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La legge Mancino e il “principio del bilanciamento costituzionale”

5. I limiti alla libera manifestazione del pensiero in Italia

5.2. La legge Mancino e il “principio del bilanciamento costituzionale”

Il limite del buon costume tuttavia, secondo la giurisprudenza, non è l’unico ostacolo che la libertà di espressione incontra: Sempre sul tema dell’hate speech e della libertà di manifestazione del pensiero, in Italia si inserisce la legge n. 205 del 25 giugno 1993, meglio conosciuta come

40 C. cost. n. 368/1992, in Giur. Cost. 1992, p. 2935 ss.

41 C. cost. 293/2000 in Giur. Cost. 2000, p. 2239 ss., con osservazione di A. Oddi, la riesumazione dei boni mores.

legge Mancino dal nome dell’allora Ministro dell’Interno Nicola Mancino. La legge sanziona gesti, slogan e azioni legati all’ideologia nazional-socialista e fascista e che istigano a violenza e discriminazione razziale, etnica o religiosa. Essa in buona parte integra e recepisce la legge n. 654 del 13 ottobre 1975, che da esecuzione alla ratifica della Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale del 7 marzo 1966. Sulla parte che sanziona chi esalta le azioni del fascismo, torneremo successivamente quando analizzeremo il reato di apologia del fascismo. Per quanto riguarda la parte della legge che tratta la discriminazione, la questione verrà analizzata adesso, in particolar modo come questa legge apparentemente conflittuale con l’articolo 21 della nostra costituzione si inserisce nel nostro ordinamento.

Infatti, più in generale, la Corte Costituzionale ha elaborato la metafora del bilanciamento costituzionale, ossia una tecnica argomentativa sviluppata per risolvere un conflitto tra pretese giuridiche confliggenti. Al di là della mera interpretazione sillogistica degli articoli, essi trasmetto prima di tutto dei valori che possono anche essere talvolta in conflitto tra loro. Tale conflitto tuttavia, secondo la dottrina, deve essere risolto non in modo meccanicistico, ma attraverso un bilanciamento appunto degli interessi, e quindi attraverso una ponderazione. Il meccanismo del bilanciamento costituzionale è ben riassunto in un caso

di discriminazione razziale (ma è facilmente immaginabile

l’applicazione a discriminazioni di tipo etnico, religioso o di sesso) nell’importante sentenza emessa dal tribunale di Verona il 24 febbraio 2005, (la n. 2203), che recita cosi:

Poiché al diritto di critica politica - che pur consente una maggiore asprezza di toni e di espressioni - non può essere accordata valenza assoluta, dovendo anch'esso venir bilanciato, come tutti quelli riconducibili alla libertà di manifestazione del pensiero, con l'esigenza di moralità della condotta e di tutela dei diritti fondamentali ed in particolare della dignità umana, trattandosi di libertà finalizzata allo sviluppo ed alla più completa realizzazione della personalità, come emerge anche dalla giurisprudenza europea applicativa della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (secondo cui la libertà di manifestare il proprio pensiero può essere oggetto di quelle limitazioni, previste dalla legge, che costituiscono misure necessarie in una società democratica per la sicurezza pubblica, la protezione dell'ordine, della salute, della morale pubblica, dei diritti e delle libertà degli altri, fra cui in specie di quelle il cui godimento non può essere oggetto di discriminazioni fondate sulla razza), è da escludere la sussistenza della causa di giustificazione del diritto di cronaca politica predetta nelle condotte integranti diffusione di idee di superiorità razziale e di incitamento ad atti di discriminazione razziale.

Sebbene infatti sia stata sollevata la questione di legittimità sulla legge n. 654/75 (Legge Reale), essa è stata ritenuta infondata sulla base appunto dell’appena richiamato principio di bilanciamento di interessi, in considerazione del fatto che il bene giuridico tutelato nella norma è proprio il diritto inviolabile della dignità dell’uomo, anch’esso costituzionalmente garantito42.

42 A tale proposito, si rimanda a: Ambrosetti, Beni giuridici tutelati e struttura delle fatti- specie: aspetti problematici nella normativa penale contro la discriminazione razziale, in Discriminazione razziale, xenofobia, odio religioso, diritti fondamentali e tutela penale, Riondato (a cura di), Milano, 2007, p. 1019 e ss.; Fronza, Osservazioni sull’attività di propaganda razzista, in Riv. int. dir. uomo, 1997, p. 32 e ss.; Picotti, Istigazione e propaganda della discriminazione razziale fra offesa dei diritti fondamentali della persona e libertà di manifestazione del pensiero, in Discriminazione razziale, Riondato (a cura di), p. 136 e ss.; Salotto, Reato di propaganda razziale e modifiche ai reati di opinione (L. 13 ottobre 1975, n. 654; L. 24 febbraio 2006, n. 85), in Discriminazione razziale, Riondato (a cura di), p. 172 e ss.; Leotta, voce Razzismo, in Leggi penali complementari commentate, Gaito, Ronco (a cura di), Torino, 2009, p. 2602 e ss.

Alle suddette limitazioni si aggiungono quelle introdotte dai trattati internazionali e dalle direttive europee questo perchè l’articolo 117 della Costituzione dispone che l’esercizio della potestà legislativa dello Stato e delle Regioni è condizionata dal rispetto degli obblighi internazionali, il cui rinvio viene anche precisato nella Legge del 5 giugno 2003, n. 131, intitolata "Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 " (cd legge “La Loggia”). Il primo comma dell’art. 1 recita:

Costituiscono vincoli alla potestà legislativa dello Stato e delle Regioni, ai sensi dell'art. 117, primo comma, della Costituzione, quelli derivanti dalle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute di cui all’art. 10 della Costituzione, da accordi di reciproca limitazione di sovranità di cui all’art. 11 della Costituzione, dall’ordinamento comunitario e dai trattati internazionali.

Il principio del bilanciamento costituzionale compare in diverse sentenze come, ad esempio, Cass., Sez I, 28 febbraio 2001, n341:

La diffusione di idee fondate sulla superiorità della razza ariana, operata dai componenti di una associazione di stampo nazista, tramite volantini, articoli, libri, interviste e programmi televisivi, non rappresenta libera manifestazione del pensiero tutelata dall’art. 21 Cost. non potendo dilatarsi tale diritto sino a giustificare atti o comportamenti che, pur estrinsecandosi in una esternazione delle proprie convinzioni, ledano altri principi di primaria rilevanza costituzionale e valori tutelati dall’ordinamento giuridico interno ed internazionale.

oppure in Cass. Pen., 2002, 3874 :

In quest’occasione deve essere ribadito che il diritto alla libera manifestazione del pensiero, tutelato dall’art. 21 della Costituzione, non può essere esteso fino alla giustificazione di atti o comportamenti che, pur estrinsecandosi in

un’esternazione delle proprie convinzioni, ledono tuttavia altri principi di rilevanza costituzionale e di valori tutelati dall’ordinamento interno ed internazionale. Le norme in tema di repressione delle forme di discriminazione razziale, oltre a dare attuazione ed esecuzione agli obblighi assunti verso la comunità internazionale con l’adesione alla convenzione di New York, costituiscono anche applicazione del fondamentale principio di uguaglianza indicato nell’art. 3 della Costituzione, sicché è ampiamente giustificato il sacrificio del diritto di libera manifestazione del pensiero.

E ancora, nella sentenza Brigantini, Cass., Sez. IV, 10 luglio 2009, in Cass. pen., 2010, n. 2353:

Il principio costituzionale della libertà di manifestazione del pensiero (...) non ha valore assoluto ma deve essere coordinato con altri valori costituzionali di pari rango. In particolare, il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero incontra il limite derivante dall’art. 3 della Costituzione che consacra solennemente la pari dignità e l’uguaglianza di tutte le persone ... e in tal modo legittima ogni legge ordinaria che vieti e sanzioni, anche penalmente nel rispetto dei principi di tipicità e di offensività, la diffusione e la propaganda di teorie antirazziste.

La giurisprudenza ha rivestito un ruolo importantissimo nel fornire questi chiarimenti e tentando di colmare le lacune lasciate dal legislatore (basti pensare al fatto che nel nostro ordinamento non esiste una definizione di razzismo o di discriminazione.43). Questo, se da una parte ha reso più complicato il lavoro dei giudici ed ha richiesto di appoggiarsi

43 La definizione del principio di discriminazione è stata data da alcune norme internazionali, tra cui in particolare l’art.2 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite del 1948, l’art. 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950, e, poi, l’art.1 della Convenzione Internazionale di New York del 17 marzo 1966, sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, come ‘‘ogni distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l’ascendenza, l’origine nazionale o etnica che abbia lo scopo o l’effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, in condizioni di parità”. Mentre per quanto riguarda il razzismo la Corte Costituzionale ha illustrato come esso sia una forma di discriminazione che presuppone l’esistenza di razze superiori e inferiori e che sia interpretato come odio razziale un avversione tale da desiderare la morte o un danno grave di una o più persone solo perché appartenenti a un gruppo etnico o a una regione di appartenenza diversa.

anche ai trattati internazionali, d’altra parte ha concesso una maggiore discrezionalità sull’analisi delle situazioni e delle fattispecie su un argomento particolare come quello del bilanciamento tra la libera manifestazione del pensiero e la tutela dell’uguaglianza e della dignità umana.

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