• Non ci sono risultati.

Capitolo 2 Intenzionalità e Corpo

2.3 Intenzionalità e corpo: un primo problema

2.3.2 Libet e la tempistica della mente

Verso la metà degli anni Ottanta del secolo scorso, alcune scoperte neuroscientifiche nate nel tentativo di studiare in modo sistematico l‟esperienza cosciente, hanno attaccato duramente il modello descritto nella sezione precedente colpendolo, per così dire, nelle sue fondamenta. In particolare, dobbiamo al neurofisiologo Libet23 la scoperta che l‟esperienza cosciente del “decidere di agire adesso” non precede ma segue l‟elaborazione del comando motorio responsabile dell‟esecuzione dell‟azione stessa. In una serie di esperimenti volti allo studio sistematico dell‟esperienza cosciente, Libet sottopone i suoi soggetti – individui neurologicamente sani – a un test molto semplice.

Il soggetto doveva sedere di fronte a una sorta di sofisticato orologio – in realtà si trattava di un oscilloscopio – sul cui quadrante la lancetta dei secondi era sostituita da un punto luminoso che si muoveva a velocità molto elevata. Più precisamente, mentre una lancetta normale impiega 60 secondi per eseguire il giro completo del quadrante, il punto luminoso compiva il medesimo tragitto in soli 2,56 secondi. Ciò significa che ogni secondo marcato sull‟oscilloscopio corrispondeva a 43 millisecondi di un orologio reale24. Il compito del soggetto, poi, era semplicemente quello di flettere il proprio polso in maniera spontanea – lasciando che l‟azione “si verificasse da sola”25 – e di “associare la prima consapevolezza della sua intenzione di muoversi con la “posizione

22 Vedi Ryle, G. Il concetto di mente, tr. it. Laterza, Roma-Bari, 2007. 23

Per una summa dei lavori sperimentali coordinati da questo neurofisiologo riletti in chiave divulgativa, vedi Libet, B. MindTime: il fattore temporale nella coscienza, tr. it. Raffaello Cortina, Milano, 2007. Per una discussione maggiormente tecnica, vedi invece Haggard, P., Libet, B., “Conscious intention and brain activity”, in Journal of Counsciousness Studies, 8, 2001, pp. 47-64.

24 L‟importanza di sottolineare queste scale temporali non è frutto di uno sfoggio di tecnicismo,

ma mira a enfatizzare quanto le scale temporali implicate dall‟elaborazione e dalla trasmissione dei segnali elettrici e chimici da parte del nostro sistema nervoso siano profondamente diverse da quelle che utilizziamo per misurare le nostre vite.

50 dell‟orologio” del punto luminoso rotante”26

. Mediante il posizionamento di alcuni elettrodi di superficie, veniva poi registrata l‟attivazione cerebrale nell‟arco di tempo in cui si svolgeva questo compito27.

Si è così potuto scoprire, sicuramente non senza sorpresa, che l‟attivazione corticale precede di qualche centinaio di millisecondi l‟insorgere della prima consapevolezza di avere un‟intenzione di movimento. L‟idea, insomma, è che il nostro cervello sappia prima di noi quello che decideremo di fare. Come è possibile, però, coniugare queste considerazioni sperimentali con l‟idea per cui il nostro comportamento volontario sarebbe determinato – in adesione a quello che i filosofi amano chiamare libero arbitrio28 – da uno o più stati mentali, nello specifico dotati di intenzionalità? Finché si rimane convinti che la caratteristica definente delle azioni volontarie sia la presenza di un soggetto dotato di una mente e capace di autodeterminare i suoi pensieri e le sue azioni29, le due posizioni sono destinate a rimanere mutuamente esclusive. Tuttavia, ipotizzare un simile potere causale della mente sul corpo, significherebbe ipotizzare che il pensiero abbia il potere di causare in modo efficiente “le scariche di impulsi che partono dalle cellule piramidali della […] corteccia motoria e, quindi, in fin dei conti, le contrazioni dei […] muscoli”30. Si tratta però di un‟assunzione piuttosto scomoda, a cui noi non siamo in grado31 di fornire alcuna spiegazione biologica che vada sufficientemente oltre le approssimazioni del senso comune.

Inoltre, sostenere che le nostre azioni volontarie nascano in maniera non volontaria, non esclude affatto che il soggetto agente mantenga la possibilità di controllare esplicitamente il decorso dei suoi comportamenti. Come già detto, questo sarebbe quanto meno insensato, se non proprio completamente assurdo, e in ogni caso verrebbe smentito dalla nostra esperienza quotidiana. Ciò che viene espressamente

26

Ibidem.

27 È noto da tempo che la libera esecuzione di un atto volontario sia preceduta da un

cambiamento dell‟attività elettrica cerebrale registrabile a livello del cuoio capelluto. Per le prime evidenze sperimentali in questo senso, vedi Kornhuber, H.H., Deecke, L. “Hirnpotentialanderungen bei Willkurbewegungen und passiven Bewegungen des Menschen: Bereitschaftpotential und re afferente potentiale”, in PflugersArchiv, 284, 1965, pp. 1-17.

28 La trattazione di un argomento tanto complesso come il problema del libero arbitrio, non è

certamente pertinente agli scope di questo lavoro, finalizzato all‟analisi di una dimensione che, come quella dello schema corporeo, non è dotata della possibilità di operare scelte.Per questo motivo non prenderemo esplicitamente una posizione all‟interno di questo dibattito. Per un discorso maggiormente critico, esposto in forma divulgativa, relativo al rapporto fra libero arbitrio e le varie forme di determinismo vedi Giorello, G., Boncinelli, E. Lo scimmione intelligente. Dio, Natura e Libertà. Rizzoli, Milano, 2009. Per un discorso relativo al rapporto fra libero arbitrio e epifenomenismo, vedi invece Gallagher, S. “Where‟s the action? Epiphenomenalism and the problem of free will”, in Banks, W., Pockett, S., Gallagher, S., a cura di) Does Consciousness Cause Behavior? An Investigation of the

Nature of Volition, pp. 109-124, MIT Press, Cambridge MA., 2006.

29

Vedi per esempio Searle, J.R. “Consciousness, free action and the brain”, in Journal of

Consciousness Studies, 7, 2000, pp. 3-32; Searle, J.R., “Consciousness”, in Annual Review of Neuroscience, 23, 2000, pp. 557-578.

30 Eccles, J., Popper, K. L’io e il suo cervello, tr. it. Armando Editore, Roma, 1986, p. 346. 31

Come già affermato in precedenza, non è obiettivo di questo lavoro affrontare il problema delle interazioni fra mente e corpo. Per questo motivo, non intendiamo prendere alcuna posizione circa la dipendenza di questa lacuna esplicativa da una carenza delle nostre conoscenze attuali, ancora troppo incomplete, o da una ineliminabile debolezza di fondo.

51 negato qui, infatti, è solo il fatto che il comportamento che noi classifichiamo come volontario nasca in risposta alle condizioni dettate da uno o più stati mentali. Nulla, però, viene asserito a proposito della possibilità delle nostre facoltà superiori di interferire con il decorso dell‟azione una volta generato il segnale di avvio. Non bisogna dimenticare, infatti, che nonostante l‟elaborazione del segnale motorio preceda l‟insorgere della coscienza, l‟intervento di quest‟ultima avviene comunque prima di una qualsiasi attivazione muscolare.

Sarebbe sensato allora ipotizzare che la coscienza – e dunque il regno del mentale che in essa prende vita – possa esercitare la sua influenza comportamentale non stando a monte dell‟atto generativo ma collocandosi, per così dire, in un punto di mezzo. Le azioni, infatti, potrebbero essere pianificate mediante una sorta di borbottio inconsapevole del nostro cervello, mentre alle nostre capacità mentali rimarrebbe solo di selezionare un ristretto numero di azioni per consentirne la concretizzazione, ponendo al contempo il proprio veto alle altre. D‟altra parte, lo abbiamo detto: facciamo molte più cose di quante non ne decidiamo di fare.

La volontà cosciente può decidere se permettere al processo volontario di andare a compimento, dando luogo all‟atto motorio. Oppure, la volontà cosciente può mettere il veto al processo e bloccarlo, di modo che non avvenga nessun atto motorio. […] La volontà cosciente potrebbe consentire attivamente il proseguimento del processo di volizione. In questo caso non sarebbe una semplice osservatrice passiva. Si può ritenere che le azioni volontarie comincino con iniziative inconsce che vengono “borbottate” dal cervello. La volontà cosciente quindi selezionerebbe quali di queste iniziative possono proseguire per diventare un‟azione, o quali devono essere vietate e fatte abortire in modo che non compaia nessun atto motorio32.

Indipendentemente da questo ridimensionamento del valore del concetto di libero arbitrio – su cui, ripetiamo, non abbiamo intenzione di prendere alcuna posizione – a uscire fortemente ridimensionata dal confronto con questi dati è la nozione classica di intenzionalità. Descrivere gli stati fisici come delle condizioni di soddisfacimento di alcuni stati mentali intenzionali significa postulare un rapporto di consequenzialità dei primi rispetto ai secondi. Tuttavia, abbiamo visto come assumere questa relazione non sia un‟operazione completamente legittima. Piuttosto, sembrerebbe proprio che la presa di consapevolezza di una simile difficoltà costituisca un segno di quanto poco adatto sia il modello classico di intenzionalità per descrivere e fondare il nostro comportamento corporeo.

52