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L’intervento della Corte costituzionale con la sentenza n. 199

2. L’evoluzione delle società pubbliche nell’ordinamento nazionale

2.4. L’intervento della Corte costituzionale con la sentenza n. 199

lasciato spazio alla disciplina comunitaria, espandendo nuovamente la discrezionalità degli enti locali nella scelta delle modalità di gestione servizio, potendo affidarla a privati mediante procedure ad evidenza pubblica, a società miste con la c.d. gara a doppio oggetto senza limiti minimi di partecipazione del socio imprenditore oppure a società pubbliche in via diretta. I successivi interventi legislativi sono noti: a neanche un mese di distanza dalla consultazione popolare il legislatore ha emanato il decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, il cui articolo 4 ha sostanzialmente riprodotto la norma abrogata, prescrivendo limiti ancora più stringenti per l’affidamento diretto a favore delle società pubbliche. La successiva legge di stabilità per il 2012 e il decreto “Cresci Italia” sulle liberalizzazioni hanno ulteriormente ridotto gli spazi dell’in house. Una situazione così incerta, di continue evoluzioni sul piano legislativo, ha determinato un sospetto e una diffidenza generalizzati, sia da parte delle pubbliche amministrazioni sia da parte degli imprenditori. Infatti, da un lato, la mancanza di stabilità dell’assetto giuridico non può costituire terreno adatto a sostenere investimenti a lungo termine da parte dei privati, essendo minato dal rischio di continui mutamenti che possono vanificare gli sforzi perpetrati; dall’altro, gli stessi enti pubblici non sanno come agire senza incorrere nei controlli stringenti di responsabilità, potendo percorrere con una certa sicurezza la sola strada della procedura ad evidenza pubblica.

2.4. L’intervento della Corte costituzionale con la sentenza n. 199 del 2012

Nello scenario delle società degli enti pubblici è intervenuta a gamba tesa la sentenza della Corte costituzionale del 20 luglio 2012, n. 199, dichiarando l’illegittimità dell’intero articolo 4 del decreto legge 138/2011, sulle modalità di affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, in relazione

all’articolo 75 della Carta fondamentale (88). La Consulta ha osservato come la norma sub iudice si sia posta in contrasto con il divieto di ripristino della disciplina abrogata dal referendum del giugno 2011, eludendo la decisione sancita dalla volontà popolare. In particolare, la pronuncia ha evidenziato come tale disposizione abbia voluto riproporre una restrizione delle ipotesi di affidamento diretto, ricalcando – e per alcuni versi ulteriormente inasprendo – la cornice normativa antecedente, dettata dall’articolo 23 bis del decreto legge 112/2008 e dalle relative norme di attuazione (89). L’emanazione dell’articolo 4, sostanzialmente riproduttivo della norma precedentemente in vigore, a neanche un mese di distanza dalla sua abrogazione, contravviene al c.d. vincolo referendario, che preclude la vanificazione della consultazione popolare e comporta la conseguente incostituzionalità di qualsiasi disposizione elusiva (90). A questa soluzione non è d’ostacolo il fatto che l’articolo in esame, nel tentativo di uniformarsi alla volontà espressa dalla consultazione popolare, abbia sottratto dal suo ambito di

                                                                                                               

(88) Il relativo ricorso è stato proposto in via principale dalle regioni Puglia, Lazio, Marche, Emilia-Romagna, Umbria e Sardegna, per lesione del principio di autodeterminazione degli enti locali (artt. 5, 114, 117 e 118 Cost.), nonché per violazione della volontà popolare espressa dal referendum (art. 75 Cost.), e infine per la mancanza dei requisiti di straordinaria necessità ed urgenza che devono sempre caratterizzare il decreto legge (art. 77 Cost.).

(89) Il regolamento di attuazione dell’art. 23 bis è stato emanato con d.P.R. 7 settembre 2010, n. 168.

(90) Di seguito si riportano alcuni passi di rilievo della sentenza: “La normativa all’esame costituisce ripristino della normativa abrogata, considerato che essa introduce una nuova disciplina della materia, senza modificare né i principi ispiratori della complessiva disciplina normativa preesistente né i contenuti normativi essenziali dei singoli precetti, in palese contrasto, quindi, con l’intento perseguito mediante il referendum abrogativo. Né può ritenersi che sussistano le condizioni tali da giustificare il superamento del predetto divieto di ripristino, tenuto conto del brevissimo lasso di tempo intercorso fra la pubblicazione dell’esito della consultazione referendaria e l’adozione della nuova normativa (23 giorni), ora oggetto di giudizio, nel quale peraltro non si è verificato nessun mutamento idoneo a legittimare la reintroduzione della disciplina abrogata. […] La normativa comunitaria consente, anche se non impone (sentenza n. 325/2010), la gestione diretta del servizio pubblico da parte dell’ente locale, allorquando l’applicazione delle regole di concorrenza ostacoli, in diritto o in fatto, la speciale missione dell’ente pubblico (art. 106 TFUE), alle sole condizioni del capitale totalmente pubblico della società affidataria, del cosiddetto controllo analogo (il controllo esercitato dall’aggiudicante sull’affidatario deve essere di contenuto analogo a quello esercitato dall’aggiudicante sui propri uffici) ed infine dello svolgimento della parte più importante dell’attività dell’affidatario in favore dell’aggiudicante. […] Le poche novità introdotte dall’art. 4 accentuano, infatti, la drastica riduzione delle ipotesi di affidamenti diretti dei servizi pubblici locali che la consultazione referendaria aveva inteso escludere”.

applicazione il servizio idrico integrato, precedentemente ricompreso nell’articolo 23 bis, e specificamente contemplato nel referendum.

Già nel gennaio del 2011 (91), in sede di giudizio sull’ammissibilità del referendum, la Corte aveva precisato alcuni profili. In particolare, aveva escluso che da un eventuale esito positivo della consultazione potesse derivare la reviviscenza di norme nazionali antecedenti (92), riconoscendo, al contrario, l’immediata applicabilità della disciplina comunitaria in tema di concorrenza per l’affidamento dei servizi pubblici di rilevanza economica (93). Tale soluzione era giustificata dal fatto che il quesito referendario non aveva ad oggetto una legge a contenuto comunitariamente vincolato (e, quindi, costituzionalmente vincolato ai sensi dell’art. 117, comma 1), bensì integrava solo una delle diverse discipline contemplate, in quanto compatibili con i principi sovranazionali ( 94 ). L’introduzione di regole più rigorose rispetto a quelle minime richieste dal diritto dell’Unione Europea “non è imposta […] ma neppure si pone in contrasto con la normativa comunitaria, che costituisce solo un minimo inderogabile per gli Stati membri” (95). Alla luce di tali premesse appare necessaria una lettura coordinata delle due pronunce costituzionali – l’una di ammissibilità del referendum, l’altra di incostituzionalità dell’articolo 4 riproduttivo della normativa abrogata – per evitare il sorgere di contraddizioni interpretative (96). Come si è visto, non è controversa                                                                                                                

(91) Sent. Corte costituzionale, 26 gennaio 2011, n. 24.

(92) Si tratta dell’art. 113 TUEL, peraltro definito dalla Corte medesima di “dubbia compatibilità comunitaria”. La reviviscenza di norme abrogate è costantemente esclusa in simili ipotesi (oltre alla sentenza in commento, si vedano C. Cost. 31/2000 e 40/1997).

(93) In particolare, artt. 14 e 106 del Trattato 25 marzo 1957 che istituisce la Comunità economica europea.

(94) Sent. Corte Costituzionale, 26 gennaio 2012, n. 24, punto 4.2, che richiama la sent. Corte Costituzionale 17 novembre 2010, n. 325.

(95) Sent. Corte Costituzionale, 26 gennaio 2012, n. 24, cit., punto 4.2.1.

(96) C.VOLPE, La nuova normativa sui servizi pubblici locali di rilevanza economica. Dalle ceneri ad un nuovo effetto “Lazzaro”. Ma è vera resurrezione?, cit: “La Corte ha inteso salvaguardare il risultato referendario del giugno 2011. La sentenza n. 199/2012 è, infatti, conseguenza diretta della sentenza della medesima Corte n. 24/2011, che aveva ammesso il referendum sull’intero testo dell’art. 23 bis del d.l. 112/2008, convertito con modificazioni dalla l. 133/2008, e successive modificazioni; ma non è del tutto in linea con la sentenza n. 325/2010, che aveva riconosciuto la conformità costituzionale dell’art. 23 bis”.

l’affermazione dell’immediata applicabilità della disciplina europea. È opportuno, pertanto, interrogarsi sulle differenze rispetto alle regole nazionali precedentemente in vigore, per valutare se e che cosa sia effettivamente cambiato. Il quesito trova risposta nell’ampiezza dei limiti alle ipotesi di affidamento diretto e, in particolare, di gestione in house dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. Infatti, lo spazio riservato a tale ambito – già angusto in ossequio ai rigidi canoni dettati dall’Unione Europea (97) – era stato ulteriormente ridimensionato dal legislatore nazionale con l’articolo 23 bis prima e con l’articolo 4 poi. L’obiettivo comune perseguito era quello di imporre nella quasi totalità degli affidamenti l’obbligo di ricorso allo strumento della gara pubblica, in un’ottica di massima tutela della concorrenza e di libertà del mercato. In seguito all’intervento della Corte costituzionale la riserva posta nel nostro ordinamento a contenere i servizi in house si è venuta ad espandere, ritornando a modellarsi sui meno rigidi parametri comunitari (98). Ne consegue che allo stato attuale le pubbliche amministrazioni nell’ambito dei servizi pubblici locali non devono più considerarsi vincolate al limite di 200.000 euro annui quale valore massimo dell’affidamento, né alla prescrizione di ridurre la gestione diretta ai soli territori svantaggiati ed esclusi dal mercato concorrenziale. Tuttavia, in conformità ai canoni comunitari, permane l’obbligo di rapportarsi con società interamente pubbliche e caratterizzate dai requisiti del c.d. controllo analogo e della destinazione prevalente, così come delineati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia (99). A ben vedere, la gestione dei servizi pubblici locali all’indomani della sentenza costituzionale n. 199/2012 può essere affidata alternativamente: a un’impresa privata individuata mediante                                                                                                                

(97) Si v. il capitolo II, paragrafo 1.2., e la giurisprudenza comunitaria ivi citata.

(98) Si è venuta, dunque, a creare una situazione identica a quella immediatamente successiva al referendum abrogativo dell’art. 23 bis. Per approfondimenti sulle questioni relative alla consultazione popolare di giugno 2011, si v. F.LUCIANI, «Pubblico» e «privato» nella gestione dei servizi economici locali in forma societaria, in www.giustamm.it, n. 10/2012; C.VOLPE, Appalti pubblici e servizi pubblici. Dall’art. 23 bis al decreto legge manovra di agosto 2011 attraverso il referendum: l’attuale quadro normativo, in www.giustamm.it, n. 10/2011.

procedura ad evidenza pubblica; a una società mista previa gara a doppio oggetto per la scelta del socio, senza percentuali minime di partecipazione pubblica o privata; a una società in house, secondo i parametri comunitari, senza ulteriori deroghe o limiti imposti dal legislatore nazionale.