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2.7 Interpretabilità del discorso: i limiti del linguaggio come limiti del mondo

Per chiarire la concezione del linguaggio che viene presentata in Essere e tempo può essere utile mostrare, come è stato fatto in molti studi32, l'affinità che tale

concezione possiede con aspetti della filosofia dell'ultimo Wittgenstein33; pur

all'interno di un orizzonte problematico e terminologico diversissimo, Heidegger e Wittgenstein condividono l'idea di un mondo che si apre pre-oggettualmente, e che li porta a intraprendere il superamento di “quell'idea, profondamente radicata della gnoseologia e della filosofia del linguaggio tradizionali, secondo cui noi, anzitutto, conosciamo un mondo di oggetti”34 a cui successivamente associamo

dei segni che possiamo ricordare e comunicare. Nell'analisi dei giochi linguistici di Wittgenstein può essere letta una dinamica affine all'ermeneutica dell'essere del mondo: Wittgenstein de-assolutizza dei contesti significativi riportandoli a

32 Cfr nel Bollettino 151 dell'Università di Bari il resoconto corredato da un'ottima bibliografia degli studi sul tema “Heidegger e Wittgenstein” di L. Perissinotto, Heidegger e Wittgenstein

Quarant'anni di studi; in questo lavoro vengono prese in considerazione specialmente le tesi

di Apel contenute in K.O.Apel, Wittgenstein e Heidegger. Il problema del senso dell'essere e

il sospetto d'insensatezza contro ogni metaflsica, cit., e di Rorty in R. Rorty, Philosphical Papers, vol. 11: Essays on Heidegger and Others, Cambridge University Press, Cambridge

1991 (Wittgenstein, Heidegger e la reificazione del linguaggio, in R. Rorty, Scritti filosofici

II, a cura di A. G. Gargani, trad. it. B. Agnese, Laterza, Roma-Bari 1993)

33 Ci si riferisce qui in particolare alle analisi di Della certezza, cfr. L. Wittgenstein, On

Certainty, Basil Blackwell, Oxford 1969 (Della Certezza, a cura di A.. G. Gargani, trad. it.

M. Trinchero, Giulio Einaudi editore S.p.A., Torino 1999). È opportuno precisare che qui non si intende intraprendere un confronto complessivo tra le idee dei due filosofi, tema estremamente complesso, la cui trattazione esula dalle possibilità del presente lavoro; si vuole piuttosto prendere in considerazione un'altra prospettiva filosofica che presentando, seppure a un livello di indagine non decisivo per i due filosofi, delle significative analogie con le concezioni heideggeriane, permetta di chiarire meglio il tema del linguaggio in Heidegger.

34 K.O.Apel, Wittgenstein e Heidegger. Il problema del senso dell'essere e il sospetto

ciò che essi sono, contesti appunto, legati a una prassi. Il fondamento va sempre pensato come un cristallizzarsi di qualcosa che precedentemente era mobile: eppure tale mobilità viene dimenticata35, alcune proposizioni hanno “cessato di

far parte del traffico”36, e viene così a crearsi l'illusione di certezza atemporale.

Ma tale certezza poggia sulla base di qualcosa che non è a sua volta certo37:

questo qualcosa è piuttosto ciò che rende possibile, aprendolo, il gioco della certezza, ovvero un contesto linguistico fatto di denominazioni e fondazioni. Alle spalle del gioco del denominare, così come alle spalle della Vorhandenheit heideggeriana, c'è cioè una comprensione non oggettiva ma allo stesso tempo presupposta per la costituzione dell'oggetto; e a questo livello si dà linguaggio, contemporaneamente al darsi del mondo.

Per cogliere nel loro significato le analisi heideggeriane intorno al linguaggio, non bisogna però dimenticare che Heidegger tratta del discorso sempre all'interno del progetto di un'ontologia fondamentale, guidato dalla domanda intorno all'essere, e per questo motivo cerca di mantenersi a un livello radicale d'indagine; la sua interpretazione che concepisce il linguaggio oggettivante come originato e dipendente da una condizione di senso più originaria non è un tentativo di descrivere genealogicamente lo sviluppo del procedere scientifico, né tanto meno è una pretesa di mostrare come la pratica razionale getti le sue radici nell'irrazionale. Trattare del linguaggio oggettivante in questi termini

35 “Ci si potrebbe immaginare che certe proposizioni (…) vengano irrigidite e funzionino come una rotaia per le proposizioni empiriche non rigide, fluide; e che questo rapporto cambi col tempo, in quanto le proposizioni fluide si solidificano e le proposizioni rigide diventano fluide” in L. Wittgenstein, Della certezza, cit., p.19

36 L. Wittgenstein, Della certezza, cit., p.35

37 “Se il vero è ciò che è fondato, allora il fondamento non è né vero né falso” in L. Wittgenstein, Della certezza, cit., p.35

equivarrebbe a continuare ad assumere anticipatamente un fondamento a partire dal quale pensare da un lato un soggetto e dall'altro le sue forme simboliche come due entità sussistenti; e la trattazione stessa sarebbe impostata per guadagnare un punto di vista oggettivo, mantenendosi così nell'indifferenza circa i propri oggetti. Indifferenza in cui non può invece mantenersi un domandare radicale, poiché in esso il chi che domanda si espone, viene messo in questione come colui per il quale ne va in questo domandare stesso: se l'esserci cioè è continuo autotrascendimento del proprio essere, la stessa analitica esistenziale deve essere pensata come possibilità esistentiva, passibile di essere colta dal concreto esserci come sua concreta possibilità; e allo stesso tempo, in quanto esistenziale, deve mantenere aperta la domanda sul senso di tale possibilità, non può cioè limitarsi a inserirsi all'interno di un contesto significativo, di un gioco linguistico fissato da uno scopo già stabile ma deve mettere in discussione il fissare scopi. Nel caso del discorso, questa posizione filosofica si manifesta nel fatto che esso non viene mai presentato come uno strumento nelle mani dell'uomo: piuttosto esso è l'uomo, tanto come sua apertura orizzontale, quanto come possibilità nella quale si progetta.

Da quanto detto vengono in luce chiaramente le ragioni profonde del procedimento circolare dell'analitica esistenziale, e tutta la problematicità che necessariamente comportano: il discorso deve infatti venire sempre pensato come duplice, essendo tanto forma quanto contenuto, tanto generalizzazione quanto individualizzazione, condizione e condizionato. Nemmeno il discorso filosofico può librarsi al di sopra delle strutture che determina, dominandole: una

tale ipotesi di dominio e fondatezza è resa impossibile fin dal principio dal fatto che ogni interpretazione è sempre eterodeterminata, rimandando costitutivamente quanto alla sua possibilità di senso a qualcosa che non possiede.

Ci troviamo dunque di fronte a un'analisi arbitraria? Non sarebbe corretto impostare la questione in questi termini. Certamente un'analisi sui fondamenti ontologici dell'uomo non può pretendere alcun tipo di oggettività: non si sta parlando, infatti, di oggetti. L'uomo si progetta sempre oltre qualsiasi determinazione ontica: esistenza è trascendenza che ha già da sempre superato ogni reale. Questo però non significa che il discorso heideggeriano non pretenda di essere vincolante: Heidegger sostiene esplicitamente che l'esserci è nella verità, e i fenomeni si devono poter mostrare nella loro verità.

Per poter mostrare se una tesi del genere sia sostenibile, e in che senso Heidegger la intenda, bisogna considerare come viene determinata l'essenza dell'esserci nella sua unità e la sua relazione con il tempo; è a partire da questa che si annuncia per l'esserci una relazione intrinseca con la storia, terreno in cui vanno poste tutte le questioni aperte in questo capitolo.

CAPITOLO 3 – LA STORICITÀ STRUTTURALE

DELL'UOMO

3.1 - Introduzione

Nel capitolo precedente sono state prese in considerazione le strutture fondamentali dell'esserci. Trattando dei contenuti e delle indicazioni formali che Heidegger introduce nel progetto dell'analitica fondamentale, si è cercato allo stesso tempo di riflettere sempre sul metodo utilizzato; a causa della natura delle cose trattate, l'uomo e l'essere nella loro relazione, il cammino filosofico non è indifferente all'obiettivo da raggiungere, la concettualizzazione del senso dell'essere. Si è visto come la possibilità di tale concettualizzazione sembri problematica, dal momento che l'esserci non appare come un ente fondabile rigorosamente, ma come apertura che lascia manifestare l'essere, irriducibile a qualsiasi cristallizzazione e indeterminabile alla stregua di un che cosa; e come dunque l'ontologia fondamentale debba procedere in una maniera diversa rispetto a una fondazione oggettiva.

In questo capitolo ci si soffermerà sulle analisi di Heidegger che portano dal senso unitario delle strutture ontologiche dell'esserci alla determinazione della storicità della sua essenza. Cercando di chiarire la relazione che lega l'uomo al tempo, bisognerà guadagnare un orizzonte critico che permetta di esaminare

alcuni aspetti cruciali della domanda sull'essere, nel momento in cui questa si prepara a ricadere sul domandante.