Nella maggior parte dei casi, persone affette da gravi tetraplegie sono ancora in grado generare segnali muscolari o di muovere alcune parti del proprio corpo con cui controllare diversi dispositivi. In questo contesto, molto usati sono gli “Eye tracker” che consentono di controllare device usando i movimenti degli occhi. Un altro esempio di tecnologia non invasiva utilizzabile per persone con elevato grado di paralisi è un sistema, proposto nel 2010 da un gruppo di ricercatori Israeliani, basato sull’inalazione ed esalazione dal naso9.
Un’attenzione particolare però meritano le interfacce che sfruttano la mobilità residua, perché offrono svariati vantaggi:
• Permettono di mantenere attive le parti del corpo che possono ancora muoversi • Garantiscono un’elevata personalizzazione del controllo
• Permettono l’adattamento alle abilità residue del soggetto
In altre parole, queste interfacce possono essere usate per garantire un controllo efficace, associando ai movimenti che un soggetto riesce ancora a fare e/o preferisce fare il controllo di un cursore, di una tastiera virtuale o di dispositivi assistivi/riabilitativi (Figura 3). In sintesi, l’obiettivo delle interfacce corpo macchina è quello di massimizzare la capacità degli utenti di muoversi e controllare il proprio ambiente utilizzando le funzioni motorie residue e fornendo strumenti per recuperare quelle perse o rafforzare quelle silenti/deboli.
Questo è l’approccio portato avanti da un gruppo di ricercatori dello Shirley Ryan AbilityLab e della Northwestern University, con cui l’università di Genova e l’Unità Spinale Unipolare dell’Ospedale Santa Corona collaborano. L’idea parte dalla constatazione che anche i soggetti con gravi lesioni del midollo spinale (lesioni a livello cervicale anche complete) spesso mantengono un livello
significativo di mobilità della parte superiore del corpo. Questa capacità residua può essere utilizzata per esplorare e interagire con il mondo esterno. Pertanto, mentre le interfacce cervello-macchina aggirano efficacemente il sistema motorio, l'interfaccia corpo-macchina sfrutta le abilità motorie che rimangono disponibili al suo utente e ha il potenziale per migliorare queste abilità attraverso il loro uso sistematico e coordinato. Quindi, un'interfaccia corpo-macchina non solo mira a fornire il controllo su un dispositivo esterno, ma potrebbe anche servire come strumento di riabilitazione, inducendo l'utente a eseguire frequentemente movimenti del corpo che acquisiscono un nuovo significato funzionale attraverso l'interfaccia10. Questo permette di avere sistemi che uniscono
assistenza e riabilitazione, due domini spesso separati anche nella pratica clinica.
Conclusione
In generale al termine “strumento assistivo” vengono associate tutte quelle tecnologie ed attrezzature sviluppate per permettere a soggetti con diverse disabilità di eseguire attività di vita quotidiana in completa autonomia. Quando si pensa a queste tecnologie si ci aspetta che siano progettate su misura per il singolo individuo e le sue abilità residue e che siano versatili e funzionali. Purtroppo, i dispositivi attualmente in commercio spesso non presentano tali proprietà. Solitamente sono caratterizzati da interfacce “one-size fits all” (letteralmente “taglia unica”) che delegano l’onere di apprendere come controllare correttamente il dispositivo unicamente all’utente e sono spesso azionati da segnali prestabiliti e specifici, consideriamo ad esempio il joystick di una carrozzina, che non si adattano alle capacità del singolo individuo. Questo determina problemi e rischi di incidenti alti per le persone con disabilità più gravi. Le tecnologie proposte, inoltre, possono essere poco intuitive e difficili da padroneggiare e non si adattano in maniera dinamica all’evoluzione temporale della disabilità della persona, ma costringono l’utente ad apprendere svariati metodi di controllo in quanto ogni device è caratterizzato da una propria interfaccia. Da tali problematiche deriva la ricerca sulle interfacce corpo – macchina. Questi sistemi, infatti, sono pensati con l’idea di sviluppare un’interfaccia standard, in grado di essere applicata a diversi dispositivi, mantenendo lo stesso metodo di controllo. Allo stesso tempo, le interfacce corpo-macchina sono altamente
personalizzabili e versatili, permettendo all’utente un’interazione quanto più naturale possibile con il dispositivo che devono controllare. Inoltre, la possibilità di acquisire diversi segnali dal corpo in funzione delle abilità del singolo individuo rende il controllo del device esterno più facile ed intuitivo e permette di integrare l’elemento riabilitativo a quello assistivo, in quanto mentre il soggetto controlla il device assistivo rafforza e allena nel contempo le funzionalità motorie residue che sta utilizzando per il controllo stesso.
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