P.ta Venezia 5.5 La pianificazione post-bellica
Il piano regolatore del 1953: caratteristiche del nuovo piano
II. ANALISI DEGLI ASPETTI SOCIOLOGICI DEL QUARTIERE p.38 Premessa
Capitolo. 1 p.38 Il quartiere come area complessa di analisi
1.1 La dimensione di quartiere nella città contemporanea 1.2 Le specificità dei quartieri periferia nella città
1.3 L’effetto quartiere
Capitolo. 2 p.41 Le traiettorie dei quartieri milanesi
2.1 Dinamiche generali di trasformazione della città 2.2 Traiettorie discendenti
2.3 Traiettorie stabili 2.4 Traiettorie ascendenti
Capitolo. 3 p.43 3.1 Senso d’insicurezza e vulnerabilità sociale nel quartiere
3.2 Abitare tra incertezza e senso di abbandono
III. IL QUARTIERE DI PORTA VENEZIA p.50 Premessa
Capitolo. 1 p.50 Il tessuto urbano e la questione abitativa
Capitolo. 2 p.51 Il tessuto socio-economico
Capitolo. 3 p.54 La questione della sicurezza
Capitolo. 4 p.56 Il problema dell’integrazione
IV. Dall’iniziativa del FAI “Albergo Diurno Venezia: storia, architettura e memoria nel sottosuolo di Milano” ad ulteriori possibili prospettive per l’area Porta Venezia p.59 Premessa
Per un nuovo ruolo di (quale ruolo) ‘Porta Orientale’ nelle dinamiche della città contemporanea
Capitolo. 1 p.59 1.1 Una nuova vita per il Diurno Venezia?
1.2 Il tema del restauro del moderno
[con sottoinsiemi: _ Il «restauro del moderno»: affrontare il tema _ Moderno e non moderno
_ Il moderno e la storiografia
_ Il moderno e la pratica del restauro] 1.3 Conclusioni
Capitolo. 2 p.66 Proposta per la Casa-albergo di Luigi Moretti in via Lazzaretto
2.1 Identificazione di un secondo polo possibile per l’area nell’edificio della ex casa-albergo di Luigi Moretti
2.1.1 Il contesto storico-culturale del dopoguerra milanese 2.1.2 Moretti a Milano
2.1.3 La casa-albergo di via Zarotto/Lazzaretto
- Le case-albergo [con esperienze analoghe, e confronto con alcune esperienze milanesi] - Caratteristiche generali delle tre case-albergo realizzate
- La casa-albergo di via Lazzaretto
Parte I.
Analisi storica del quartiere di Porta Venezia
Premessa
Le trasformazioni delle mura: Da Mediolanum alla Milano spagnola
Alle origini Milano1 era un piccolo villaggio gallo-celtico, che si sviluppò come centro di scambi assumendo quasi certamente una forma poligonale monocentrica2. I vari ritrovamenti hanno confermato una continuità
d’insediamento dall’età gallica a quella romana, fino ad ora solo ipotizzata. Tale continuità è confermata dalla persistenza di tecniche edilizie locali3, anche nella prima età imperiale.
Milano, tra il IV e il II secolo a.C., subì una graduale penetrazione culturale romana che incise sulla società locale dalla metà del I sec. A.C. in poi.
Nel 222 a.C. M. Claudio Marcello affrontò gli Insubri4, che popolavano l’Italia settentrionale,
sconfiggendoli nella battaglia di Clastidium (Casteggio). In seguito egli occupò Mediolanum5.
Per Roma, Milano era un importante “nodo militare e di traffico già in età cesariana”. In particolare nella prima età augustea, Milano ocquistò il ruolo di collegamento con il mondo transalpino.
Nei primi due secoli d.C., Mediolanum non fu coinvolta da eventi storici importanti. È solo nella seconda metà del III sec. D.C. che la città acquista un’importanza strategica durante le prime invasioni dal nord degli Alamanni.
Nel suburbio sud-occidentale di Mediolanum, dove poi, alla fine del IV sec., il Vescovo Ambrogio fece edificare la sua basilica, venne situata la necropoli nel II sec. d.C.. Il ritrovamento di questo sito, ha documentato le varie fasi insediative della città antica e soprattutto di una fascia suburbana sviluppatasi poco dopo la costruzione della prima cinta muraria di Mediolanum intorno alla metà o seconda metà del I sec. a.C.6
1 Il nome latino della città, Mediolanum, suggerisce di vedervi un composto del latino medio ‘in mezzo’ e del
celtico lau (n) o ‘piano, pianura’ e anche ‘luuogo consacrato’, in Il nuovo Zingarelli, vocabolario della lingua italiana, di Nicola Zanichelli, 1987, Bologna.
2 AA.VV., Enciclopedia Europea, ed. Garzanti, vol.7 .
3 Fondazioni su trincee in limo e ghiaia e muri in terra e legno. Gemma Sena Chiesa, Così nacque Milano, in
“Archeo” n.11, 1993.
4 “Antica popolazione celtica, originaria della Gallia Transalpina, stanziatasi nell’Italia settentrionale (…)”, In
AA.VV. Enciclopedia Europea, ed Garzanti, vol. 6.
5 M. A. Levi, P. Meloni, Storia Romana dagli Etruschi a Teodosio, ed. Cisalpino-‐Goliardica, Milano, Varese. 6 Gemma Sena Chiesa, Così nacque Milano, in “Archeo” n.11, 1993.
In età tetrarchica sotto Massimiano Imperatore d’Occidente, Milano diventò capitale dell’impero. In questo periodo vennero eseguite molte opere architettoniche e urbanistiche per migliorare la città.7 Le principali
trasformazioni urbane furono l’“addizione Erculea” di nuovi quartieri e l’allargamento delle mura di Milano. Alla prima cerchia muraria citata, se ne aggiunge una seconda che ampliò la città ad Est ed Ovest8.
Al IV sec. d.C. risalgono le costruzioni della grande basilica di S. Tecla, S. Lorenzo e S. Giovanni in Conca, all’interno delle mura nel centro della città.
Al tempo dell’episcopato di Ambrogio (374-397) vennero fondate, in aree suburbane, lungo le grandi strade che si irradiavano dalla città, la Basilica Apostolorum (S. Nazzaro), la basilica Virginum (S. Sempliciano), la basilica Martirum (S. AMbrogio) e la basilica di S. Salvatore (S. Dionigi ora scomparsa)9. Le orde barbariche che minacciavano l’impero non risparmiarono la città di Milano, che nel 452 d.C. venne saccheggiata e incendiata dagli Unni guidati da Attila. In seguito si susseguirono altre devastazioni; nel 539 i Goti di Uraia, che segnarono il declino della città destinato a durare per diversi secoli.
La ripresa di Milano fu lenta, dovuta soprattutto alla forte personalità dei suoi vescovi. Ansperto da Biassono (869-881), vescovo di Milano, fece costruire le nuove mura, corrispondenti alla cerchia dei Navigli. Non furono ver e proprie mura, e non sostituirono le mura romane, che continuarono a svolgere la loro funzione di difesa. Queste ultime avevano retto alle distruzioni barbariche e furono restaurate e rinforzate dal vescovo Ansperto10.
Nel libro dello Stocchi viene descritta la nuova cerchia di difesa: “(…) fu una prima linea di difesa all’esterno di quella romana e fu probabilmente costituita da un fossato con un semplice terrapieno, o terraggio, innalzato con gli sterri del fossato stesso. Poco più di un argine dunque; ma al di là del suo valore difensivo, la nuova cerchia dava un diverso assetto alla città, inglobando i borghi cresciuti fuori le mura e promuovendoli a nuovi quartieri urbani. I borghi erano cresciuti attorno alle prime basiliche (…)”11
Nel periodo medievale Milano, all’interno delle sue mura, era suddivisa in sei rioni chiamati “sestieri”, i quali corrispondevano alle porte storiche: Romana, Ticinese, Vercellina, Comasina, Nuova, Orientale. Nell’attuale piazza del duomo erano concentrati il Broletto, sede del Comune, il Vescovado, due cattedrali e il Battistero. Anche le attività commerciali e artigianali si svolgevano nel centro della città.
Oltre le mura romane erano sorti molti borghi in prossimità delle porte della città (Borgo Nuovo, Borgo Spesso, Borgo di Santo Spirito, Borgo di S, Eufemia, ecc.). Questi piccoli nuclei che ruotavano intorno alla città vennero inglobati ad essa, quando si fortificarono le nuove mura di terraggio volute dal vescovo Ansperto. L’espansione di Milano fu caratterizzata da ampliamenti concentrici, e da vie radiali in direzione delle più importanti città (per Roma, per Pavia, per Vercelli, per Como, ecc.). La nuova ubicazione delle mura fortificate modificò, di conseguenza, le porte della città che vennero costruite all’altezza di esse. Porta Nuova in epoca romana aveva già subitpo uno spostamento da Piazza della Scala a metà via Manzoni, in epoca medievale passò al termine di via Manzoni nell’attuale posizione12.
7 Le Terme Erculee furono uno dei maggiori monumenti di questo periodo e il Circus, luogo per le corse dei carri,
bighe o quadrighe. In Le Mura di Milano, di S. Stocchi, Milano, 1984.
8 Per dare un0idea della proporzione è da tener presente che la cerchia ampliata era interna rispetto alla cerchia
dei navigli. “(…) la pianta della città resa più ampia da una duplice cinta muraria (…)“, in Milano come centro di cultura nel tardo IV sec. d.C., a cura di I. Gualandri, Cusl, !992.
9 AA.VV., Enciclopedia Europea, ed. Garzanti, vol.7. 10 “Torre di Ansperto” si trova oggi in S. Maurizio. 11 S. Stocchi, Milano e le sue Mura, Milano 1984. 12 E così anche le altre porte vennero spostate.
Nel Medioevo Milano progredì come potenza politica ed economica, e la necessità di migliorare la sua difesa fu inevitabile. Le mura vennero nuovamente fortificate sotto la direzione di Guintellino nel 1152-1156. I terrapieni furono alzati e consolidati, le porte furono costituite da due archi con i rispettivi ponti levatoi per poter passare il fossato e da due torri ai lati. Le pusterle erano invece delle porte minori, con un solo arco ed una sola torre (ad eccezione della pusterla si S. Ambrogio, strutturata come una porta principale).
Per Milano si presentò una nuova minaccia, quando Federico Barbarossa scese in Italia con l’intento di espandere l’Impero Germanico. La città fu assediata nel 1158, e costretta alla resa; assediata una seconda volta nel 1161-1162, fu poi distrutta13.
Questo fu uno dei momenti storici più drammatici di Milano che dovette ricostruire rapidamente le sue mura di difesa per evitare nuove incursioni nemiche. Nel 1171 circa, furono riedificate le mura di Milano dal maestro Gerardo da Mastegnanega.
Nel XIV sec. la famiglia dei Visconti governò a Milano. Azzone Visconti fu il primo rinnovatore della sua famiglia, il quale iniziò la costruzione di molti monumenti importanti. Le prime opere pubbliche furono le mura che raggiunsero l’assetto definitivo. Queste vennero rivestite interamente in pietra e mattone, sopra il vecchio terrapieno. Le porte e pusterle furono fortificate, entro le torri di guardia mancanti e decorate con sculture rappresentanti la Vergine e i Santi patroni della città, come quelli ancora visibili a Porta Ticinese e alla pusterla di S. Ambrogio.
La cerchia dei navigli che scorreva attorno alle mura della città, fungeva da cintura difensiva come comoda via d’acqua, che collegava le sei porte urbiche con le dieci pusterle e consentiva gli scambi di merci tra i vari rioni. A sud di Porta Ticinese si apriva la Darsena del Naviglio Grande, proveniente dal Ticino; barconi carichi di derrate agricole, chiatte di ghiaia, sabbia, marmi, pietre ed altri materiali per l’edilizia raggiungevano Milano per vie d’acqua.
FUOri le mura di Milano, già al tempo di Galeazzo II (1354-1378), l’aumento di costruzioni era tale che si costruì una cerchia di difesa esterna: il Redefossi, un semplice fossato col relativo terraggio. Il tracciato era concentrico alle mura di Azzone ed anticipava le futura mura spagnole. L’assetto urbano della città era costituito da un fitto nucleo di case all’interno della cerchia dei Navigli, ed una fascia esterna tra i Navigli e il Redefossi, dove vasti terreni occupati da orti e colture si alternavano all’abitato. Questo era caratterizzato soprattutto da monasteri, da borghi, da chiese extramurarie più antiche e da altre nuove costruzioni.
La famiglia dei Visconti perse il suo potere con la morte di Filippo Maria Visconti nel 1447 e, dopo un breve periodo di anarchia, Milano accolse Francesco Sforza (1450-1466) come nuovo signore della città. Egli alloggiò, in un primo momento, nel palazzo del Broletto vecchio con la moglie Bianca Maria, figlia di Filippo Maria Visconti.
Il Duca si impegnò nella ricostruzione del Castello che era stato distrutto durante il periodo della Repubblica Ambrosiana.
Il Castello non doveva essere più considerato il simbolo dell’oppressione, ma elemento di difesa e protezione per il popolo oltre ad essere, in seconda valenza, monumento di decoro e abbellimento della città. Per questi motivi il Castello fu ideato verso la campagna con un fronte ben fortificato, con un ampio fossato, con baluardi e robuste mura; il fronte verso la città, invece, doveva essere armonioso ed espressione della magnificenza della nuova dinastia e rappresentare la loro reggia.
Per l’opera di ricostruzione il duca incaricò i più importanti architetti fiorentini tra cui il Filarete, il quale partecipò anche alla costruzione della Ca’ Granda.
Al primogenito di Francesco Sforza, Galeazzo Maria (1466-1476) successe Ludovico il Moro (1480-1499) secondogenito, il quale si impadronì del potere destinato al nipote Gian Galeazzo.
13 Federico Barbarossa fu sconfitto a Legnano dalla Lega Lombarda nel 1176. AA.VV., Enciclopedia Europea, ed.
Il nuovo Signore propose un modello di “buon governo”, sia per opportunità politica, sia perché egli apprezzava le arti, la musica, la poesia, ed amava circondarsi dai migliori artisti e scienziati14.
Nel 1488 infuriò un’epidemia di peste (durò fino al 1489 e fece 137.000 vittime). Fu sicuramente l’emergenza ad accelerare la decisione di costruire il Lazzaretto, luogo di ricovero per le persone infette. La scelta di un terreno fuori Porta Orientale dove situare l’edificio si fondava su due ragioni: “i venti dominanti non soffiavano da quella parte verso la città; il morbus giungeva a Milano prevalentemente da Venezia e quindi dall’Oriente”15. Il direttore dei lavori fu Lazzaro Palazzi fino al 1507, anno della sua morte.
Verso la fine del secolo XV, i francesi, che in un primo momento erano alleati con Ludovico il Moro contro gli aragonesi di Napoli, non esitarono a cambiare i loro rapporti nei confronti del Duca. Nel 1499 entrarono in Milano da conquistatori e il Moro fu imprigionato in Francia, dove morì.
Gli anni che seguirono furono caratterizzati da governi instabili , soprattutto, i figli di Ludovico il Moro, Massimiliano e Francesco II, non furono in grado di difendere il Ducato dalla dominazione straniera, così che francesi e spagnoli si susseguirono per lungo tempo.
La necessità di una nuova fortificazione intorno a Milano risaliva agli anni in cui il maresciallo Lautrec16 era stato nominato governatore del ducato di Milano da Francesco I re di Francia nel 1516. Egli, trovandosi coinvolto in un assalto dell’esercito spagnolo e da altri alleati di Francesco II Sforza, decise che fosse opportuno eseguire una fortificazione più sicura. Affidò l’incarico ad un ingegnere francese M. de Causeux, che era governatore di Lecco. Il progetto non fu realizzato, ma si erano iniziati alcuni studi e rilevate le eventuali distanze da eseguire per l’opera17.
Quando, nel 1535, Francesco II Sforza morì senza lasciare eredi, la situazione politica di Milano era già sotto la tutela degli Asburgo di Carlo V. Durante la dominazione spagnola Milano vide succedersi molti governatori i quali regnarono mediamente per tre anni.
Don Ferrante Gonzaga fu il primo dei governatori spagnoli che governò per nove anni (1546-1555) lasciando una traccia importante per la città: la costruzione delle mura spagnole la cui realizzazione richiese molte demolizioni18.
Milano era circondata da nemici ed inoltre le tecniche di combattimento erano profondamente cambiate; non si utilizzavano più armi come spade o lance, le quali vennero sostituite dai cannono.
La progettazione della nuova cinta difensiva, circondata da un fossato alto 7m, doveva essere altra 22m a forte scarpata, con bastioni e baluardi: occorreva racchiudere il Castello Sforzesco entro una cerchia più ampia esterna, a pianta stellare, bastionata.
La costruzione delle mura fu iniziata il 22 marzo 1549 e terminata in dieci anni dal progettista toscano Domenico Giunti da Prato, detto Giuntallodi e dal suo collaboratore e direttore dei lavori, il milanese Gian Maria Olgiati.
Furono aggiunte altre cinque porte: Tosa, Vigentina, Ludovica, Portello e Tenaglia.
14 IL Moro ospitò molti personaggi importanti come Leonardo da Vinci e Bramante. 15 L. Patetta, L’architettura del quattrocento a Milano, Milano, 1987.
16 Maresciallo di Francia dal 1511. Governatore di Milano, dovette evacuare durante la sconfitta della Bicocca il
27 aprile 1522 (…). AA.VV., Enciclopedia Europea, ed. Garzanti, vol.6.
17 Archivio Storico lombardo Giornale, Progetto, per la costruzione di una mura itorno a Milano 1521, Milano,
libreria Ed. G. Brignola, 1877.
18 Nella parte Nord-‐Orientale, dove poi sorsereo i Giardini Pubblici, venne demolita una parte della chiesa di S.
Dionigi, per far posto alla nuova cerchia dei Bastioni spagnoli e totalmente atterrata 1789, per l’ampliamento dei Giardini Pubblici. I Bastioni vennero costruiti nel 1548 su disegno di Gian Maria Olgiati. In L. Beltrami, Relazione di Don Ferrante Gonzaga Governatore di Milano inviata all’Imperatore Carlo V, Milano, 1897.
IL tracciato delle mura spagnole è ancora oggi riconoscibile e può essere identificato con il confine tra la città ottocentesca e gli odierni quartieri19.
1. Le trasformazioni della Milano fortificata nel Settecento Milano durante la prima dominazione austriaca
Milano, nel 1711, dopo due secoli di dominazione spagnola, passò agli Asburgo d’Austria20.
L’eredità lasciata dalla dominazione spagnola consisteva in una città con il ruolo di fortezza, ma proprio questo ruolo determinò la decadenza economica, politica e sociale di Milano. Infatti gli unici interventi di carattere urbano operati dal governo spagnolo furono quelli a finalità militari. Inoltre la gestione dell’amministrazione pubblica era frazionata, divisa in diverse sedi non collegate tra loro; non c’era un organo centrale che coordinasse e gestisse i servizi pubblici. Questi erano i motivi principali che avevano contribuito a creare disagi e il degrado della città.
La prima dominazione austriaca durò fino al 1796, fu definita con un termine molto diffuso all’epoca: “dispotismo illuminato”21 e introdusse notevoli riforme in campo fiscale, economico, politico e urbanistico. Importante, tra le riforme, la formazione di un nuovo catasto per la Lombardia voluta dall’Imperatore Carlo VI nel 1722, per risolvere la situazione di disordine esistente in questo settore. Il primo catasto era stato elaborato durante la dominazione spagnola per volere di Carlo V. La sua redazione era iniziata nel 1543, ma le rilevazioni non divennero operative a causa delle già citate inefficienze del sistema amministrativo spagnolo22.
Il Catasto Carlo Vi venne completato dalla figlia dell’imperatore Maria Teresa ed entrò in vigore nel 176023. Esso si compone di 2377 mappe redatte tra il 1721 e il 1724 e rilevate da ingegneri che utilizzarono le più avanzate tecniche di misurazione.
Questo sistema di censimento delle proprietà consentiva un ulteriore vantaggio per chi regnava24, il quale era in grado di conoscere per poi intervenire sul territorio.
19 S.Stocchi, Milano e le sue Mura, Milano, 1984.
20 L’Austria partecipa alla guerra di successione spagnola. Nel 1713 si raggiunge l’accordo di Utrecht, in cui si
spartiscono i domini spagnoli: Milano, Napoli e le Fiandre sono assegnate alll’Austria. Nel 1711 Carlo Vi diventa imperatore. Cfr. desideri, Storia e storiografia, vol.II, Casa Ed. d’Anna, 1981.
21 Questo tipo di “assolutismo illuminato” opera riforme di ordine burocratico e politico, come diretta
derivazione delle idee umanitarie che si affermano nel XVIII sec. Si formano così i grandi “regni illuminati” nei quali si governa secondo una nuova soluzione di potere, basata sui “lumi della Ragione”, definita “Rivoluzione dall’alto” mediante la quale, pur non prescindendo da auto centrismo e assolutismo, si realizzano importanti progressi nell’ordine sociale, nelle riforme giudiziarie, nel diritto, nell’istituzione e nella politica sia interna che esterna. Cfr. Desideri, op., cit.
22 Cfr. E. Turba, Catasto e territorio, Clup, Milano, 1988.
23 Forti cambiamenti vengono apportati dal Catasto Teresiano nella rappresentazione grafica degli immobili,
separando i corpi di fabbrica dai cortili. L’organizzazione fiscale si rileva perfetta, anche se molto dura, nell’ottica di favorire il reddito, e cioè chi ottiene produzioni superiori, rendendo onerosi i latifondi mai sfruttati. Preciso e aggiornato il Catasto in collegamento con l’Archivio Notarile e la Conservatoria delle Ipoteche appena riformata, diviene probatorio agli effetti della proprietà. Cfr. E. Turba, op. cit.
Una conseguenza a questo tipo di controllo territoriale fu la soppressione degli ordini ed enti religiosi “non utili” alla società per alimentare i servizi pubblici. In questo modo l’Amministrazione si impossessò tramite indennizzi, di una quantità di terreni ed edifici che in parte occupò per installarvi i propri servizi25 e in parte vendette ai privati, operando così un’importante manovra economica che permetteva di rimpinguare le Casse dello Stato.
I risultati furono rivolti verso un processori sviluppo politico e culturale che coinvolse l’iniziativa pubblica e privata nell’intento di uno sviluppo urbano più ordinato e civile.
Con l’introduzione di un nuovo sistema fiscale si era cercato di rilanciare e promuovere maggior produttività, incentivando il reddito e penalizzando la rendita fondiaria, anziché accumulare denaro, come era in uso nel sistema spagnolo.
La città fu rivalorizzata e risanata seguendo una corretta progettazione dei suoi elementi: ciò però non significò la formazione di un piano generale.
Alcune riforme intraprese dal governo austriaco, quali censimento, catasto, e soppressioni, furono strumenti di controllo del territorio che non ostacolarono la realizzazione di un piano viario della città. L’impianto stradale milanese ereditato dal ‘500 e dal ‘600 era disordinato e caotico, e per il suo controllo, già nel 1541, si era istituita la figura del giudice delle strade con duplice funzione amministrativo-giudiziaria e competente di manutenzione delle strade. Questa figura era spesso affiancata da un ingegnere della città che si occupava degli aspetti più tecnici. La figura del giudice venne abolita nel 1786 e le mansioni assunte da un delegato provinciale per le strade.
Grazie a Francesco D’ADDA furono approvati dal 13 febbraio 1777 diversi decreti, in attesa del nuovo Piano Stradale della città e delle province dello Stato. I disegni dovevano essere approvati da un architetto e dal giudice delle strade.
Il 30 marzo 1778 furono sostituiti alcuni articoli che stabilirono la classificazione delle strade, i metodi per la conservazione delle strade interne della città e una somma annua da impiegarsi “nella polizia e nell’omato” di Milano.
Nel 1786 si cominciò a numerare le case e a intitolare le strade, nel 1788 a illuminare con lampade a olio. Per la realizzazione di molte opere che coinvolsero alcune aree di Milano, lo Stato incaricò a seconda dei casi, o Commissioni di cavalieri delegati dal Tribunale di Provvisioni o Architetti o Ingegneri o dipendenti pubblici.
L’architetto più importante fu Giuseppe Piermarini, nominato “Architetto di Stato” nel 1770, il quale doveva sovraintendere alle numerose attività edilizie e urbanistiche.
24 Maria Teresa d’Asburgo e suo figlio Giuseppe II rappresentano due esempi significativi dell’”Assolutismo
illuminato”. Maria Teresa eredita i poteri da Carlo Vi nel 1740 e regnerà da sola fino al 1765, quando le si affiancherà il figlio fino al 1780. Cfr. Desideri, op. cit.
25 Tra gli esempi più significativi si può citare la collocazione dela Pretura, dell’Ufficio del Censo, dell’archivio di
stato negli uffici di S. Fedele e S. Marghrita, posizionati nell’area più centrale della città; in S. Maria delle Grazie furono collocate le Scole Normali; in s. Pietro in Gessate l’Orfanotrofio; Brera venne trasformata in Accademia di Belle Arti e le venne annesso l?osservatorio Astronomico e l’Orto Botanico; il Monte di Piètà venne posto al convento di S. Maria in Aurora; la costruzione dei Giardini Pubblici, la sistemazione a passeggio dei Bastioni di Porta Orientale e di Strada Marina attuata grazie all’esproprio dei monasteri di S. Dionigi e delle Carcanine; la soppressione del monastero di S. Redegonda permette l’aspertura di un collegamento fra il polo di piazza del Duomo e di piazza del Teatro della Scala, sorto sulla chiesa di S. Maria della Scala su progetto di Piermarini; la soppressione del convento delle Canobiane permette la realizzazione del secondo teatro per importanza e le Regie Poste. Cfr. G. Ricci, Milano per il decoro della città. Appunti di microurbanistica, in Piermarini e il suo tempo, Electa, Milano, 1983.
In questo periodo iniziò l’opera aulica della Milano austriaca con l’avvento dell’Arciduca Ferdinando e il suo matrimonio con Beatrice d’Este26. Il governo austriaco curò in modo particolare l’immagine della città
perché da essa trasparisse il suo potere assoluto. Lostile architettonico neoclassico, che lo stesso Piermarini realizzò in molti suoi progetti27, fu ritenuto il più adatto ad esprimere floridezza, rigore, magniloquenza. Il Piermarini fu interpellato per la realizzazione di un Orto Botanico sul terreno situato nel Palazzo dei Gesuiti già adibito alla coltivazione degli ortaggi ed erbe officinali. La decisione di dar vita ad un Orto Botanico fu presa da Maria Teresa d’Austria nell’ottica sì di istruire gli studenti speziali nella Botanica Officinale, ma soprattutto di dimostrare la potenza austriaca all’esterno e di diffondere la cultura secondo i canoni del tempo.
Piermarini disegnò nel 1775 le serre dell’Orto Botanico di Brera. L’architetto continuerà a partecipare all’opera di diffusione della cultura e di attenzione allo sviluppo e al miglioramento del territorio urbano progettando l’Accademia delle Belle Arti di Brera (1776) e i Giardini Pubblici (1783).
Altro progetto del Piermarini di carattere urbanistico28 fu il disegno della Cavalchina29 (1770) che non fu mai realizzato; fu da questo progetto che iniziò il processo di rielaborazione dell’intera zona di Porta Orientale.
Gli interventi che interessarono la zona di Porta Orientale, settore di città esteso quanto l’area occupata dal Castello, riqualificarono il quartiere divenendo centro di prestigio, di residenze rappresentative e anche luogo di ricreazione per il tempo libero: la via Marina e il tratto di Bastioni erano divenuti il luogo preferito delle passeggiate e dello svago dell’intera popolazione. Determinante fu la scielta di stabilire il Consiglio di Governo proprio in questa zona, nella quale, non a caso, si trovava l’ingresso da Vienna nella città.
Molto importante per la città di Milano fu la formazione nel 1781 del Comune dei Corpi Santi: anello di terreno, oltre le mura bastionate, caratterizzato dalla presenza di ortaglie, piccoli borghi e terreni coltivati. Sempre nel 1781 fu compilato il primo Regolamento d’Igiene della città che proibiva di installare filande e concerie entro la cerchia dei Navigli, si limitava così la possibilità di coltivare orti nella città. Fu proibito di coltivare risaie entro un raggio di 4 miglia dalle mura della città, tenere prati a marcita e coltivare bachi da seta entro i bastioni30.
Il periodo di fine Settecento inizio Ottocento a Milano
26 Parini descrive il tratto dei Bastioni di Porta Orientale e di Porta Nuova durante i festeggiamenti delle nozze
dell’Arciduca Ferdinando con Beatrice d’Este che impegnarono la città dal 14 ottobre al 3 novembre 1771: “questa parte della città è veramente più amena e quella che gode dell’aria più salubre. L’ampiezza del luogo vi appresta tutto il comodo immaginabile a qualunque folla straordinaria di carrozze e di popolo e l’elevatezza di quello presenta un assai e vasto piacevole orizzonte. Da un lato vi domina la pianura vasta, il giro delle non molto distanti colline e finalmente l’alta catena dei nostri monti a fronte di gran parte delle lontane Alpi e dall’altro uno dei migliori aspetti della città. Si sale da questa insensibilmente alle mura e nell’ora del passeggio scopresi la bellissima pompa dell’innumersabile quantità di carrozz quivi schierate e di popolo che si sta divertendo.”, in G. Parini, Descrizione delle feste celebrate per le nozze del L.L.A.A.R.R. l’anno delle medesime nozze MDCCCLXXI, Milano, 1825.
27 La Zecca di Stato (1778-‐80); Regie Poste; Teatro alla Scala (1776-‐78); Casa di Correzione (1771-‐77); erezione
del dazio di Porta Orientale (1787-‐94), ecc. Cfr. C. A. Vianello, Il settecento milanese, Milano, 1934.
28 Il Piermarini realizzò anche la piazza davanti al Palazzo Reale, piazza Fontana e il restauro del Verziere (1775). 29 Nella progettazione di un nuovo palazzo di corte nel settore della Cavalchina la preoccupazione dell’architetto
di saldare con il tessuto preesistente anticipa certe soluzioni realizzate molto più tardi, come lo snodo dei Boschetti, il moodo di articolare i Giardini Pubblici, gli interventi sul complesso del Collegio Elvetico, la sistemazione dei Bastioni, il complesso della Villa Belgioioso. Cfr. G. Ricci, op. cit.
La fine del XVIII sec. fu caratterizzata da avvenimenti politici molto importanti che influenzarono molti stati europei e soprattutto il Nord Italia. Con l’ingresso da Porta Roman delle truppe di Napoleone a Milano 15 maggio 1796, ebbe inizio il primo periodo di dominazione francese.
Napoleone si propose di contrastare la potenza austiaca nella penisola, formando una Repubblica fra il Po, l’Adriatico e gli Appennini. Il 9 luglio 1797 costituì la Repubblica Cisalpina.
L’arrivo dei francesi sembrò “liberare” la città di Milano dall’oppressione straniera e, per manifestare questa “liberazione”, si adottarono vari strumenti di propaganda abolendo tutti quelli della precedente dominazione. Uno di questi strumenti fu l’adozione del calendario rivoluzionario francese.
Nel 1799 ci fu un breve ritorno degli austriaci, ma immediata fu la riconquista francese nel giugno del 1800.
Il ritorno dei francesi a Milano
Dopo il breve intermezzo dell’occupazione austro-russa (circa 1 anno), nel giugno del 1800 i francesi rioccuparono Milano che diventò Capitale del nuovo Stato napoleonico: il Regno d’Italia (1805-14). Questo periodo fu caratterizzato da nuovi interventi sul tessuto urbano che si concentrarono nella zona Nord-Ovest di Milano in direzione di Parigi. Nel 1797 fu costruita la strada Milano-Parigi, attraverso il valico del Sempione, inaugurato nel 1806. La Parigi-Milano era una direttrice simbolica, che doveva determinare la nuova espansione della città. Questo era accaduto già in epoca austriaca, quando si privilegiò la zona di Porta Orientale dalla quale partiva lo stradone di Loreto in direzione Milano-Vienna.
Uno dei primi progetti finalizzati alla modificazione del tessuto urbano della città fu quello della demolizione delle fortificazioni “a stella” attorno al Castello e la conseguente discussione sul nuovo utilizzao dell’area. A tale proposito vennero presentati alcuni progetti trai quali quelli elaborati rispettivamente da Giovanni Antolini31 e da Luigi Canonica-Giuseppe Pistocchi.
Il primo (1801) prevedeva la realizzazione del foro Bonaparte, un centro polifunzionale di servizi per la città a struttura anulare con un diametro di circa 800m. Lungo il perimetro sarebbero stati realizzati 14 edifici collegati tra loro da portici con botteghe: 8 edifici destinati a scuola, gli altri 6 ad accogliere la Borsa, la Dogana, il Pantheon, le Terme, il Teatro e il Museo. L’ingresso doveva essere costituito da Propilei rivolti verso il Sempione. Nel progetto erano compresi non solo servizi amministrativi, ma anche scambi merci con l’utilizzazione del Naviglio come strada di servizio delle merci dirette a Nord-Ovest. La zona del castello sarebbe stata destinata a sede del potere centrale; Antolini intendeva infatti intervenire sulla struttura della città, sostituendo al monocentrismo medievale un nuovo polo esterno al vecchio complesso urbano. Napoleone rifiutò tale progetto considerandolo troppo grandioso.
Nel secondo progetto (1802) era previsto, a differenza del precedente, un utilizzo dell’area del Castello a scopi prevalentemente residenziali; una grande piazza erbosa situata a nord sarebbe stata adibita a pubbliche manifestazioni. Quest’ultimo piano, in opposizione al primo, rispecchiava i bisogni di una borghesia tesa alla ricerca di un proprio spazio nella città.
Anche questo piano non fu effettuato, ma al Canonica fu affidato il compito di sistemare le aree circostanti il Castello, compito che portò a termine con la realizzazione della Piazza d’Armi e dell’Arena, costruita utilizzando materiale di recupero proveniente dalla demolizione degli spalti del Castello. Questo sarà l’unico grande monumento napoleonico eretto in quegli anni. Degne di nota, in questo periodo, le realizzazioni dell’Arco Sempione (detto della Pace) e di Porta Tiicinese, progettate dal Cagnola e quella di Porta Nuova su progetto dello Zanoja.
Il governo napoleonico bandì un concorso per la progettazione di un orto botanico e un luogo protetto dove mostrare animali.
Tra gli architetti partecipanti al concorso: il Canonica, lo Zanoja e il Cagnola. Furono presentati due progetti: uno del Cagnola, scelto poi dal Vicere, e l’altro del Canonica in collaborazione con lo Zanoja. Tra le proposte mai realizzati in questi anni, l’istituzione del piano urbanistico che avrebbe dovuto regolare le trasformazioni della città e nel 1806 la stesura del Piano Regolatore da parte della Commissione di Ornato. Il piano definito dei “rettifili” era sostanzialmente basato su un’idea di sviluppo centripeto, cioè uno sviluppo che focalizzava il nucleo antico della città come luogo privilegiato a cui riferirsi. Inoltre il piano doveva uniformare l’immagine della città, l’esempio più significativo fu la creazione del nuovo stradone di Loreto.
Questo nuovo stradone (gli attuali Corso Venezia e Corso Buenos Aires) era “ingombrato” dai Portoni del Piermarini che toglievano ampiezza e regolarità al corso. Vennero eseguiti vari disegnoi del viale Loreto che dimostravano come non fosse possibile creare un solo rettifilo dal Leone al Dazio senza un indecente atterramento delle case. La proposta dell’Ing. Krenlzin fu quella di tracciare la mezzeria del Corso in tre linee spezzate, tenendo come margini il fronte dei fabbricati esistenti in modo da avere una continuità con la casa Castiglioni e mantenere una larghezza uguale al tratto di fronte alla casa Serbelloni.
L’allineamento dei caseggiati srebbe sttato controllato dalla Direzione Generale delle Acque e Strade, ente fondsto dal governo napoleonico il 7 giugno 1805 sul modello parigino del “Corps des Ponts et Chaussées”32 .
In definitiva il periodo napoleonico si rivelò una fase di grandi idee tese alla sistemazione globale della città in netta opposizione con le precedenti più attente al decoro della città e ai bisogni di una nobiltà che, risiedendo in alcune zone della città, riservava soltanto a queste attenzione e importanza.
2. Le trasformazioni della Milano fortificata nell’Ottocento Il periodo della restaurazione. Seconda dominazione austriaca
La caduta di Napoleone determinò il crollo del Regno d’Italia e la Lombardia entrò a far parte, nel 1815, del Regno Lombardo-Veneto, integrato nell’Impero Asburgico33.
Iniziò così a Milano l’epoca storica chiamata Restaurazione, nel Settecento la dominazione austriaca si era dimostrata un buon governo e nonostante tutto lo fu ancora. Dal 1814 al 1859, anno della sconfitta austriaca a Magenta, vi furono vari moti insurrezionali e in particolare la rivoluzione del ’48, ma nel bilancio di questo periodo non vanno messe in conto solo le famose Cinque Giornate, ma anche i molti anni pacifici, gli eventi modesti della vita di ogni giorno non turbata da guerre, i passi del progresso tecnologico e civile che avanzava in Lombardia come altrove in Europa34. Durante il periodo della restaurazione austriaca, che
durerà fino all’Unità d’Italia, si affermò la preminenza di Milano sia nel campo economico che in quello culturale: aumentò la popolazione (nel 1824 si contano 166.781 abitanti) e si crearono le prime industrie, in particolare quella tessile, si sviluppò l’arte tipografica ed il commercio librario, si diede impulso all’istruzione superiore.
Un notevole sviluppo si ebbe anche nei trasporti, nel 1840 si iniziò la costruzione della rete ferroviaria con la linea Milano-Monza (fuori Porta Nuova), la linea Ferdinandea Lombardo-Veneta (fuori Porta Tosa oggi
32 Cfr. Civiltà di Lombardia, La Lombardia delle riforme, Electa, Milano, 1987. 33 Cfr. AA. VV., Storia d’Italia, vol. III, p.251, Torino, 1985.
porta Vittoria). Nel 1858 iniziò la realizzazione di una terza linea ferroviaria in direzione del Ticino e nel 1861-62 si aggiunsero quelle verso Piacenza e Pavia.
In città, i mutamenti più importanti riguardarono l’illuminazione ed i servizi pubblici. Nel 1820 vennero introdotte le lampade Argand, notevole progresso rispetto alle vecchie lanterne a petrolio; nel 1841 iniziò il servizio degli omnibus a cavalli; nel 1845 si inaugurò l’illuminazione a gas; nel 1844 vennero attivati i primi impianti per la distribuzione dell’acqua potabile.
Cambiò anche il costume e i rapporti umani. I caffè, con i loro tavolini all’aperto nella buona stagione, divennero sempre più numerosi creando dei piccoli centri importanti di ritrovo. Nel 1842 furono inaugurati i Bagni Diana a Porta Orientale, piscina pubblica della città35.
L’area maggiormente influenzata dai lavori fu nuovamente quella Nord orientale, su richiesta dell’Imperatore si incominciò a lottizzare le aree interne dei Bastioni, molte delle quali erano ancora orti e giardini o spazi abbandonati rimasti tali dopo la soppressione degli ordini conventuali.
I Bastioni di Porta Orientale diventarono un “passeggio pubblico” grazie alla definitiva sistemazione del viale; il passeggio diventò un “momento” mondano della giornata per il continuo scorrere delle carrozze ed i nobili cominciarono ad insediarsi lungo l’attuale Corso Venezia.
Un altro evento urbanistico importante fu l’acquisizione da parte del Comune di palazzo Dugnani e dei suoi vasti giardini; questi divennero d’uso pubblico nel 1856 congiunti ai giardini pubblici piermariniani. Si creò così una grande area verde tra via della Cavalchina (Manin) e il corso di Porta Orientale (Venezia); la sua sistemazione fu affidata all’architetto pavese Giuseppe Balzaretto che si ispirò ai canoni del parco romantico all’inglese.
Milano aveva comunque mantenuto la sua morfologia e assetto costante al di là delle operazioni microurbanistiche di riordino compiute.
Gli elementi fondamentali che caratterizzavano la “forma urbis” erano rimasti: il nucleo centrale densamente edificato; circondato ancora dalla cerchia dei Navigli, che costituivano ancora un sistema di canali d’acqua e una buona via di comunicazione collegata con Adda e Ticino; la cerchia delle mura spagnole che segnava il confine legale ed amministrativo della città.
Elemento caratteristico, fuori dalla cerchia delle mura, rimaneva l’area suburbana dei “Corpi Santi”36 i cui
confini attorniavano la città per una larghezza da due a cinque chilometri. Negli anni risorgimentali si erano costituite: le prime zone cimiteriali di uso urbano, l’anello ferroviario che doveva congiungere le stazioni dei viaggiatori e gli scali commerciali; sempre qui si erano insediate le prime attività industriali e, di conseguenza, il proletariato industriale e agricolo.
Le barricate del ’48 sconvolgeranno questo mondo tranquillo amante del “commercio, del comodo e del decoro”. Il Quarantotto non fu un fatto lombardo, ma europeo. La rivoluzione scoppiò a Milano come a Vienna, a Budapest, a Parigi, facendo scricchiolare non solo il trono degli Asburgo, ma anche quello democratico e borghese di Luigi Filippo re dei francesi. Quello Asburgico resistette, ma dopo il quarantotto molte cose cambiarono a Milano sia in campo politico che civile.
L’età unitaria e post-unitaria
Dopo l’Unità d’Italia la situazione si presentava complessa, la realtà dell’Italia del nord era profondamente diversa da quella del sud nonostante lo sforzo di uniformare la legislazione su tutto il territorio. I tentativi del governo di destra di unificare in tutti i sensi l’Italia non ebbero un esito positivo, ma si approfondì lo
35 Cfr., Milano: costruzione di una città, AA. VV., Hoepli editore, Milano, 2002. 36 Cfr. L. Gambi, M. C. Gozzoli, Milano, Laterza, Bari, 1982.
squilibrio, soprattutto in campo economico, tra il settentrione e il meridione. Conseguenza di tale squilibrio fu l’afflusso di persone che si riversarono dal sud al nord in cerca di lavoro37.
In questo contesto storico Milano vide un aumento della popolazione.
All’interno delle mura spagnole risiedevano (1861) circa 196.000 abitanti su di una superficie di 823 ha (238 ab/ha), mentre tutto il comune dei Corpi Santi ne contava 47.000 e 73.000 nei comuni più esterni. Milano non era più la capitale del Regno Lombardo-Veneto, gravitante verso l’Austria, bensì il capoluogo di una vasta regione rivolta verso il resto d’Italia. Continuava l’aumento della popolazione, nel 1873 venne aggregato il comune dei Corpi Santi (il territorio dei Comuni più esterni verrà unito alla città nel 1923) ricomponendo anche sul piano amministrativo, se pur tra mille resistenze, quell’unità economica e sociale che caratterizzava ormai nei fatti le due parti di città.
Nonostante il grande sviluppo civile, l’industria moderna appariva, negli anni dell’unità, ancora in forte ritardo: prevalevano il settore tessile, quello dell’abbigliamento e, in genere, tutte le attività connesse ai consumi dei ceti ad alto reddito (carrozze, gioielleria, artigianato d’arte) o ai consumi primari (alimenari, ceramiche, laterizi).
L’industria meccanica, la chimica e gli altri settori produttivi d’avanguardia erano ancora agli inizi in una città che comunque mostrava già la sua tendenza a distribuire le attività nel contado, riservandone il controllo direzionale ed a differenziare ampiamente i settori merceologici delle lavorazioni.
L’impegno dell’amministrazione comunale era indirizzato principalmente verso due settori:
a) Organizzazione dei servizi: Stazione Centrale (1857-64, sul luogo dell’attuale piazza della Repubblica), trasporti pubblici omnibus (1862), Macello (1861-63), Cimitero Monumentale (1863), carcere di S. Vittore (1871), rete del gas (1864). Molto più tardi cominceranno i lavori per le fognature e l’acquedotto (1887), ma solo nelle parti centrali della città.
b) Riqualificazione del centro urbano e restauro dei principali monumenti. In questi anni si realizzarono: la Gallerie Vittorio Emanuele e la nuova Piazza del Duomo (1861-78), i primi interventi a Palazzo Marino (nuovo Municipio dal 1862); il restauro o completamento di numerose chiese cittadini come: S. Sempliciano e S. Marco (1871), S. Eustorgio (1878), Santa Maria del Carmine (1879), S. Lorenzo (1878-80), S. Maria delle Grazie (1881) e di diversi edifici civili (es. Porta Ticinese, Piazza dei Mercanti).
Un grande numero di sevizi pubblici era situato all’interno delle vecchie chiese e conventi espropriati ai religiosi prima dagli austriaci poi dai francesi e infine con le leggi italiane del 1866. Si trattava di caserme e altri edifici di interesse militare, di scuole, uffici comunali e statali, ma anche di attività produttive pubbliche e private, fatto che giustifica la relativa carenza di nuova edilizia pubblica per servizi riscontrabile a Milano a quei tempi.
Milano mutava, cresceva sensibilmente, ma con limitati incrementi della superficie urbanizzata, riutilizzando prevalentemente il patrimonio edilizio e infrastrutturale dei secoli precedenti38. Limitata era la costruzione di nuovi fabbricati residenziali quasi sempre destinati ai ceti medio-alti; secondo fonti dell’epoca “tra il 1882 e il 1883 i fabbricati della città aumentarono di 276 unità, ma 163 sono le case rifabbricate e ben 218 quelle sopralzate”39.
Ebbero un’intensa ristrutturazione il vecchio tessuto edilizio: gli edifici di due-tre piani che caratterizzavano la città erano intensamente sfruttati, sopralzati o sostituiti da nuovi; sorgono così i quartieri di via Principe Amedeo, via Solferino, Porta Genova, via Volta, interventi ad alta densità, privi di servizi collettivi e di spazi verdi, con strade di ridotta sezione.
37 Cfr. R. Villari, Storia Contemporanea, ed. Laterza, Bari, 1985.
38 Cfr. M. Boriani, Sviluppo urbano, cultura architettonica e trasformazioni del costruito (1861-1918), in Milano
Contemporanea. Itinerari di architettura e urbanistica, Designers Riuniti Editori, Torino, 1986, pp. 11 e seguenti.
Un tale modello di sviluppo urbano poteva reggere finchè la città avesse mantenuto dimensioni ridotte ed una organizzazione economica paleo-industriale.
Agli inizi degli anni ’80 il settore immobiliare intraprese nuovi interventi edilizi a fine speculativo in alcune aree della città (Lazzaretto e zona Castello).
La classe borghese, dopo aver sfruttato fino alle estreme conseguenze ilò patrimonio edilizio ed il sistema delle infrastrutture territoriali ereditati dal passato, si trovò infatti nella necessità di riprodurre essa stessa quel prodotto edilizio che appariva sempre più insufficiente rispetto alle esigenze dello sviluppo economico. Il problema principale fu quello di tracciare un ordine allo sviluppo urbano, cioè di garantire in un supporto di riferimento all’edilizia privata sufficientemente flessibile ad ospitare le diverse funzioni della città, sufficientemente economico per essere attuato, ma largamente sovrabbondante per garantire ad ognuno la possibilità di guadagno.
L’Ufficio Tecnico Comunale incaricò l’Ing. Cesare Beruto di progettare il piano regolatore di Milano. Egli propose una soluzione capace di mediare tra le tante esigenze e la tradizione ottocentesca del decoro e della fiducia tecnica.
3. I bastioni di Porta Venezia nel Settecento
La Chiesa, l’Abbazia e l’Ospedale di S. Dionigi (poi Monastero delle Carcanine)
Le origini della basilica e del monastero di S. Dionigi risalgono al IV sec., quando Ambrogio fece costruire quattro basiliche per soddisfare le esigenze dei borghi extra murari40.
Il sito, per erigere la basilica dedicata al Salvatore, fu scelto da S. Ambrogio nel luogo dove fu piantata la croce dell’apostolo S. Barnaba. Il corpo di S. Dionisio fu pervenuto dall’Oriente, e S. Ambrogio lo depose nella chiesa di Cassano d’Adda. Ariberto d’Intimiano Arcivescovo di Milano trasferì il corpo del Santo a Milano nella basilica eretta da S. Ambrogio, che fu da allora chiamata di S. Dionisio. Lo stesso Arcivescovo ampliò la chiesa, fondò l’Abbazia presso di essa e inoltre volle esservi sepolto. All’Abbazia successe il monastero dei Padri Serviti, i quali furono introdotti nel 1533 dal Cardinale Giovanni Salviati, e vi dimorarono fino al 170041.
La chiesa di S. Dionigi venne distrutta dai Lanzichenecchi che vi si insediarono e bruciarono l’abbazia. Solo con l’arrivo dei Padri Serviti si procedette ai lavori di restauro grazie alla bolla del 17 gennaio 1532 emanata da Clemente VII. Il progetto di ricostruzione venne affidato al Pellegrino Pellegrini, architetto della Controriforma, che ebbe, infatti, l’incarico dal Cardinale Carlo Borromeo.
Nel 1548-49 la costruzione dei nuovi Bastioni rese nuovamente necessaria la demolizione di una gran parte della chiesa42.
40 “San Dionisio ed Aurelio. Basilica e monastero antichissimi, ora distrutti. Trovavansi dove oggi è la casa
Botthiamy. La fondazione della basilica vuolsi attribuire a S. Ambrogio. Il monastero fu fondato dall’Arcivescovo Ariberto nel 1023 e dotato di molti fondi privilegi. Non molto discosto, cioè dove ora è il cosiddetto salone, vedevasi lo Spedale di S. Dionigi fondato parimente da Ariberto, tramutato poi da Pietro Carcano, ricco e buon milanese, in un chiostro di vergini detto delle Carcanine. Tra il detto Spedale e la basilica trovavasi in addietro la strada Isara”, in L. Sonzogno, Vicende di Milano, presso L. Sonzogno, Milano, 1848.
41 Cfr. G. Giulini, Memorie storiche, Vol. 1, pp. 448-‐57, milano 1916.
42 Nel testo del G. B. Villa, Le sette Chiese o’ siano basiliche stazionali della Città di Milano secondo Roma, Milano,
1617. Il Villa descrive la Chiesa preceduta da una piazza grandissima e quadrata, in capo alla bellissima strada, chiamata Marina a cui segue un grandissimo cimitero anch’esso quadrato e cinto da muta.
La facciata della chiesa era priva di ornamenti e presentava solo tre porte in pietra; sopra quella maggiore vi era l’arma del Cardinal Pietro Aldobrandini Commendatario, a cui si dovevano le porte ed altre opere; inoltre esisteva un’iscrizione del Cardinale Salviati che concesse la chiesa ai frati della Madonna dei Servi. All’interno la chiesa era divisa in tre navate con copertura ad una volta sostenuta da quattro pilastri; lateralmente vi erano sei cappelle: in capo alla navata di sinistra vi era una cappella ricchissima dedicata alla Madonna dell’abito. Al lato destro vi era la torre e la cappella dei Landriani. La parte del coro dietro l’altare maggiore aveva subito la demolizione in seguito alla costruzione dei Bastioni di Ferrante Gonzaga. Davanti all’altare maggiore e intorno al piccolo coro vi era una balaustra voluta dal Cardinale Aldobrandini.
L’architettura del monastero annesso era molto semplice, senza chiostri; fu tutto ciò che si costruì dopo che il Cardinale Salviati lo concesse ai Padri Serviti.
Per quanto riguarda la forma originale della Basilica, non si hanno documentazioni chiare ed anche il disegno conservato a Stoccarda43 è poco utile, perché risalente alla seconda metà del ‘500 e quindi
posteriore alla distruzione della basilica44.
Il Latuada la descrive così: 2Ella è di Architettura quadrangolare, divisa in tre Navi, sostenuta da tre Archi per ogni lato con otto Cappelle egualmente ripartite, tra le quali ve n’ha una dipinta dal Fiammenghino, ed in un’altra rappresentò Maria Vergine con alcuni Santi il celebre Enea Salvasio (…)”45.
È probabile che la nuova costruzione sia stata riedificata sullo stesso asse di quello antico, parallelo a Corso di Porta Orientale, ma con posizione avanzata e con campanile retrostante. Anche per il Traversi non è chiaro se la nuova chiesa mantenesse qualche parte in comune con il vecchio schema ambrosiano oppure con i rimaneggiamenti romanici.
Vicino all’Abbazia di S. Dionigi vi era uno 2Spedale” detto di S. Dionigi nel quale erano ospitati i figli maschi orfani. Questo locale rimase in disuso peer molti anni fino a quando non venne scelto come luogo per l’alloggiamento delle monache Agostiniane46.
Fondatore del nuovo Monastero fu Giò Pietro Carcano il quale con testamento dispose i fondi per la costruzione di un Monastero, le cui religiose fra le altre denominazioni, verranno chiamate2Carcanine”. Il documento d’acquisto dell’ospedale di S. Dionigi con due case annesse per la fabbrica del Monastero porta la data del 4 dicembre 1643.
Nel 1644 si diede inizio alla ristrutturazione dell’ospedale e alla rettifica della muraglia di chiusura, occupando così parte della strada verso il borgo di Porta Orientale; strada Marina47 e la strada che divideva il giardino dei Padri Serviti da quello delle Carcanine.
Il progettista che eseguì il progetto del Monastero, fu l’Ing. Carlo Buzzi in data 1646. Le Carcanine cominciarono ad esercitare dal 1655 al 1725, anno nel quale per la sospensione dei redditi camerali costituenti parte del fondo fissato al Monastero, le monache ricorsero all’amministrazione Odelscalchi per avere un aumento delle entrate; tale ricorso venne respinto.
43 Nella Galleria Statale di Stoccarda nella Raccolta Grafica, riportato in Chiese di Milano, a cura di M. Fiorio,
Credito Artigiano-‐Electa, Milano, 1985.
44 Cfr. E. Cattaneo, op. cit., pp. 68-‐84. 45 Cfr. Latuada, op. cit., p.329.
46 Notizia tratta da: F. Torre, Il ritratto di Milano, ed Agnelli, p.305, Milano, 1674; e F. Zanetti, Il nuovo Giardino di
Milano, Tip. Zanetti, Milano, 1869.
47 La configurazione della strada Marina era differente prima della formazione dei Giardini Pubblici. Il Benvenuti
ricorda che: 2Circa cent’anni or sono, lungo le case verso tramontana da questa parte ove sono i giardini, dal Bastione al Naviglio presso S. Andrea, uno stradone fiancheggiato da pioppi chiama vasi la via Marina, il Corso dei nostri nonni equestri, pedestri e scarrozzanti, e questo corso incominciava a soppiantare, a dare scacco al suburbano che da Porta Romana metteva al luogo detto Gambalavista o Gambaloita.”, in M. Benvenuti, op. cit.
L’abbazia di S. Dionigi e il Monastero delle Carcanine, furono alienati dal Governo di Maria Teresa d’Austria. Per maggior precisione si può affermare, sulla scorta di documenti d’archivio, che la Chiesa e il Convento dei Padri Serviti compare nell’elenco dei “Siti Sacri soppressi, profani o alienati entro il recinto della città di Milano” nell’anno 1774. Il Monastero delle Carcanine, invece, venne soppresso con un dispaccio Reale del 9 febbraio 1782, eseguito il 16 marzo dello stesso anno.
Il Lazzaretto
Milano fu colpita dalla peste tra l’inizio del ‘300 e la fine del ‘400 circa venti volte. Fu in questo periodo che la peste viene riconosciuta come un vero morbo o febbre contagiosa, e non più come un evento soprannaturale. Per prevenirla occorreva evitare il contagio e i malati dovevano essere isolati; solo con il fuoco e la ventilazione la peste poteva essere debellata, ma il vento era anche un veicolo di contagio.
Le nuove cognizioni della medicina stabilirono che i vecchi ospedali degli appestati, presenti all’interno della città, erano pericolosi e inadatti. Vennero prese delle precauzioni nei riguardi di forestieri che erano i principali portatori della peste, il duca Gian Galeazzo Visconti fece cercare dei luoghi più adatti per il ricovero degli appestati. Il terreno più idoneo si trovò fuori da Porta Orientale sulla strada che portava a Lugagnano (oggi Cassinetta di Lugagnano). La scelta del terreno fuori Porta Orientale si fondava su due ragioni: i venti dominanti non soffiavano verso la città; il “Morbum” giungeva a Milano da Venezia e quindi dall’Oriente.
Nel periodo della Repubblica Ambrosiana al diffondersi dell’epidemia molti malati furono condotti anche a Cusago nel Castello di Filippo Maria Visconti per via d’acqua, lungo un canale, oggi non più esistente. Il problema maggiore di questo sito era la notevole distanza dalla città.
Durante il periodo di governo di Francesco Sforza furono maturate due novità importanti per la protezione della città da questo flagello: era opportuno destinare a lazzaretto un unico luogo per tutta la città; l’esigenza di progettare un edificio con la specifica funzione e con avanzati criteri d’igiene.
Un primo progetto fu proposto da Lazzaro Cairati che seguì le vicende del Lazzaretto per ben trent’anni; la tipologia grandiosa dell’edificio con criteri tecnici innovativi era simile ad alcune architetture descritte dal Filarete nel suo “Trattato di architettura” (1460 c.).
IL progetto non fu realizzato, nonostante l’entusiasmo del duca, per motivi economici, per le notevoli dimensioni del complesso e per la distanza dalla città di 7 chilometri.
Per vent’anni non fu realizzato niente. Nel 1486 il Cairati supplicò il dica di Milano affinchè l’iniziativa procedesse, ma il duca fu scosso più dal diffondersi di una nuova epidemia che dalla supplica del Cairati. Dopo tanti dubbi e incertezze la costruzione del Lazzaretto fu decisa nel 1488, quando i deputati dell’Ospedale incaricarono Lazzaro Palazzi di misurare il terreno e di iniziare gli scavi. Egli seguì i lavori dall’inizio fino al 1507 anno della sua morte e gli succedette l’ingegnere Bertolino o Bartolomeo Cozzi. La generosa partecipazione cittadina contribuì all’erezione dell’edificio che fu denominato Santa Maria della Sanità. Fra i primi legati e oblazioni furono notevoli quelle del Re di Francia, del Duca di Milano, del cardinale Ascanio Sforza, di varie Corporazioni e di molte famiglie importanti della città.
Le differenze tra il primo progetto del Cairati per il Lazzaretto di Crescenzago (1468) e quello del Palazzi erano: il primo proponeva le celle degli appestati ad una distanza di 25 braccia l’una dall’altra, quindi isolate; nel secondo invece i vani furono realizzati tutti di seguito e collegati da un porticato. Le 288 celle avevano pianta quadrata; ogni lato misurava m. 4,75, ed il soffitto era a volta. In ogni stanza vi era un camino, un destro ricavato nel muro ed areato da uno sfiatatoio che fuoriusciva dal tetto. Il Lazzaretto fu terminato nei suoi elementi essenziali nel 1513 e vi furono ricoverati i primi appestati. Nel centro del