4. La riforma del 1990: innovazione e continuità nella legge 142.
5.2 L’interruzione della carica di sindaco.
L’art. 20 della legge 81/1993 ha modificato sostanzialmente la legge 142/1990, e allo stesso tempo la integra in quanto elenca in modo dettagliato le fattispecie che portano alla interruzione della carica di sindaco.
Con la legge 142/1990, l’istituto delle dimissioni del sindaco veniva preso in considerazione dall’art. 34, secondo comma, sostituito dall’art. 16 della legge 81/1993, nella parte in cui disponeva che il sindaco e la giunta comunale erano eletti entro sessanta giorni dalla data in cui si è verificata la vacanza, o in caso di dimissioni, dalla data di presentazione delle stesse66. Si noti come la prima ipotesi di cessazione anticipata dalla carica di sindaco, presa in considerazione dal legislatore, sia quella delle dimissioni. Si è già detto come l’istituto delle dimissioni sia del consigliere comunale, sia del sindaco o dei singoli componenti l’esecutivo, con la legge 142/1990 ha dato luogo a incertezze interpretative in ordine alla presa d’atto e alla loro irrevocabilità.
Una soluzione al problema, per quanto riguarda le dimissioni del sindaco l’ha data il legislatore, prevedendo all’art. 20, terzo comma, della legge
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Per gli aspetti relativi alla natura giuridica dell'Istituto delle dimissioni del sindaco nella legge 142/1990, si v. P. LA ROCCA, Le dimissioni del sindaco nella legge 8 giugno 1990, n. 142:
problemi, in Comuni d'Italia, n. 6, 1991, p. 897, nonché M. MARTINO, Le dimissioni del sindaco. Revocabilità, presa d'atto e motivazione, in Nuova Rassegna di legislazione, dottrina e giurisprudenza, n. 15, 1991, p. 1504, e P. PIANESI, Sulle dimissioni del sindaco nella legge 8
giugno 1990 n. 142, in Comuni d'Italia, n. 11, 1991, p. 1664, il quale sosteneva che «l’atto delle dimissioni del sindaco è revocabile, prima che si sia verificato il fatto dirompente il rapporto di pubblica funzione mediante la nomina del successore». Si veda inoltre S. CORRADO, Il Sindaco nell’ordinamento comunale, Bologna, 1991, pp. 399 ss.
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81/1993, la irrevocabilità delle stesse, trascorso il termine di 20 giorni dalla loro presentazione al consiglio.
Va notato che le dimissioni possono essere date sia per motivi di natura strettamente personale, sia quando si interrompe il rapporto fiduciario che lega il sindaco al consiglio. Anzi in quest’ultima ipotesi il sindaco potrebbe servirsene come arma di ricatto nei confronti del consiglio quando quest’ultimo operi in contrasto con gli indirizzi di governo approvati con apposito documento dallo stesso consiglio comunale.
È di tutta evidenza che la minaccia dello scioglimento del consiglio comunale, come effetto da ricollegare alle dimissioni del sindaco, costituisce un buon deterrente, per il capo dell’amministrazione, al fine di determinare una linea politica del consiglio comunale, in modo conforme al programma presentato agli elettori dal sindaco.
La seconda ipotesi prevista dall’art. 20, primo comma, è quella dell’impedimento permanente. Siccome la norma non disciplina l’istituto e tanto meno le varie cadenze da rispettare, onde poter dichiarare che il sindaco è impedito, in modo permanente, che non gli permette di esercitare le sue funzioni, si pone il problema di una disciplina dettagliata di tale istituto. Ѐ possibile, a questo punto, fare riferimento alla analoga ipotesi prevista per il Presidente della Repubblica, in attesa che gli statuti comunali disciplinino, in modo compiuto tale fattispecie, anche se la disciplina costituzionale è per questa parte estremamente lacunosa67. Senz’altro lo statuto dovrà prevedere quando si potrà parlare di impedimento permanente; qual è l’organo competente ad accertarlo e con quali procedure, quali tipi di poteri spettano al vice sindaco, tenuto conto che il consiglio e la giunta comunale rimangono in carica sino alle elezioni del nuovo consiglio e del nuovo sindaco.
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Sugli impedimenti del Presidente della Repubblica ed il loro accertamento si v. G. MARCONI, Il Presidente della Repubblica, in Enciclopedia del diritto XXXV 1986, p. 187, nonché L. PALADIN, Diritto costituzionale, Padova, 1991, p. 454.
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Peraltro, si pone anche il problema che l’impedimento, dichiarato temporaneo, duri nel tempo, con gravi conseguenze per l’azione dell’amministrazione; sarebbe opportuno che anche questa fattispecie venisse disciplinata dallo statuto con delle norme che indichino i termini massimi di durata dell’impedimento temporaneo, scaduti i quali si dovrà passare all’accertamento dell’impedimento permanente, e quindi all’elezione del nuovo sindaco68
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La terza ipotesi presa in considerazione dall’art. 20, primo comma, è quella della rimozione. Tale istituto era già disciplinato dagli art. 149 del tu. n. 148/1915 e 30 del rd 2839/1923, i quali prevedevano che i sindaci potevano essere rimossi dal Capo dello Stato per gravi motivi di ordine pubblico e quando, richiamati all’osservanza di obblighi loro imposti per legge, persistono a violarli69.
Senonché, l’art. 40 della legge 142/1990 ha disciplinato l’istituto della rimozione ampliandolo sia dal punto di vista soggettivo, sia dal punto di vista oggettivo. Vi sono infatti contemplati i casi di rimozione non solo del sindaco, ma anche del Presidente della Provincia, dei presidenti dei consorzi e delle comunità montane, i componenti dei consigli e delle giunte e i presidenti dei consigli circoscrizionali.
Nel passare all’esame delle cause che portano alla rimozione, possiamo notare che l’art. 40 della legge 142/1990 non solo ha confermato le fattispecie già previste dall’art. 149 del tu. n. 148/1915 (per gravi motivi di ordine pubblico, per gravi e persistenti violazioni di legge), ma ha previsto la rimozione del sindaco quando compia atti contrari alla costituzione e anche per i reati contemplati dalla legge 13 settembre 1982, n. 646 e successive modificazioni e integrazioni, o quando vengono sottoposti a misure di prevenzione o di sicurezza.
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In merito si v. A MORZANATI, commento all'art. 20, primo comma della legge 81/1993, in V. ITALIA e M. BASSANI, (a cura di) L'elezione diretta del sindaco, Milano, 1993, p. 380.
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Sull’argomento si v. S. PRINCIVALLE, Gli organi elettivi del comune e della provincia, Firenze, 1985, pp. 403 e ss.
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Per addivenire alla rimozione del sindaco è sufficiente che sussista una delle cause previste dall’art. 40 della legge 142/1990. L’organo competente ad adottare il provvedimento è il Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’Interno. Ѐ necessario che il provvedimento di rimozione, trattandosi di provvedimento discrezionale, venga adeguatamente motivato con l’indicazione dei fatti concreti e obiettivi. In attesa del decreto, il prefetto può sospendere il sindaco, quando sussistano motivi di grave e urgente necessità.
Va peraltro ricordato che la legge n. 55/1990 contenente nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazioni di pericolosità sociale ha introdotto una causa di sospensione, che può portare alla decadenza dalla carica di sindaco. Infatti, qualora nei confronti del sindaco sia stato avviato il giudizio penale, per il delitto previsto dall’art. 416 bis cod. pen. (associazione di tipo mafioso), oppure per i delitti di favoreggiamento commessi in relazione allo stesso delitto, è sospeso dalle funzioni.
La sospensione non opera ipso iure, ma deve essere disposta con provvedimento del prefetto, al quale, a cura della cancelleria competente, vanno trasmessi gli atti dell’autorità giudiziaria70.
La quarta ipotesi prevista dall’art. 20, primo comma, della legge 81/1993, assimilabile al decesso è la decadenza. La dichiarazione di decadenza opera per un motivo di ineleggibilità o di incompatibilità sulla qualità di consigliere comunale in quanto il sindaco è membro di diritto del consiglio comunale71, o anche per inadempimento degli obblighi di partecipazione alle riunioni del consiglio comunale72.
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C. GELATI, Commento all’articolo 40 della legge 142/1990, in V. ITALIA e M. BASSANI (a cura di), Le autonomie locali, cit. p. 594.
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La decadenza del Sindaco, a seguito di decadenza dalla carica a consigliere comunale, era già prevista dall’art. 9 bis, comma settimo, del t.u. 570/1960.
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La decadenza per mancata partecipazione del sindaco alle riunioni del consiglio comunale andrebbe disciplinata dallo statuto e dal regolamento del consiglio comunale, altrimenti sarà alquanto difficile utilizzare in tal caso l'istituto della decadenza.
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Un’altra causa di decadenza è data dalla sentenza passata in giudicato per delitti di associazione a delinquere di tipo mafioso o associazione finalizzata al commercio e alla produzione di stupefacenti e di armi; si applica, inoltre, l’istituto della decadenza quando «sono sospesi dalle funzioni qualora nei loro confronti il tribunale abbia applicato con provvedimento definitivo una misura di prevenzione in quanto indicati di appartenere ad una delle associazioni di cui all’art. 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575».
In tutti questi casi, fatta eccezione per la fattispecie della sospensione, la giunta comunale decade e si procede allo scioglimento del consiglio.
Comunque, per il principio della prorogatio il consiglio e la giunta rimangono in carica fino alla elezione del nuovo sindaco e del nuovo consiglio. In ogni caso, fino all’espletamento delle elezioni, le funzioni del sindaco sono esercitate dal vice sindaco.