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Internet e libertà di espressione

Nerlla società odierna, le nuove tecnologie di comunicazione hanno permesso ad un pubblico più vasto di esporre il proprio pensiero in modo più immediato (basti pensare a siti internet, pubblicità, banner o più semplicemente all’utilizzo di piattaforme social come Twitter, Facebook, Istagram o Youtube). Conseguentemente è sorto il problema da una parte di come tutelare il diritto di parola su piattaforme virtuali e di come reprimerne gli abusi dall’altra.

In modo alquanto lungimirante, la Costituzione italiana garantisce a tutti il diritto di manifestare il proprio pensiero “con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione” (art. 21 Cost. comma primo). Questa enunciazione, dotata di così ampia flessibilità rispetto al mezzo di diffusione del pensiero, ha permesso l’integra sopravvivenza dell’articolo sopracitato nonoastante l’introduzione dei nuovi mezzi di comunicazione di massa che, come Internet, non erano neppure ipotizzabili ai tempi della redazione della Carta. L’esperienza ha ormai dimostrato, che, non diversamente dagli altri mezzi di comunicazione, la rete può essere utilizzata per recare offesa sia valori ordinamentali collettivi, sia a interessi e diritti dei singoli. Risulta necessario capire se sia sufficiente adeguare le regole esistenti al nuovo sistema o se occorre introdurre regole nuove, che rispettino, in ogni caso, i principi costituzionali. Comunque è evidente che il mezzo di comunicazione in oggetto possiede una particolarità intrinseca di cui il legislatore non può non tenere conto: a chi attribuire la responsabilità dei contenuti immessi, considerando l’impossibilità, per chi fornisce le piattaforma social, di verificarli tutti, e la facoltà dell’anonimato? Oppure, come rendere valida

una disciplina statale su un mezzo che non ha barriere nazionali o, all’inverso, come renderla efficace nel solo territorio statale senza limitare la sovranità delle altre nazioni?

Per cercare risposta a questi interrogativi, il Consiglio d’Europa ha redatto a Strasburgao, la Convenzione sul Cybercrime e il suo Protocollo addizionale, adottati tra il novembre del 2001 e il novembre 2002 dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa. La convezione, entrata in vigore il 1° luglio 2004 e ratificata dall’Italia con Legge 18 marzo 2008 n.48, cerca di armonizzare le leggi nazionali, migliorare le tecniche investigative ed aumentare la cooperazione tra gli Stati al fine di contrastare i crimini informatici, quali violazioni di network, di

sicurezza, frodi informatiche, violazioni del copyright e

pedopornografia. Il protocollo addizionale, entrato in vigore il primo marzo 2006, richiede agli Stati partecipanti di criminalizzare la diffusione di materiali o insulti razzisti e xenofobi attraverso l’utilizzo di internet e dei dispositivi telematici, e all’articolo 6, sezione 1, richiede inoltre che sia punito anche la negazione dell’Olocausto e degli altri genocidi riconosciuti dalle corti internazionali. In particolare, l’art. 1 recita:

The purpose of this Protocol is to supplement, as between the Parties to the Protocol, the provisions of the Convention on Cybercrime, opened for signature in Budapest on 23 November 2001 (hereinafter referred to as “the Convention”), as regards the criminalisation of acts of a racist and xenophobic nature committed through computer systems

L’art. 2, al primo paragrafo, fornisce inoltre una definizione del termine hate speech:

“Racist and xenophobic material” means any written material, any image or any other representation of ideas or

theories, which advocates, promotes or incites hatred, discrimination or violence, against any individual or group of individuals, based on race, colour, descent or national or ethnic origin, as well as religion if used as a pretext for any of these factors 34

Con riferimento alle “Measures to be taken at national level”, il protocollo addizionale prevede che:

Each Party shall adopt such legislative and other measures as may be necessary to establish as criminal offences under its domestic law, when committed intentionally and without right, the following conduct: distributing, or otherwise making available, racist and xenophobic material to the public through a computer system35

In generale, possiamo riassumere che il Protocollo punisce i seguenti crimini:

- minacciare, attraverso un sistema informatico ed attraverso la commissione di un reato grave secondo il proprio diritto interno, una persona o un gruppo di persone per motivi legati alla razza, al colore, alla discendenza, all’origine etnica o nazionale, alla religione;

- insultare pubblicamente, attraverso un sistema informatico, una persona o un gruppo di persone per ragioni legate alla razza, al colore, alla discendenza, all’origine etnica o nazionale, alla religione;

- distribuire, o rendere disponibile, attraverso un sistema informativo, materiale che nega, minimizza, approva o giustifica genocidi o altri crimini contro l’umanità, come definiti dalla legge internazionale e riconosciuti tali dal Tribunale Militare Internazionale, istituito

34 Additional Protocol to the Convention on Cybercrime, concerning the criminalisation of acts of a racist and xenophobic nature committed through computer systems, Articolo 2, Paragrafo 1.

35 Additional Protocol To The Convention On Cybercrime, Concerning The

Criminalisation Of Acts Of A Racist And Xenophobic Nature Committed Through Computer Systems, articolo 3, paragrafo 1.

dall’Accordo di Londra l’8 agosto 1945, o da altri tribunali internazionali.

L’Italia ha espresso la sua volontà di aderire al suddetto Protocollo mediante la firma che ha avuto luogo il 9 novembre 2011. Tuttavia non ha ancora elaborato una legge atta a ratificare il documento del Consiglio d’Europa. L’amministrazione Americana ha sottoscritto la Convenzione, ma non il Protocollo aggiuntivo, perché contrario ai suoi dettami costituzionali di libertà di espressione, che proteggono anche le opinioni razziste o gli incitamenti all’odio. Questo mette in luce, ancora una volta, la diversità della scuola americana ed europea sulla libertà di espressione che abbiamo evidenziato già nel capitolo precedente.

5. I limiti alla libera manifestazione del pensiero

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