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Modifiche comportamentali. Uno “stile di vita” si basa generalmente su modelli di comportamento consolidati nel tempo, che vengono mantenuti dal contesto sociale. I fattori individuali e ambientali possono incidere negativamente sulla capacità di adottare uno stile di vita sano. In ciascun paziente è importante approfondire quali siano le sue esperienze, i pensieri e le preoccupazioni, le conoscenze e le sue situazioni di vita quotidiana. Allo scopo di incentivare le motivazioni ed indurre il paziente ad impegnarsi, è fondamentale un’attività di counseling personalizzata. Le

decisioni del medico devono quanto più possibile venire condivise con il paziente (interessando anche il partner ed familiari).

Inoltre, gli operatori sanitari possono avvalersi di strategie cognitivo- comportamentali per valutare i pensieri, gli atteggiamenti e le convinzioni di ciascun paziente relativamente alla propria capacità di riuscire a modificare il comportamento, e per valutare il contesto ambientale. Gli interventi comportamentali come il “colloquio motivazionale” determinano un aumento della motivazione e dell’auto-efficacia.

Precedenti esperienze infruttuose possono influire negativamente spesso sull’auto- efficacia; un passo fondamentale consiste nel definire obiettivi realistici unitamente all’automonitoraggio del comportamento da modificare. Riuscire a fare piccoli e costanti passi avanti rappresenta un aspetto fondamentale nella modifica del comportamento a lungo termine.

In caso di soggetti a rischio molto elevato è raccomandato un approccio multimodale. Questa tipologia di interventi si propone di favorire uno stile di vita sano attraverso una serie di modifiche comportamentali inerenti ad alimentazione, attività fisica, tecniche di rilassamento, controllo del peso corporeo e programmi di cessazione del fumo per fumatori ostinati. Inoltre, tali interventi accrescono la capacità di affrontare la malattia, determinano una maggiore aderenza alla terapia e contribuiscono a ridurre gli esiti cardiovascolari.

Il trattamento dei fattori di rischio psicosociali può contrastare lo stress psicosociale, la depressione e l’ansia, facilitando così l’attuazione delle modifiche comportamentali e migliorando la qualità di vita e la prognosi.

Sedentarietà e attività fisica. La pratica di una regolare attività fisica costituisce il caposaldo della prevenzione delle malattie cardiovascolari e si associa ad una riduzione della mortalità per tutte le cause. I soggetti sedentari devono essere incoraggiati ad intraprendere un programma di attività fisica aerobica di bassa intensità.

Ciascun soggetto deve essere incoraggiato a scegliere un’attività che lo diverta e/o che possa essere inserita nella sua routine quotidiana, così che sarà più facile da

praticare. Al fine di agevolare ulteriormente la modifica comportamentale, i medici devono adoperarsi fattivamente perché non sussistano degli impedimenti che ostacolano la pratica dell’esercizio fisico. Da questo punto di vista, è di cruciale importanza il collegamento tra l’assistenza primaria ed i centri della comunità locale dove svolgere un’attività fisica, ricreativa o sportiva. È necessario ridurre al minimo la sedentarietà, prevedendo di spostarsi a piedi o in bicicletta, di interrompere regolarmente i lunghi periodi trascorsi in posizione seduta e di ridurre il tempo passato davanti ad uno schermo.

Interventi per la cessazione del fumo. Smettere di fumare è la strategia più vantaggiosa in termini di costo-efficacia per la prevenzione delle CVD.

Esistono forti evidenze a supporto di: interventi brevi volti a fornire consigli sulla cessazione del fumo, qualsiasi tipo di terapia sostitutiva della nicotina (NRT), bupropione, vareniclina, una maggiore efficacia della terapia di combinazione ad eccezione della NRT in associazione a vareniclina. La strategia più efficace è rappresentata dagli interventi brevi congiuntamente all’assistenza nella fase di cessazione mediante terapia farmacologica e pianificazione del follow-up.

Le sigarette elettroniche possono teoricamente aiutare a smettere di fumare ma devono essere soggette alle stesse restrizioni alla commercializzazione previste per le sigarette convenzionali.

L’esposizione al fumo passivo comporta un rischio significativo, il che implica la necessità di proteggere i non fumatori.

Il ricorso ad un sostegno professionale può aumentare le probabilità di smettere di fumare. Il consiglio di smettere di fumare diventa imperativo all’atto della diagnosi di CVD e in concomitanza del trattamento (invasivo). Spronare il soggetto a smettere di fumare, passare brevemente in rassegna i rischi cardiovascolari e per la salute in genere del fumo e concordare uno specifico programma che preveda controlli periodici rappresentano tutti interventi basati sull’evidenza.

Una storia di abitudine al fumo che comprenda il numero di sigarette fumate al giorno e il grado di dipendenza dalla nicotina consente di orientare il livello di supporto e il tipo di trattamento farmacologico necessari. I fumatori devono essere

informati dell’aumento di peso atteso pari a mediamente 5 kg e del fatto che i benefici per la salute derivanti dalla cessazione sono di gran lunga superiori ai rischi correlati all’aumento di peso.

Alimentazione. Le abitudini alimentari influenzano il rischio cardiovascolare e altre patologie croniche come il cancro. L’apporto calorico deve essere limitato alla quantità di energia necessaria per mantenere (o conseguire) un peso corporeo ideale, pari a un BMI compreso tra >20.0 e <25.0 kg/m2.

La valutazione dell’impatto di un modello alimentare completo può teoricamente delineare il potenziale di prevenzione della dieta, fornendo una stima combinata degli effetti favorevoli di diverse abitudini alimentari. Una metanalisi di studi prospettici di coorte ha evidenziato come una maggiore aderenza alla dieta mediterranea, che racchiude un elevato introito di frutta, verdura, legumi, cereali integrali, pesce ed acidi grassi insaturi (in particolare olio di oliva), nonché un consumo moderato di alcool (prevalentemente vino da assumere preferibilmente durante i pasti) e un ridotto consumo di carne (rossa), latticini ed acidi grassi saturi, sia associata ad una riduzione dell’incidenza di CVD e della mortalità cardiovascolare del 10% e ad una riduzione della mortalità per tutte le cause dell’8%. In un RCT condotto in soggetti ad alto rischio, l’osservanza per 5 anni di un regime alimentare basato sulla dieta mediterranea determinava, rispetto ad una dieta di controllo, una riduzione del rischio di CVD del 29%.

Peso corporeo. Tanto il sovrappeso quanto l’obesità sono associati ad un aumentato rischio di morte cardiovascolare e per tutte le altre cause. La mortalità è più bassa in presenza di un BMI 20-25 kg/m2 (nei soggetti di età <60 anni). Il conseguimento e il mantenimento di un peso corporeo ideale ha effetti favorevoli sui fattori di rischio metabolici (PA, livelli lipidici, tolleranza al glucosio) e riduce il rischio cardiovascolare.

Quale indice di obesità è il miglior predittore di rischio cardiovascolare? Sono disponibili diverse misure per la determinazione del grasso corporeo. La maggior parte dei dati disponibili riguarda il BMI [peso (kg)/altezza (m)2], il rapporto vita-

fianchi e la semplice circonferenza vita. I valori di riferimento definiti dall’OMS, per quanto riguarda la misura della circonferenza vita, sono quelli maggiormente applicati in Europa; questi sono articolati su due livelli:

• una circonferenza vita ≥94 cm per gli uomini e ≥80 cm per le donne definisce il valore soglia oltre il quale occorre evitare ulteriori incrementi ponderali, • una circonferenza vita ≥102 cm per gli uomini e ≥88 cm per le donne

definisce il valore soglia per il quale occorre raccomandare una riduzione di peso.

Esiste una correlazione positiva lineare tra rischio cardiovascolare e BMI ed altre misure di grasso corporeo. In considerazione del fatto che la mortalità per tutte le cause sembra essere più elevata a fronte di un BMI <20 kg/m2, valori così bassi di BMI non sono raccomandati come obiettivo terapeutico.

La dieta, l’attività fisica e le modificazioni comportamentali, pur rappresentando le fondamenta del trattamento del sovrappeso e dell’obesità, si rilevano spesso interventi inefficaci a lungo termine e, quali ulteriori opzioni terapeutiche, possono essere prese in considerazione la terapia medica con orlistat e/o la chirurgia bariatrica. In una recente metanalisi, i pazienti sottoposti a chirurgia bariatrica hanno mostrato un minor rischio di infarto miocardico, ictus, eventi cardiovascolari e mortalità rispetto ai controlli trattati con presidi non chirurgici.

Interventi a livello di popolazione: promozione di uno stile di vita

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