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La valutazione del rischio cardiovascolare nel personale della riabilitazione dell'AOUP

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Academic year: 2021

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Indice

Introduzione

Promozione della salute

L’importanza strategica del luogo di lavoro nel processo di promozione della salute

Evidenze di efficacia nella promozione della salute nei luoghi di lavoro

Realizzazione di interventi di WHP e i criteri di buona pratica Attuali fattori di rischio per la salute

Prevenzione del rischio cardiovascolare Costo-efficacia della prevenzione

Stima del rischio cardiovascolare globale L’età in funzione del rischio cardiovascolare Come si utilizzano le carte per la stima del rischio

Fattori che possono influenzare la stima del rischio cardiovascolare globale

Uso corretto della carta del rischio Intervento sui fattori di rischio

Interventi a livello individuale

Interventi a livello di popolazione: promozione di uno stile di vita sano

Studio oggetto della presente tesi Introduzione e razionale Scopo Materiali e metodi Risultati Discussione e conclusioni Bibliografia pag. 2 pag. 3 pag. 8 pag. 14 pag. 16 pag. 23 pag. 24 pag. 25 pag. 27 pag. 30 pag. 30 pag. 32 pag. 32 pag. 36 pag. 36 pag. 40 pag. 47 pag. 47 pag. 47 pag. 47 pag. 48 pag. 63 pag. 67

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Introduzione

Le malattie cardiovascolari (malattie ischemiche del cuore, come l'infarto acuto del miocardio e l'angina pectoris, e le malattie cerebrovascolari, come l'ictus ischemico ed emorragico) sono tra le principali cause di morbosità, invalidità e mortalità in Italia. Secondo i dati ISTAT 2012 le malattie cardiovascolari rappresentano ancora la principale causa di morte nel nostro Paese, sia negli uomini che nelle donne. Al primo posto le malattie ischemiche del cuore (75.098 casi), seguono le malattie cerebrovascolari (61.255) ed altre malattie cardiache (48.384).

Sono in gran parte prevenibili, in quanto riconoscono, accanto a fattori di rischio non modificabili (età, sesso e familiarità), anche fattori modificabili, legati a comportamenti e stili di vita (fumo, abuso di alcol, scorretta alimentazione, sedentarietà) spesso a loro volta causa di diabete, obesità, ipercolesterolemia, ipertensione arteriosa.

Il rischio che ogni persona ha di sviluppare la malattia cardiovascolare dipende dall’entità dei fattori di rischio; il rischio è continuo e aumenta con l’avanzare dell’età, pertanto non esiste un livello a cui il rischio è nullo. Tuttavia è possibile ridurre il rischio cardiovascolare o mantenerlo a livello favorevole abbassando il livello dei fattori modificabili attraverso uno stile di vita sano.

Il luogo di lavoro rappresenta uno dei settori strategici della società per l’attuazione di interventi e programmi di Promozione della Salute. Infatti, l’ambiente di lavoro rappresenta un contesto favorevole per le iniziative di promozione della salute in quanto offre l’opportunità di coinvolgere un largo numero di persone difficilmente raggiungibili per altri canali e di ripetere nel tempo tali iniziative.

Con questa tesi abbiamo voluto indagare lo stato di salute ed in particolare il rischio cardiovascolare del personale della riabilitazione dell' Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana (AOUP), capire quali condizioni influenzano maggiormente questo rischio, per poter successivamente mettere in atto gli accorgimenti necessari per ridurlo.

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Promozione della salute

Il concetto di salute, e conseguentemente anche quello di malattia, è un concetto dinamico: esso infatti varia nel tempo e da una nazione all’altra, condizionato da numerosi aspetti quali quelli culturali, sociali, scientifici, clinici e biomedici.

Secondo il modello biomedico tradizionale, la malattia è il semplice risultato di relazioni di causa-effetto. Secondo questa prospettiva il concetto di salute quindi si dispone in modo diametralmente opposto a quello di malattia: o si è sani o si è malati. Viene dunque a definirsi una visione statica in cui la mente è considerata come separata dal corpo e in cui la malattia è definita in termini esclusivamente biologici. I principi di questo modello portano inevitabilmente allo sviluppo di una medicina centrata sulla patologia che non considera affatto la persona se non in relazione alla malattia stessa. Alla persona-paziente viene quindi attribuito il semplice ruolo passivo di oggetto della diagnosi e della cura.

Molti autori hanno rivolto numerose critiche al suddetto modello proponendo una visione basata su un nuovo modello più ampio, definito paradigma bio-psico-sociale. Secondo questo modello lo stato di salute della persona è la conseguenza diretta dell’interazione di numerosi fattori:

 Biologici (fattori genetici, aggressioni di agenti infettivi ecc…);  Psicologici (credenze, attitudini, comportamenti ecc…);

 Sociali (livello di istruzione, reddito, classe sociale, tipo di lavoro, tipo di società in cui si vive ecc…).

Si passa perciò da un concetto di salute strettamente legato all’assenza di malattia ad uno collegato, invece, ad uno stato di benessere globale della persona: secondo questa innovativa prospettiva il concetto di salute e di malattia sono il frutto dell’interazione tra variabili biologiche, psicologiche e sociali. Cade dunque il principio deterministico della relazione biunivoca tra effetto e causa singola.

In linea con questa teoria, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha fornito già nel 1948 una nuova definizione di salute come “stato di completo benessere fisico, sociale e mentale, e non soltanto l’assenza di malattia o di infermità”,

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attribuendo importanza ai fattori culturali, psichici e ambientali (sia sociali che politici) nel determinare lo stato di salute della persona.

Grazie a tale prospettiva inoltre si assiste al passaggio da una “medicina centrata sulla malattia” ad una “medicina centrata sulla persona”: la persona-paziente è considerata come un partner attivo da coinvolgere nel processo di recupero del proprio stato di salute. I sentimenti, le cognizioni, le aspettative della persona assumono quindi importanza significativa per il raggiungimento degli obiettivi terapeutici.

Inoltre, nell’ambito dell’evoluzione del concetto di salute al quale si assiste negli ultimi decenni, tale concetto si interfaccia anche con una prospettiva ecologica. Secondo il Nuovo Zingarelli l’ecologia è così definita:

“Branca della biologia che studia i rapporti reciproci fra organismi viventi e ambiente circostante, specie per limitarne o eliminarne la nocività: ecologia umana, animale, vegetale, marina.”.

Il termine “ecologia umana” esprime il concetto che, se tutto è in relazione, allora l’essere umano non può essere considerato solo un mero osservatore esterno al sistema dentro cui è immerso, ma anche come componente di esso e interagente con le altre parti. Ogni organismo inoltre deve essere considerato come un sistema complesso che interagisce con gli altri organismi, appunto, in modo complesso. Secondo tale prospettiva tutti gli organismi viventi sono elementi componenti di sistemi più ampi (come ad esempio l’ “individuo” fa parte del sistema “famiglia” che a sua volta fa parte del sistema “società”) e gli organismi stessi sono al loro interno riconducibili a sottoinsiemi (un sottoinsieme dell’“individuo” potrebbe essere il “sistema nervoso” che a sua volta contiene il sottoinsieme “cervello”). Qualunque effetto su un componente del sistema determina conseguenze sull’intero sistema. I determinanti della salute possono essere schematizzati in almeno cinque livelli di stratificazione. Partendo dallo strato più esterno troviamo i determinanti a carattere più generale come quelli socio-economici, culturali e ambientali. Seguono poi quelli che riguardano le condizioni di vita e di lavoro come l’istruzione, la casa, il lavoro. Proseguendo verso il centro, rappresentato dall’individuo, troviamo il livello delle reti socio-affettive ed ancora gli stili di vita adottati dall’individuo. Concludendo, nel

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core o strato più interno, troviamo i fattori biologici rappresentati principalmente dell’età, dal sesso e dai fattori costituzionali.

Secondo questa prospettiva, affrontare il tema della salute significa adottare un approccio sistemico al problema. Per migliorare la salute è perciò necessario agire su tutti questi livelli. I singoli cittadini scoprono, secondo questa ottica, di avere un enorme potere su se stessi: essi sono in grado infatti di influenzare il proprio stato di salute attraverso la modificazione dei propri stili di vita. Gli stili di vita modificabili che incidono maggiormente sul carico collettivo di malattie e disabilità (burden of disease) sono il fumo, la scorretta alimentazione, l’abuso di alcol e l’inattività fisica. I suddetti fattori, soprattutto per quanto riguarda i paesi economicamente sviluppati, causano una percentuale importante dei DALY perduti (anni di vita in buona salute perduti completamente per morte precoce o parzialmente per disabilità).

S’inserisce in questa cornice il processo di Promozione della Salute (PdS) che, quando efficace, porta a cambiamenti nei determinanti della salute sia individuali (quali gli stili di vita salubri) sia globali come le condizioni sociali, economiche ed ambientali.

Per Promozione della Salute si intende quel processo che consente agli individui di esercitare un maggior controllo sulla propria salute e che li rende in grado di migliorarla, raggiungendo il massimo livello di benessere fisico, mentale e sociale. Nella Carta di Ottawa, atto conclusivo del primo Congresso Internazionale sulla Promozione della Salute che si è svolta a Ottawa (Canada) nel 1986, l’OMS definisce così la PdS: “il processo che consente alle persone di esercitare un maggior controllo sulla propria salute e di migliorarla” e continua affermando che “ La PdS mira soprattutto all’eguaglianza nella salute. Il suo intervento si prefigge di ridurre le differenziazioni evidenti nell’attuale stratificazione sociale della salute, assicurando a tutti eguali opportunità e risorse per conseguire il massimo potenziale di salute”. La Carta di Ottawa individua tre strategie fondamentali per il raggiungimento di questo scopo:

1. Intensa campagna di sensibilizzazione dell’opinione pubblica affinché i fattori politici, economici, sociali, culturali, ambientali, comportamentali e biologici possano essere indirizzati positivamente dall’azione di promozione

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della salute;

2. Fornire alle persone i mezzi necessari per il raggiungimento del massimo potenziale di salute poiché non è possibile raggiungere il massimo livello di salute se non si è in grado di controllare tutto ciò che la determina. Questo comprende un saldo radicamento in un ambiente accogliente, l’accesso alle informazioni, le competenze necessarie alla vita, la possibilità di scelte adeguate riguardo al proprio stato di salute;

3. Mediare e coordinare l’azione di tutti gli organismi interessati: i governi, i settori sanitari, sociali ed economici, le organizzazioni sanitarie non governative, le autorità locali, l’industria e i mezzi di comunicazione. I requisiti della salute non possono essere garantiti infatti dal solo settore sanitario: il problema riguarda tutti.

Secondo la Carta di Ottawa il processo di promozione della salute viene attuato attraverso cinque aree d’azione principali:

1. Attuare una politica pubblica per la tutela della salute, affinché tutti i settori della società raggiungano una piena consapevolezza delle conseguenze delle loro decisioni sul piano della salute e una piena assunzione di responsabilità in merito;

2. Creare ambienti capaci di offrire sostegno: ogni strategia di promozione della salute deve tener conto della tutela dell’ambiente poiché vi è un legame stretto tra l’uomo e l’ambiente in cui è inserito;

3. Rafforzare l’azione della comunità poiché è attraverso di essa che la promozione della salute può definire priorità, prendere decisioni, progettare e realizzare strategie finalizzate al miglioramento dello stato di salute. La comunità deve diventare capace di prendere decisioni relative al proprio stato di salute;

4. Sviluppare le abilità personali fornendo informazioni e istruendo gli individui sul tema della salute affinché essi possiedano un controllo e una maggiore conoscenza e consapevolezza riguardo alle scelte sulla propria salute e sull’ambiente. I cittadini devono rinunciare a delegare passivamente la tutela

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della salute al sistema sanitario, ma dovranno assumere un ruolo attivo nella promozione di essa;

5. Riorinetare i servizi sanitari affinché venga data priorità ai bisogni globali della persona intesa nella sua totalità e affinché si crei una concreta collaborazione tra utenti e servizi sanitari.

Quindi i partecipanti al Congresso di impegnano:

 a scendere in campo nella battaglia per una politica pubblica di tutela della salute, chiedendo un esplicito impegno politico per la salute e la giustizia in tutti i settori;

 a reagire alle pressioni che favoriscono prodotti dannosi, spreco delle risorse, condizioni di vita e ambientali malsane e cattiva alimentazione;

 a richiamare l'attenzione delle istituzioni su questioni di tutela della salute attinenti l'inquinamento, la nocività del lavoro, i problemi dell'alloggio e dei nuovi insediamenti;

 a colmare le disparità sul piano della salute all'interno di ogni società e tra una società e l'altra, lottando contro le disuguaglianze nella salute create dalle norme e dalle consuetudini delle società stesse;

 a riconoscere le persone stesse come la maggiore risorsa per la salute; ad aiutarle e incoraggiarle a tutelare la salute propria, quella della famiglia e dei conoscenti attraverso finanziamenti ed altro; ad accettare la comunità come principale interlocutore per quanto concerne la sua salute, le sue condizioni di vita e di benessere;

 a riorientare i servizi sanitari e le loro risorse in direzione della Promozione della Salute, e a condividere il potere decisionale con altri settori, altre discipline e, in particolare, con gli stessi utenti dei servizi;

 a riconoscere nella salute e nella sua tutela un fondamentale investimento sociale, e una sfida decisiva, nonché ad affrontare in modo globale il problema ecologico del nostro modo di vita.

La PdS è un processo che raramente porta ad un risultato immediato, ma, quando efficace, consente l’empowerment delle persone: permette infatti di rafforzare le

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capacità degli individui, sia sani che malati, di esercitare un maggiore controllo sulla propria vita e sul contesto ambientale adottando comportamenti salutari.

L’OMS sottolinea che “i requisiti e le potenzialità della salute non possono essere garantiti dal solo settore sanitario. Non solo, almeno. La Promozione della Salute impone il coordinamento dell’azione di tutti gli organismi interessati: i governi, i settori sanitari, sociali ed economici, le organizzazioni volontarie non ufficiali, le autorità locali, l’industria e i mezzi di comunicazione”. Il problema riguarda tutti e la soluzione dipende da tutte le componenti della società. La PdS dunque si distingue dall’educazione alla salute in quanto quest’ultima mira esclusivamente alla modifica dei comportamenti individuali, mentre la promozione della salute prevede anche interventi strutturali, normativi, economici e sociali finalizzati alla trasformazione del contesto ambientale in cui gli individui vivono.

La PdS è un processo che dovrebbe essere attuato in tutti i settori della società, anche se è lecito orientare gli sforzi primariamente verso quelle aree che garantiscono un rapporto ottimale tra costi e benefici, tra cui il luogo di lavoro, come vedremo successivamente.

In Italia, la tematica della Promozione della salute è stata oggetto di discussioni solo negli ultimi anni. E’ nel “Piano Sanitario Nazionale 1998-2000” che il Ministero della Sanità (oggi non a caso diventato Ministero della Salute) ha introdotto come uno dei punti principali della politica sanitaria la Promozione della Salute affermando che, per poter assicurare lo sviluppo di attività lavorative svolte in sicurezza e finalizzate alla produttività, la salute e il benessere giocano un ruolo di primaria importanza.

L’importanza strategica del luogo di lavoro nel processo di

promozione della salute

Secondo la definizione dell’OMS “Lo stile di vita consiste in un modo di vivere impostato secondo modelli di comportamento identificabili, che sono frutto dell'azione reciproca delle caratteristiche proprie di un individuo, delle interazioni sociali con le condizioni di vita di carattere socioeconomico e ambientale. Questi

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modelli di comportamento vengono continuamente interpretati e vagliati in situazioni sociali diverse e non sono quindi immobili, bensì soggetti al cambiamento.”.

E’ su tale potenzialità di cambiamento delle persone nelle comunità dove vivono, studiano, lavorano, che si fondano gli interventi di prevenzione dei fattori di rischio comportamentali (tabagismo ecc.) e di promozione della salute (abitudini alimentari, stile di vita attivo, ecc.).

Il luogo di lavoro rappresenta uno dei settori strategici della società per l’attuazione di interventi e programmi di Promozione della Salute. Già all’interno della Carta di Ottawa era promossa l’idea di ritenere opportuno (e addirittura indispensabile) la creazione di ambienti di lavoro che promuovessero il benessere: “ lavoro e tempo libero devono divenire fonti di benessere per tutti. Il modo stesso in cui la società organizza il lavoro deve contribuire a renderla più sana”. L’importanza dell’ambiente lavorativo come contesto all’interno del quale possano essere promosse iniziative di promozione della salute è stato poi ribadito nella Dichiarazione di Jakarta, in cui si afferma che “gli ambienti organizzativi offrono concrete opportunità per la realizzazione di strategie globali: questi ambienti comprendono le megalopoli, le isole, le città, i paesi e le comunità locali, i loro mercati, le scuole, gli ambienti di lavoro e le strutture sanitarie”.

L’ambiente di lavoro rappresenta quindi un contesto favorevole per le iniziative di PdS in quanto offre l’opportunità di coinvolgere un largo numero di persone difficilmente raggiungibili per altri canali e di ripetere nel tempo tali iniziative. Il luogo di lavoro offre dunque numerosi vantaggi:

 La maggior parte della popolazione adulta passa gran parte del suo tempo al lavoro;

 Il lavoro non costituisce solo un mezzo per procurarsi risorse economiche ma contribuisce nel dare identità alle persone, nel responsabilizzarle e nel renderle autonome;

 Molti posti di lavoro sono occupati da una popolazione stabile che favorisce la realizzazione e l’efficacia di programmi di WHP;

 La popolazione che lavora è opinion-leader nei confronti di quella inattiva; inoltre i cambiamenti negli stili di vita dei dipendenti potrebbero determinare

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una ricaduta positiva all’interno delle famiglie di appartenenza;

 Il luogo di lavoro dispone di propri canali di comunicazione che possono essere sfruttati sia per pubblicizzare i programmi sia per promuovere e sostenere la partecipazione dei dipendenti;

 Gli ambienti lavorativi sono inoltre caratterizzati dalla presenza di dinamiche di tipo relazionali, facilitando di conseguenza il coinvolgimento di tutti i dipendenti e la trasmissione di comportamenti salubri;

 Gli indici di partecipazione ai programmi di promozione della salute nei luoghi di lavoro sono più alti che in altri ambiti;

 In Europa l’ambiente di lavoro è quello più regolato da leggi; sarebbe facile integrarle adeguandole al nuovo corso;

 In un posto di lavoro sono presenti tutte le categorie sociali che hanno così pari opportunità di emancipazione;

 La maggior parte delle spese relative ai corsi di formazione e promozione della salute non grava sullo stato;

 I lavoratori realizzano insieme obiettivi che forse da soli non raggiungerebbero;

 Le aziende hanno una ricaduta positiva sulla produttività e sulla loro immagine;

 I sindacati crescono in credibilità. Salute e benessere dei lavoratori sono obiettivi primari delle strategie sindacali;

 La comunità in cui i lavoratori risiedono diventa più sana e prosperosa;  I luoghi di lavoro offrono la possibilità di seguire periodicamente la

popolazione lavorativa dato che la normativa vigente, in relazione ai rischi valutati e riconosciuti dalla legge, impone di sottoporre determinate categorie di lavoratori ad una sorveglianza sanitaria periodica. La raccolta periodica di dati quali il peso, l’altezza, l’indice di massa corporea e la circonferenza vita consentirà l’identificazione del tipo di esigenza presente nel contesto lavorativo, affinché il programma di WHP risulti il più adeguato ed efficace possibile.

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La promozione della salute nei luoghi di lavoro (Workplace Health Promotion – WHP) si basa in sostanza sulla cooperazione multisettoriale e multidisciplinare e prevede l’impegno di tutti i soggetti chiave (datori di lavoro, lavoratori e società). Essa si realizza attraverso la combinazione di:

 miglioramento dell’organizzazione del lavoro e dell’ambiente di lavoro;  promozione della partecipazione attiva dei lavoratori;

 incoraggiamento allo sviluppo personale.

La WHP nasce dall’incontro delle esperienze di igiene e sicurezza del lavoro con il mondo della promozione della salute e trova come modello di riferimento quello sviluppato dal Centre of Health Promotion dell’Università di Toronto all’interno del quale gli interventi di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro sono schematizzabili in tre categorie che si influenzano reciprocamente: la prevenzione dei rischi occupazionali, il cambiamento organizzativo aziendale e il miglioramento degli stili di vita individuali.

Generalmente gli interventi di WHP sono indirizzati ai comportamenti individuali che influenzano in maniera negativa lo stato di salute dei lavoratori; i principali sono: il fumo di tabacco, le abitudini alimentari non corrette, l’abuso di alcol e di altre sostanze e la sedentarietà. Al tempo stesso, all’interno dei luoghi di lavoro, risultano di fondamentale importanza anche gli interventi preventivi rivolti alla riduzione dell’esposizione ai rischi lavorativi, quali quelli di natura fisica, chimica, biologica e organizzativa. Mentre in quest’ultimo caso gli interventi dipendono esclusivamente dalle decisioni della dirigenza aziendale, per quanto riguarda le iniziative di WHP è sicuramente importante l’impegno e la partecipazione congiunta di tutti i soggetti coinvolti (datore di lavoro, dirigenza, rappresentanti del lavoro e lavoratori) ma fondamentale è soprattutto la partecipazione attiva e diretta dei lavoratori stessi, attraverso apposite azioni a livello individuale/interpersonale.

E’ chiaro che entrambi questi diversi tipi d’intervento, e in particolare la loro integrazione, può condurre ad effetti positivi sullo stato di salute dei lavoratori, concetto riportato anche nel Patto per la tutela della salute e della sicurezza nei

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luoghi di lavoro sancito dalla Conferenza Stato Regioni nella seduta del 1 agosto 2007. Tra gli obiettivi strategici del Sistema Sanitario Nazionale individuati nel patto è riportato anche quello di “implementare programmi di PdS e della sicurezza, intesi come strumento efficace per la crescita della cultura della prevenzione e per il sostegno al contenimento dei rischi collegato con comportamenti corretti”.

La PdS nei luoghi di lavoro risulta essere quindi di fondamentale importanza, dato che spesso rischi professionali e rischi extraprofessionali possono interagire tra loro moltiplicandosi portando così a ricadute negative sulla salute dei lavoratori. Basti pensare all’effetto sinergico tra agenti cancerogeni e fumo oppure all’interferenza dell’alcol con la biotrasformazione di molti tossici industriali.

Inoltre, se è vero che, solitamente, i lavoratori maggiormente esposti a rischi professionali sono anche quelli che presentano stili di vita meno salubri, è anche vero il contrario, e cioè che alcuni disturbi, come ad esempio quelli dell’apparato muscolo-scheletrico, non sono solo conseguenze dell’esposizione al rischio professionale (posizioni scorrette, movimentazione dei carichi), ma sono dovuti anche alle diffuse abitudini (vita sedentaria).

Un altro modello di riferimento è quello sviluppato dall’OMS e denominato Healthy workplace model. Secondo tale modello, i soggetti a vario titolo coinvolti (datori di lavoro, lavoratori ecc…), collaborano, attraverso un processo di miglioramento continuo, per tutelare e promuovere la sicurezza ma anche la salute e il benessere di tutti i lavoratori portando alla creazione di un ambiente di lavoro sicuro e salutare. Secondo l’Healthy workplace model gli obiettivi prioritari sono la promozione, l’incoraggiamento e la protezione del benessere fisico, mentale e sociale dei lavoratori. Questi obiettivi potranno essere raggiunti considerando quattro aspetti, tra loro interconnessi, che influiscono sulla sicurezza e sulla salute dei lavoratori stessi.

1. Aspetti fisici dell’ambiente di lavoro e quindi i mezzi, le risorse e i prodotti del lavoro (ambiente e struttura del luogo di lavoro, macchinari, arredi, materiali, processi,...);

2. Risorse (informazioni, servizi,...) dedicate alla salute dei lavoratori che contribuiscono a monitorare e a mantenere uno stato di salute fisica e mentale ottimale e a favorire il mantenimento o l’adozione di stili di vita salutari;

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3. Interazione tra azienda e comunità, riferita alla modalità con cui l’azienda interagisce con la comunità per migliorare la salute dei lavoratori ma anche delle loro famiglie e degli altri membri della comunità stessa;

4. Aspetti psicosociali dell’ambiente di lavoro che includono l’organizzazione e la gestione del lavoro (norme e procedimenti, stile e modalità di conduzione e di controllo), il clima e la cultura organizzativa, i valori, gli atteggiamenti, le credenze e le pratiche quotidiane in azienda.

La promozione della salute nei luoghi di lavoro rappresenta quindi ad oggi una strategia preventiva che tiene conto degli effetti sinergici sulla salute umana dei rischi legati agli stili di vita e dei rischi professionali. Può essere definita come lo sforzo congiunto realizzato da tutti i soggetti chiave (datori di lavoro, dirigenti, individui e società) per migliorare lo stato di salute e di benessere delle persone nei luoghi di lavoro.

Nel quadro delle iniziative relative alla promozione della salute nei luoghi di lavoro che si sono diffuse in Europa a partire dagli anni ’90, la Commissione Europea Salute e Tutela dei Consumatori (SANCO) ha istituito un Network Europeo (European Network for Workplace Health Promotion – ENWHP) con l’obiettivo di promuovere e coordinare lo scambio di esperienze e informazioni sul lavoro e la salute cercando di identificare, sviluppare e diffondere iniziative finalizzate a migliorare lo stato di salute e ad allungare la vita lavorativa attiva dei dipendenti. Sulla base delle esperienze di WHP riportate in letteratura, sono molteplici le iniziative di PdS attuabili nei luoghi di lavoro.

E’ importante che gli interventi attuati siano basati su evidenze scientifiche di efficacia, che seguano una progettazione accurata e che rispettino un rapporto costi-efficacia favorevole.

E’ frequente che la WHP sia considerata dai datori di lavoro come un costo e non come un vero e proprio investimento, ma è accertato che un alto numero di malattie e di incidenti si contrae o accade proprio nei posti di lavoro. I programmi di WHP, quindi, quando ben eseguiti, possono rappresentare un investimento fruttuoso: è dimostrato come sia possibile ottenere un risparmio pari a una volta e mezzo il suo investimento.

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Gli interventi di PdS nei luoghi di lavoro consentono quindi di valorizzare il prezioso capitale umano presente nelle aziende. Una popolazione lavorativa in buona salute accumula un numero inferiore di assenze per malattia ed aumenta la propria produttività, portando un guadagno all’economia dell’azienda. Inoltre le iniziative di WHP produrranno benefici anche sul clima relazionale e sulla motivazione dei dipendenti. Non solo, è possibile individuare anche benefici addizionali dovuti alla ricaduta positiva all’interno delle famiglie e della comunità dei cambiamenti prodotti negli stili di vita dei lavoratori e alla diminuzione dei costi sanitari e sociali.

Evidenze di efficacia nella promozione della salute nei luoghi di

lavoro

In questi ultimi anni l’esigenza di adattare gli interventi alle evidenze scientifiche è stata una sfida costante per la PdS. Vi sono state inizialmente difficoltà legate principalmente alla scarsità degli studi controllati disponibili e alla disomogeneità degli interventi sottoposti a valutazione, entrambi fattori che non consentivano di raggiungere i migliori livelli di evidenza.

Grazie però al crescente interesse degli ultimi anni sviluppatosi nei confronti questa tematica è stato possibile accumulare numerose prove interessanti e concordanti a sostegno dell’efficacia di programmi strutturati di promozione della salute negli ambienti di lavoro nel ridurre la diffusione dei fattori di rischio generali per la salute tra i lavoratori.

In letteratura esistono due filoni principali per provare l’efficacia della promozione della salute nei luoghi di lavoro: il primo è quello legato alla stima del ritorno economico dell’investimento (Return on Investment – ROI) ricavato dagli interventi di WHP, il secondo è quello che valuta il miglioramento del benessere psico-fisico dei lavoratori dovuto alla riduzione dei comportamenti a rischio per la salute.

Nel primo caso (filone del ROI) si cerca di misurare il guadagno economico di interventi indirizzati a modificare i comportamenti individuali che favoriscono l’emergenza di patologie croniche (fumo, sedentarietà, alimentazione scorretta ecc…). Le misure di outcome utilizzate sono relative al risparmio in termini monetari

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di prestazioni sanitarie e di assenteismo dal lavoro. Per quanto riguarda il versante sanitario i dati sono quelli che derivano dalle polizze assicurative stipulate tra singole aziende e compagnie private per la copertura sanitaria dei propri lavoratori. Le misure di ROI risultano quindi semplici da calcolare: è sufficiente confrontare l’investimento affrontato per attuare gli interventi di WHP con i risparmi calcolati su un periodo temporale di breve-medio termine (da pochi mesi a 3-5 anni) sulle prestazioni assicurative che sono state erogate. I risultati di queste analisi di ritorno dell’investimento economico sostengono il vantaggio economico per le aziende nell’introduzione di questi programmi di promozione della salute, con rendimenti relativi in dollari che vanno da 3:1 a valori superiori a 10:1. Secondo una review di 72 studi statunitensi realizzata nel 2001, ogni dollaro speso per un programma di WHP ha prodotto un risparmi medio di 3,48 dollari di cure per la salute e una diminuzione dei costi legati all’assenteismo di 5,82 dollari, producendo in totale un ROI di 4,30 dollari per ogni dollaro speso. Come abbiamo già accennato in precedenza, questi studi non hanno potuto avere seguito nei paesi europei: la presenza in Europa di sistemi assicurativi a carattere pubblico per i lavoratori ha fatto sì che l’incentivo a migliorare le condizioni di salute, diminuendo il consumo di risorse sanitarie, venisse meno.

Del secondo filone fanno invece parte le revisioni sistematiche indirizzate alla valutazione dell’efficacia pratica degli interventi nel provocare cambiamenti sugli stili di vita poco salutari dei lavoratori. Tra queste vi sono rassegne sistematiche pubblicate dalla Cochrane Collaboration (organismo internazionale no-profit nato con lo scopo di raccogliere, valutare in modo critico e diffondere le informazioni riguardanti l’efficacia degli interventi sanitari) che forniscono una prospettiva aggiornata sull’efficacia dei diversi interventi di WHP. In particolare, riporto la sintesi dei risultati aggiornati al luglio 2010 emersi dalle rassegne sistematiche della Cochrane Library pubblicata sulla monografia della Società Italiana di medicina del lavoro ed Igiene Industriale (SIMLII) di cui fanno parte 66 contributi sull’argomento; in particolare, 37 studi fanno riferimento ad interventi mirati all’interruzione dell’abitudine tabagica, 15 ad interventi finalizzati a ridurre l’abuso di alcol, 6 ad interventi indirizzati al miglioramento delle abitudini alimentari e alla promozione

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dell’attività fisica ed 8 ad interventi più generici.

Al contrario delle misure di ROI che sono abbastanza immediate e semplici da rilevare, i risultati della PdS, in termini di miglioramento dello stato di benessere dei lavoratori, sono più difficoltosi da misurare: la PdS infatti utilizza processi complessi agendo su fenomeni sociali complessi che non sono facilmente valutabili dai tradizionali metodi di ricerca.

Realizzazione di interventi di WHP e i criteri di buona

pratica

Come già detto in precedenza, le evidenze disponibili in letteratura descrivono gli interventi efficaci tralasciando la descrizione delle modalità ottimali per attuare sul campo tali interventi. Per cercare di far fronte a questo problema l’ENWHP (European Network For Workplace Health Promotion)

si è impegnata nel diffondere modelli di buona pratica per la PdS sul lavoro. Il termine buona pratica deriva da quello inglese “best practice”. Come tutti sanno, la traduzione italiana fedele del termine “best practice” sarebbe “migliori pratiche” e non “buone pratiche”. Consideriamo però più appropriato tradurre il termine “best” con il termine “buone” poiché la terminologia “migliori pratiche” presupporrebbe un valore assoluto (le migliori tra tutte quelle disponibili) che mal si applica alla dinamicità delle conoscenze scientifiche (che accrescono, si evolvono e modificano nel tempo). La terminologia “buone pratiche” vuole quindi evidenziare la relatività della valutazione di una pratica rispetto al tempo e al contesto in cui avviene, senza alcuna pretesa di valore assoluto.

Nell’ambito della promozione della salute, con tale termine si intendono quindi quei progetti o quegli interventi che “in armonia con i principi/valori/credenze e le prove di efficacia e ben integrati con il contesto ambientale, sono tali da poter raggiungere il miglior risultato possibile in una determinata situazione”.

Prendendo come riferimento la suddetta definizione, la buona pratica può essere definita come un intervento che risponde al soddisfacimento di alcuni criteri

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condivisi, riassumibili in:  Fondamento teorico;  Etica;

 Provata efficacia;

 Approccio partecipativo;

 Rispondenza dei bisogni dei destinatari;  Disponibilità di risorse;

 Efficienza e sostenibilità.

Analizzando le buone pratiche sarà dunque possibile estrapolare quei consigli e quelle indicazioni che i promotori di WHP devono prendere in considerazione per realizzare interventi di qualità. Ed è proprio questo il motivo per cui le indicazioni e le informazioni fornite devono essere generali: i programmi di PdS potranno così essere adattati alle specifiche esigenze della singola azienda.

I criteri più generali di buona pratica in promozione della salute sottolineano l’importanza di:

 Attivare un gruppo di lavoro che sia multidisciplinare, multisettoriale e comprenda al suo interno i rappresentanti dei destinatari (datori di lavoro e lavoratori);

 Favorire la partecipazione dei destinatari intermedi (datori di lavoro) e finali (lavoratori) nelle diverse fasi di elaborazione e implementazione della attività;

 Favorire l’empowerment (coinvolgimento e assunzione di responsabilità) da parte dei destinatari verso la propria/altrui salute;

 Effettuare una preliminare analisi di contesto (in termini di risorse, tempi e vincoli) e un’ analisi dei determinanti di salute, da cui discenda una coerente selezione di priorità di lavoro;

 Stabilire obiettivi che siano specifici, misurabili, raggiungibili, realistici e definiti nel tempo (SMART);

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altri enti/organizzazioni interni e/o esterni) senza le quali gli interventi possono avere solo risultati limitati;

 Prevedere pianificare sin dalla fase di ideazione una valutazione di processo, di risultato e di impatto;

 Riflettere e valutare indicazioni e riflessioni circa la sostenibilità del programma nel tempo e la sua eventuale trasferibilità in altri contesti;

 Prevedere un piano di comunicazione che permetta di diffondere i risultati ai destinatari e alla comunità.

Nell’ambito della promozione della salute nei luoghi di lavoro si ritiene che gli interventi che avranno maggiore successo saranno quelli che:

 Si pongono obiettivi chiari nel breve e lungo termine anche rispetto all’allocazione di risorse economiche dedicate;

 Prevedono un forte supporto da parte della direzione aziendale e un’efficace comunicazione e coinvolgimento dei lavoratori a tutti i livelli di sviluppo e realizzazione dell’intervento;

 Si adoperano alla predisposizione di un contesto di lavoro di supporto all’adozione di sani stili di vita;

 Adattano le attività del progetto alle norme sociali vigenti promuovendo supporto sociale;

 Ponderano l’utilizzo di incentivi per promuovere la partecipazione dei lavoratori alle iniziative e per aumentare la loro autostima;

 Prevedono una costante valutazione di processo, di risultato e di impatto. Consultando la letteratura sul tema della promozione della salute è possibile identificare diversi tipi di interventi. Alcuni esempi possono essere i risk assessment con feedback, gli interventi formativi, le campagne di comunicazione e le azioni di modifica del contesto che favoriscano l’adozione di comportamenti e stili di vita salutari. Queste attività possono essere presentate come singoli interventi o essere inserite in programmi più vasti e articolati. La decisione sul tipo di intervento da adottare dipende da alcuni fattori come le dimensioni dell’azienda presa in considerazione, le risorse disponibili e le abitudini da correggere.

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Nonostante la vastità di tipologie di intervento che si possono identificare, affinché un programma di WHP sia portato a buon fine, è possibile selezionare alcuni elementi comuni a tutti gli interventi. Generalmente, infatti, i risultati migliori si ottengono per programmi strutturati, multicomponente (che non si occupino solamente di un singolo fattore di rischio/determinante di salute), di medio-lunga durata, che introducano significative modifiche del contesto e che siano integrati con i programmi di promozione della sicurezza. In particolare è molto importante che i programmi siano caratterizzati da un approccio ecologico e che siano composti da più interventi che agiscano allo stesso tempo su:

 Le politiche aziendali, rendendole più inclini a favorire uno stile di vita sano;  Il contesto lavorativo, riorganizzandolo in modo da facilitare lo svolgimento

di pratiche salubri;

 I comportamenti insalubri del singolo individuo e del gruppo, in modo da facilitare l’adozione di abitudini più salutari.

Inoltre, secondo quanto analizzato dalla letteratura, gli interventi che presentano i migliori risultati di efficacia sono quelli che agiscono contemporaneamente su tre aree:

1. Area dell’informazione: ha come obiettivo quello di aumentare le conoscenze dei lavoratori sui rischi causati dal comportamento/stile di vita preso in considerazione (ad es. il fumo di tabacco), sui benefici ricavati dalla sua eliminazione e sulle iniziative realizzate dall’azienda e dal territorio;

2. Area dell’educazione: ha come obiettivo l’erogazione di corsi di formazione e sessioni di counseling, individuali o di gruppo, per facilitare l’acquisizione di competenze ed abilità che favoriscano l’adozione di comportamenti salubri; 3. Area strutturale: ha come obiettivo la creazione di spazi e risorse per

l’attuazione del programma di PdS.

E’ possibile delineare un processo ciclico attraverso cui si realizzano e valutano i progetti di WHP.

Prima di tutto appare fondamentale mobilitare i portatori d’interesse (datori di lavoro, dirigenti, rappresentanti dei lavoratori, medici competenti) per ottenere

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appoggio e risorse. Gran parte del successo di un programma di WHP è infatti dovuto al supporto e alla partecipazione attiva della direzione aziendale in tutte le fasi del suo sviluppo. Un manager, oltre che modello per i propri dipendenti, se coinvolto nelle iniziative di WHP, è in grado di trasmettere ai lavoratori l’interesse che l’azienda ha nei loro riguardi e in quelli della loro salute, generando così un forte impatto positivo sul clima organizzativo e sulla partecipazione alle attività di promozione.

In secondo luogo, è prevista la costituzione di un gruppo di lavoro rappresentativo delle parti interessate (datori di lavoro, dirigenti, rappresentanti del lavoro, medici competenti, lavoratori) che devono essere coinvolte attivamente in ogni fase di realizzazione e valutazione del programma. In questo modo potrà essere garantita la partecipazione alle iniziative di PdS da parte di tutti gli attori coinvolti in quanto gli individui sono più propensi a partecipare ad attività che hanno contribuito a definire. Per promuovere e favorire la partecipazione dei lavoratori ai programmi non basterà semplicemente coinvolgerli nel processo di pianificazione ma potrà essere anche utile fornire sistemi per la valutazione dei feedback dei partecipanti, prevedere incentivi per la partecipazione e garantire una comunicazione/informazione aperta, efficiente e continua sulle iniziative in corso e sulle risorse messe a disposizione. Ulteriori elementi che possono favorire la partecipazione dei lavoratori alle iniziative possono essere la presentazione del progetto e delle attività attraverso materiale informativo, dare a tutti la possibilità di partecipare al progetto tenendo conto ad esempio degli orari di lavoro e degli impegni familiari, individuare tra i lavoratori una figura leader che spinga e supporti i colleghi, dare la possibilità di sperimentare diversi tipi di attività e informare periodicamente i partecipanti sull’andamento del progetto.

Alla fase di costruzione del gruppo di lavoro segue una fase altrettanto importante, quella d’identificazione delle esigenze dei lavoratori, che permette cioè di rilevare quali problemi di salute sono presenti. Grazie alla realizzazione di questa fase è possibile poi passare a quella successiva, ossia quella che consente di stabilire la priorità degli interventi. La raccolta delle informazioni relative agli stili di vita e alle problematiche di salute può avvenire attraverso diverse modalità: focus group,

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interviste, questionari oppure attraverso la sorveglianza sanitaria. E’ chiaro che se l’intervento sarà rivolto alle reali esigenze del gruppo, le azioni proposte vedranno una maggiore accettazione e partecipazione da parte dei dipendenti stessi. Questa fase del ciclo consentirà quindi di valutare le caratteristiche della popolazione target presente in azienda, e in particolare di valutarne i fattori socio-demografici (es. età, sesso, grado di istruzione), il tipo di impiego (es. impiegato, commesso, operaio) e il particolare bisogno di salute.

Dopo aver individuato le priorità dei propri dipendenti seguirà la fase di pianificazione degli interventi che non può prescindere da una considerazione circa le risorse che l’azienda ha a disposizione (strutture, personale disponibile e canali di comunicazione intra-aziendali presenti). Gli obiettivi pianificati dovranno rispettare alcuni criteri sintetizzabili nell’acronimo SMART:

 Specificità: dovrà essere chiaro cosa si vuole realizzare, dove e come;

 Misurabilità: per ciascun obiettivo dovrà essere possibile verificare e misurare il suo raggiungimento grazie alla definizione di criteri (cosa osservo) e di indicatori (cosa misuro di ciò che osservo);

 Appropriatezza: definire obiettivi realisticamente raggiungibili in modo da motivare all’azione;

 Rilevanza: gli obiettivi fissati dovranno essere coerenti rispetto alle esigenze individuate;

 Delimitazione temporale: una volta stabiliti gli obiettivi dovrà necessariamente essere stabilito anche il tempo necessario entro il quale i risultati devono essere raggiunti.

La fase successiva corrisponde a quella in cui gli obiettivi stabiliti sono tradotti in azioni attraverso l’attribuzione e la distribuzione di ruoli e responsabilità e la definizione delle tempistiche. In questa fase potrà essere valutata da parte dell’azienda la necessità di collaborazioni con professionisti esterni (es. medici specialisti, insegnanti di fitness) che potrebbero contribuire alla realizzazione e alla buona riuscita delle attività. Molto importante sarà anche la previsione di eventuali criticità che potrebbero essere incontrate durante lo svolgimento del programma ipotizzando possibili soluzioni.

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Un’altra fase fondamentale del ciclo progettuale è quella della raccolta dati: ogni fase del progetto deve essere documentata e conservata. Una corretta raccolta dei dati consente infatti di facilitare il processo di pianificazione e implementazione dei programmi di WHP. Grazie alla documentazione raccolta, se resa disponibile e consultabile via web o presentata in occasione di convegni, potrà inoltre essere possibile mettere a disposizione di altre aziende informazioni e dati utili a realizzare esperienze simili e dare quindi visibilità al progetto e ai suoi risultati.

Il progetto su cui si fonda il programma di WHP dovrà essere sottoposto a continui processi di riesame e di miglioramento grazie ad un opportuno piano di valutazione che in primis dovrà permettere di conoscere il contesto e i suoi bisogni (valutazione di contesto) ma anche di rilevare l’andamento del progetto stesso (valutazione di processo) e di misurare il raggiungimento degli obiettivi prefissati (valutazione di risultato).Per questo motivo è utile sviluppare appropriati indicatori che consentano di valutare i programmi di WHP, monitorando i cambiamenti registrati rispetto alla situazione di partenza. Gli indicatori possono essere classificati in base al criterio temporale in criteri a breve, medio e lungo termine, e in base al tipo di cambiamento che vogliono evidenziare in criteri fisici (es. giro vita, funzionalità respiratori), psicologici (es. morale, soddisfazione, livello di stress) e di produttività (es. basso tasso di assenze per malattie ed infortuni, aumento della produttività).

Durante lo svolgimento del programma sarà importante comunicare ai soggetti coinvolti informazioni circa l’andamento del progetto, così come una volta concluso il progetto sarà fondamentale presentare e discutere con i partecipanti i risultati ottenuti al fine di valorizzare il progetto e favorire l’adesione ad iniziative future. Concludendo, i programmi di WHP prevedono una realizzazione attraverso un ciclo composto da 8 fasi riassumibili nella figura 1.

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Figura 1:Processo di miglioramento continuo della salute nel luogo di lavoro

Gli interventi più efficaci sono quelli che non si limitano ad affrontare una sola problematica, ma quelli che prevedono iniziative complesse e multicomponenti. Questi tipi d’interventi, proprio a causa della loro complessità, richiedono un notevole impiego di risorse sia umane, che economiche, strutturali e organizzative. Per facilitare l’impiego di risorse economiche, ma anche di tempo e di personale da parte della direzione aziendale può infatti ritenersi opportuno indirizzare inizialmente la scelta del programma di WHP a fattori di rischio che potrebbero incidere significativamente sulla popolazione lavorativa in questione.

Attuali fattori di rischio per la salute

Così come il concetto di salute e di malattia, anche il tipo di problematiche della salute che caratterizzano la nostra società si sono modificate nel tempo, grazie anche ai progressi scientifici e tecnologici. Molte patologie infettive, come ad esempio il vaiolo, si ritengono scomparse dalla terra. Oggi, al contrario,sono le patologie croniche a rappresentare la principale causa di malattia nel mondo occidentale quali le malattie cardiovascolari, il cancro, le patologie respiratorie croniche e i problemi di salute mentale.

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Per comprendere l’ampiezza del fenomeno l’OMS ha calcolato che negli Stati Uniti in un anno vengono persi circa 12 milioni di anni di vita produttiva a causa della morte prematura di cittadini ancora in età lavorativa. Ad esempio le malattie cardiovascolari negli USA “pesano” in termini economici 124 bilioni di dollari; in un anno le spese sanitarie negli Stati Uniti ammontano all’11% del prodotto nazionale lordo. Anche in Europa la situazione è allarmante: in Gran Bretagna si perdono per disturbi cardiaci ogni anno 40 milioni di giornate lavorative, pari a circa l’11,5% delle giornate lavorative totali, con una conseguente perdita economica stimata di circa 1800 milioni di sterline.

E’ possibile individuare fattori di rischio comuni per le malattie croniche citate come ad esempio il fumo di tabacco, l’obesità ma anche il sovrappeso e la sedentarietà. Queste malattie croniche colpiscono non solo soggetti in età avanzata ma anche persone al di sotto dei 70 anni, e tra i quali rientrano anche individui in piena attività lavorativa39. L’ambiente di lavoro diventa perciò un luogo strategico per la proposta di interventi di PdS che si propongono di modificare i comportamenti a rischio dei lavoratori: la maggior parte dei dipendenti hanno un’età tale da godere di un grande beneficio dalla somministrazione di interventi mirati alla promozione di stili di vita salutari.

Prevenzione del rischio cardiovascolare

Cos'è la prevenzione delle malattie cardiovascolari?

La prevenzione delle malattie cardiovascolari (CVD) è definita come un coordinato insieme di azioni, a livello di popolazione o mirate al singolo individuo, che mirano ad eliminare o minimizzare l'impatto delle CVD e delle disabilità correlate.

La CVD rimane la causa più frequente di morte precoce in Europa, sebbene nelle ultime decadi la mortalità per questa causa sia in calo in molti dei paesi europei. Si stima che attualmente più dell’80% della mortalità globale per CVD è presente nei paesi in via di sviluppo.

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particolare nelle regioni ad alto reddito. I tassi di CAD sono ora meno della metà rispetto all'inizio degli anni '80 in molti paesi d'Europa, anche grazie a misure preventive come per esempio la legislazione sul fumo. Tuttavia persistono molte disuguaglianze tra i vari paesi e alcuni fattori di rischio, come per esempio l'obesità e il diabete mellito, hanno avuto un incremento sostanziale.

Le linee guida europee sulla prevenzione delle malattie cardiovascolari del 2016 dicono che se gli interventi di prevenzione fossero stati attuati seguendo tutte le indicazioni fornite, questo avrebbe comportato una notevole diminuzione della prevalenza di CVD. Pertanto, non sono solo i principali fattori di rischio a destare preoccupazione, ma anche la scarsa attuazione di misure preventive. Programmi di prevenzione dovrebbero essere attuati:

• a livello di popolazione generale, promuovendo stili di vita sani;

• a livello individuale in quei soggetti con moderato o elevato rischio di CVD o pazienti con CVD accertata, affrontando problemi di salute, stili di vita (ad esempio dieta di scarsa qualità, inattività fisica, fumo) e riducendo i fattori di rischio.

La prevenzione è efficace: l'eliminazione dei comportamenti a rischio per la salute permetterebbe di prevenire almeno l'80% dei CVD ed anche il 40% dei tumori.

Costo-efficacia della prevenzione

Nel 2009, i costi associati alle CVD sono stati di 106 miliardi di euro, pari a circa il 9% della spesa sanitaria totale nell’ambito dei paesi dell’Unione Europea (EU), il che indica come le CVD rappresentino un onere economico rilevante per la società a cui consegue la necessità di attuare misure preventive efficaci.

Esiste un’opinione condivisa che converge a favore di un approccio in grado di combinare strategie volte a migliorare la salute cardiovascolare nell’intera popolazione, a partire dall’infanzia, con azioni specifiche mirate a migliorare la salute cardiovascolare dei soggetti ad aumentato rischio cardiovascolare o con CVD accertata.

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cardiovascolare forniscono evidenze basate sulla ricerca clinica o su approcci di stimolazione, mentre i dati di costo-efficacia derivati da trial clinici randomizzati (RCT) sono relativamente scarsi. Il costo-efficacia è estremamente influenzato dai parametri di riferimento, quali l’età target della popolazione, il rischio cardiovascolare globale della popolazione e il costo degli interventi; pertanto, i risultati ottenuti in un paese possono non essere generalizzabili ad un altro. Inoltre, anche diversi cambiamenti, come l’introduzione dei farmaci generici, possono variare in maniera sostanziale il costo-efficacia.

Secondo l’OMS, i cambiamenti di ordine politico e ambientale potrebbero determinare una riduzione delle CVD nel mondo a fronte di un investimento annuale pro-capite di meno di 1US$. In un report del National Institute for Health and Care Excellence (NICE) è stato stimato che l’attuazione nel Regno Unito di un programma nazionale volto a ridurre dell’1% il rischio cardiovascolare nella popolazione consentirebbe di prevenire 25 000 casi di CVD con un risparmio di 40 milioni di euro all’anno. La mortalità dovuta a CAD potrebbe essere dimezzata solo per effetto di una minima riduzione dei fattori di rischio.

Negli ultimi 30 anni, oltre la metà della riduzione della mortalità cardiovascolare è stata determinata dai cambiamenti nei livelli dei fattori di rischio nella popolazione, in particolare una diminuzione della colesterolemia, dei valori pressori e dell’abitudine al fumo. Questo trend favorevole è però controbilanciato in parte da un incremento di altri fattori di rischio, in particolare obesità e diabete mellito di tipo 2. Anche l’invecchiamento della popolazione comporta un aumento degli eventi cardiovascolari.

Diversi interventi effettuati a livello di popolazione si sono rivelati efficaci nell’indurre l’adozione di stili di vita più salutari; ad esempio, una maggiore consapevolezza di come uno stile di vita sano possa prevenire l’insorgenza di CVD ha contribuito a ridurre l’abitudine al fumo ed i livelli di colesterolemia. Gli interventi sullo stile di vita agiscono su diversi fattori di rischio cardiovascolare e devono essere attuati prima dell’avvio della terapia medica o congiuntamente ad essa. Le misure legislative volte a limitare il contenuto di sale e acidi grassi trans nei prodotti alimentari o a contrastare l’abitudine al fumo sono anch’esse costo-efficaci

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nel prevenire le CVD.

Stima del rischio cardiovascolare globale

Tutte le attuali linee guida sulla prevenzione delle CVD nella pratica clinica raccomandano di valutare il rischio cardiovascolare globale in quanto l’aterosclerosi è causata generalmente dal concorso di una serie di fattori di rischio. La prevenzione delle CVD a livello individuale deve essere adattata al rischio cardiovascolare globale di ciascun soggetto: più elevato è il rischio, più intensi devono essere gli interventi. A questo scopo è fondamentale riuscire a valutare rapidamente il rischio con sufficiente accuratezza. Questa necessità ha portato alla realizzazione della carta del rischio utilizzata nelle linee guida del 1994 e 1998, la quale, elaborata inizialmente da un’idea pionieristica di Anderson, prende in considerazione l’età, il sesso, l’abitudine al fumo, il colesterolo totale e la pressione arteriosa sistolica (PAS) per stimare il rischio a 10 anni di un primo evento cardiovascolare fatale o non fatale. Tuttavia, come evidenziato nelle linee guida della Quarta Task Force congiunta europea, tale carta presentava alcuni problemi, che hanno portato oggi a raccomandare l’uso del sistema SCORE che stima il rischio di eventi CV fatali a 10 anni. Le carte SCORE sono state elaborate per stimare il rischio nelle popolazioni europee sia ad alto che a basso rischio, ma non è stata analizzata la loro applicabilità alle popolazioni non caucasiche.

Sono stati sviluppati numerosi sistemi per la stima del rischio cardiovascolare in soggetti apparentemente sani, fra cui quello di Framingham, gli algoritmi SCORE, ASSIGN (modello elaborato dallo Scottish Intercollegiate Guidelines Network), QRISK, PROCAM (Prospective Cardiovascular Munster Study), CUORE, le equazioni derivate da studi di coorte aggregati e gli score ARRIBA e Globorisk. All’atto pratico, la maggior parte di questi sistemi si equivalgono nel momento in cui vengono applicati a popolazioni fondamentalmente analoghe a quelle in cui sono stati validati. A partire dal 2003, il sistema SCORE è quello raccomandato dalle linee guida europee sulla prevenzione delle CVD nella pratica clinica, in quanto basato su un ampio dataset rappresentativo della popolazione europea.

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Il sistema SCORE consente di stimare il rischio a 10 anni di un primo evento aterosclerotico fatale e comprende tutti i codici ICD (Classificazione Internazionale delle Malattie) potenzialmente riconducibili ad aterosclerosi.

Vantaggi

• Strumento intuitivo e facile da usare.

• Definisce un linguaggio comune sul rischio per i professionisti sanitari. • Consente una valutazione maggiormente obiettiva del rischio.

• Prende in considerazione la natura multifattoriale delle CVD.

• Consente una gestione flessibile: nell’impossibilità di conseguire livelli ottimali di un fattore di rischio, si può ottenere una diminuzione del rischio globale mediante una riduzione degli altri fattori di rischio.

• Affronta la questione di un rischio assoluto basso nei soggetti di giovane età con multipli fattori di rischio: la carta per il rischio relativo aiuta a chiarire come un soggetto giovane con rischio assoluto basso possa presentare un rischio relativo notevolmente elevato e potenzialmente riducibile. In questo contesto può essere utile calcolare l’“età in funzione del rischio” di un determinato soggetto.

Limiti

• Stima il rischio di eventi CV fatali ma non il rischio cumulativo (eventi fatali e non fatali).

• Si presta ad essere applicata a diverse popolazioni europee ma non a differenti gruppi etnici nell’ambito di tali popolazioni.

• Prende in considerazione solo i maggiori determinanti del rischio.

• Altri sistemi sono maggiormente funzionali ma resta da definirne la loro applicabilità a paesi diversi.

• Prende in considerazione un range di età circoscritto (40-65 anni).

La scelta della mortalità cardiovascolare invece che degli eventi totali (fatali e non fatali) è stata intenzionale. L’incidenza degli eventi non fatali è estremamente influenzata dalla diversità delle definizioni e dei metodi di accertamento utilizzati. Occorre sottolineare che l’uso della mortalità consente la ricalibrazione per tener

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conto degli andamenti temporali della mortalità cardiovascolare.

Una ricalibrazione che tenga conto dei cambiamenti temporali può essere effettuata solo nel caso siano disponibili dati aggiornati e di buona qualità sulla mortalità e prevalenza dei fattori di rischio. La qualità dei dati non consente questo procedimento per gli eventi non fatali. Per questi motivi sono state elaborate le carte relative alla mortalità cardiovascolare, che sono state ricalibrate per alcuni paesi europei.

Ovviamente il rischio cumulativo di eventi fatali e non fatali è più elevato. I dati SCORE indicano che il rischio totale di eventi CV è di circa 3 volte superiore al rischio di eventi CV fatali negli uomini, stando a significare che un rischio di mortalità CV del 5% valutato con la carta SCORE corrisponde ad un rischio cumulativo di eventi fatali e non fatali del 15%; tale moltiplicatore è pari a 4 nelle donne e leggermente inferiore a 3 volte nei soggetti anziani, in ragione dell’elevata probabilità di un primo evento fatale.

Una particolare difficoltà riguarda i soggetti giovani con elevati livelli di fattori di rischio, nei quali un rischio assoluto basso può nascondere un rischio relativo molto alto, rendendo necessaria l’attuazione di misure intensive sullo stile di vita.

Un altro problema riguarda i soggetti anziani. In alcune fasce di età la grande maggioranza, specie se di sesso maschile, presenta un rischio stimato di mortalità cardiovascolare oltre il valore soglia del 5-10% sulla base unicamente dell’età (e del sesso) anche quando i livelli degli altri fattori di rischio cardiovascolare sono bassi e questo potrebbe condurre ad un eccessivo impiego della terapia farmacologica in questa categoria di pazienti.

Utilizzando il database SCORE, è stata compiuta una disamina sistematica del ruolo del colesterolo legato alle lipoproteine ad alta densità (C-HDL) nella valutazione del rischio, che ha evidenziato come nel complesso il C-HDL contribuisca in modo efficace, seppur limitato, alla predittività del rischio; tuttavia tale effetto non risulta sempre rilevabile nelle popolazioni a basso rischio. La determinazione del C-HDL si rivela particolarmente importante per quei livelli di rischio appena al di sotto del 5% che richiedono un controllo più serrato del rischio, dove in molti soggetti sarà necessario aumentare le raccomandazioni qualora presentino ridotti livelli di C-HDL.

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L’età in funzione del rischio cardiovascolare

L’età in funzione del rischio di un soggetto che presenta una serie di fattori di rischio cardiovascolare corrisponde all’età di un individuo che, a parità di livello di rischio, mostra livelli ottimali dei fattori di rischio. Ne deriva che il livello di rischio di un individuo di 40 anni con elevati livelli di alcuni fattori di rischio può essere equivalente a quello di un soggetto di ≥60 anni con livelli ottimali dei fattori di rischio (cioè non fumatore, colesterolemia totale 4 mmol/l [155 mg/dl] e PA 120 mmHg). L’età corrispondente al livello di rischio è un modo semplice ed intuitivo per spiegare ad un giovane individuo come, pur presentando un rischio assoluto basso, possa avere un rischio relativo elevato per CVD, con conseguente riduzione dell’aspettativa di vita qualora non vengano adottate delle misure preventive.

Come si utilizzano le carte per la stima del rischio

Le carte SCORE sono utilizzate nei soggetti apparentemente sani e non in quelli con CVD accertata o affetti da altre condizioni a rischio elevato o molto elevato (es. diabetici o da insufficienza renale cronica) nei quali è comunque necessaria una maggiore attenzione nel controllo dei fattori di rischio.

Per stimare il rischio di eventi cardiovascolari fatali a 10 anni di un soggetto, identificare la tabella corrispondente per sesso, abitudine al fumo ed età (più vicina) e, all’interno dello schema, trovare il riquadro più vicino ai valori pressori e di colesterolemia totale, tenendo conto che la stima del rischio dovrà essere aggiustata al valore superiore con il passaggio alla fascia di età successiva.

Per quanto non esistano valori soglia universalmente applicabili, a fronte di un aumento del rischio deve essere intensificata la frequenza con la quale fornire consigli appropriati. L’effetto degli interventi sulla probabilità assoluta di sviluppare un evento cardiovascolare aumenta con l’aumentare del rischio alla linea base, cioè il numero di soggetti da trattare per prevenire un evento (number needed to treat, NNT) diminuisce con l’avanzare dell’età.

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• soggetti a rischio moderato-basso (rischio SCORE <5%) devono essere istruiti ad adottare uno stile di vita atto a mantenere la loro condizione di rischio moderato-basso.

• soggetti a rischio elevato (rischio SCORE compreso tra ≥5% e <10%) necessitano di una maggiore attenzione per quanto riguarda le modificazioni dello stile di vita e potrebbero trarre beneficio dalla terapia farmacologica. • soggetti a rischio molto elevato (rischio SCORE ≥10%) richiedono più

frequentemente un trattamento farmacologico. Nei soggetti ultrasessantenni, questi valori soglia devono essere interpretati in maniera meno stringente in quanto il rischio correlato alla loro età si attesta solitamente intorno a questi valori, anche quando i livelli degli altri fattori di rischio sono “normali”. In particolare, deve essere scoraggiato l’avvio indiscriminato del trattamento farmacologico in tutti i soggetti anziani con livelli di rischio superiori alla soglia del 10%.

Le carte del rischio devono essere utilizzate tenendo conto dei seguenti aspetti: • Sebbene utili per la stima del rischio, le carte devono essere interpretate

nell’ottica delle conoscenze e dell’esperienza proprie di ciascun medico, nonché tenendo conto dei fattori che possono influire sul calcolo del rischio. • I soggetti giovani, pur presentando un rischio assoluto a 10 anni basso,

possono avere un rischio relativo elevato in quanto gli eventi si verificano più tardivamente nel corso della vita. Le carte del rischio relativo o la stima dell’età in funzione del rischio possono rivelarsi utili per identificare e consigliare questa categoria di soggetti

• Il rischio risulta più basso nelle donne in quanto è differito di 10 anni – una donna di 60 anni sembra avere un rischio pari a quello di un uomo di 50 anni. Di fatto, le CVD sono causa di mortalità più frequentemente nelle donne che negli uomini.

• Le carte possono essere utilizzate per fornire alcune indicazioni sugli effetti derivanti da una riduzione dei fattori di rischio, tenendo presente che sarà necessario un lasso di tempo prima che si assista ad una diminuzione del

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rischio e che i risultati degli studi randomizzati controllati siano in grado di fornire una stima più accurata dei benefici degli interventi. In linea generale, smettere di fumare comporta un dimezzamento del rischio.

Fattori che possono influenzare la stima del rischio cardiovascolare

globale

Oltre ai classici fattori di rischio cardiovascolare maggiori inclusi nelle carte del rischio, esistono altri fattori di rischio che possono influire sulla determinazione del rischio cardiovascolare globale. Le linee guida europee del 2016 raccomandano di valutare fattori di rischio aggiuntivi nel caso questi consentano di migliorare la stratificazione del rischio e siano misurabili nella pratica clinica quotidiana.

In linea generale, la riclassificazione è particolarmente utile in quei soggetti che presentano un livello di rischio prossimo alla soglia decisionale, ad esempio un rischio SCORE del

5%, mentre nei soggetti a rischio molto elevato o molto basso, difficilmente l’impatto dei fattori di rischio aggiuntivi sarà tale da determinare un cambiamento delle decisioni gestionali.

Uso corretto della carta del rischio

La carta del rischio cardiovascolare serve a stimare la probabilità di andare incontro a un primo evento cardiovascolare maggiore (infarto del miocardio o ictus) nei 10 anni successivi, conoscendo il valore di cinque fattori di rischio: sesso, abitudine al fumo, età, pressione arteriosa sistolica e colesterolemia.

La carta del rischio:

• è valida se i fattori di rischio vengono misurati seguendo la metodologia standardizzata

• è utilizzabile su donne e uomini di età compresa fra 40 e 65 anni che non hanno avuto precedenti eventi cardiovascolari

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• non è utilizzabile nelle donne in gravidanza

• non può essere applicata per valori estremi dei fattori di rischio: pressione arteriosa sistolica superiore a 200 mmHg o inferiore a 90 mmHg e colesterolemia totale superiore a 320 mg/dl o inferiore a 130 mg/dl.

Al fine della valutazione del rischio cardiovascolare, i valori degli esami clinici di glicemia e colesterolemia sono utilizzabili se eseguiti da non più di tre mesi.

Si consiglia di eseguire la valutazione del rischio cardiovascolare attraverso la carta almeno:

• ogni sei mesi per persone a elevato rischio cardiovascolare (rischio superiore o uguale al 20%)

• ogni anno per persone a rischio da tenere sotto controllo attraverso l'adozione di uno stile di vita sano (rischio superiore o uguale al 5% e inferiore al 20%) • ogni 5 anni per persone a basso rischio cardiovascolare (rischio inferiore al

5%).

I fattori di rischio considerati sono:

1. genere espresso in due categorie, uomini e donne 2. età espressa in anni

3. abitudine al fumo di sigaretta espressa in due categorie, fumatori e non fumatori; si definisce fumatore chi fuma regolarmente ogni giorno (anche una sola sigaretta) oppure ha smesso da meno di 12 mesi. Si considera non fumatore chi non ha mai fumato o ha smesso da più di 12 mesi

4. pressione arteriosa sistolica espressa in mmHg; rappresenta la pressione sistolica come media di due misurazioni consecutive eseguite secondo la metodologia standardizzata.

Per persone che hanno il valore della pressione arteriosa sistolica superiore a 200 mmHg o inferiore a 90 mmHg non è possibile utilizzare la carta per la valutazione del rischio.

5. colesterolemia espressa in mmol/L.

Per persone che hanno il valore della colesterolemia totale superiore a 320 mg/dl o inferiore a 130 mg/dl non è possibile utilizzare la carta per la valutazione del rischio.

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