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Intenzionalità-con-la-z e Intensionalità-con-la-s

Capitolo 2 Intenzionalità e Corpo

2.2 Intenzionalità-con-la-z e Intensionalità-con-la-s

Abbiamo introdotto il concetto di intenzionalità perché, nel capitolo scorso, abbiamo visto come Gallagher utilizzi proprio questo criterio come elemento fondamentale per distinguere l‟immagine corporea dallo schema corporeo. Prima di capire cosa significa sostenere che queste due rappresentazioni corporee esprimono una sintesi rispettivamente intenzionale e non intenzionale del corpo, è utile soffermarsi su due questioni preliminari che, se fossero lasciate nella loro ambiguità, potrebbero trasformare il nostro tentativo di chiarificazione in un veicolo di confusione.

La prima di queste ambiguità riguarda il fatto che il termine intenzione viene utilizzato a volte per indicare un certo tipo di stato mentale – dotato di alcune ben precise caratteristiche identificative – e a volte per indicare la categoria generale degli stati mentali che godono di intenzionalità. Siccome l‟intenzionalità altro non è che una caratteristica di quegli stati mentali che possiedono un referente cui rivolgersi, intendere fare qualcosa non è altro che esercitare “un tipo di intenzionalità fra gli altri”12

. Tuttavia, nel linguaggio ordinario del senso comune, chiamiamo “intenzione” quel particolare stato mentale per cui vogliamo – intendiamo fare qualcosa – piuttosto che qualcosa d‟altro, più o meno come accade nel caso dei desideri. Per risolvere una simile difficoltà, Searle ha proposto di utilizzare l‟iniziale maiuscola – “Intenzionalità” – per designare la prima accezione del termine, e l‟iniziale minuscola – “intenzionalità” – per indicarne il valore particolare. Si tratta, però, di un problema esclusivamente linguistico, e è sufficiente prestare attenzione all‟ambiguità terminologica per porvi rimedio.

Il secondo problema che affronteremo, invece, costituisce senza ombra di dubbio un avversario decisamente più ostico e pericoloso. Si tratta, in breve, della facilità con

10 È forse necessario, allora, chiarire in che senso uno stato intenzionale possa essere considerato

tout court uno stato rappresentazionale. Non si pone alcun problema di fronte a stati intenzionali che hanno la caratteristica di descrivere uno stato di cose del mondo. Meno intuitiva, forse, è però l‟idea di classificare uno stato come il desiderio come rappresentazionale.

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Per amore di completezza, vanno esplicitate due nozioni che in realtà abbiamo già introdotto implicitamente nel corso dei nostri riferimenti a Brentano, Husserl e Searle. Stiamo parlando della nozione di contenuto intenzionale e di quella di oggetto intenzionale. Se ogni rappresentazione è una rappresentazione di qualcosa, allora ogni rappresentazione possiede un referente. Questo referente, assume il nome tecnico di oggetto intenzionale e può essere – in accordo con la concezione husserliana e searliana di intenzionalità – tanto un oggetto del mondo esterno, tanto un altro stato mentale. Strettamente connesso alla nozione di oggetto intenzionale si pone il concetto di contenuto intenzionale, che sta a indicare ciò che viene rappresentato all‟interno dello stato intenzionale.

44 cui molti sovrappongono il termine “intenzionalità” con il termine “intensionalità”. Del concetto di intenzionalità ci siamo già occupati nello scorso paragrafo, e dunque tale termine non costituisce una novità nel nostro discorso. Occorrerà invece introdurre ex

novo l‟idea di intensionalità. Originariamente, questo secondo concetto serviva per

indicare e delimitare l‟ambito in cui ogni singolo termine linguistico poteva essere utilizzato in maniera corretta. Detto questo è però fondamentale distinguere fra la “estensione” di un termine e la sua “intensione”. La prima nozione denota la classe degli oggetti ai quali è possibile applicare il termine in questione, mentre per “intensione” si denota ciò che viene effettivamente compreso del termine quando il termine viene inteso. Porre una differenza fra questi due concetti non implica però negare che fra di essi non vi possa essere alcuna relazione. Anche perché, in effetti, fra l‟estensione di un termine e la sua intensione esiste un rapporto di proporzionalità inversa: tanto più un concetto è applicabile generalmente, tanto più ristrette sono le informazioni che vengono trasmesse quando questo viene compreso e, ovviamente, viceversa.

Bene faceva allora Leibniz, portando l‟esempio del termine “uomo”, a insistere sul fatto che:

Dicendo che ogni uomo è animale voglio dire che tutti gli uomini sono compresi in tutti gli animali, ma intendo dire nello stesso tempo che l‟idea dell‟animale è compresa nell‟idea dell‟uomo. L‟animale comprende più individui dell‟uomo, ma l‟uomo comprende più idee o più formalità; l‟uno ha più esempi, l‟altro più gradi di realtà; l‟uno ha maggiore estensione, l‟altro maggiore intensione13.

Ai giorni nostri, però, questi concetti vengono applicati agli enunciati o addirittura ai linguaggi, nonché alle relative logiche. Ciò ha significato, ovviamente, una loro riformulazione sostanziale. In particolare, siamo oggi soliti definire estensionale un contesto linguistico in cui valgono alcuni principi – come il principio di sostituzione dei termini coreferenziali e quello della generalizzazione esistenziale – riservando la qualifica di intensionale a quei contesti che non si accordano con almeno una di queste proprietà14. Possiamo così evincere che l‟intensionalità sia una proprietà esibita da alcuni contesti linguistici, laddove l‟intenzionalità è – come abbiamo detto – la proprietà per cui alcuni stati mentali possiedono un referente oggettuale. La confusione fra questi

13 Leibniz, W.G. Nuovi saggi sull’intelletto umano, tr. it. UTET, Torino, 2000, libro IV, cap. 17,

p. 478.

14 In particolare, le condizioni che devono valere per rendere estensionale un sistema, sono le

seguenti due: il principio della sostituzione dei termini coreferenziali e il principio della generalizzazione esistenziale. Non è ovviamente questo il luogo per trattarli in modo specifico, ma amore di completezza spinge a una loro formulazione almeno sommaria. Il principio della sostituzione dei coreferenziali impone che ogni volta che due termini hanno la stessa estensione sia possibile scambiarli sia possibile scambiare le due espressioni senza alterare in alcun modo il valore di verità dell‟asserzione in cui essi risultano inseriti. Il principio di generalizzazione esistenziale implica invece che ogni volta che un termine denoti una certa proprietà, sia possibile inferire l‟esistenza di un oggetto avente esattamente quella proprietà o relazione. In altre parole, non può essere che la sua estensione sia vuota. Qualora, come detto, il sistema in analisi supera entrambi questi test, esso viene definito estensionale. Basta, invece, il fallimento in una delle due prove per classificare il sistema come costruito intensionalmente.

45 due concetti, è allora paragonabile a una vera e propria forma di errore categoriale. Spesso però – e il motivo che ha spinto molti filosofi15 a definire l‟intensionalità come una proprietà dell‟intenzionalità è esattamente questo – accade che un enunciato esprimente intenzionalità sia anche costruito in maniera intensionale o che, di converso, un‟espressione intensionale verta su stati intenzionali. L‟errore, allora, non è tanto quello di concedere che questi due concetti possano sovrapporsi, ma consiste nel ritenere che una simile sovrapposizione sia più che puramente accidentale e contingente.