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4. La separazione dei patrimoni nel diritto positivo

4.3 Le società in house

In tempi recenti la giurisprudenza ha fatto ricorso al fenomeno della separazione patrimoniale anche con riguardo all‘istituto delle società in house379.

In particolare, cimentandosi sul ―problema‖ delle società interamente partecipate, si è ritenuto che la distinzione tra il patrimonio dell‘ente e quello della società si pone in termini di separazione patrimoniale, ma non di distinta titolarità380.

Al riguardo, è opportuno evidenziare, preliminarmente, che le società cd. in house providing sono quelle società che presentano congiuntamente i requisiti della natura esclusivamente pubblica dei soci; dello svolgimento dell‘attività in prevalenza a favore dei soci stessi; della sottoposizione a un controllo corrispondente a quello esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici381.

376 Trib. Napoli, 1 ottobre 2003, in Giur. mer., 2004, 469. Si trattava, nel caso di specie, di un trust

autodichiarato costituito con la finalità di reperire risorse destinate all‘educazione dei discendenti del disponente. Si sarebbe sostanzialmente trattato, perciò, di un duplicato del fondo patrimoniale che può essere costituito dal singolo coniuge e dallo stesso amministrato, destinandone i frutti ai bisogni del nucleo familiare.

377 BARTOLI S., Il trust auto-dichiarato nella Convenzione de L’aja sui trust, in Trusts e attività

fiduciarie, 2005, 364, dov‘è concluso che l‘art. 2, § 1, Conv., alludendo ad un disponente e ad un trustee,

non implichi che costoro debbano essere soggetti distinti, limitandosi il testo convenzionale a stabilire che, per aversi un trust, occorra una fattispecie in cui qualcuno svolga il ruolo di disponente e qualcuno (non necessariamente altro dal disponente) quello del trustee.

378 Così nel diritto di famiglia (art. 167 c.c.), quanto in quello successorio (art. 490 c.c.) e societario (art.

2447 ter c.c.). D‘altra parte, l‘ordinamento inglese consente l‘istituzione del trust con attribuzione traslativa al trustee, ma parimenti consente, dagli inizi del secolo decimonono, il trust c.d. autodichiarato, privo d‘alterità soggettiva tra disponente e trustee (declaration of trust). Il leading case fu quello deciso in Ex Parte Pye (1811) 18 VES 140

379

Per una rassegna dell‘evoluzione normativa e giurisprudenziale dell‘istituto, v. CALOGERO A., La

società in house tra pubblico e privato dopo il D.P.R. 168/2010, in Innovazione e diritto, 2010, 72 ss.;

CARINGELLA F., Il problema dell‘in house providing: un nodo non risolto dal Codice, ne I contratti

pubblici di lavori, servizi e forniture, a cura di De Nictolis, Milano, 2007, 335 ss..

380 Cass. sez. un., 25 novembre 2013, n. 26283, su cui, in termini critici, vedi IBBA C., Responsabilità

erariale e società in house, in Giur. comm. 2014, 13 ss. nonché FIMMANÒ F., Le società in house tra

giurisdizione, responsabilità ed insolvenza, in Gazz. for., 2014, 12 ss.,; Cass., 10 marzo 2014, n. 5491.

381

La sussistenza delle condizioni legittimanti l‘in house providing sono divisate dalla Corte Costituzionale,con sentenza del 23.12.2008 n. 439, sulla base dell‘elaborazione della Corte di Giustizia

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Tali società, individuate alla stregua dei suddetti parametri congiuntamente e contestualmente considerati, sono configurate dalla giurisprudenza di legittimità in termini di longa manus della pubblica amministrazione controllante e si collocano non come un‘entità giuridica posta al di fuori dell‘ente pubblico bensì come un ufficio, un‘articolazione o un servizio amministrativo dell‘ente partecipante da cui promana. Secondo questo orientamento, ne deriva, in generale, che l‘uso del termine ―società‖ serve solo a significare che il paradigma organizzativo va desunto dal modello societario e, nel caso specifico, non si può ritenere che la società in house, costituita sottoforma di società azionaria o di capitali, sia una persona giuridica autonoma cui corrisponda un autonomo centro decisionale. Emerge, infatti, la difficoltà di conciliare il fenomeno dell‘in house providing con la configurazione delle società di capitali ‒ da cui mutuano solo la forma esteriore ‒ intese come persona giuridica autonoma e distinta dai soggetti che in esse agiscono e per il cui tramite essa stessa agisce per lo svolgimento di attività imprenditoriali a fine di lucro, attesa la completa assenza, da parte di tali entità, di un potere decisionale autonomo, in conseguenza della totalitaria assoggettazione degli organi sociali al potere gerarchico dell‘ente controllante. Da qui, la conclusione che la distinzione tra socio (pubblico) e società (in house) non si realizza più in termini di alterità soggettiva 382.

dell‘Unione Europea. In particolare, perché possa dirsi integrato il terzo dei requisiti indicati è necessario che l'ente pubblico partecipante ―abbia statutariamente il potere di dettare le linee strategiche e le scelte operative della società in house‖, non essendo dunque sufficiente ―l'influenza dominante che il titolare della partecipazione maggioritaria (o totalitaria) è di regola in grado di esercitare sull'assemblea della società e, di riflesso, sulla scelta degli organi sociali; si tratta, invece, di un potere di comando direttamente esercitato sulla gestione dell'ente con modalità e con un'intensità non riconducibili ai diritti ed alle facoltà che normalmente spettano al socio (fosse pure un socio unico) in base alle regole dettate dal codice civile, e sino a punto che agli organi della società non resta affidata nessuna autonoma rilevante autonomia gestionale (si veda, in tal senso, Cons. Stato, Ad. plen., 3 marzo 2008, n. 1, e della conforme giurisprudenza amministrativa che ne è seguita)‖. Proprio il requisito del ―controllo analogo‖ induce le Sezioni Unite a ritenere ―evidente l'anomalia del fenomeno dell'in house nel panorama del diritto societario‖, essendo inconciliabile con la conformazione della società di capitali, ―quale persona giuridica autonoma e distinta dai soggetti che in essa agiscono e per il cui tramite essa stessa agisce, (…) la totale assenza di un potere decisionale suo proprio, in conseguenza del totale assoggettamento dei suoi organi al potere gerarchico dell'ente pubblico titolare della partecipazione sociale.

382

Al riguardo le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza 25 novembre 2013, n. 26283, osservano che il rapporto riscontrabile tra soggetto societario ed ente pubblico non è certo riconducibile al fenomeno della eterodirezione di società pure configurato dagli articoli 2497 e ss. c.c. I Giudici osservano che mentre la disciplina della direzione e del coordinamento dettata dalle citate disposizioni ―è volta a coniugare l'unitarietà imprenditoriale della grande impresa con la perdurante autonomia giuridica delle singole società agglomerate nel gruppo, che restano comunque entità giuridiche e centri d'interesse distinti l'una dalle altre‖, diversamente, in presenza di una società in house, ricorre una ―subordinazione dei suoi gestori all'ente pubblico partecipante‖ e ―l'impossibilità stessa d'individuare nella società un centro d'interessi davvero distinto rispetto all'ente pubblico che la ha costituita e per il quale essa

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Dalla rilevata assenza di un rapporto di alterità tra l‘ente pubblico partecipante e la società che ad esso fa capo discende, a tal fine, che anche il patrimonio dell‘ente partecipante si pone in termini di ―mera separazione patrimoniale‖ con quello della società e non di distinta titolarità, giacchè il socio pubblico titolare della partecipazione esercita sulla società un potere di governo del tutto corrispondente a quello esercitato sui propri organi interni.

A ben vedere, i giudici di legittimità hanno così coniato in via giurisprudenziale (e senza una previsione normativa) una sorta di patrimonio separato, destinato ad uno specifico affare (la gestione di un servizio pubblico), a guisa della fenomenologia contemplata dall‘art. 2447- bis e ss., c.c.

Applicando il principio della neutralità della forma giuridica e l‘irrilevanza della natura privatistica della società a partecipazione pubblica a fronte della prevalenza, al contrario, del regime giuridico al quale essa è in concreto assoggettata, deriva il corollario, in ambito concorsuale, che la società in house providing, totalmente partecipata da un ente locale, non può essere dichiarata fallita, in quanto priva del requisito soggettivo indicato dall‘art. 1, l. fall383. Con l‘ulteriore conseguenza pratica, in questo caso, che il danno eventualmente inferto al patrimonio della società da atti illegittimi degli amministratori, cui possa aver contribuito un colpevole difetto di vigilanza imputabile agli organi di controllo, è arrecato a un patrimonio (separato, ma pur sempre) riconducibile all‘ente pubblico. A ben vedere, trattandosi, quindi, di un danno erariale, è pienamente giustificata l‘attribuzione della giurisdizione sulla relativa azione di responsabilità alla Corte dei conti384.

In effetti, ancorché non possa (evidentemente) ritenersi formalmente abolita la distinta personalità giuridica della società, siffatta conclusione sembra tener conto sia della natura (sostanzialmente pubblica) della attività e della funzione svolta sia delle soluzioni compatibili con una tutela (diretta) delle ragioni creditorie (di soggetti terzi rispetto alla parte dell‘attività riservata con l‘ente partecipante, che peraltro la legge

383

In tal senso, in conformità a Cass. sez. un., 25 novembre 2013 n. 2628, si è orientata la giurisprudenza di merito: vedi Trib. Napoli, 9 gennaio 2014, in www.ilcaso.it 2014, nonché Trib. Verona, 19 dicembre 2013, in www.ilcaso.it; per l‘assoggettabilità invece alla procedura di concordato preventivo delle società in house, in quanto comunque soggetti di diritto privato distinti dall‘ente pubblico (nonostante il controllo analogo), Trib. Pescara, 14 gennaio 2014, in www.ilcaso.it.

384 Sulla questione della sussistenza o meno della giurisdizione contabile nei confronti di soggetti, titolari

di funzioni amministrative o di controllo all‘interno di società di capitali costituite e partecipate da enti pubblici, ai quali vengano imputati atti contrari ai loro doveri d'ufficio con conseguenti danni per la società stessa, v. Cass., sez. un., 19 dicembre 2009, n. 26806; in senso conforme, da ultimo, Cass., sez. un., 3 maggio 2013, n. 10299; Id, 25 marzo 2013, n. 7374

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stessa si preoccupa di qualificare – accentuandone il carattere – come ―più importante‖ anziché soltanto prevalente).

Così ragionando, tuttavia, il rapporto fra la disciplina della società pubblica e la società in house viene a stabilirsi propriamente in termini di regola a eccezione (più che di genere a specie): su queste basi, infatti, diversamente dalle società a partecipazione dello Stato e degli enti pubblici (per cui la legge si limita a stabilire delle regole particolari), la società in house finisce (problematicamente) per non appartenere più al diritto commerciale, bensì al diritto pubblico385. Donde, la ritenuta irragionevolezza sistematica della tesi della separazione patrimoniale386.

SEZIONE III

Sommario: 5. La separazione patrimoniale in ambito finanziario. – 5.1. La cartolarizzazione dei crediti e il project financing. – 5.2. I servizi e le attività di investimento. – 5.3. I fondi pensione. – 5.4. Gli istituti di pagamento e gli istituti di moneta elettronica – 5.5. I conti separati previsti per i premi pagati all’intermediario assicurativo. – 6. Brevi rilievi conclusivi.