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SOMMARIO: § 1. Riepilogo della evoluzione delle opzioni interpretative concernenti l’art. 47 Cost. - § 2. Caratteri delle prime avvisaglie della influenza del diritto comunitario sulla attuazione dell’art. 47 Cost. - § 3. Emersione del conflitto di interessi come minaccia pressoché permanente al risparmio popolare: individuazione del secondo pilastro (oltre alla tutela informativa) della protezione del piccolo investitore ex art. 47 Cost. - § 4. L’art. 47 Cost. come norma precorritrice della tutela consumeristica. - § 5. Una nuova (sebbene con radici antiche) forma di incoraggiamento del risparmio popolare: il superamento della passività dei piccoli risparmiatori attraverso la loro unione (ancora la prevenzione del conflitto di interessi come componente del ‘nucleo duro’ della tutela del risparmio popolare ex art. 47 Cost.). - § 6. La sistematizzazione (pressoché) definitiva delle acquisizioni in materia di attuazione dell’art. 47 Cost. al termine degli anni 1990.

§ 1. Riepilogo della evoluzione delle opzioni interpretative concernenti l’art. 47 Cost.

Riepilogando le osservazioni fatte nei precedenti capitoli, può sostenersi che la dottrina italiana interpreta maggioritariamente il principio di tutela del risparmiatore- investitore di cui all’art. 47 Cost. secondo un movimento che vede, in prima battuta, il riconoscimento dell’inadeguatezza di un codice civile non permeato dai valori di cui alla norma costituzionale in questione a garantire una protezione soddisfacente del risparmio popolare.

A seguito dell’accettazione generalizzata di tale giudizio, si assiste ad una tendenza piuttosto marcata ad identificare la questione della tutela del risparmio con i problemi causati dalla scissione (talvolta esposta con rigore quasi manicheo) tra azionisti-imprenditori ‘pre-costituzionali’, soggetti che partecipano attivamente e

consapevolmente alla gestione delle grandi società, e piccoli risparmiatori-investitori, specificamente bisognosi della tutela offerta dall’art. 47 Cost. in quanto passivi percettori di plusvalenze (quando queste vi siano); da tale premessa, e dalle risposte che alle questioni teoriche alla sua base individua la dottrina, scaturisce una particolare attenzione verso due strumenti di tutela del risparmio popolare.

Il primo consiste nell’attuazione dell’art. 47 c. 2 Cost. (interpretato restrittivamente come mandato alla incentivazione economica degli impieghi del risparmio individuati dalla norma) attraverso la creazione delle azioni di risparmio, strumento di diretto investimento nel capitale delle grandi imprese (che vengono identificate con quelle quotate in borsa) volto, secondo le intenzioni dei più, a rimediare alla vulnerabilità del risparmio popolare attraverso uno scambio per cui, in contropartita della rinuncia dei piccoli risparmiatori al diritto a partecipare, eventualmente coalizzandosi, alla direzione dei grandi complessi produttivi del Paese, le vecchie oligarchie di comando dovrebbero determinarsi a dotare tali azioni di certi privilegi nella distribuzione degli utili.

Il secondo rimedio è la diffusione più puntuale e capillare di informazioni: ad un risparmio popolare che si ritiene confinato nell’assunzione di poche, elementari decisioni fondamentali (se investire, in quale grande azienda investire, quando investire e quando liquidare l’investimento compiuto) viene ritenuto utile e conforme al dettato costituzionale fornire una più ampia serie di notizie sulle grandi società quotate e sui relativi titoli, anche attraverso la creazione di un organismo amministrativo a ciò specificamente (e quasi esclusivamente) dedito.

Il periodo che va dalla fine degli anni 1980 al termine del secolo si segnala per il superamento del panorama concettuale sopra descritto che, reso obsoleto da una ancora più marcata diffusione dell’investimento presso i ceti popolari, lascia il posto a nuove interpretazioni che trasformeranno la fisionomia dell’apparato legislativo e regolamentare a tutela del risparmio-investimento, nonché il quadro teorico e dottrinale di riferimento, sino a renderli prossimi ai paradigmi dominanti nel momento in cui si stendono queste osservazioni.

§ 2. Caratteri delle prime avvisaglie della influenza del diritto comunitario sulla attuazione dell’art. 47 Cost.

Come accennato in precedenza, questo è anche il periodo nel corso del quale la legislazione europea inizia a caratterizzarsi come formante significativo del diritto adottato in attuazione dell’art. 47 Cost.

L’intervento del legislatore europeo nel settore, in realtà, risale dalla fine degli anni 1970, ma si tratta di misure poco significative339. D’altra parte, gli interventi

normativi comunitari nel periodo preso in considerazione da questo capitolo, oltre a regolamentare settori più direttamente afferenti alla tutela del risparmio popolare rispetto ai provvedimenti precedenti, si inseriscono in un contesto differente: per un verso, le direttive di regolamentazione del contermine settore bancario spingono ad una profonda trasformazione un segmento della economia italiana strettamente legato alla tutela del risparmio (soprattutto, ma non esclusivamente, alla tutela del risparmio dal rischio sistemico, cui si è accennato nel primo capitolo e che forma l’oggetto della regolamentazione prevista dal secondo periodo del primo comma dell’art. 47 Cost.), aprendolo alla concorrenza internazionale e contribuendo al radicamento di talune tendenze innovative nella raccolta (e quindi nelle esigenze di tutela) del risparmio.

Per altro, tali interventi promuovono, conferendovi la particolare resistenza passiva propria delle norme comunitarie, due fenomeni economici che imprimono una svolta decisa alle tendenze esposte nei capitoli precedenti, e che possono sinteticamente descriversi come la internazionalizzazione e la c.d. ‘deregulation’ dei mercati del risparmio (la ‘deregulation’ risolvendosi, in pratica, nell’adozione di una ideologia che vuole ridurre quanto più possibile i limiti, i programmi e i controlli incidenti sulla libertà di iniziativa economica privata in sintonia, per quanto riguarda l’Italia, con le ‘nuove’ letture dell’art. 41 Cost. che si vengono affermando a seguito dell’Atto Unico europeo e del Trattato di Maastricht).

L’internazionalizzazione imposta dal(l’attuazione del) diritto comunitario implica l’apertura dell’economia italiana verso l’esterno in misura assai maggiore che in precedenza attraverso il venir meno di varie restrizioni valutarie ed il varo di una legislazione più favorevole agli investimenti oltre confine, discendente

339 Si tratta delle direttive n. 79/279 (sul coordinamento delle condizioni per l’ammissione di valori mobiliari alla quotazione ufficiale di una borsa valori); n. 80/390 (sul coordinamento delle condizioni di redazione, controllo e diffusione del prospetto da pubblicare per l’ammissione alla quotazione ufficiale in una borsa valori); e n. 21/121 (sulle informazioni periodiche che devono essere pubblicate dalle società le cui azioni sono ammesse alla quotazione ufficiale in una borsa valori). Cfr. R.CAVALLO BORGIA, cit., pp. 452-457; L.ENRIQUES, EC Company Law Directives and

Regulations: How Trivial are They?, in ECGI Working Paper n. 39/2005, che effettua una sistematica analisi di tutti i provvedimenti emanati dal legislatore comunitario in materia di mercati finanziari per giungere alla conclusione che, per lo meno prima dell’adozione della cosiddetta procedura Lamfalussy (su cui v. infra, Cap. 6), tale attività di normazione non ha rappresentato un significativo fattore di sviluppo nel diritto finanziario dei Paesi membri, essendo lungi dal costituire il fattore determinante dei mutamenti succedutisi nella regolamentazione del settore, che essa avrebbe seguito piuttosto che guidato.

dall’attuazione del principio comunitario di libera circolazione dei capitali340.

Si ricorderà che proprio l’effettiva realizzazione del c.d. ‘mercato unico europeo’ causa una frattura assai profonda nell’interpretazione dell’art. 41 Cost. e, in generale, dell’assetto imposto dalla Carta fondamentale alle attività economiche pubbliche e private.

Si rammenti inoltre che la effettiva realizzazione del mercato unico europeo ha una diretta rilevanza anche per quanto riguarda la lettura dell’art. 47 c. 2 Cost. in quanto, in coincidenza con la liberalizzazione degli investimenti all’interno della Comunità, viene a perdere il suo residuo significato (già, ma solo in teoria, intaccato dal Trattato di Roma del 1957) quell’inciso della disposizione che collega il favore dell’ordinamento verso il risparmio popolare al suo impiego nei grandi complessi produttivi del Paese.

A seguito dell’applicazione delle disposizioni dei Trattati comunitari sugli aiuti di Stato alle imprese, le misure che predispongono incentivi economici affinché il risparmio popolare si diriga verso il diretto o indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi italiani (anziché dell’intera Comunità) divengono illegittimamente discriminanti: uno sviluppo non di poco conto, ove si consideri che proprio misure di tale genere hanno rappresentato, per oltre un ventennio, la modalità considerata maggiormente appropriata di attuazione dell’art. 47 c. 2 Cost.

§ 3. Emersione del conflitto di interessi come minaccia pressoché permanente al risparmio popolare: individuazione del secondo pilastro (oltre alla tutela informativa) della protezione del piccolo investitore ex art. 47 Cost.

Questi sviluppi recano la necessità, per una economia relativamente chiusa come quella italiana (e la norma costituzionale appena ricordata ne è eloquente testimonianza) di conformarsi a talune prassi già affermatesi negli ordinamenti di paesi economicamente ‘egemoni’. Tra queste vi è, appunto, la ‘deregulation’, che espone il risparmio popolare al fenomeno, foriero di inediti rischi per l’investitore tutelato dall’art. 47 Cost., dell’ingresso delle banche nel nuovo mercato della gestione professionale del risparmio popolare341.

340 Cfr. D.REGOLI, Aspetti Comparatistici della Disciplina del Mercato Finanziario dell’Investimento, in Riv. Soc., 1994, p. 88; cfr. anche N. MARZONA, Gli Organi di Vigilanza sull’Attività di Intermediazione

Finanziaria, in Banca Borsa Tit. Cred., 1994, p. 156.

341 Si consideri questa efficace descrizione delle tendenze dominanti: “[l]’innovazione finanziaria, unita all’interesse delle banche e di altre istituzioni finanziarie per una partecipazione attiva ai mercati dei capitali, formalmente preclusa loro dalle note restrizioni, [ha] determinato una ricca proliferazione di nuovi prodotti finanziari. […] In sostanza e in sintesi, l’alto grado di raffinato

Si ricordi che l’art. 47, c. 1 secondo periodo Cost. presuppone un collegamento assai stretto tra la regolamentazione pubblicistica dell’attività delle banche e la protezione del risparmio-deposito dal rischio sistemico (ossia il rischio di fallimenti bancari).

Secondo l’opinione egemone l’inciso costituirebbe la costituzionalizzazione dei principi della legge bancaria del 1936/1938, che impone alle banche delle strette limitazioni dell’àmbito nel quale possono operare per facilitare uno stretto controllo pubblico sul credito e prevenire rovinose insolvenze.

Il ricordo della grande crisi del 1929 è però scolorito e gli istituti di credito sono consapevoli delle grandi opportunità di guadagno offerte dalla ormai avanzata ‘popolarizzazione’ del risparmio (che costituisce, in un certo senso, il mantenimento della promessa implicita nell’art. 47 Cost.). Il risparmiatore tratto da ceti popolari può essere indotto a compiere investimenti nuovi e più sofisticati (ma anche più rischiosi, in quanto più opachi o complessi) rispetto al diretto (azioni) e indiretto (obbligazioni e fondi comuni) investimento nei grandi complessi produttivi del Paese. Agli istituti di credito basterebbe soltanto convincere il legislatore ad eliminare quelle barriere normative che limitano ancora l’accesso a tale mercato per cogliere ricche opportunità di nuovi guadagni.

E’ quanto avviene con l’approvazione della legge n. 1/1991, grazie alla quale le istituzioni bancarie, in transizione, in sintonia coi tempi, verso la sottrazione al controllo pubblico, vengono autorizzate a creare società specializzate nel fornire consulenza su (e accesso a) questi ‘nuovi’ impieghi del risparmio (la cui varietà si fa considerevole), che vengono adesso proposti anche ai ceti popolari342.

L’inedita ampiezza delle possibili destinazioni che si prospettano al risparmio popolare (nonché delle sollecitazioni che tentano di attirarlo) pongono almeno due notevoli questioni inerenti la sua tutela ex art. 47 Cost.

In primo luogo le banche, autorizzate, nei termini accennati poc’anzi, ad

tecnicismo raggiunto dall’innovazione finanziaria ha dato luogo alla creazione di prodotti finanziari, negoziabili e distribuibili anche dalle banche di deposito. […] Alla liberalizzazione in materia di prodotti ha fatto gradualmente seguito quella degli intermediari, attivi nei diversi comparti del mercato finanziario. Trascinati, per così dire, all’”inseguimento” dei nuovi prodotti, essi sono stati coinvolti da un processo di progressiva despecializzazione al quale ha poi corrisposto, in diversi ordinamenti, il riconoscimento giuridico della polifunzionatà” (D.REGOLI, Aspetti Comparatistici cit. pp. 87-88).

342 In realtà, la legge n. 1/1991, che riserva queste attività alle società di intermediazione mobiliare, non limita la loro costituzione alle sole banche, così come le norme sui fondi comuni di investimento del 1983 non impongono che essi siano gestiti esclusivamente da entità più o meno direttamente ricollegabili agli istituti bancari. Tuttavia, il netto predominio delle banche nel mercato finanziario italiano farà sì che si crei, riguardo a tali attività, un ‘riserva’ di fatto a loro favore.

operare in settori diversi da quelli nei quali erano attive in precedenza, si trovano esposte all’alea propria di chi investe il risparmio altrui in attività differenti dai tradizionali mutui, e sovente assai più rischiose.

Tale rischio, in quanto suscettibile di incidere sulla stabilità del sistema bancario nel suo complesso (ingenerando quello che si è definito rischio sistemico) deve essere gestito, al fine di tutelare il pubblico risparmio, sottoponendo le attività delle nuove società di investimento (le cui perdite potrebbero propagarsi alle banche che le controllano) agli stessi penetranti poteri di controllo e indirizzo cui la Banca d’Italia sottopone gli istituti di credito ex art. 47, c. 1, secondo periodo Cost., e non solo alla formale e assai più blanda supervisione esercitata a fini di trasparenza informativa dalla Consob.

Da questa esigenza, e similmente a quanto previsto dalla legge sui fondi comuni di investimento mobiliare aperti n. 77/1983, che pongono per primi il medesimo problema, scaturisce il duplice regime di regolazione e supervisione di tali entità, affidato dalla riforma del 1991 alla Consob, per quanto riguarda la tutela del risparmio dal rischio-controparte mediante la promozione della trasparenza, e alla Banca d’Italia per ciò che concerne la difesa del risparmio dal rischio sistemico a garanzia della stabilità del sistema finanziario e dell’economia in genere343.

Quanto precede è particolarmente degno di nota in quanto indica che l’ingresso delle banche nel settore della gestione del risparmio-investimento popolare offusca la netta linea di confine che, per tutta la precedente epoca post costituzionale ha separato le due accezioni di risparmio ricavabili dalla lettura dell’art. 47 Cost.: da una parte, il risparmio-deposito, affidato alle banche e da esse reimpiegato attraverso l’erogazione dei tradizionali mutui; dall’altro, il risparmio- investimento, diretto verso attività maggiormente rischiose (tra le quali la Costituzione indica l’investimento in azioni e quello in immobili, ma che si moltiplicano velocemente e insidiosamente) e non certo meritevole della medesima protezione ‘sostanziale’ riservata dal secondo periodo del primo comma ai conti correnti dei piccoli risparmiatori. Da qui la notevole disparità nell’intensità delle limitazioni e dei controlli cui le due attività, per il combinato disposto degli artt. 41 e 47 Cost., sono sottoposte: un regime di forte dirigismo, al limite di una compiuta funzionalizzazione ai pubblici interessi, per le banche, a fronte un controllo assai più blando (del tutto assente, fino al 1974) sui grandi complessi produttivi del Paese impegnati nella raccolta, tramite l’emissione di azioni e obbligazioni, del risparmio

343 Cfr. V.DI CATALDO, Lo Statuto Speciale delle SIM, in Banca Borsa Tit. Cred., 1992, pp. 766-769; V. DESARIO, Vigilanza e Sviluppo dei Mercati Finanziari, 1991, in Riv. Soc., pp. 906-907.

popolare. Le due attività, ora affidate almeno in parte allo stesso operatore bancario, aumentano i rischi di instabilità, ossia il rischio sistemico344.

Non solo: l’accentramento presso un unico soggetto di pressoché tutte le attività connesse con la raccolta e l’impiego del risparmio popolare345 incrementa

notevolmente il rischio di conflitti di interesse, che portano immancabilmente al sacrificio della parte tecnicamente meno sofisticata (il risparmio popolare), attratta verso impieghi suggeriti dalle esigenze di altri, non certo popolari, clienti del gruppo bancario, ovvero da altre società o divisioni afferenti al gruppo di appartenenza della banca.

La tutela del risparmio popolare nei confronti di tali rischi (anche se soltanto con la ‘deregulation’ questo si impone con la forza dell’evidenza) costituisce parte della sostanza stessa dell’art. 47 Cost. (del suo ‘nucleo duro’, si sarebbe portati a dire) in quanto norma di protezione del risparmio-investimento popolare; in questo senso, sebbene la normativa, prima italiana e poi comunitaria, imboccherà un’altra direzione, appare lecito chiedersi se una protezione del risparmio degna del principio costituzionale che la sancisce non debba condurre a riservare l’attività di investimento e quella bancaria ad entità tra loro separate, come pare essere stata l’intenzione del costituente nel ‘recepire’ la legge bancaria del 1936/1938 attraverso il primo comma dell’art. 47 Cost346.

Si osservi, a questo proposito, che il rischio cui il risparmio-investimento popolare viene esposto attraverso la concentrazione in un solo soggetto delle attività sopra descritte è apprezzabile semplicemente raffrontando tra loro gli interessi che, così operando, si pongono in conflitto: un pronunciamento giurisdizionale in materia potrebbe eludere la complessità delle valutazioni tecniche che sovente incrementano l’aleatorietà (e, a tenore della giurisprudenza costituzionale sull’art. 47, la frequente abusività) dei giudizi intorno alla costituzionalità delle misure a tutela del risparmio.

Si noti che la fissazione di talune incompatibilità, anche insuperabili, tra le diverse attività collegate alla difesa del risparmio popolare appare senz’altro in linea con l’interpretazione che della libertà di iniziativa economica forniscono le norme

344 Considerata l’epoca nella quale vengono scritte queste note, non dovrebbe esservi bisogno di corroborare questa affermazione, se non con un riferimento alla presente crisi finanziaria.

345 Fenomeno, del resto, in parte precedente alla diffusione del cosiddetto ‘risparmio gestito’; cfr. V. DESARIO, Vigilanza, cit, p. 902: “[i]n Italia, gli intermediari creditizi hanno svolto tradizionalmente un ruolo preponderante ai fini dello sviluppo economico e dell’accumulazione del capitale. Le banche hanno intermediato la quasi totalità delle risorse affluite ai settori produttivi; il contributo del mercato dei capitali, che avrebbe dovuto integrare l’operatività delle banche, è stato marginale”. 346 Cfr. esemplarmente G.ROSSI, Il Mercato d’Azzardo, Adelphi, 2009.

emanate dalle istituzioni comunitarie. Non solo: allorquando il conflitto di interessi appaia minacciare gravemente la funzionalità e la credibilità di chi può, con i propri comportamenti, beneficiare o danneggiare il risparmio popolare, il rimedio della incompatibilità viene applicato con rigore, come sembra mostrare la vicenda del Regolamento sulle agenzie di rating approvato nel 2009, ossia il primo provvedimento di tutela del risparmio adottato dalle istituzioni comunitarie a seguito della crisi finanziaria dell’anno precedente.

Come si è detto, non è questa la strada principalmente percorsa dal legislatore, né da quello domestico, né da quello comunitario. Tale soluzione non è stata sperimentata da alcun ordinamento finanziariamente evoluto, anzi, la politica di cosiddetta ‘deregulation’ ha avuto grande applicazione proprio negli Stati Uniti d’America, dove pure, accanto alle banche e alle loro emanazioni, esistono da molto tempo società che gestiscono e investono il risparmio (anche) dei ceti popolari indipendentemente dalle direttive degli istituti di credito347.

Ancora una volta si appalesa come la regolamentazione pubblicistica a tutela del risparmio popolare non risponda quasi mai esclusivamente all’interesse di questo. Più o meno grandemente, essa promuove contemporaneamente gli scopi delle grandi imprese, delle banche e delle società finanziarie, e precisamente nella misura in cui l’assenza di norme a tutela del risparmio-investimento, specie di quello popolare, scoraggerebbe dall’impiego dei propri capitali una quota significativa di risparmiatori relativamente non sofisticati, dai quali ci si può attendere che si astengano dall’investimento ogni volta che l’entità percepita dei danni conseguenti al rischio di comportamenti opportunistici delle controparti sia superiore al rendimento che si spera di ricavare dall’investimento.

Perciò, anche se tra gli interessi dell’industria che attira e gestisce il risparmio popolare non rientra, comprensibilmente, la predisposizione di drastiche misure contro i conflitti di interesse, le banche e le società finanziarie sono paradossalmente sempre interessate all’adozione, vuoi tramite meccanismi di autoregolazione, vuoi attraverso l’intervento del legislatore o delle autorità pubbliche di sorveglianza, di quel minimo di normazione ritenuta passibile di indurre nel risparmio popolare abbastanza fiducia da portare un numero sufficiente di piccoli investitori ad acquistare i prodotti e i servizi forniti.

347 Va peraltro rilevato che la repressione del conflitto di interessi ha rappresentato una delle principali preoccupazioni dei regolatori anche nei riguardi di quelle istituzioni finanziarie, quali le merchant bank pure, non legate alle banche commerciali. Anche in questo caso, d’altronde, la imposizione della incompatibilità tra attività in stato di inerente conflitto di interessi è quasi sempre stata sacrificata ad una regolamentazione meno intrusiva.

Quanto rilevato induce a ritenere che l’attuazione dell’art. 47 Cost. quale misura di tutela del risparmio popolare contro il conflitto di interessi (che costituisce, in definitiva, una specificazione del più generale rischio-controparte) ad opera della riforma del 1991 (ché essa ha, in effetti, introdotto le prime misure di contrasto ad esso come contropartita dell’ingresso delle banche nel mercato del risparmio-investimento)348, abbia corrisposto, più che ad una meditata attuazione dei

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