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Il rifiuto dell’integrazione tra appartenenza eccentrica e ricerca di nuovi orizzonti Variegate ed interessanti sono le storie di questi nuovi lavoratori tecnomigranti di successo,

COMPETENZE INTERCULTURALI E MONDO DEL LAVORO: la mobilità nelle imprese multinazionali come sfida alla costruzione identitaria

SIRNA CONCETTA – TERRANOVA CHIARA

3. Il rifiuto dell’integrazione tra appartenenza eccentrica e ricerca di nuovi orizzonti Variegate ed interessanti sono le storie di questi nuovi lavoratori tecnomigranti di successo,

avanguardia in un mondo di precari qualificati e senza fissa residenza. Generalmente si tratta di storie intessute di tensioni, esigenze, speranze legate all’esperienza comune di nomadismo lavorativo, quindi quasi tutte finiscono con il delineare percorsi ed itinerari omologhi, connessi allo sviluppo di comuni caratteristiche psico-relazionali e socio-culturali.

Sono persone che, per cercare lavoro, hanno lasciato i luoghi in cui si è strutturata e sviluppata la loro storia familiare e personale e si sono trovati a spostarsi più volte all’estero, in realtà e contesti diversi da molti punti di vista (climatico, socio-culturale, linguistico, storico, organizzativo, ideologico, ecc. ) sollecitate/obbligate a rinegoziare continuamente il proprio status. Vivono in situazioni di stressante competizione, rischiando di essere risucchiate in un vortice che le condanna ad un perenne vissuto di estraneità rispetto a tutti i contesti extra- aziendali, di volta in volta diversi, in cui sono costrette a spostarsi.

Interagendo con società e culture diverse, sono costrette spesso ad utilizzare, sia nel lavoro che nella realtà familiare e sociale, lingue diverse spesso non coincidenti né con quella materna né

cittadinanza implicano anche assenza di limiti ristretti (rappresentati dagli stati-nazione e dai regimi legali), flessibilità e la possibilità di combinare diverse combinazioni di diritti, privilegi e condizioni di lavoro in una geografia della produzione. Questi raggruppamenti di chance di vita disuguali vengono modellati da processi che trascendono i confini, ma che sono al tempo stesso altamente specifici e costituiscono situazioni particolari di assoggettamento. Mettendo in secondo piano e svalutando il lavoro all’interno della produzione, insieme al flusso di capitale di rete, le tecniche del neoliberalismo stanno frantumando le rivendicazioni di cittadinanza” (pp. 351- 52) provocando la progressiva degradazione dei diritti civili e del lavoro.

con quella del nuovo paese di residenza, che quasi mai hanno il tempo e la voglia di imparare adeguatamente.

Sono lavoratori particolarmente affidabili, allettati dalla possibilità di fare carriera all’interno di realtà multinazionali, disposti ad affrontare disagi e trasferimenti in nome di una soddisfacente autorealizzazione personale. A loro solitamente spetta il compito di organizzazione, supervisione, valutazione e sviluppo della operatività aziendale ma non partecipano alle decisioni politiche e gestionali dell’azienda, che subiscono senza possibilità di intervento. L’unica loro forza contrattuale è quella del bisogno che l’azienda avrà di persone in possesso delle loro competenze e delle loro caratteristiche personali, disponibili a sradicarsi e capaci di ricostruire in nuovi contesti la stessa struttura aziendale, riproducendone la filosofia e l’efficacia nel modo più efficiente possibile. Non di rado l’azienda, specie quella di servizi, quando decide di delocalizzare per un certo periodo (solitamente da tre a quattro anni), negozia al ribasso anche i contratti di lavoro e licenzia chi non accetta la proposta di trasferirsi nella nuova sede alle nuove condizioni.

Condizioni lavorative, queste, ben diverse rispetto a quelle valide nei decenni appena trascorsi, quando il maggior numero di migrazioni si concludeva spesso con un trasferimento definitivo in un altro paese e molto ristretto era il gruppo di coloro che avevano occasione di muoversi per continue missioni all’estero (dirigenti di organismi internazionali, diplomatici, top manager e imprenditori internazionali), mantenendo tuttavia sempre una sede di base stabile. Il che consentiva sempre lo spazio di un solido radicamento territoriale e di una stabilità e ricchezza di relazioni parentali e sociali!

Oggi la logica delle delocalizzazioni, aumentando la precarietà del lavoro, impedisce di fatto ogni tentativo di integrazione sociale su base territoriale ad un gruppo molto più numeroso di migranti senza la prospettiva di una possibile stabilità, come quelli di cui ci stiamo occupando, perché precarizza anche il loro senso di appartenenza ed il connesso esercizio di qualsiasi diritto e forma di partecipazione, spesso per l’intera esistenza. Ciò non comporta tuttavia per loro la perdita di ogni tipo di relazione familiare ed amicale né l’assenza assoluta di partecipazione ai processi ed agli eventi socio-culturali e politici dei paesi di riferimento: queste esperienze infatti, per quanto ridimensionate e modificate, continuano almeno in parte ad essere mantenute in vita, alimentate soprattutto facendo ricorso all’uso dei nuovi strumenti di comunicazione disponibili e della realtà virtuale (trasporti vari e collegamenti internet, telefonini, tv satellitare, social network, ecc.).

La delocalizzazione, generalmente in paesi meno sviluppati economicamente, rappresenta indubbiamente un momento di innovazione e di disagio allo stesso tempo. L’immissione di esperienze diverse in un paese provoca un confronto tra culture umane, culturali e lavorative diverse che risulta sicuramente molto interessante e, allo stesso tempo, fornisce anche l’occasione per mettere alla prova le competenze dei lavoratori più capaci, offrendo loro occasioni per una promozione nella carriera aziendale. Non mancano, però, per questi ultimi tanti disagi collegati sia allo stressante lavoro di reimpianto delle attività, sia al periodo più o meno lungo di adattamento al nuovo contesto. Il disagio è ancor più forte quando si tratta di soggetti sposati, costretti spesso a lasciare i legami della rete parentale ed amicale di riferimento, vincolati a sobbarcarsi di faticosissime peregrinazioni (laddove questo è compatibile con le nuove distanze) pur di non dilapidare e mettere in crisi i rapporti con il nucleo familiare.

I soggetti più giovani e con vincoli meno strutturati, di fronte alla opzione di un trasferimento e nell’impossibilità o indisponibilità del partner a seguirli, si trovano generalmente esposti alla scelta dilemmatica tra lavoro e affetto. In molti casi provano a trovare un altro lavoro pur di restare nel paese, soprattutto quando è il paese di nascita proprio o del partner, per mantenere il supporto della rete relazionale di riferimento. Nel caso, invece, in cui il paese da cui debbono allontanarsi sia per loro un paese ospite, generalmente sono più disponibili a seguire l’azienda

e, conseguentemente, anche i legami affettivi e sentimentali finiscono per illanguidirsi fino a spezzarsi6.

Nella nuova sede, spesso meno prestigiosa e più marginale da un punto di vista geo-politico, essi vivono inizialmente cercando di mantenere i pochi legami amicali tra i membri del gruppo di lavoro con i quali hanno condiviso il trasferimento: anche se di diversa provenienza nazionale, in certo qual senso questi diventano la nuova composita ‘famiglia’ di riferimento, quella con la quale confrontarsi e collaborare per superare l’inevitabile isolamento. La full immersion nella vita dell’azienda li porta a vivere il mondo del lavoro come una “bolla” rassicurante e protettiva, perché al suo interno essi padroneggiano quegli strumenti della comunicazione che, invece, spesso non funzionano nell’ambiente extra-aziendale, per le differenze culturali a volte molto rilevanti. Anche se la maggioranza di queste persone sono plurilingue, non di rado accade infatti che nei contesti di vita esterni al luogo di lavoro si sentano estranei, inermi ed incompetenti.

Successivamente il contatto quotidiano sia in azienda, con i nuovi lavoratori/cittadini locali, sia nei contesti extralavorativi, per il progressivo intensificarsi di nuove relazioni funzionali al soddisfacimento dei bisogni vitali, generalmente migliora la qualità della vita perchè l’ambiente esterno viene vissuto progressivamente come meno ostile e più familiare. Pur tra le tante occasioni di misunderstanding, facendo tesoro delle difficoltà e degli errori, questi nuovi lavoratori nomadi imparano dall’esperienza diretta e prolungata con le diversità culturali non soltanto la difficile arte dell’adattamento e della flessibilità ma anche quella, ancor più complessa, della interpretazione/comprensione e gestione delle diversità culturali.

Quasi sempre la maggioranza di loro, per la consapevolezza di non potersi radicare per molto tempo nei vari contesti in cui operano, non ha intenzione di instaurare legami forti di integrazione con la cultura locale, che pure si sforza di conoscere al meglio esplorandola e imparando a rispettarla. Soltanto quando nascono nuove esigenze familiari (conciliazione col lavoro del partner, presenza di figli, ecc.) le traiettorie di vita ed i progetti di integrazione stabile diventano conflittuali e a rischio di fratture.

Queste nuove forme di mobilità quasi nomadica7, che stanno diventando sempre più diffuse,

creano per la fascia di persone interessate dal fenomeno un nuovo modo ambivalente di vivere la non stanzialità ed i processi di integrazione e di appartenenza. Tutto si gioca, infatti, su una dimensione spazio-temporale che influenza il segno, positivo o negativo, del vissuto definendolo in relazione alle necessità contingenti, alle opportunità ed alle intenzionalità dei singoli attori nei vari momenti del loro peregrinare. Imparano, cioè, dalla variabilità e precarietà dei loro vissuti, ad essere flessibili ed a “sfruttare” tutti gli spazi di comunicazione ed integrazione possibili, reali e virtuali, territoriali e transnazionali, affettivi e funzionali.

Superano meglio le ineludibili iniziali difficoltà coloro che, invece di isolarsi, riescono non soltanto ad ottimizzare i propri sforzi, ricreando ovunque piccoli nuclei comunitari, ma anche ad utilizzare come valida risorsa le proprie appartenenze plurime, che considerano sfaccettature importanti della loro itinerante identità.

6 Si registra, infatti, in questo gruppo di soggetti una alta percentuale di persone single, o con diverse esperienze

plurifamiliari frammentate, difficili o fallimentari, spesso legate alle situazioni di trasferimento ricorrente ed al bisogno di ricostruire nuovi legami sentimentali, per superare la solitudine ed arricchire la rete relazionale all’interno dei nuovi contesti. Cfr. SIRNA C., Famiglie ed educazione nella società dei processi migratori in “Pedagogia e vita” A. 2011, giugno,

7 Cfr. SIRNA C., MICHELIN SALOMON A., RUGGERI F., Nomadismo familiare e scelte educative di fronte al

cambiamento, in F. CRISTANTE, M. CUSINATO, F. MORINO (a cura di ), Dentro la complessità delle famiglie. Scelte familiari tra crisi e risorse, Giunti, 1999, pp.229-244.