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Numerosissime evidenze suggeriscono che l’insulino-resistenza rappresenti un momento patogenetico fondamentale sia per il diabete tipo 2 sia per la malattia aterosclerotica. L’insulino-resistenza svolge un ruolo patogenetico importante anche nel determinismo del danno renale, sia nella popolazione generale che nei pazienti con diabete tipo 1. Sono infatti numerosi gli studi condotti anche su ampie popolazioni che hanno documentato uno stretto legame tra insulino-resistenza (e sindrome metabolica) e la malattia renale. Chen e coll. hanno recentemente pubblicato i risultati di uno studio condotto su oltre 6.000 adulti americani che ha mostrato come esista una forte associazione tra la sindrome metabolica, l’insulino-resistenza e la presenza di microalbuminuria o di malattia cronica renale, definita da un filtrato glomerulare renale inferiore a 60 mL/min/1,73m2. In questa coorte, il rischio di microalbuminuria e di malattia cronica renale era aumentato di 1,9 e 2,6 volte, rispettivamente, nei soggetti con sindrome metabolica confrontati a soggetti senza sindrome metabolica e tale aumento era lineare con l’aumentare del numero dei componenti della sindrome metabolica (94). Mediante clamp euglicemico iperinsulinemico, è stato dimostrato che diabetici tipo 1 microalbuminurici, e quindi con malattia renale incipiente, hanno una ridotta sensibilità all’insulina (95). Successivamente, due studi prospettici, sebbene condotti con metodologie diverse e con diversa numerosità della popolazione studiata, hanno confermato questa associazione (96,97). Orchard e

coll. hanno documentato che i pazienti con diabete tipo 1 che al follow-up di 10 anni progredivano verso la nefropatia conclamata erano quelli che all’ingresso nello studio presentavano maggiore insulino-resistenza (97). Insulino-resistenza è stata documentata nei genitori di pazienti con diabete mellito tipo 1 e nefropatia diabetica (22) suggerendo che proprio la condizione di insulino-resistenza rappresenti uno dei fattori ereditari di suscettibilità alla complicanza renale. La dimostrazione, inoltre, che la storia familiare positiva per diabete tipo 2, per definizione caratterizzato da insulino-resistenza, sia più frequente nelle famiglie di pazienti con diabete tipo 1 e nefropatia, rafforza la possibilità che l’insulino-resistenza preceda e giochi un ruolo importante nel determinare l’insorgenza del danno renale. Una serie numerosa di studi atti a chiarire i rapporti tra insulino-resistenza e nefropatia diabetica sono stati condotti anche in pazienti con diabete tipo 2 (99,100). In oltre 700 pazienti con diabete tipo 2 è stata riportata una stretta e indipendente correlazione tra insulino-resistenza, stimata con un indice indiretto quale è l’HOMAir, e la escrezione urinaria di albumina (r=0,15, p=0,0001). In questo studio i pazienti più insulino-resistenti, soprattutto se maschi, avevano aumentato di oltre 4 volte il rischio di avere elevati valori di escrezione urinari di albumina (101). In questa stessa popolazione è stata anche documentata una stretta associazione tra sindrome metabolica e riduzione del filtrato glomerulare. La presenza di 2 o 3 componenti della sindrome metabolica, oltre al diabete, aumenta di 3,4 o 4,6 volte il rischio di malattia cronica renale (102).

I meccanismi attraverso i quali l’insulino-resistenza potrebbe giocare un ruolo determinante nella insorgenza del danno renale sono molteplici. Il primo potrebbe essere legato all’iperinsulinemia che caratterizza i soggetti insulino-resistenti e che, agendo a livello del tubulo renale, potrebbe essere la causa, attraverso una sua spiccata azione sodio-ritentiva, di un aumento del volume extracellulare e, conseguentemente, dei valori pressori sia a livello sistemico sia a livello intraglomerulare (103). L’insulino-resistenza

potrebbe contribuire anche alla maggiore sodio-sensibilità che caratterizza i pazienti con diabete tipo 2 e microalbuminuria (104). L’aumento della pressione intraglomerulare a sua volta potrebbe avviare una serie di danni che portano all’aumentata escrezione di albumina, ma, anche, attraverso meccanismi di modificazione dello shear stress, alla proliferazione del mesangio e della matrice mesangiale (105). Inoltre, in condizioni di normale sensibilità insulinica, l’insulina aumenta la produzione di ossido nitrico (NO), stimolando l’attivazione dell’eNOS o inducendo un’aumentata espressione di tale enzima (figura 8 e figura 9).

Figura 8. Meccanismi cellulari attraverso i quali l’insulina attiva l’utilizzazione glucidica e stimola la

vasodilatazione NO-mediata. Entrambi gli effetti sono mediati dall’attivazione di identiche vie di trasmissione del segnale insulinico. A livello del muscolo scheletrico il legame dell’insulina con il proprio recettore determina l’attivazione della cascata IRS/PI3-K/Akt e la conseguente traslocazione del trasportatore del glucosio insulino-dipendente (GLUT-4). A livello della cellula endoteliale l’attivazione della stessa via del

segnale comporta la trascrizione di eNOS, l’enzima responsabile della sintesi di ossido nitrico. In patologia umana l’insulino-resistenza si associa a un tipico difetto della cascata IRS/PI3-K/Akt, motivo per il quale ben si comprende come al ridursi dell’utilizzazione insulino-mediata di glucosio si possa associare una proporzionale riduzione dell’effetto vasodinamico dell’insulina. La riduzione della sintesi di NO, peraltro, non svolge un semplice ruolo dinamico ma esercita una forte azione anti-aterogena in quanto determina inibizione della trascrizione delle metalloproteinasi (MMP-2, MMP-9), stimola quella degli inibitori tissutali delle metalloproteinasi (TIMP) e regola il processo apoptotico. A livello cellulare, l’insulina attiva anche la via mitogena ERK/MAPK. Mentre a livello dei tessuti metabolicamente attivi questa via regola l’effetto anabolico dell’ormone, nel sistema vascolare, essa media non solo la crescita cellulare ma anche la capacità di migrazione delle cellule endoteliali, delle cellule muscolari lisce e dei monociti, oltre che l'espressione di PAI-1 e di endotelina, e modula la risposta a fattori vasoattivi come angiotensina II e prostaglandine.

Figura 9. In altre parole, sembra quasi che a livello endoteliale si stabilisca un delicato equilibrio tra azioni

anti-aterogene modulate dalla cascata IRS/PI3-K/Akt e azioni pro-aterogene mediate dalla via ERk/MAPK. Recentemente, è stato osservato che la condizione di insulino-resistenza coinvolge in modo abbastanza specifico la prima ma non la seconda delle vie del segnale intracellulare dell’insulina. Mediante biopsia muscolare eseguita al termine di clamp euglicemico-iperinsulinemico in soggetti normali e insulino-resistenti (obesi e diabetici) il deficit di azione insulinica si associava a una minore attivazione di PI3-K, mentre normale

risultava quella di ERK. Analogamente, in ratti Zucker obesi e insulino-resistenti, l'attivazione della PI3-K da parte dell'insulina è attenuata mentre normale è quella della MAPK. Queste osservazioni hanno fatto ipotizzare che, in presenza di insulino-resistenza, si venga a creare una condizione di sbilanciamento tra le due vie del segnale insulinico, squilibrio che può essere particolarmente marcato in caso di concomitante iperinsulinemia, come frequentemente si osserva in soggetti insulino-resistenti. Infatti, l’aumento dei livelli circolanti di insulina potrebbe determinare un eccesso di attivazione della via ERK/MAPK che, rispetto alla cascata IRS/PI3-K/Akt, mantiene una sua normale responsività. Questa ipotesi ha ricevuto recenti supporti sperimentali. Il blocco della PI3-K ottenuto con wortmannina in cellule endoteliali si accompagna a una marcata riduzione della trascrizione di eNOS in risposta alla esposizione a elevate concentrazioni di insulina, ma, nel contempo, a una iper-attivazione di MAPK. Questo eccesso di attivazione di MAPK si accompagna a un aumento dei processi di prenilazione delle proteine Ras e Rho, fattori iniziali del processo aterosclerotico, e dell’espressione delle molecole di adesione (ICAM, VCAM, E-selectina).

In condizioni fisiologiche l’insulina causa vasodilatazione e ritarda la migrazione e la crescita delle cellule muscolari lisce dei vasi. Quest’azione è ridotta negli stati caratterizzati da insulino-resistenza. Inoltre, in condizione di insulino-resistenza verrebbe esaltata l’attività delle MAPK, responsabile degli effetti mitogeni e pro-aterogeni dell’insulina che, a livello renale, si traducono in un aumento della deposizione di matrice extracellulare. Inoltre, la perduta azione vasodilatatrice, secondaria alla ridotta disponibilità di ossido nitrico, porterebbe a un aumento della pressione intraglomerulare in grado di indurre ipertrofia e iperplasia delle cellule mesangiali, con aumentata produzione locale di citochine e fattori di crescita e aumento della matrice extracellulare (figura 9). ENPP1/PC-1 è una glicoproteina ad azione inibitrice del segnale dell’insulina. Recentemente è stato individuato un polimorfismo del gene di ENPP1/PC-1, denominato K121Q, (cioè la glutamina - Q - sostituisce la lisina - K- nella posizione aminoacidica 121). La variante 121Q inibisce in maniera attiva il segnale insulinico (106) ed è associata nella popolazione generale a insulino-resistenza (107). A fronte di dati sostanzialmente negativi relativamente al ruolo del polimorfismo di ENPP1/PC-1 nell'insorgenza della nefropatia

diabetica, è stata dimostrata nei diabetici tipo 1 portatori dell’allele 121Q, una velocità di progressione della nefropatia, significativamente più elevata rispetto a pazienti omozigoti per l’allele 121K (7,2 vs 3,7 mL/min/anno di perdita di filtrato glomerulare) (108). Questa osservazione è stata recentemente confermata da Krolewski e coll. (109), mentre in una coorte di pazienti danesi con diabete tipo 1 e nefropatia diabetica, si sono avuti risultati discordanti (110). È da sottolineare, però, che nella popolazione danese non è stata trovata l’associazione tra allele 121Q e insulino-resistenza, venendo quindi a mancare il presupposto fisiopatologico che legherebbe ENPP1/PC-1 alla insulino-resistenza (111). Tra i pazienti con diabete tipo 1 e nefropatia portatori dell’allele 121Q di ENPP1/PC-1 quelli che presentano anche il genotipo DD dell’ACE presentano un rischio significativamente (p<0,001) maggiore di avere una elevata velocità di progressione del danno renale (112). Nel diabete tipo 2, i portatori dell'allele 121Q hanno un filtrato glomerulare più basso rispetto ai pazienti portatori del genotipo K121K (113).

Il PPARγ (recettore dell’attivatore della proliferazione dei perossisomi gamma) è un promettente gene candidato per il diabete tipo 2 e l’obesità poiché regola la differenziazione degli adipociti e il metabolismo lipidico e glucidico. Una associazione tra polimorfismo Pro12Ala e nefropatia diabetica è stata descritta da Herrmann e coll. in una coorte di 445 pazienti con diabete tipo 2 (114). In particolare l’allele Ala12 era associato a livelli più bassi di escrezione urinaria di albumina, suggerendo un ruolo protettivo nei confronti della insorgenza della complicanza renale (114). Caramori e coll. hanno successivamente confermato in una popolazione brasiliana di pazienti con diabete tipo 2 l’effetto protettivo dell’allele Ala12 rispetto alla nefropatia diabetica (115).

Il gene della eNOS, coinvolto nella modulazione della sensibilità all'insulina, presenta a livello dell'introne 4 una ripetizione di 5 nucleotidi ed un polimorfismo caratterizzato dalla delezione di uno dei 5 nucleotidi (ecNOS4a/4b). L'allele ecNOS4a (delezione di uno dei 5 nucleotidi) è associato a livelli circolanti di NO più bassi e anche alla presenza di malattia

coronarica in soggetti fumatori. Neugebauer e coll. (116) hanno recentemente dimostrato, in pazienti giapponesi con diabete tipo 2, come l'allele ecNOS4a sia significativamente associato alla presenza di nefropatia. I portatori di questo allele presentano un rischio di danno renale 2,9 volte più elevato rispetto ai non portatori. Risultati simili sono stati ottenuti dal gruppo di Krolewski in diabetici di tipo 1 (117).

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