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Il quartiere di Porta Venezia

Premessa

Intorno alla stazione Centrale, il quartiere multietnico

Si tratta di un’area molto vasta e composita che non ha ancora beneficiato di aiuti finanziari da parte dell’ente locale, né è mai stata inserita in progetti di riqualificazione urbana, a differenza di altri quartieri limitrofi.

Lo studio condotto sul campo ha avuto lo scopo di descrivere le condizioni del territorio, evidenziarne i settori di massimo degrado socio-economico e individuare i requisiti di possibili forme di intervento utili a promuovere risanamento, sviluppo e integrazione sociale.

Gli strumenti di rilevazione sono stati osservazioni etnografica e interviste motivazionali semi-strutturate, ma, data la vastità e complessità della zona, sono state svolte tredici interviste e condotte tre diverse ricognizioni etnografiche, di cui una in orario notturno.

1 Il tessuto urbano e la questione abitativa

L’area oggetto di studio è compresa in un perimetro molto vasto e densamente abitato (poco più di 30.000 persone) che include un tessuto urbano eterogeneo. A poca distanza da vie curate e tranquille si trovano porzioni di città deteriorate per quanto riguarda infrastrutture, residenze, esercizi commerciali. È un mosaico in cui l’alternanza di buono e cattivo, anche in tratti diversi della stessa strada, non sembra corrispondere al criterio della maggiore o minore distanza dal centro città. Ci sono infatti luoghi vicini al centro meno accoglienti e altri lontani, ma più escusivi.

L’area di nostro interesse è quasi interamente accorpata alla zona amministrativa 2 di Milano. Solo la parte sud-est è di competenza della zona 3. Delimitata a sud da viale Vittorio Veneto, l’area si estende a nord per corso Buenos Aires, fino a Loreto e riscendendo per Caiazzo fino in Centrale e ricongiungendosi tramite via Pisani al punto di partenza; si tratta perciò di un’area ben estesa.

Da questa sintetica descrizione emerge l’impossibilità di individuare un vero e proprio centro geografico e sociale. Infatti ogni sub-area sembra porsi in modo in modo autoreferenziale. Per quanto riguarda, per esempio, la zona adiacente a corso Buenos Aires, riportiamo un frammento della testimonianza di un amministratore locale:

Molte vie sono strette, incassate, ci sono problemi enormi di parcheggio con palazzi, quelli liberty per esempio, che non hanno la possibilità di creare posti macchina interni. È una miscela esplosiva, altissima densità di popolazione e di auto, altissima densità commerciale e altissima densità di delinquenza (Cen T7)

I dati raccolti sembrano in parte incongruenti rispetto a quanto si è osservato nel corso dell’esplorazione condotta girando a piedi l’area in esame: l’aspetto esterno non corrisponde alla vivibilità interna delle abitazioni (Caritas Ambrosiana 2011). Da un lato, le osservazioni sul campo tracciano un quadro complessivo degli edifici e dell’assetto urbanistico che manifesta solo in alcune aree un livello pesante di deterioramento. Dall’altro, le interviste e i dati censuari ci mostrano una realtà problematica per quanto riguarda la qualità abitativa e l’utilizzo degli alloggi: sovraffollamento, condizioni igieniche drammatiche,

assenza di servizi essenziali (Tab 1). Circa metà della popolazione abita in alloggi dalla qualità medio-bassa o bassa. La zona a nord-est è quella che presenta la maggiore concentrazione di abitazioni di bassa qualità; si tratta di un’area che ospita altissime percentuali di immigrati e che nel nel periodo 1991-2011 ha visto un incremento della popolazione straniera intorno al 700%.

Tabella 1 – Quadro di sintesi della qualità abitativa (v. a. e %)

Qualità abitativa v. a. % Bassa 2.852 11,7 Medio-bassa 8.787 36,1 Medio-alta 9.148 37,6 Alta 3.548 14,7 Totale 24.335 100,0

Il dato relativo alla qualità abitativa deve essere collegato a quello sull’andamento dell’immigrazione per introdurre una questione assai urgente: esiste una domanda di abitazioni che già negli anni scorsi è stato difficile soddisfare, ma che è destinata a crescere ancora. Finora si è fatto spesso ricorso a espedienti quali, per esempio, l’affitto di singoli posti letto, con tante persone stipate in pochi metri quadri, il che consente buoni guadagni per il locatore e costi in genere sostenibili per i locatari, ma configura situazioni di abuso e di illegalità. Pare inoltre che diverse serrande chiuse di negozi siano il segno che i proprietari hanno trovato una via, illecita, ma particolarmente redditizia, per trarre profitto dalle loro proprietà: diversi spazi commerciali sono stati trasformati, come risulta dalle testimonianze raccolte, in dormitori solo al piano terra ma anche al piano interrato, in condizioni di grave sovraffollamento e pericolo (per esempio a causa di bombole a gas con scarichi non a norma o mancanza di uscite di sicurezza.

Questo cambio di destinazione d’uso supplisce all’assenza di abitazioni a prezzo calmierato e alimenta un mercato nero di posti letto. D’altronde, dove non si contrasta il degrado, si insedia solo chi non può fare altre scelte; in questo modo si creano ghetti da cui chi riesce (in questo caso gli italiani) si allontana.

2 Il tessuto socio-economico

Per comprendere l’importanza della dimensione economica e commerciale in questa porzione della città, è utile esaminare i risultati di un sondaggio condotto da Swg (una società di ricerca e di analisi di mercato) su commissione di Confesercenti e del Consiglio di zona 2 sul livello d’integrazione dei commercianti stranieri141. Dall’indagine emerge chiaramente che il fare impresa favorisce il passaggio degli extra- comunitari da condizioni di insicurezza e di marginalità sociale a situazioni di legalità, utili a favorire dinamiche pro-sociali e di integrazione.

I dati rilevati nella nostra indagine hanno sottolineato quattro elementi caratterizzanti dell’area della stazione centrale: la crescita delle imprese, la crisi del settore manifatturiero a tutto vantaggio del terziario, la vocazione fortemente commerciale dell’area, la connotazione etnica di numerose attività economiche. Nel periodo 1998-2011, le imprese della zona sono cresciuta del 30%, rivelando una vitalità complessiva assai significativa, anche se i tassi di natalità e di mortalità delle imprese sono, come sempre, notevoli. Questa voglia di impresa s concentra nel settore terziario e, in parte, in alcuni settori del secondario (settore immobiliare). Di fatto, i maggiori incrementi si osservano nella produzione di servizi alla persona e alla                                                                                                                

comunità, cioè attività collegate all’istruzione, ai servizi sanitari, nell’assistenza sociale e nelle attività ricreative culturali. I settori economici che hanno invece fatto registrare una contrazione sono quelli più tradizionali legati al manifatturiero, in particolare, il calo più significativo è quello delle industrie tessili che hanno subito un decremento del 15%.

Con 265 negozi ogni 10.000 abitanti (cioè un’autorizzazione commerciale ogni 38 abitanti), la nostra area rivela una vocazione al commercio decisamente significativa (Tab 2). È vero che ospita numerosi uffici e comprende la stazione Centrale, tuttavia una simile concentrazione di esercizi non può essere trascurata in sede di valutazione e attivazione di eventuali forme di sostegno all’impresa. Arterie come corso Buenos Aires, viale Padova, viale Tunisia sono un susseguirsi di attività commerciali, non sempre funzionali al soddisfacimento dei bisogni spiccioli di ogni giorno, ma capaci di catalizzare interessi e persone di varia provenienza.

Tabella 2 – Numero di strutture ogni 10.000 residenti (2011)

Servizi sociali 9,4 Edicole 0,9 Strutture sanitarie 2,2 Alberghi 5,9 Pubblici esercizi 67,2 Phone-center 6,5 Negozi 265,3

Ovviamente molti di questi esercizi commerciali sono etnicamente connotati non solo in termini di proprietà, ma anche per tipologia di merce distribuita o prodotta. Come esempio si può riferimento alla Libreria islamica in via Varanini, la prima in Italia ad iniziare (nel 2002) un’attività autonoma, esterna cioè rispetto a un centro culturale islamico o a una moschea, aperta al pubblico e frequentata oggi anche da acquirenti italiani. Dice la titolare della libreria:

io mi ricordo che gli italiani difficilmente entravano, poi adesso conoscendoci, sorridendogli, buongiorno e buonasera, [questo] ha iniziato ad abbattere il muro, che è il muro della sfiducia (Cen-I1)

Il materiale esposto consiste principalmente in testi islamici e libri che trattano temi di interesse generale, cd, dvd, volumetti per insegnare il Corano ai più piccoli. Il negozio è abbastanza grande ed espone anche abiti da cerimonia e altri oggetti tipici, più commerciali.

La difficoltà maggiore è stata proprio agli inizi, quando la libreria è stata aperta, perché ha coinciso con il clima di sfiducia generato dall’attacco alle torri gemelle. Però adesso piano, piano, io noto che gli italiani, anche le signore anziane, ridono, scherzano, stanno con noi tranquillamente (Cen-I1)

Infatti, anche se per la popolazione di zona 2 (sono sempre dati dal sondaggio Swg citato) il numero di immigrati che gestiscono esercizi commerciali è sovradimensionato (68%), solo un negozio su cinque afferma di avere una clientela esclusivamente italiana o straniera; ciò che prevale è la ‘contaminazione’, l’incontro e, a parità di condizioni, i criteri di scelta prioritaria del consumatore sono la comodità e la convenienza.

D’altra parte, anche in questa zona sono in aumento le iniziative commerciali legate alla globalizzazione, con insediamenti di punti vendita di grandi catene multinazionali. La vicinanza al centro non rappresenta

necessariamente una condizione di vantaggio per la conservazione e la tutela delle attività storiche e tradizionali. La presenza delle multinazionali che acquistano interi palazzi rischia di cancellare molte piccole e medie attività, tra le quali le botteghe storiche, che già sono scarse e fanno fatica a sopravvivere o a ottenere dal Comune condizioni ritenute necessarie al successo commerciale. Dalla pubblicazione Botteghe storiche di Milano (2006) risulta che nell’area di studio sono comprese: in zona 2, l’Aggenzia Viaggi F.S. Italturismo nella galleria carrozze della stazione centrale, l’Excelsior Hotel Gallia in Piazza Duca d’Aosta 9, il Caffè Panzera in Piazza Duca d’Aosta 10, Frascolla Riparazioni Elettrodomestici in via Plinio 22; in zona 3, il panificio Piazza in via Settembrini 41 e la Ditta Davide Collini in corso Buenos Aires 8. Il proprietario di questo storico ferramenta dice:

Una finanziaria ha comprato il palazzo e noi non siamo neanche stati avvertiti, eppure la bottega c’è da 125 anni. Milano non tutela i negozi storici. Bisognerebbe ascoltare la gente quando dice che il negozio storico è un punto di riferimento per la zona, per chi ha bisogno di qualcosa o di un consiglio (Cen-I5).

Promuovere negozi di vicinato ed esercizi al dettaglio, destinati a un pubblico selezionato, e sostenerli in quanto portatori di una filosofia della vendita non puramente commerciale, può essere una buona strategia per favorire dinamiche pro-sociali. Le due testimonianze che seguono vanno in questa direzione. La prima è la voce di una signora titolare di un negozio dedicato al thè:

La mia è un’attività di nicchia. Quindi mi va bene una zona come questa, centrale, ben servita dai mezzi, però tranquilla e non sul classico corso. Ritengo una fortuna essere ancora aperta: negozi simili al mio, inaugurati dopo di me, hanno già chiuso. Si sottovaluta l’impegno necessario, in termini di tempo e di costi. Cerco di prendere cose di qualità e di organizzare molte attività per promuovere la cultura del prodotto. Ho scelto un fornitore che fa questo mestiere da 150 anni. Mi approvvigiono direttamente in Francia. Gran parte dell’oggettistica viene invece dalla Germania. Offro anche un servizio perché è mio interesse che uno compri il prodotto, vada a casa, lo prepari nel modo migliore, gli piaccia e torni (Cen-I4).

La seconda testimonianza riguarda un esercizio che vende profumi, saponi, piccola pelletteria e oggettistica situato in via Melzo. Il nostro interlocutore si definisce un artigiano perché possiede e pratica la cultura del prodotto: lo spiega, lo racconta, lo personalizza, lo rende un’occasione di incontro con il cliente. Si tratta di una scelta che, se perseguita con costanza, cre relazione, tessuto sociale.

Ci viene segnalato però da più interlocutori un grande problema: il costo degli affitti, spesso definiti dagli operatori della zona ‘esorbitanti’. Questo danneggia le piccole realtà, spersonalizzando il quartiere, e favorisce di contro la grande distribuzione, esponendo l’area a rischi di degrado connessi all’intensità del traffico su strada e alla vendita facile e a buon prezzo di alcolici. Tutto questo persino in una via (appunto via Melzo) che è stata recentemente trasformata in isola pedonale per consentire alla gente di camminare guardando serenamente le vetrine di negozi belli e ricchi di contenuti.

Eppure la consapevolezza che la dimensione familiare dell’impresa incide sulla forma del tessuto urbano è diffusa e condivisa, come constata il presidente del consiglio di zona 3.

La frequentazione migliora quando ci sono attività realizzate da persone che vivono il territorio, inserite e riconosciute dal territorio; quuesto vale per esempio per le attività di carattere familiare. Le grandi catene di negozi di abbigliamento o gli ipermercati che esistono a Milano come in tutta Europa, funzionano ma rimangono un po’ freddi. Senza le piccole botteghe di

vicinato, il panettiere, il salumaio, si distrugge il tessuto connettivo dei quartieri. Non reggendo la concorrenza, questi chiudono e così facendo si desertifica il territorio(Cen-T7).

3 La questione della sicurezza

Oltre quello già spiegato nei capitoli precedenti sul fattore sicurezza, si vuole analizzare più nello specifico la situazione attuale del quartiere.

La vicinanza al centro non rappresenta una condizione di vantaggio nemmeno per quanto riguarda il contrasto alla criminalità. Il tema della sicurezza investe infatti, a “macchia di leopardo”, numerose aree della zona di nostro interesse. Le forme in cui si manifesta il fenomeno dell’illegalità sono: lo spaccio di sostanze stupefacenti, lo sfruttamento della prostituzione, il capolarato e il furto, che si radica in zone ben definite, finendo però spesso per contagiare anche le aree limitrofe e per attirare soggetti a rischio. Un quadro simile è illustrato sia dal presidente dell’associazione dei commercianti locale che dal presidente del Consiglio di zona 3.

Questa è la zona dove si compiono più furti di tutta la città. Siamo scesi in strada per protestare, vogliamo ricordare che il cittadino deve essere messo al centro di ogni decisione, e non soltanto in campagna elettorale. Abbiamo cominciato a manifestare per via Benedetto Marcello nel 1993 e la situazione non si è risolta. Corso Buenos Aires è la quarta strada d’Europa, vogliamo sicurezza e legalità anche nel nostro quartiere (Cen-T1).

La parte di zona 3 Settembrini-Morgagni è l’area più commerciale della città. Questo però è fonte insieme di gioie e dolori, perché è viva, trafficata, in senso sia pedonale sia automobilistico, tutte le direttrici del nord passano da Buenos Aires, quindi traffico intensissimo diurno e notturno, è servita da mezzi importanti, metro, filobus, autobus, non manca niente; però il rovescio della medaglia è che proprio perché è l’area ricca della città e molto vicina alla stazione Centrale, questo induce gente di malaffare a lavorare nel ‘sottobosco’, soprattutto nelle vie traverse (Cen-T7).

L’intervista effettuata presso il comando di polizia locale, la cui competenza territoriale ha come confine via Benedetto Marcello e comprende la zona della stazione Centrale, via Zara, viale Monza, via Padova, conferma che nell’area, soprattutto intorno a piazzale Loreto, si verificano con frequenza episodi di micro- criminalità, spaccio, scippi; succede più che altro nelle ore serali, cioè dalle 19 in poi.

Abbiamo leggi garantiste che presuppongono una civiltà evoluta, però con l’avvento di questi extracomunitari è come se fossimo tornati indietro di quarant’anni. Ci sarebbe bisogno di leggi un po’ più rigide, ma purtroppo lo Stato non può fare leggi diverse per gli extracomunitari e per gli italiani (Cen-T4).

Gli immigrati si riuniscono in gruppi a bordo strada, magari non fanno niente di particolare, ma le persone che transitano ne sono infastidite e spaventate. In effetti spesso disturbano, parlano a voce alta, impediscono il passaggio, a volte fanno i loro bisogni fisiologici a cielo aperto. La polizia locale continua a ricevere esposti ed è stato in parte bonificato il perimetro della stazione; il commercio abusivo a cielo aperto si è spostato in via Varè, via Gasparotto, via Copernico, via Sammartini. Lo scippo dei ragazzini rom è migrato da piazza Duca d’Aosta a via Napo Torriani, via Vitruvio, via Settembrini.

Alla sera ci sono persone che vengono a vendere i loro piatti tipici. Una nigeriana per esempio arriva con il trolley pieno. Certe volte si interviene, si accerchia, però si spostano da un’altra parte. In via Padova 118, dove c’è l’anagrafe, in uno spazio libero con pergolato, si piazzano venti, trenta persone perché non vogliono o non possono spendere soldi, stazionano lì, ridono, scherzano e la gente magari vuole riposare. Si tagliano i capelli seduti in mezzo alla strada, a poco prezzo (Cen-T4).

In viale Abruzzi dilagava, fino a poco tempo fa (oggi un po’ meno ma non è un problema risolto), la prostituzione in strada; in via Sammartini sono intensamente praticati spaccio e prostituzione (in particolare, dice un vecchio residente, che c’è un palazzo che adesso chiamano il “palazzo delle prostitute”); in via Arquà, soprattutto si spaccia. Via Padova e viale Monza sono centrali del mercato della droga: pare ci sia addirittura una specie di self service nelle vie traverse, con le strisce già pronte sui tetti delle macchine, gestito da un gruppo di venti o trenta maghrebini che chiudono la via, lasciando entrare solo chi vogliono e vendendo lì a cielo aperto anche alle sette di sera. Sono strade con esercizi commerciali degradati e abitazioni che hanno visto crollare il loro valore di mercato. Raramente ci sono presidi fissi di polizia.

Ma anche nelle zone apparentemente tranquille, non va tutto liscio, come testimonia la titolare del negozio dedicato al thè, recentemente visitato dai ladri.

È andata bene perché ho avuto prontezza di riflessi: è suonato il telefono, l’ho preso e ho gridato “aiuto”; loro sono scappati. L’altro grosso problema che abbiamo spesso d’estate è che vengono abbandonate delle macchine proprio qua davanti all’uscita. Purtroppo, la polizia non le può rimuovere, viene chiamata in continuazione. Dentro queste macchine fanno di tutto: dormono, si drogano; li fanno sloggiare, ma dalla finestra io vedo che dopo mezz’ora sono di nuovo lì. A volte mi chiedo perché ho paura. Poi c’è l’enorme problema degli scippi. Sono ragazzini, soldi di cacio, che in gruppi di due o tre cercano di borseggiare vecchietti, madri che hanno le mani sul passeggino. Una di queste volte ho visto arrivare un vigile, l’ho chiamato di corsa ma mi ha detto “tanto non possiamo fare niente” (Cen-I4).

Nella percezione dei residenti il livello di rischio e di insicurezza aumenta in modo proporzionale all’aumento della presenza di immigrati. Spesso la marginalità sociale, la povertà, o anche solo abitudini e orari diversi (ad esempio, l’apertura serale protratta di alcuni esercizi commerciali etnici) creano diffidenza e rifiuto. Diversi sono i ricordi degli operatori commerciali più anziani.

Io ho cominciato a lavorare quarant’anni fa in via Settembrini, angolo via Scarlatti, e mi ricordo una situazione ben diversa, se vedevi un ragazzo di colore lo guardavi come una roba strana. Il vecchio proprietario di questo bar pasticceria teneva aperto fino alle tre di notte, perché c’era una bella clientela, gente normale che alla sera usciva. Poi in questi quarant’anni ho vissuto tutto un cambiamento di paura (Cen-I4).

La paura, però, non si sconfigge solo con le forze dell’ordine. Il vero controllo sociale è quello che parte dal basso, dalla società civile che si riappropria di aree urbane che diventano luoghi di socialità e di incontro, per tutti, come sottolinea il Presidente del Consiglio di zona 3.

L’area Morgagni era trascurata, con siepi alte che impedivano la vista all’interno, molto degradata. Allora, con tutte le associazioni dei frontisti, abbiamo ricreato gli spazi, presentando un progetto al Comune, che ha accettato. Nel parterre centrale abbiamo messo due campi giochi per bambini, una pista ciclabile, un campo bocce che negli anni successivi si sarebbe rivelato un modello, tre aree cani. Ovviamente abbiamo mantenuto il verde, migliorandolo. Lo

stanziamento è stato importante, però dopo un anno i lavori sono terminati, con compiacimento da parte di tutti. Oggi è una realtà splendida, un’associazione con 300 iscritti, curano loro l’area, sono quasi tutti pensionati. La manutenzione del Comune è prevista, ma loro si occupano di tenere il campo, la recinzione, le panchine e devo dire che è uno dei punti meno degradati di Milano perché ci siè riappropriati del controllo. Mi hanno chiesto il permesso di giocare anche alla sera dopo cena, allora gli abbiamo messo l’impianto di illuminazione più forte intorno al campo bocce, d’estate stanno fino mezzanotte, non disturbano. Abbiamo fissato al terreno tavoli e sedie per giocare a carte. È diventato una specie

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