Capitolo 3 Le informazioni sintetizzate
3.4 Un quadro riassuntivo: la base sensoriale dello schema corporeo
È pacificamente condivisibile che lo schema corporeo si poggi sull‟esercizio di un insieme di abilità sensori-motorie, le quali abbiamo detto corrispondere a un corpus di “sapere come” di stampo Ryleano utili a garantire un corretto decorso comportamentale. Ciò che però non abbiamo ancora fatto è cercare di capire quali siano, di preciso, queste abilità pragmatiche. Data la natura applicativa dello schema corporeo, il modo migliore per affrontare questo problema è quello di evitare astratte definizioni e contestualizzarlo all‟interno della nostra esperienza quotidiana. D‟altra parte, lo schema corporeo è proprio quella rappresentazione corporea che viene considerata alla base della nostra motilità e della nostra capacità di agire, e il confronto diretto con un‟azione concreta pare essere la via ideale per una sua descrizione strutturale.
Proviamo allora a immaginare la seguente scena. Stiamo uscendo di casa e, come ogni mattina, dobbiamo portare con noi il nostro zaino. Per fare questo, dobbiamo prenderlo e portarlo alla nostra spalla. Considerando la frequenza con cui fronteggiamo compiti simili, e la precisione e fluidità con cui li portiamo a termine correttamente, a prima vista può sorgere spontanea la tentazione di classificare un‟azione del genere come semplice o elementare, non ulteriormente scomponibile. Non sempre, però, ciò che è intuitivo è anche corretto, e questa ne è una prova paradigmatica. A un‟analisi più approfondita, infatti, un compito come il prendere lo zaino e portarlo alla spalla dimostra di avere solo la parvenza della semplicità, e di nascondere sotto questa apparenza superficiale un fondo di grande complessità. È solo la presenza trasparente di uno schema corporeo correttamente funzionante che consente di mantenere la convinzione in una simile credenza illusoria.
Proviamo, allora, a scomporre quest‟azione complessa in unità più semplici. In questo senso, l‟atto più elementare cui possiamo giungere consiste nello spostare la nostra mano in direzione del nostro zaino. Nemmeno questa forma di raggiungimento può però essere considerata realmente semplice, in quanto richiede – oltre al possesso di informazioni legate alla posizione del nostro bersaglio – il movimento coordinato e simultaneo di numerosi segmenti corporei, ognuno in moto secondo una propria traiettoria e con le proprie caratteristiche cinematiche. Per esempio, studiando il moto di una mano che si sta muovendo per afferrare un oggetto, è abbastanza facile notare che le dita si dispongono in maniera compatibile con la morfologia del bersaglio e con la presa selezionata molto tempo prima che il bersaglio venga effettivamente raggiunto. È altrettanto semplice notare, poi, come a circa metà del percorso le dita si aprano molto più quanto sarebbe realmente richiesto, così da garantire un margine di flessibilità in previsione di eventuali accadimenti perturbatori.
Posto che uno dei compiti dello schema corporeo è quello di legare insieme tutti questi aspetti, permettendo un decorso fluido e armonioso delle azioni complesse, è evidente che una delle sue componenti debba per necessità avere una natura motoria. Vi è un punto di sostanziale accordo, fra la nostra impostazione e l‟idea trasmessa dalla letteratura tradizionale, circa la natura sensori-motoria dello schema corporeo. Non
90 stupisce, allora, la presenza di una simile forma di competenza pragmatica e disposizionale. Il suggerimento, però, è qui quello di tralasciare questa componente – seppur prendendo atto della sua rilevanza – per concentrarsi maggiormente sul versante sensoriale. Ciò che faremo, in sostanza, sarà fare un piccolo passo indietro per cercare di capire ciò che accade a un livello precedente a quello puramente esecutivo, andando a analizzare ciò che rende possibile l‟utilizzo del corpo.
Per tornare, adesso, all‟esempio da cui abbiamo preso le mosse e alla nostra esigenza di decostruirlo in termini maggiormente atomici, potremmo ritenerci tutto sommato abbastanza soddisfatti dalla seguente descrizione. Una volta localizzato il nostro bersaglio, dobbiamo portare la nostra mano su di esso, eseguendo quindi un raggiungimento. Secondariamente, dobbiamo afferrarlo e, come ultima cosa, dobbiamo eseguire un movimento di ritorno utile a portare lo zaino sulla nostra spalla. Detto questo, e data per scontata la capacità di localizzare oggetti nel mondo esterno, se la nostra intenzione è quella di afferrare lo zaino la semplice conoscenza della sua posizione costituisce un‟informazione necessaria, ma non per questo anche sufficiente. A nulla servirebbe infatti conoscere la posizione del nostro bersaglio se non conoscessimo anche la posizione dei nostri effettori nello spazio. A essere necessario e sufficiente è dunque solo l‟inserimento del nostro bersaglio in una griglia di coordinate egocentriche centrate sull‟effettore che di volta in volta è rilevante. Considerato che l‟esigenza di ricavare queste informazioni indipendentemente dalla visione è già stata al centro del nostro dibattito, e aggiunto che il presente paragrafo ha il solo compito di fornire un quadro riassuntivo della base genetica dello schema corporeo, diventa del tutto ridondante insistere ulteriormente sulla questione. Di conseguenza, sarà sufficiente ricordare che il ruolo di veicolo diretto di questo tipo di informazioni è svolto dalla propriocezione, una delle determinazioni in cui si possono declinare le informazioni tattili.
La propriocezione, però, da sola non è in grado di essere esaustiva. Affidandoci alla propriocezione – almeno per come la abbiamo definita fino a ora – possiamo venire a conoscenza solo della posizione statica dei nostri effettori mobili. Tuttavia, se questa fosse realmente la nostra unica fonte di informazioni, non riusciremmo a dire alcunché a proposito di quei segmenti che si trovano in movimento. Non saremmo, per esempio, in grado di modificare in tempo reale il decorso di un movimento, perché non potremmo disporre di alcuna informazione diretta relativa all‟effettore coinvolto. Ciò di cui abbiamo bisogno, insomma, è un vettore di conoscenza specifico per le informazioni relative al movimento dei nostri segmenti mobili. Si tratta di una sorta di vero e proprio “senso del movimento”36
, che alcuni considerano una categoria della propriocezione, e a cui altri riservano il nome specifico di cinestesia. Senza volerne fare una questione filologica o terminologica, ciò che si intende enfatizzare qui è l‟importanza di ricevere informazioni relative alla condizione statica del nostro corpo e alle sue variazioni dinamiche. In assenza di simili resoconti, saremmo condannati a vivere una vita da
91 deafferentati, e riusciremmo a agire solo a patto di tenere sempre sotto controllo – visivo e attentivo – ogni nostra azione.
Siamo arrivati, nella nostra decostruzione logica, al punto di aver reso possibile il raggiungimento e l‟afferramento del nostro zaino, ma non abbiamo ancora detto nulla a proposito di ciò che segue queste prime fasi: il mettere il nostro zaino in spalla. Ovviamente, una buona parte di questa componente è riconducibile al compito motorio di portare un oggetto da un primo punto iniziale a un secondo punto finale, e questo lo rende per noi ininfluente.
Ci concentreremo, invece, su quella abilità che consente di mantenere l‟equilibrio durante l‟esecuzione di un compito del genere. Ogni nostro movimento, in particolare quelli che comportano l‟interazione con oggetti significativamente pesanti, implica uno spostamento dell‟asse che congiunge la nostra testa al nostro baricentro. Possiamo riuscire a mantenere una posizione di equilibrio solo quando riusciamo a modificare la nostra postura in maniera tale da mantenere questo asse perpendicolare al piano del terreno. Apparentemente può sembrare un‟operazione facile ma, di nuovo, questa presunta semplicità non è altro che l‟effetto della presenza trasparente di uno schema corporeo. In realtà, infatti, esiste un meccanismo molto complesso – chiamato sistema vestibolare – che è specificatamente preposto al controllo in tempo reale dell‟inclinazione di questo asse ipotetico e i cui recettori sono collocati principalmente nelle vicinanze della parte corporea maggiormente pesante, ossia la testa. In modo semplicistico, ma efficace, possiamo allora dire che le informazioni vestibolari sono quelle informazioni che permettono di operare sulla postura attuale confrontandola con le posture precedenti e modificandola in vista di quella preventivata come prossima tenendo conto dell‟esigenza di mantenere la testa il più perpendicolare possibile al terreno.
Propriocezione, sensazioni vestibolari, eventualmente cinestesia: sono queste le informazioni sensoriali che secondo tradizione confluiscono all‟interno dello schema corporeo per la generazione di un modello capace di controllare la sfera dei movimenti. Movimento però, e non azione. Il modello classico dello schema corporeo vuole infatti contestualizzare il dominio di applicabilità di questa rappresentazione corporea alla sola sfera dei movimenti, escludendo in toto la possibilità di presiedere alla pianifica e alla realizzazione delle nostre azioni. Tuttavia, nel corso di questo lavoro abbiamo già avuto modo di mostrare come alcune caratteristiche delle strutture tradizionalmente reputate fondamentali per lo schema corporeo siano in realtà maggiormente in sintonia con il più ampio concetto di azione. Questo, dovrebbe spingere i ricercatori a riconfigurare il concetto di schema corporeo attorno alla sfera delle azioni, piuttosto che a quella dei semplici movimenti.
Il punto però è che un simile passaggio – che appare necessario ancor più che legittimo – ha la conseguenza di rendere lo scenario che abbiamo delineato fino a ora improvvisamente insufficiente e lacunoso. Se infatti il movimento è per così dire fine a se stesso e non è rivolto a un bersaglio, l‟azione è per definizione legata all‟assunzione di un atteggiamento interattivo fra il soggetto agente e un oggetto. In altre parole,
92 mentre un movimento ha un valore puramente cinematico un‟azione possiede un vero e proprio significato, che è determinato dal suo tendere verso qualcosa. Questo significa che, a differenza di un semplice movimento, un atto motorio necessita di essere guidato. Certamente, da questo segue che lo schema corporeo si trovi implicato in operazioni molto più complesse di quelle cui era relegato dalla concezione tradizionale, e ciò spinge a ipotizzare che una simile complessità possa essere transitivamente applicabile anche alla sua base fondazionale. Ciò che in altre parole sembrerebbe diventare lecito supporre è l‟idea per cui lo schema corporeo potrebbe essere organizzato secondo un principio di multimodalità, in cui le informazioni aptiche vengono integrate a quelle veicolate dalle altre capacità sensoriali. In particolare, diventa interessante provare a rivalutare il contributo che potrebbe essere fornito dal senso che più di tutti – quando disponibile – influenza le nostre vite e i nostri comportamenti, ossia la visione. Di questo però, e del fatto che diversamente dai movimenti le azioni necessitano di una guida, ci occuperemo più diffusamente nel prossimo capitolo.
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