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Gli interventi nelle navate

Nel documento Il Duomo di Massa Marittima nel Medioevo (pagine 163-168)

L’acquasantiera della navata destra

Agli stessi anni dell’ampliamento risale la realizzazione di una delle tre campane del campanile della cattedrale, la cui iscrizione tramanda la data 1302 e il nome del fonditore; di questo rimane solo il toponimico Pisanus, in maniera curiosamente analoga a quella dell’iscrizione del 1287.615 Al medesimo periodo può essere riferita anche l’acquasantiera collocata presso il primo sostegno della navata destra (fig. 4.67); questa si compone di una vasca ottagonale posata su una colonnetta liscia, sorretta da un leone accovacciato che tiene tra le zampe anteriori un animale (forse un agnello, per il vello arricciato che si distingue sul capo) di cui è visibile solo la testa (fig. 4.70). Il bacile è decorato nella zona inferiore di ogni lato da una grossa foglia d’acanto lobata,

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MENTEM SANCTAM SPONTANEAM HONOREM DEO ET PATRIE LIBERATIONEM. RICCIARDUS FLORENTINUS ME FECIT. TEMPORE MUCCII GUIDUCCI DE RAVENA OPERARII A. D. MCCCXXXVIII. ORA PRO NOBIS BEATE CERBONI.

615 A meno che con i puntini di sospensione il Petrocchi non abbia voluto semplicemente segnalare la

difficoltà di lettura della parola, il nome proprio del fonditore appare, della sua trascrizione, cancellato come nell’epigrafe del 1287: MENTEM SANCTAM SPONTANEAM HONOREM DEO ET PATRIE LIBERATIONEM. MAGIST: C (o G) .... PISANUS ME FECIT A. D. MCCCIII (L. PETROCCHI, 1900, p. 67). L’iscrizione non è stata verificata personalmente; essa cita un passo dell’epitaffio di Sant’Agata comunemente iscritto sulle campane, e tramanda l’origine dell’artefice da Pisa, patria di numerosi

dalle profonde nervature e inclinata verso destra, come mossa dal vento. Al centro di una delle facce è scolpito un Agnus Dei, mentre le restanti sono occupate da una protome umana, ora di profilo ora di tre quarti, caratterizzata ognuna in maniera differente (figg. 4.68, 4.69): partendo dalla prima a sinistra dell’agnello, abbiamo un giovane con la tonsura, di profilo verso sinistra e un uomo con capelli lunghi e barba, di profilo verso destra; seguono due giovani dai capelli tirati all’indietro e terminanti in un ricciolo, il primo rivolto a sinistra, il secondo a destra; poi due uomini barbuti di tre quarti, rivolti l’uno verso l’altro, il primo dalla testa calva e i capelli lunghi, il secondo dalla chioma più corta; infine, un ultimo uomo con barba e capelli lunghi, rivolto verso l’Agnus Dei alla sua sinistra. I lati della tazza sono separati sullo spigolo da una grossa striscia terminante con una punta come una freccia; al di sotto del bordo liscio corre un motivo vegetale. L’opera si trova in uno stato di conservazione mediocre: la superficie della tazza è piuttosto usurata e sono visibili diverse spaccature della pietra e cadute di materiale, da imputare probabilmente ai danni subiti dalla pila nel 1934. Molto logorato è anche il leone, la cui parte superiore della testa e della criniera si presenta ormai appiattita e liscia. Delle teste raffigurate sul bacile si possono identificare solo le figure di San Pietro e San Paolo, accoppiate, e di San Giovanni Battista, in abbinamento con l’agnello.616 Dei restanti quattro personaggi uno è certamente un religioso, come si intuisce dalla tonsura, ed è accoppiato con un uomo anziano non identificabile; gli altri due uomini glabri sembrano due giovani di alta estrazione sociale, come sembra di capire dall’acconciatura della capigliatura, che consiste in un ricciolo infondo ai capelli ottenuto con un ferro caldo.

Il collegamento a Giroldo proposto da Swarzenski non risulta sostenibile, a mio parere, né da un punto di vista cronologico né da uno stilistico. Sembra difatti difficile datare l’opera anteriormente alla fine del XIII secolo,617 sia per l’acconciatura dei capelli presentata da due delle figure, elemento di moda che compare negli affreschi di Giotto della Basilica Superiore di Assisi, per poi connotare quasi tutti gli uomini di un certo rango nelle rappresentazioni di primo Trecento,618 sia per i caratteri del fogliame carnoso e mosso dal vento alla base della tazza, confrontabile con quello che compare su alcuni capitelli dell’ampliamento, quali quelli della parte alta del settimo pilastro sinistro, o all’ingresso della cappella alla destra dell’abside. Le teste della vasca, nella

616 La stessa interpretazione è data da J. EISSENGARTHEN (1975).

617 Proposero invece una datazione duecentesca il Petrocchi (L. PETROCCHI, 1900, p. 60) e una al XII

loro immobilità e nella fissità dello sguardo, imputabile alla forma quasi circolare degli occhi, richiamano alla lontana opere senesi dell’inizio del XIV secolo, quali il monumento funebre di Ranieri degli Ubertini (morto tra il 1297 e il 1300) attribuito a Gano di Fazio, e le formelle con Storie di Cristo nella Pinacoteca di Siena.619

Di qualità superiore, come già sottolineato dalla Bardelloni, che giudica la pila opera di un artefice locale,620 è il leone stiloforo, pur nello stato di conservazione che ne inficia oggi il giudizio. Neanche questo può essere, a mio parere, avvicinato al fonte di Giroldo, la cui vicinanza fisica permette di verificare facilmente le differenze che separano la fiera della pila dai leoni posti sotto la vasca battesimale. Queste diversità comprendono la definizione della criniera, a piccole ciocche su più file in Giroldo, a lunghi ciuffi nella pila; la conformazione del muso; la presenza delle orecchie, assenti nei leoni del fonte. La figura stilofora ricorda piuttosto, nella definizione della criniera e del muso su cui ancora si intravede la maculatura che indica l’innesto dei baffi, esempi più tardi quali i due leoni della controfacciata del Duomo di Grosseto, opera di una maestranza senese di primo Trecento che certamente si ispirò ai leoni di Marco Romano del Duomo di Siena,621 anche se delle fiere appena citate il leone massetano, immobile e leggermente macrocefalo, non ha certamente la vivacità, affidata solo allo scatto della testa e alla bocca aperta al ruggito. Gaetano Badii riporta la tradizione che la figura stilofora provenga da Massa Vecchia,622 Mario Lopes Pegna considera antico il fusto,623 mentre Riccardo Belcari ipotizza che la pila possa essere il risultato di un assemblaggio.624 Mentre la prima ipotesi è difficilmente verificabile, la seconda non è da escludere, considerando anche la rarità dei leoni stilofori utilizzati come supporto di acquasantiere in Toscana;625 resta comunque il fatto che non sussiste una differenza stilistica con la decorazione della tazza tanto profonda da pensare necessariamente all’accorpamento di due opere diverse, accomunate, di converso, dall’utilizzo dello stesso materiale. In conclusione l’acquasantiera andrà dunque considerata l’opera di un

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Entrambe le tombe sono illustrate in R. BARTALINI, 2005, pp. 70-71, 84-86.

620 C. BARDELLONI, 2000, p. 52 nota 27.

621 I leoni senesi furono attribuiti a Marco Romano da Previtali (G. PREVITALI, 1983, pp. 63-64). 622 G. BADII, 1926, p. 23, 55.

623

M. LOPES PEGNA, 1962, p. 141

624 R. BELCARI, 2005, p. 226 nota 77.

625 Una coppia di leoni sorreggeva la perduta pila medievale un tempo nella chiesa di San Biagio a

Firenze e poi passata in collezione Menabuoni alla fine del XVIII secolo, prima di risultare dispersa (R. CALAMINI, 2013, in corso di stampa). Il leoncino su cui posa l’acquasantiera proveniente dal monastero di San Vittore a Catignano e conservata al Museo d’Arte Sacra di San Gimignano (SI) potrebbe essere invece nato per un altro monumento, dato che l’opera sembra essere un riassemblaggio di pezzi diversi (M. CIONI, 1911, p. 244; J. VICHI IMBERCIADORI, P. e M. TORRITI, 1988, p. 58). Molto più comune era invece, fin dai tempi del pergamo di Guglielmo per la cattedrale pisana, l’utilizzo di leoni stilofori a

artista forse locale e di non altissima levatura, attivo nel cantiere della cattedrale durante, o poco dopo, i lavori di ingrandimento dell’edificio.

Affreschi nelle campate sesta e settima della navata destra

Ai primissimi anni del Trecento, se non alla fine del secolo precedente, pare databile un lacerto di affresco inedito visibile nell’intradosso dell’arco che unisce la sesta colonna e il settimo pilastro del colonnato destro (fig. 4.71). Nel dipinto, frammentario e in mediocri condizioni di conservazione, sono visibili la testa e le spalle di un santo vescovo con mitria, incluso in un tabernacolo decorato a finto intarsio marmoreo e sostenuto da colonnette con capitelli fogliati. La scarsa leggibilità dei tratti del volto della figura e la perdita di gran parte della composizione non permettono di giudicare serenamente l’affresco; si intuisce tuttavia un certo sforzo, ancora sperimentale, di restituire la profondità della nicchia, che lascia pensare a una datazione successiva agli affreschi giotteschi di Assisi. Una certa asimmetria nella composizione e la posa del santo vescovo, rivolto verso destra, dimostrano che la visione privilegiata del dipinto era dalla navata centrale.

Nella sesta e nella settima campata, al di sopra dell’attuale volta a crociera, sopravvivono tracce di altri affreschi, visibili solo dal sottotetto. La loro esistenza fu segnalata per la prima volta nel 1961, durante i lavori di smantellamento del tetto della navata destra, come testimonia una lettera dell’Ispettore Onorario Tommaso Ferrini al Soprintendente: in questa si riporta che in uno dei lacerti è visibile “una figura umana, sembra un angelo che impugna una spada”, in un altro “una figura di animale, forse un lupo, in mezzo ad un paesaggio di rocce e di alberi”.626 E’ purtroppo impossibile, senza

626 “Durante i lavori di smantellamento del tetto della navata destra della Cattedrale, in relazione alle

riparazioni che si stanno eseguendo, sono stati ritrovati resti di affreschi al di sopra delle volte che coprono attualmente la navata. Uno dei resti di affresco, in cui si vede una figura umana, sembra un angelo che impugna una spada, si trova nella parete frontale sinistra dell’arco che divide la campata della volta corrispondente alla porta laterale destra della Cattedrale dalla campata successiva (per chi percorre la navata verso l’uscita principale della Chiesa). Altro resto di difficile interpretazione, (è visibile soltanto una figura di animale, forse un lupo, in mezzo ad un paesaggio di rocce e di alberi) si trova nella parete frontale sinistra dell’arco successivo al precedente. Si notano resti di affreschi, ma molto più malandati, anche nella parte frontale destra degli stessi archi. Si notano anche resti di decorazioni.” (SBSAE, Archivio storico, Massa Marittima, C-21, Cattedrale di San Cerbone fino al 31/12/1998, 28 ottobre 1961, carta s.n.). Un mese dopo l’ispettore spedì alla Soprintendenza quattro fotografie dei lacerti scoperti (SBSAE, Archivio storico, Massa Marittima, C-21, Cattedrale di San Cerbone fino al 31/12/1998, 25

una visione diretta degli affreschi o di loro fotografie, dare un giudizio sulla loro cronologia, il cui terminus ante quem sarà la costruzione delle volte.627

Un nuovo coro

Il prolungamento della chiesa e l’abbattimento dell’antico presbiterio rialzato, sia che questo sia avvenuto nella prima metà del Duecento, sia che sia da riferire alla maestranza di Giovanni Pisano, comportò la demolizione dell’antico pulpito e pontile, e la costruzione di un nuovo coro. La posizione di quest’ultimo è deducibile da una serie di pagamenti per il suo smontaggio nel 1585, l’anno precedente la nuova consacrazione dell’edificio, in parte già analizzati nel capitolo dedicato alle lastre conservate nella prima sala del Museo d’Arte Sacra, presumibilmente riutilizzate nei muretti del nuovo coro.628 Nelle menzionate voci in uscita di un registro dell’Opera di San Cerboneil coro è definito “di mezzo la Chiesa”629 e “da basso”:630 sembra attestato dunque che si trovasse nella navata centrale, forse sotto la cupola, nelle ultime due campate della chiesa romanica, prima degli scalini che conducono all’aggiunta gotica; una collocazione che rispecchierebbe quella del coro della cattedrale senese.631 Non sappiamo quale forma avesse, ma possiamo ipotizzare che si sviluppasse in maniera rettilinea, con gli stalli disposti su due file parallele, come a Siena (fig. 4.72).632 Si potrà forse immaginare che le “pietre”, definite ora “dinanzi al coro”, ora “dietro al detto coro”, ora semplicemente “del coro”, lo cingessero formando una sorta di U, alternandosi alle grate di accesso allo spazio riservato agli scranni. Le “grati di ferro” menzionate in un’altra voce di uscita633 richiamano alla mente la nota biccherna del 1483 di Pietro di Francesco Orioli, dove è raffigurato l’interno del Duomo senese, e si intravede sullo sfondo una grata della recinzione presbiteriale (fig. 4.73). La dicitura di uno dei pagamenti ricevuti da un muratore per aver murato “piu pietre i(am) nel coro da

627 L’attuale sopravvivenza delle pitture mi è stata confermata dal restauratore Massimo Gavazzi, che ha

esplorato insieme al gruppo di lavoro i sottotetti della navata. Non mi è stato purtroppo concesso di vedere le fotografie scattate in quell’occasione, poiché materiale inedito riservato a una futura pubblicazione.

628 Vedi capitolo 3 per la trascrizione dei suddetti pagamenti. 629 ACM, Opera di San Cerbone, 5, c. 269 v, 1585 gennaio 5. 630

ACM, Opera di San Cerbone, 5, c. 270 r, 1585 gennaio 12; ACM, Opera di San Cerbone, 5, c. 270 v, 1585 febbraio 18.

631 Per la posizione del coro del Duomo di Siena si veda A. DE MARCHI, 2009, pp. 130-131, 137-138,

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basso dalla ba(n)da delle sedie del offitio de Priori” lascia intuire che un lato del coro fosse riservato alle figure politiche della città.634

Nel documento Il Duomo di Massa Marittima nel Medioevo (pagine 163-168)