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SOMMARIO: § 1. La prima attuazione legislativa del precetto di tutela del risparmio popolare. L’apogeo della concezione che vede nel secondo comma dell’art. 47 Cost. un precetto autosufficiente. - § 2. Prime avvisaglie della individuazione di un ‘nucleo duro’ dell’art. 47 Cost.: il passaggio dalla ‘incentivazione’ del risparmio popolare (di cui al secondo comma dell’art. 47 Cost.) alla sua ‘tutela’ (secondo una lettura integrata dei due comma dell’articolo). - § 3. Limiti della tutela del risparmio popolare legislativamente stabilita nel 1974. Possibile incostituzionalità della disciplina. - § 4. Primi esiti legislativi di una interpretazione dell’art. 47 Cost. che bilanci correttamente le esigenze espresse dal primo e dal secondo comma della norma. Le residue difficoltà sulla via di una compiuta attuazione dell’art. 47 Cost.

§ 1. La prima attuazione legislativa del precetto di tutela del risparmio popolare. L’apogeo della concezione che vede nel secondo comma dell’art. 47 Cost. un precetto autosufficiente.

Le elaborazioni teoriche ed i progetti volti a dare attuazione all’art. 47 Cost. mirano, come illustrato nel capitolo precedente, a porre rimedio a talune delle più evidenti vulnerabilità del risparmiatore-investitore (in particolare, di quello tratto dai ceti popolari di cui al secondo comma dell’articolo).

L’attuazione del precetto costituzionale, lungamente attesa, giunge con l’introduzione delle azioni di risparmio (come accennato, il rimedio ritenuto il più adatto a tutelare il risparmio popolare investito nelle azioni dei grandi complessi produttivi del Paese) e la contemporanea istituzione della Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (Consob), un organismo i cui fini istituzionali sono direttamente ricollegabili alla tutela del risparmio-investimento. Le due riforme vengono incorporate nell’ordinamento tramite il D.L. n. 95 del 1974305, convertito

305 Recante, piuttosto anodinamente, Disposizioni relative al mercato mobiliare e al trattamento fiscale dei titoli azionari.

nella L. n. 216/1974306.

Il presente capitolo passa in rassegna l’intervallo che corre tra l’istituzione della Consob ed i primi anni 1990, in quanto è fino a questo periodo che, a causa della scarsa penetrazione del diritto comunitario nelle materie regolate dall’art. 47 Cost. e dell’impossibilità, per il risparmio popolare, di accedere a investimenti esteri, le realizzazioni legislative in materia di attuazione del precetto costituzionale sulla tutela del risparmio possono considerarsi in larga parte frutto di riflessioni maturate all’interno del Paese, senza risentire in misura significativa di costrizioni (normative o economiche) comunitarie o, in generale, internazionali307.

La legge istitutiva della Consob, in linea con le elaborazioni teoriche precedenti alla sua approvazione, segna l’apogeo della interpretazione del mandato costituzionale di cui all’art. 47 come misura diretta principalmente alla incentivazione del risparmio popolare di cui al secondo comma della disposizione, e si fonda sulla teoria già illustrata per la quale i risparmiatori tratti dai ceti popolari investono nei grandi complessi produttivi del Paese esclusivamente per trarre una remunerazione dal proprio capitale, senza alcuna aspirazione ad influire, nemmeno

306 Il procedimento d’urgenza adottato solleva, peraltro, dubbi circa la relativa correttezza costituzionale, essendo difficoltoso intravedere l’indifferibilità o l’urgenza di una disciplina che Governo e Parlamento, pur autorevolmente sollecitati e certamente avvertiti della portata delle questioni implicate, hanno deciso di procrastinare per più di un decennio. Cfr. G.FERRI, La Filosofia della Miniriforma delle Società per Azioni, in Riv. Dir. Comm, 1971, p. 209. Al provvedimento fanno presto seguito due decreti delegati (rispettivamente, il D.P.R. 31.3.1975, n. 136 sul controllo contabile e la certificazione dei bilanci delle società per azioni quotate in borsa, ed il D.P.R. n. 138, emanato nella medesima data, sul coordinamento, con le attribuzioni della Consob, delle norme concernenti le borse valori e i controlli previsti nel settore della attività creditizia e delle partecipazioni statali).

307 Il che non rende meno significativa l’influenza culturale esercitata dai sistemi di protezione del risparmio popolare già sperimentati in taluni ordinamenti avanzati. I modelli ai quali più frequentemente si rifà la dottrina, e che sembrano ispirare più direttamente gli istitutori della Consob, sono quello statunitense della Securities and Exchange Commission e, ancora più direttamente in quanto percepiti come maggiormente adattabili all’ordinamento italiano, quelli delle commissioni di controllo sul mercato dei valori del Belgio (la Commission Bancaire, risalente al 1935) e di Francia (la Commission des Opérations de Bourse, del 1967); cfr. D.BUONOMO, Il Controllo Pubblico sulle Società nei Compiti della Commissione Nazionale per le Società e la Borsa, in Riv. Soc., 1977, pp. 3-8; M.CERA, Consob,

Giuffrè, 1986, pp. 2-4.

Minore attenzione viene riservata al modello britannico, che affida la tutela del risparmiatore all’autoregolamentazione (presidiata da sanzioni reputazionali ritenute altamente deterrenti) degli operatori del settore bancario e finanziario; cfr. M. CERA, cit., p. 5. Infine, in quanto si affida

all’autonoma iniziativa degli azionisti (e dunque contrasta con una visione del risparmiatore popolare protetto dall’art. 47 c. 2 come soggetto inerte e incapace di difendersi per proprio conto) non riceve grande considerazione nemmeno l’ordinamento tedesco occidentale che, similmente a quello svizzero, affida la tutela del risparmio al potere degli azionisti di citare in giudizio le società per ottenere le informazioni necessarie a compiere investimenti oculati.

aggregandosi, sulle scelte di gestione di tali grandi imprese, facendo esclusivo affidamento, in questo senso, sugli azionisti ‘pre-costituzionali’ (ossia gli azionisti- imprenditori, non popolari, detentori di quote significative del complesso produttivo)308.

Alla luce di questa lettura delle esigenze di attuazione del precetto costituzionale, la legge istitutiva della Consob è non solo necessaria, ma giunge anche con un certo ritardo in quanto, si fa notare, il risparmio popolare protetto dall’art. 47 c. 2 Cost. (che, come si è detto, rappresentava, all’epoca dell’approvazione della Carta fondamentale, più un’aspirazione che non una realtà diffusa) è, nel 1974, da tempo una componente significativa dell’economia del Paese. Il ‘miracolo economico’ degli anni 1950-1960 consente a strati sociali sempre più vasti di accumulare dei risparmi, e la notevole crescita delle grandi imprese italiane attira questi capitali verso l’investimento azionario.

Alla massa dei detentori di risparmio popolare attratti dalla prospettiva di un investimento azionario in grandi aziende, che si presenta solido e redditizio, la legge n. 216/1974 offre, si è detto, l’incentivo rappresentato dalle azioni di risparmio. Esse, come anticipato, sono azioni prive del diritto di voto ma, in cambio di questa rinuncia, attribuiscono la possibilità di ricevere un rendimento maggiore e vengono sottoposte ad un regime fiscale agevolato.

Vi è però da chiedersi se una riforma del genere rappresenti autenticamente una tutela del risparmio popolare, oltre che, come evidentemente è, un incoraggiamento al suo impiego nei grandi complessi produttivi del Paese.

Si consideri, a questo proposito, che la relazione accompagnatoria al D.L. n. 95/1974, oltre a motivare il provvedimento con l’intento di “assicurare un’adeguata informazione del mercato ed esercitare un’efficace vigilanza sulle società quotate, al fine di garantire il miglior funzionamento della struttura organizzativa delle società

308 Cfr. G. FERRI, cit., p. 211: “[l]a premessa da cui muove il progetto Marchetti [dal nome del presidente della Commissione Ministeriale i cui lavori hanno avuto più largo seguito in sede di istituzione della Consob] è che le società le cui azioni sono quotate in borsa costituiscono ormai un nuovo tipo di società per azioni, che si caratterizza per la particolarità della sua struttura organizzativa e per l’emersione nell’àmbito sociale di due categorie di soci, ciascuna delle quali persegue attraverso la partecipazione alla società un suo particolare interesse, sì che pertanto si rende necessaria una autonoma disciplina che tenga conto di questi particolari aspetti”. E ancora, “[le società quotate] hanno tutte una massa indeterminata di azionisti che rappresentano la maggioranza, e spesso una larga maggioranza, come partecipazione al capitale sociale ma che, pur avendone i poteri, non li esercitano e non intendono esercitarli autonomamente (del resto non ne avrebbero la capacità necessaria) in quanto l’interesse che li determina alla partecipazione è soltanto quello di investire proficuamente i loro risparmi, attraverso la realizzazione dei capital gains e dei dividendi” (p. 223).

nell’intento di tutelare il pubblico risparmiatore” (esigenze, dunque, di puntuale attuazione dell’art. 47 Cost.), chiarisce che la norma viene varata (anche) perché taluni recenti scandali finanziari, nonché il ritardo nell’attuazione delle protezioni dell’investitore che l’art. 47 Cost. sembra esigere, scoraggiano in misura non più sostenibile per l’economia nazionale i piccoli risparmiatori dal continuare a finanziare le grandi industrie del Paese309.

In ciò si manifesta la costante esigenza di raggiungere, in ogni misura di tutela del risparmio, un corretto bilanciamento tra l’adempimento del mandato a tutelare il risparmiatore ex art. 47 Cost. e la legittima facoltà dei pubblici poteri di favorire, ex art. 41 Cost., il finanziamento di determinate imprese in quanto ciò sia ritenuto rispondente alle esigenze della economia nazionale e dunque corrisponda al perseguimento di un ‘fine sociale’ ai sensi dell’ultima disposizione citata.

A proposito dell’istituzione delle azioni di risparmio occorre precisare che quando il legislatore approva misure di tutela del risparmio non consistenti (in aderenza all’espressione ‘tutela’ in quanto contrapposta a ‘incoraggia’ nel primo comma dell’art. 47 Cost.) in incentivi economici diretti a promuovere certi suoi impieghi, esso mantiene la propria neutralità rispetto ad essi; quando, come accade con l’istituzione delle azioni di risparmio, favorisce attraverso sgravi fiscali l’investimento azionario nelle grandi imprese del Paese, esso innegabilmente adempie al mandato del secondo comma della norma ma, nello stesso tempo, si assume la pesante responsabilità di ‘indirizzare’, seppure indirettamente, il risparmio popolare (che è, per definizione, il più facilmente influenzabile) verso determinati investimenti piuttosto che verso altri.

Ora, se è vero che proprio questo sembra presupporre il secondo comma dell’art. 47 Cost. (e si è notato come il padre della disposizione, On. Zerbi, intendesse esplicitamente favorire i tre investimenti che vi sono elencati, proprio perché riteneva che fossero quelli che più efficacemente proteggono il risparmio popolare dall’inflazione)310 i pubblici poteri, così agendo, si espongono al rischio di

essere considerati, nel caso in cui gli investimenti pubblicamente favoriti si rivelino deludenti, come parzialmente responsabili del depauperamento del risparmio delle classi popolari.

309 La medesima relazione fa riferimento alla necessità di “restituire all’investimento azionario la fiducia dei risparmiatori” per “riattivare il flusso degli investimenti nei settori produttivi particolarmente provati dall’attuale congiuntura”. Cfr. A.MONTI, La Tutela del Risparmio nella Legge

n. 216 (con un Breve Cenno alla Nuova Disciplina sui Fondi Comuni di Investimento), in Riv. Dir. Comm., 1983, pp. 545-546; cfr. anche M.CERA, cit., p. 2.

Purtroppo lo scenario che si è appena delineato corrisponde a quanto accade in coincidenza dell’approvazione della L. n. 216/1974: dopo la grande crescita del valore di borsa dei grandi complessi produttivi del Paese durante gli anni del ‘miracolo economico’, la crisi petrolifera della fine del 1973 inaugura un prolungato periodo di stagnazione, che causa notevoli perdite a chi, a seguito dell’approvazione della riforma, investe nelle neo istituite azioni di risparmio delle grandi imprese italiane.

Tale circostanza, unita al grande ritardo con cui la legge viene approvata rispetto all’epoca in cui essa avrebbe effettivamente recato dei guadagni ai risparmiatori meno consapevoli, spinge alcuni commentatori ad ipotizzare che le motivazioni del legislatore non si siano ispirate esclusivamente ad un intento attuativo dell’art. 47 c. 2 Cost.311.

Oltre a ciò, non mancano critiche più radicali alla capacità della riforma di attuare in maniera soddisfacente l’art. 47 Cost., basate sulle interpretazioni più radicalmente socializzatrici dell’art. 41 c. 2 della Carta fondamentale: si consideri un’autorevole dottrina che, in coerenza con le tesi già esposte circa l’interpretazione delle clausole costituzionali sulla libertà di iniziativa economica, preconizza il declino ed il tramonto, senza possibilità di restaurazioni, del modo di gestione corrente dei grandi complessi produttivi del Paese, riguardo ai quali auspica una democratizzazione consistente nell’assoggettamento delle singole imprese a “controlli democratici, spettanti ad organi che siano emanazione delle assemblee elettive”. Il che dovrebbe rappresentare, appunto, l’autentica realizzazione della tutela del risparmio popolare di cui all’art. 47 Cost., dato che l’Autore vede nella tutela delle minoranze fatta propria dalla legge n. 216/1974 “un falso obiettivo di democrazia e di giustizia sociale”312.

Dunque, l’attuazione dell’art. 47 Cost. si trova di fronte a un bivio: attenersi alle concezioni dominanti nel primo periodo post costituzionale (incentivando direttamente il risparmio popolare, ma rinunciando alla propria neutralità verso i possibili impieghi di esso), ovvero ‘correggere il tiro’ ed approvare riforme che tutelino il risparmio in un modo diverso, che non coinvolga i pubblici poteri nella scelta di quali siano i migliori investimenti verso cui indirizzare i ceti popolari, ma

311 Cfr. le osservazioni di A.MONTI, cit.: “[a]l di là delle intenzioni dichiarate ufficialmente, è infatti opinione comune che, obbiettivamente, di fatto, la recente normativa abbia inteso rafforzare le posizioni di potere all’interno delle società di più grandi dimensioni […] sul presupposto dell’impossibilità di restaurare un sistema di autotutela dell’azionista”. Nello stesso senso R. WEIGMANN, Concorrenza e Mercato Azionario, Milano, 1978, p. 26: “la riforma nasce da un compromesso tra classe politica e capitale finanziario da cui restano fuori i piccoli azionisti”.

piuttosto li difenda da chi propone investimenti secondo modalità obiettivamente non corrette.

In un periodo di crisi prolungata del valore delle azioni dei grandi complessi produttivi del Paese favorire l’afflusso del risparmio popolare verso esse, se costituisce formale attuazione del secondo comma dell’art. 47 Cost., rappresenta però un tradimento sostanziale del primo comma, giacché solo quando, come accade agli inizi degli anni 1960, la crescita del valore delle azioni delle grandi aziende italiane sembra destinata (illusoriamente) a non avere fine, favorire questo particolare impiego del risparmio significa anche tutelarlo. La crisi economica iniziata alla fine del 1973 rende evidente che la mera incentivazione di certi impieghi del risparmio popolare non costituisce, o almeno non costituisce sempre, una soddisfacente modalità di protezione di esso.

Da tale osservazione si trae un principio che non sarà più (e, si ritiene, non dovrebbe essere mai) abbandonato nell’attuazione del precetto costituzionale: il secondo comma dell’art. 47 Cost. non può essere applicato isolatamente dal primo, e l’incoraggiamento del risparmio è proficuo solo ove si sia prioritariamente provveduto alla sua tutela. Anzi, tutela e incoraggiamento devono considerarsi una endiadi il cui significato è chiaramente sbilanciato verso il primo dei due termini, in quanto tutelare significa comunque incoraggiare mentre, come illustrato, il contrario non è necessariamente (e, forse, nemmeno nella maggior parte dei casi) vero.

§ 2. Prime avvisaglie della individuazione di un ‘nucleo duro’ dell’art. 47 Cost.: il passaggio dalla ‘incentivazione’ del risparmio popolare (di cui al secondo comma dell’art. 47 Cost.) alla sua ‘tutela’ (secondo una lettura integrata dei due comma dell’articolo).

Questo principio trova una sua prima realizzazione, seppure, come si vedrà, notevolmente carente e ancora influenzata dal predominio dell’intento attuativo del solo art. 47 c. 2 Cost. inteso come norma meramente incentivante di certi impieghi del risparmio popolare, nella stessa L. n. 216/1974, con l’istituzione della Consob e l’affidamento ad essa di compiti univocamente orientati verso un nuovo e più solido metodo di tutela: l’imposizione, a carico dei grandi complessi produttivi del Paese, di penetranti obblighi di trasparenza313.

La riforma, nelle parti che descrivono i poteri della Consob, prefigura infatti un organismo incaricato di tutelare il risparmio (e in particolare il risparmio popolare) rendendo note al pubblico una quantità di informazioni che, in

313 Cfr. D.BUONOMO, cit., p. 11.

precedenza, erano mantenute riservate dalle grandi società.

Così, oltre alla previsione di taluni documenti che la riforma obbliga direttamente ogni società quotata in borsa a pubblicare314 (perché ritenuti

presuntivamente rilevanti al fine di tutelare il risparmiatore aumentando la conoscibilità delle condizioni della società in cui può investire il proprio risparmio), alla Consob è attribuito un amplissimo potere discrezionale di richiedere alle società quotate la pubblicazione di quegli ulteriori dati e notizie che essa dovesse ritenere necessari per l’informazione del pubblico315.

Alla Consob viene anche riconosciuto il potere di stabilire quale modalità pubblicitaria possa meglio adattarsi al perseguimento delle finalità informative di questa divulgazione integrativa avente ad oggetto i grandi complessi produttivi del Paese316.

A complemento di questo notevole potere al servizio della tutela del risparmio-investimento, la riforma prevede che la Consob possa richiedere che le società quotate in borsa le comunichino (anche periodicamente, senza necessità di una apposita sollecitazione volta per volta) dati e notizie di qualunque genere, e che le trasmettano atti e documenti. Oltre a questo, essa può procedere ad ispezionare i locali delle società quotate, e può “assumere notizie e chiarimenti” dagli amministratori, dai sindaci, dai revisori e dai direttori generali, ovvero le persone investite delle maggiori responsabilità nelle grandi aziende317.

Il potere di informativa e ispezione mira a procurare alla Consob gli elementi di giudizio in base ai quali valutare quali notizie debbano essere diffuse tra il pubblico al fine di tutelare i risparmiatori nei confronti delle grandi società quotate

314 In particolare, la relazione semestrale degli amministratori sulla gestione (art. 3.(b), L. n. 216/1974); cfr. G. ROSSI, Il Mercato Mobiliare e l’Organo di Controllo, Riv. Soc., 1981, p. 516; D. BUONOMO, cit., p. 40.

315 Nell’àmbito di tale facoltà va ricondotta la possibilità di imporre alle società la redazione di un bilancio, c.d. di gruppo, che unisca in un unico prospetto i dati di tutte le società controllate da una ‘capogruppo’, in modo che la cattiva salute di una società possa essere meno facilmente nascosta scaricando i suoi debiti su un’altra meno ‘visibile’ (Art. 3.(a), L. n. 216/1974); cfr. D.BUONOMO, cit., pp. 42-51.

316 Cfr. M.CERA, cit., pp. 60-61: “[q]uesto potere della Commissione di richiedere e render pubblici dati e notizie ulteriori rispetto a quelli risultanti dal bilancio sembra il momento essenziale e qualificante della funzione di vigilanza della Consob. Infatti, essa da un lato verifica la chiarezza e la completezza delle informazioni risultanti dai conti annuali e, dall’altra, può richiedere la divulgazione di ulteriori dati per una più esauriente informazione dei soggetti interessati: si realizza così la sintesi del rapporto vigilanza-informazione che costituisce il fondamento della funzione medesima”.

317 Art. 3.(c), L. n. 216/1974; v. anche art. 18, D.P.R. n. 138/1975 per le disposizioni speciali concernenti le ispezioni presso gli enti sottoposti alla vigilanza della Banca d’Italia.

in borsa318.

Come si può osservare, la riforma schiude un orizzonte pressoché inedito nella tutela del risparmio popolare investito in azioni di grandi imprese. La protezione che si appronta impone penetranti controlli all’impresa privata in applicazione dell’art. 41 Cost., giungendo a collegare la tutela del risparmio alla limitazione della libertà di domicilio (non è difficile scorgere nelle ispezioni che la Consob può effettuare presso le grandi società quegli accertamenti e ispezioni a fini economici di cui al capoverso dell’art. 14 Cost.).

Al potere di divulgazione delle notizie apprese dalla Consob viene perciò posto un limite necessario a contemperare la tutela del risparmio col diritto alla libertà di iniziativa economica, cosicché ogni comunicazione al pubblico dei risparmiatori deve essere preceduta da una audizione degli amministratori dell’ente interessato mentre, con una clausola forse troppo generica, si vieta di rendere note quelle informazioni la cui pubblicità può arrecare pregiudizio alla società.

L’affiancamento, ad uno strumento di mera incentivazione dell’investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese come le azioni di risparmio, di una tutela dell’investimento dei ceti popolari basata sulla diffusione dell’informazione segna un passaggio assai significativo che inaugura una tendenza, ancora in atto, a ricercare strumenti di protezione potenzialmente efficaci a prescindere dalla congiuntura economica, e rappresenta un ravvicinamento ai provvedimenti adottati in paesi che hanno dedicato alla questione riflessioni più risalenti nel tempo.

In questo senso, appare necessario accennare al fatto che, a partire almeno dal

Securities Act statunitense del 1933, una disamina generale della protezione del

risparmio popolare difficilmente può eludere la questione se al soggetto cui venga proposto di affidare ad un estraneo319 il proprio denaro affinché ne ricavi un

rendimento, le leggi debbano garantire non già, come implicitamente adombra un’interpretazione isolata dal contesto dell’art. 47 c. 2 Cost., una qualità minima dell’investimento (tale obiettivo appare, per i motivi che si sono appena accennati, politicamente pericoloso oltre che irrealistico), bensì che il soggetto che richiede questo denaro fornisca una serie di informazioni indispensabili perché una persona

318 Va infine segnalato che la Consob, per obbligo di legge, e potendo valutare se trasmettere anche queste informazioni al pubblico, riceve, senza necessità di sollecitazione, diverse altre informazioni dalle società quotate in borsa (art. 4, L. n. 216/1974).

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