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Insufficienza degli schemi dominicali nella gestione collettiva del risparmio

Alla luce delle teorie ut supra delineate e dei tratti essenziali che caratterizzano il rapporto fondi-Sgr nel contesto specifico della disciplina di settore, la relazione che si instaura nei confronti dei beni facenti parte dei fondi non si presta a essere agevolmente ricompresa nei tradizionali schemi dominicali.

È innegabile, infatti, che in base alla disciplina di settore appena esposta, le facoltà essenziali che ineriscono al diritto di proprietà riferito ai beni facenti parte del fondo si strutturano secondo archetipi non riconducibili al tradizionale inquadramento in termini di diritto soggettivo facente capo a un soggetto. Si è visto, in primo luogo, come la facoltà di gestione spetta alla Sgr istitutrice o a altra Sgr che può subentrare nella gestione, ed è caratterizzata dall‘assenza di libertà nei fini essendo vincolata al perseguimento dell‘interesse dei partecipanti al fondo, soggetta al vaglio di legittimità del depositario e volta a garantire la completa separazione patrimoniale del fondo. È stato emblematicamente sostenuto che la gestione può configurarsi in termini di ―ufficio‖ e che il gestore sia titolare di una ―funzione‖ 238

.

Ne deriva che nell‘esercizio della gestione il potere di disposizione è, in quanto tale, parimenti assoggettato agli stessi limiti, con attribuzione del corrispettivo dell‘atto di disposizione non al soggetto che ha il potere di porlo in essere, bensì al fondo, in virtù della prevista segregazione patrimoniale. In secondo luogo, si è evidenziato come i partecipanti al fondo, nell‘interesse dei quali l‘attività deve essere svolta, fruiscono del

dal Trib. di Rovigo (Trib. Rovigo, sez. dist. Adria, ord. 21 ottobre 2010) nei confronti della Srl il decreto

ex art. 2485, 2° co., c.c., diretto ad accertare lo scioglimento della società in ragione dell‘impossibilità di

funzionamento dell‘assemblea. La Srl proponeva reclamo avverso tale decreto deducendo l‘assenza di legittimazione in capo ai commissari liquidatori della Sgr a richiedere l‘accertamento dello scioglimento della società . La Corte di Appello rigetta il reclamo, riconoscendo la legittimazione attiva dei commissari liquidatori ad agire in giudizio e a partecipare alle assemblee societarie. A ben vedere, la Corte segue l‘arresto della Cassazione 15 luglio 2010, n. 16605 nonché l‘opzione interpretativa della Banca d‘Italia, resa con nota del 1° settembre 2010. In particolare, secondo la Banca d‘Italia deve escludersi che il quadro normativo in materia permetta di attribuire all‘autonomia caratterizzante i fondi sotto il profilo patrimoniale un significato tale da da configurare gli stessi come autonomi soggetti di diritto, legati alla Sgr da una relazione contrattuale. «La Sgr, infatti, agisce non già in forza di un vincolo contrattuale bensì in virtù di una relazione endosoggettiva, quale unico soggetto deputato al compimento di atti per conto di un patrimonio separato – il fondo – che, altrimenti, risulterebbe privo di un titolare. Tale ricostruzione porta a concludere che il rapporto tra Sgr e fondo non venga reciso dal provvedimento di liquidazione coatta della Sgr.»

238

Ritiene che la società di gestione sia titolare di una ―funzione‖ JAEGER P.G., Sui fondi comuni di

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godimento dei beni e dell‘appropriazione dei relativi frutti, secondo le modalità organizzative previste nel regolamento.

Infine, dal punto di vista della responsabilità patrimoniale si verifica un‘assoluta e perfetta separazione ai sensi art. 36, comma 4, t.u.f.: infatti, i beni facenti parte del fondo sono destinati a soddisfare unicamente le obbligazioni contratte per conto del fondo stesso, mentre non sono ammesse pretese da parte dei creditori della Sgr, né di quelli del depositario o del sub depositario, né di quelli dei singoli investitori, ammesse solo sulle quote di partecipazione dei medesimi. Neppure sembra ipotizzabile una responsabilità sussidiaria della Sgr nei confronti delle obbligazioni del fondo, secondo la chiara formulazione del testo normativo239.

Sul punto, è stato criticamente messo in rilievo che la qualificazione della posizione giuridica della Sgr come proprietaria del fondo rappresenta una distorsione del concetto comunemente accolto di proprietà, che trova la propria ragione nella diversità di situazioni di interessi nelle quali si collocano, rispettivamente, il proprietario in quanto tale e la Sgr240.

Sulla base del quadro delineato, pare ardito configurare un diritto unitariamente inteso esercitabile sui beni facenti parte del fondo e qualificarlo in termini di proprietà241 o di ―titolarità‖ (sebbene ―formale‖) e riconoscere, peraltro, in capo al gestore il soggetto titolare di funzioni riconducibili allo schema proprietario. Convincimento rafforzato dal

239 L‘art. 36, comma 4, dispone che ―(…) delle obbligazioni contratte per conto del fondo, la Sgr risponde

esclusivamente con il patrimonio del fondo (…). La formulazione attuale ha fugato i dubbi interpretativi sorti allorchè, all‘interno del previgente comma 6 dell‘art. 36 t.u.f. vennero inserite, ad opera del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito in l. 30 luglio 2010, n. 122, le parole: ―delle obbligazioni contratte per suo conto, il fondo comune di investimento risponde esclusivamente con il proprio patrimonio‖. Si sosteneva, a ragione, che nel suo significato letterale tale disposizione risultava priva di valore precettivo, perché il fondo stesso non dispone di altro patrimonio se non del proprio e che, allora, per trasfondere nel testo le intenzioni del legislatore – che attuava, quindi, un‘inconsapevole ipallage – si sarebbe dovuto invertire l‘ordine delle parole, così da affermare che ―delle obbligazioni contratte per suo conto risponde

esclusivamente il fondo‖ (e non altri, cioè la Sgr). Questa lettura, preferibile alla luce di un criterio di

interpretazione utile, in ossequio al principio di conservazione della norma giuridica, veniva suggerita già prima della innovazione legislativa di cui all‘art. 36 t.u.f. V. infatti in tal senso FERRO-LUZZI P., Un

problema di metodo: la ―natura giuridica‖ dei fondi comuni di investimento (a proposito di Cass. 15 luglio 2010, n. 16605), cit., 757, nota (6).

240

COSTI, La struttura dei fondi comuni di investimento nell’ordinamento giuridico italiano e nello

schema di riforma delle società commerciali, cit., 192 s.

241 Sottolineano l‘impossibilità di ―riportare la situazione della società di gestione al modulo dell‘art. 832

c.c.‖ COSTI R., La struttura dei fondi di investimento nell’ordinamento giuridico italiano e nello schema

di riforma delle società commerciali, in Riv. Soc., 1968, 297; nello stesso senso, FERRI JR G., Patrimonio

e gestione. Spunti per una ricostruzione sistematica dei fondi comuni di investimento, in Riv. dir. comm.,

1992, I, 33 ss.; FERRO-LUZZI P., op. cit., 751 ss.

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fatto che la Sgr che istituisce il fondo può non essere quella che effettivamente lo gestisce, in quanto la gestione può essere delegata ad altra società. A tal fine, il Regolamento 19 gennaio 2015 della Banca d‘Italia specifica che le ipotesi di sostituzione del gestore e le procedure da seguire sono definite dal regolamento del fondo in modo da evitare soluzioni di continuità nello svolgimento242.

Dunque, seguendo la tesi della recente giurisprudenza243, che ricostruisce il fenomeno in termini di ―proprietà formale‖ degli immobili del fondo in capo alla Sgr che istituisce il fondo, quest‘ultima potrebbe in definitiva risultare privata di ogni potere di gestione oltre a perdere ogni legame con gli immobili stessi.

Tuttavia, alla questione si potrebbe apparentemente obiettare che il mutamento del gestore non sortisce effetti traslativi e non ha conseguenze sul piano della titolarità dei beni, essendo configurabile, piuttosto, secondo la ricostruzione prevalente244, una modificazione del mandato. Infatti, il mero mutamento del gestore non può essere ritenuto fenomeno idoneo a produrre effetti traslativi e di conseguenza risulta contraddittorio affermare che la proprietà dei fondi sarebbe in capo alla Sgr ove una modificazione del soggetto apparentemente proprietario non sia fenomeno idoneo a determinare un mutamento di titolarità245. Da ultimo, come già osservato, pare opportuno rilevare come sia ormai superata la ricostruzione in base alla quale sarebbe ravvisabile una comproprietà dei partecipanti al fondo sui beni dello stesso non risultando, infatti, ravvisabile un diritto sul patrimonio, ma solo in relazione al patrimonio. Muovendo da un simile punto di partenza, non si ha difficoltà ad ammettere che la (ormai) risalente riflessione sulla imputazione del fondo non può ridursi nella configurazione della relazione partecipanti-fondo in termini di comproprietà ovvero di credito246. Superato l‘ ―equivoco‖ e scrollandosi di dosso atteggiamenti di dipendenza

242

V. Regolamento sulla gestione collettiva del risparmio della Banca d‘Italia del 19 gennaio 2015, titolo V, cap. I, sez. 4, 4.1.1.

243 Cass. 16605/2010, cit.

244 CAVANNA S., Fondi comuni di investimento e Sicav, in Trattato di diritto privato diretto da Rescigno,

Vol. 16, I, II ed., Milano, 2008, 32; LENER R., Le società di gestione del risparmio nel regolamento

Consob di attuazione del t.u.f., in Società, 1998, 1121 ss.; MIOLA M., La gestione collettiva nel t.u.f.: profili organizzativi, in Banca borsa e tit. cred.,, 2001, I, 312.

245

Per tutti, FERRO-LUZZI P., op. cit., 756.

246 Ribadisce che i partecipanti ―non sono comproprietari del fondo‖ FERRO-LUZZI P. (op. cit., 756, nota

n. 5), citando la posizione di COSTI R. (da ultimo in Il mercato mobiliare, cit., 204 ss.), del quale dichiara di non condividere la tesi secondo la quale i partecipanti al fondo sarebbero ―titolari esclusivamente di un diritto di credito nei confronti della società di gestione‖. Sembra, invero, che in questo caso il riferimento al ―diritto di credito‖ sia stato effettuato dall‘A. in senso lato, in ragione della posizione di soggezione in cui essi si trovano rispetto alle scelte gestorie della società di gestione. Nello stesso testo, infatti, si fa riferimento alla posizione dei partecipanti evidenziando che si tratta di un ―rapporto di partecipazione‖ e

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psicologica dalla logica (totalizzante) dominicale, occorre prendere atto che i (complessi) rapporti e le vicende giuridiche a sfondo gestorio, piuttosto che sostanziarsi nel tradizionale schema del diritto di proprietà, devono essere interpretati e ricostruiti adottando una percezione del fenomeno in termini di (congenita) partecipazione a un investimento collettivo, in cui il regime di separazione, previsto espressamente dalla normativa di settore, assolve a una funzione di tutela della destinazione del risparmio gestito.

4. La qualificazione giuridica del fondo nella prospettiva della separazione